giovedì 22 luglio 2010


1. Il welfare state e i servizi sociali sono legati con un nesso inscindibile alla crescita del prodotto interno lordo. Poiché la spesa pubblica dipende dalle entrate e le entrate statali sono costituite dalle imposte indirette e dalle imposte dirette, se il pil cresce, crescono sia il valore delle merci scambiate e il gettito dell’IVA, sia i redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche, quindi l’ammontare delle tasse su di essi. L’entità dei servizi sociali che uno Stato può offrire è dunque direttamente proporzionale al valore del pil e all’ammontare dell’imposizione fiscale che ne deriva.
2. Se la distribuzione del reddito tra le classi sociali fosse lasciata al mercato, si verificherebbero grosse diseguaglianze tra i più forti e i più deboli. Per questo la socialdemocrazia, ma in modi diversi il socialismo reale e, più in generale, quel magma variegato di varianti e sfumature politiche che nel corso della storia si sono schierate a sinistra, sono caratterizzate e unificate dall’obbiettivo di operare attraverso lo Stato una più equa redistribuzione della ricchezza prodotta. I metodi con cui hanno perseguito e perseguono questo obbiettivo sono molto diversi, ma questa è la finalità ultima, che le unifica e le distingue dal magma delle varianti e sfumature politiche che costituiscono la destra. [BOBBIO, DESTRA E SINISTRA].
3. Un’immagine che viene spesso utilizzata per definire queste dinamiche è quella della torta, la massima aspirazione dei golosi, dei transiti di cibo per usare una definizione di Leonardo da Vinci. Più è grande e più ce n’è per tutti. Su questo destra e sinistra concordano. Ciò premesso, lo scontro tra queste due varianti politiche unificate dall’ideologia della crescita avviene sui modi di spartire le fette.
Per la destra il compito spetta alla mano invisibile del mercato, che è in grado di allocare la ricchezza prodotta (questo è il verbo che si usa in proposito) nei modi più efficienti per consentire alla torta di crescere ogni anno di più. La sinistra, in particolare la componente socialdemocratica, ritiene invece che sia compito dello Stato intervenire per ritagliare le fette in maniera più giusta, attraverso una forte imposizione fiscale finalizzata a finanziare interventi sociali in settori d’intervento sempre più vasti, a favore in primis delle classi e delle categorie sociali più svantaggiate, ma non solo. Olaf Palme “instancabile cantore del Welfare State universalistico (ossia destinato non ai soli bisognosi, ma tutti), […] da primo ministro avrebbe portato il livello di pressione fiscale al 53 % (nel 1955 era al 25 %)”. Monica Quirico (a cura di), Tra utopia e realtà: Olaf Palme e il socialismo democratico, Editori Riuniti, university press, Roma 2010, pag. 17
4. Il Welfare State è quindi un modo di redistribuire nei modi più ampi e diffusi porzioni sempre maggiori del reddito derivante dalla crescita economica. In questo senso la crescita economica sarebbe perseguita dalla socialdemocrazia come strumento finalizzato alla realizzazione umana. In realtà, nella competizione politica con la destra, il welfare state sembra piuttosto concepito come uno strumento che consente di far crescere di più e meglio l’economia: una serie di sostegni forniti alle persone e alle famiglie perché possano dedicare più tempo, con meno pensieri e meno preoccupazioni, più serenamente, al lavoro finalizzato alla crescita del pil. Quindi a farlo crescere di più.

[…] Rendere spendibili sul mercato occupazionale le categorie “problematiche” Op. cit., pag. 1. […] la persuasione che la diseguaglianza non incentivasse affatto la crescita economica, anzi. Op. cit., pag. 23. […]: avendo al contempo ben presente l’esigenza, per l’economia svedese, di agevolare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Op. cit., pag. 26.
Non una purezza d’intenzioni induce a considerare gli esseri umani come fine e la crescita economica mezzo per realizzare questo fine, ma il calcolo di potenziare il numero e l’impegno degli esseri umani come mezzo per raggiungere meglio il fine della crescita economica.
5. Il capovolgimento dell’ideologia della crescita, la prospettiva della decrescita, comporta una riduzione delle entrate statali e, di conseguenza, implica inevitabilmente una riduzione del welfare state, dei servizi sociali forniti dallo Stato. Cibo difficile da digerire dalle varie sfumature della sinistra, in particolare le componenti socialdemocratiche, che del welfare state hanno fatto un pilastro del progresso sociale, una vera e propria battaglia di civiltà. Conseguenza del tutto ignorata da quei settori ancora molto minoritari della sinistra che hanno abbracciato la decrescita come ultimo pilastro in ordine di tempo su cui tentare di ricostruire la loro casa distrutta. Se si sostengono le filiere corte, se si partecipa a un gas che si rifornisce da un produttore di vicinanza, si riducono i consumi di combustibili fossili, sul prezzo dei quali le tasse rappresentano il 67 per cento, quindi si riducono le entrate statali, quindi occorre ridurre il numero degli insegnanti per classe e chiudere gli asili nido. Se si pensa che gli asili nido siano un segno di civiltà, bisogna fare la spesa negli ipermercati e comprare le cipolle coltivate in Egitto.
6. A questo punto occorre porsi due domande. La prima: le motivazioni di chi sostiene la necessità di una decrescita economica hanno un fondamento o sono ubbìe di anime belle? In altri termini, la decrescita è un gioco che vale la candela? Offre vantaggi non altrimenti ottenibili? La seconda: la riduzione del Welfare State, dei servizi sociali è veramente un male?
7. L’ipotesi della decrescita rimette innanzitutto in discussione il fatto che la crescita economica, la crescita del prodotto interno lordo, sia una cosa buona e giusta. Per almeno 3 ragioni.
a) Ragioni di carattere ambientale. Cresce il prelievo di risorse (esaurimento di quelle non rinnovabili, in particolare il picco del petrolio) e crescono gli scarichi di scarti liquidi, solidi e gassosi nell’ecosistema terrestre (anidride carbonica e riscaldamento globale).
b) Ragioni di equità a livello internazionale tra i popoli (un quarto dell’umanità si appropria dei tre quarti delle risorse)
c) Ragioni di equità intergenerazionali
8. La crescita del prodotto interno lordo è di per sé fattore di iniquità e per una componente politica che si caratterizza per il perseguimento dell’equità, questa è una contraddizione sostanziale. L’equità non può essere limitata in una dimensione spazio-temporale definita: oggi, per quella parte della specie umana che vive nei paesi industrializzati. Per avere valore universale, e non può non averlo, si deve estendere a tutti i popoli, alle generazioni future, alle altre specie viventi nell’ecosistema terrestre, che non costituiscono lo scenario su cui recita la sua parte la specie umana secondo la distinzione cartesiana tra res cogitans e res exensa, ma che costituiscono insieme alla specie umana un vero e proprio organismo vivente, come ha teorizzato Lovelock con la teoria di Gaia.
9. Il perseguimento dell’equità e della piena realizzazione umana non sono conciliabili con la crescita del prodotto interno lordo. Oggi lo vediamo chiaramente dalle conseguenze devastanti innescate dalla crescita economica dei soli paesi industrializzati [effetto serra, picco del petrolio]. Ma quando era meno evidente (i primi allarmi sono dei primi anni settanta, con la pubblicazione, a cura del Club di Roma, del libro I limiti della crescita, un titolo impropriamente tradotto in italiano con una formulazione più neutra per il paradigma economico: I limiti dello sviluppo). Ma quando queste conseguenze non erano ancora così evidenti, cosa ha indotto a identificare il benessere con la crescita del pil e, quindi a finalizzare a questo obbiettivo le attività economiche e produttive? L’idea che il pil sia l’indicatore del benessere e della ricchezza, che cioè misuri il valore dei beni prodotti e dei servizi forniti da un sistema economico e produttivo nel corso di un anno. In realtà, il prodotto interno lordo è un indicatore monetario e, come tale, può prendere in considerazione soltanto le merci, cioè gli oggetti e i servizi che passano attraverso una transazione commerciale e vengono scambiati con denaro. Questo è il gigantesco equivoco, da cui derivano una serie di conseguenze pratiche e su cui poggia il sistema dei valori che caratterizza le società industriali (non ho cuore di usare la definizione di civiltà industriale).
10. Occorre ripristinare ed avere ben chiara la differenza tra il concetto di bene e il concetto di merce. I beni sono oggetti e servizi che rispondono a un bisogno o soddisfano un desiderio. Le merci sono oggetti e servizi che si scambiano con denaro. Questa distinzione è indispensabile per chiarire alcune confusioni.
a) Non tutte le merci sono beni e non tutti i beni sono merci. Esempi. Decrescita: diminuzione della produzione e del consumo di merci che non sono beni, aumento della produzione e dell’uso di beni che non sono merci.
b) Alcuni beni si possono ottenere solo in forma di merci. Alto contenuto scientifico e tecnologico. Di qui la fede nella scienza e nella tecnologia, nel progresso, la proiezione verso il futuro, le magnifiche sorti e progressive.
c) Altri beni non si possono ottenere sotto forma di merci, per cui non vengono presi in considerazione, ma la loro mancanza fa soffrire e spesso viene causata proprio dalla spasmodica tensione alla produzione e al consumo di quantità sempre maggiori di merci (affetti, stima degli altri, relazioni umane significative, salute. cfr. discorso pronunciato da Robert Kennedy il 18 marzo 1968).
d) Molti beni si possono autoprodurre più vantaggiosamente invece di comprare le imitazioni delle merci corrispondenti, però i beni autoprodotti e i servizi non comprati ma scambiati per amore non fanno crescere il pil, per cui in una società fondata sulla crescita del pil questa possibilità deve essere sradicata dalla testa delle persone.
L’operazione è stata realizzata agendo in più direzioni:
a) Il lavoro manuale è stato svilito ad attività di ordine inferiore (mentre invece una importante corrente di pensiero considera che nel saper fare guidato dalla progettualità consiste il più alto livello di realizzazione umana: R. Sennet, L’uomo artigiano).
b) L’autoproduzione è stata ridicolizzata come arretratezza tecnologica, fatica, perdita di tempo (mentre è vero il contrario: ci vogliono più tempo, più fatica, più soldi per comprare le imitazioni).
c) Il saper fare è stato cancellato dalla memoria collettiva. Il numero delle persone che non sanno fare niente cresce in continuazione (praticamente tutti gli abitanti delle città). Chi non sa fare niente deve comprare tutto e fa crescere il pil di più di chi sa fare qualcosa e non deve comprare tutto.
- Il concetto di lavoro (ogni attività finalizzata a ricavare dalle risorse naturali i beni necessari a soddisfare le esigenze vitali degli esseri umani) è stato ridotto al concetto di occupazione (attività, per lo più parcellizzate e prive di senso complessivo, che non hanno alcuna attinenza con la soddisfazione delle esigenze vitali di chi le compie, ma sono finalizzate a produrre merci in cambio del denaro necessario a comprare merci). Per l’Istat solo chi fa un lavoro salariato viene inserito nella categoria delle forze di lavoro.
11. In questo quadro il Welfare State è stato il cavallo di Troia per estendere la mercificazione ai rapporti umani, per trasportarli dall’ambito del dono e della reciprocità all’ambito del mercato. Nelle famiglie dove convivono, o comunque possono avere rapporti quotidiani immediati, tre generazioni, un ruolo importante nella cura e nell’educazione dei bambini è affidata ai nonni. I nonni ne sono gratificati, ne ricavano un senso alla parte terminale della loro vita, i nipotini hanno la gioia di un rapporto interpersonale esclusivo (che nei primi tre anni di vita ha un ruolo fondamentale per l’equilibrio psico-fisico), i genitori possono dedicare una parte significativa del loro tempo ai figli perché quel tipo di famiglia consente di autoprodurre beni in misura non irrilevante e quindi di ridurre la dipendenza dalle merci e il tempo da dedicare alla produzione di merci per avere il denaro necessario a comprarle. Ma le relazioni umane fondate sull’amore sono gratuite e non fanno crescere il pil. Come rimuovere questo ostacolo? Si è martella sui vincoli alla libertà individuale posti dalla convivenza di più generazioni, si esalta l’autonomia delle famiglie mononucleari chiuse nelle loro cellette condominiali, si rivendica come un valore irrinunciabile l’emancipazione offerta dall’ottenimento di un reddito monetario in cambio dello svolgimento di un’attività lavorativa nella produzione di merci (l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, per meglio dire sull’occupazione), si radica nell’immaginario collettivo l’identificazione della realizzazione umana col possesso di cose.
Ma se papà e mamma escono la mattina di corsa sbattendo la porta per non arrivare tardi al loro posto di lavoro e tornano la sera stravolti dalla stanchezza e dal senso di inutilità, e se i nonni abitano in una celletta di un condominio lontano, chi si occuperà dei bambini? Elementare Watson: il Welfare State: gli asili nido, le scuole dell’infanzia, elementari e medie a tempo pieno, a tempo prolungato, il prescuola e il doposcuola, il pre-prescuola e il dopo-doposcuola.
Il nostro è un paese civile. Abbiamo tanti servizi sociali. Non abbandoniamo i bambini e veniamo incontro alle esigenze dei genitori che lavorano, gongola l’assessore del centro-sinistra (per non parlare del sindaco) tra le tartine all’inaugurazione del nido.
Ma tutto questo costa. Chi paga?
Benedetto decrescista, o decrescente, come si dice? Se lavorano papà e mamma…
Se sono occupati papà e mamma, vorrà dire.
Sì, se sono occupati papà e mamma, presentano due modelli 730 su cui calcolare l’Irpef. Inoltre l’apporto di questa famiglia alla crescita della produzione di merci è duplice, quindi raddoppia anche il loro contributo indiretto all’Irpeg. Ma se entrambi i genitori sono fuori casa tutto il giorno, non penserà mica che abbiano il tempo di andare a fare la spesa al mercato e di cucinare. Compreranno cibi surgelati e precotti, che costano molto di più dei cibi freschi, quindi il loro contributo all’Iva sarà maggiore del contributo di chi non compra tutto quello che gli serve per vivere, o compra prodotti freschi, che costano dimeno, a cui aggiunge il valore non monetario del suo lavoro per cucinarli. Inoltre i surgelati vengono da distanze maggiori e richiedono un maggiore consumi di fonti fossili per il trasporto. Non dimentichi, infine, che la surgelazione richiede molta energia elettrica e lei sa senza dubbio quanto sono gravati di tasse i prodotti energetici. Per il Welfare State le famiglie mononucleari sono una pacchia. Fanno arrivare nelle casse dello Stato e dei Comuni tanti di quei soldi da ripagare più che abbondantemente i costi di gestione e del personale dell’asilo nido dove portano imbacuccato, infreddolito e insonnolito il loro bambino la mattina presto per andare a riprenderselo la sera.
Ma che vita è per quel bambino sottoposto agli orari e ai ritmi del lavoro salariato dall’età di tre mesi? È davvero un’emancipazione, un progresso e un miglioramento fare tutto il giorno un lavoro salariato per avere i soldi per comprare sotto forma di merce l’assistenza ai neonati invece donarla con amore riducendo il tempo dedicato al lavoro salariato, tanto anche se si guadagnano meno soldi se ne spendono anche di meno? O sono pene e sofferenze che gli esseri umani devono pagare per far crescere il pil? Un aspetto della loro subordinazione alle esigenze della crescita economica?
12. Se le varianti liberal-liberiste, di destra, della crescita possono essere contraddistinte dallo slogan “più Mercato e meno Stato”, e le varianti socialiste-socialdemocratiche, di sinistra, dallo slogan “meno Mercato e più Stato”, il paradigma culturale della decrescita, perché di un paradigma culturale si tratta e non solo di una teoria economica, si contraddistingue con lo slogan “meno Stato e meno Mercato”.

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