martedì 13 luglio 2010


di Valerio Lo Monaco
I lettori di Repubblica si sono accorti che le carote vengono pagate 9 centesimi al chilogrammo al contadino che le produce, e quindi hanno fatto un rapido raffronto con quanto le pagano al supermercato. Il che, dal punto di vista del consumatore, è - o dovrebbe essere - abbastanza efficace per capire diverse cose.
Naturalmente una delle poche riflessioni, se non l’unica, che viene fatta è quella meramente economica: una miseria al contadino ma soprattutto un salasso per il consumatore finale. Comperare frutta e ortaggi, soprattutto in questo periodo, equivale a entrare in gioielleria. Sarebbe quasi il caso di farsi incastonare chicchi d’uva in una veretta attorno al dito.
Eppure il punto è molto più sottile, e importante, che non unicamente quello legato all’aspetto purmente economico. È evidente, ad esempio, che le spese che si accumulano di passaggio in passaggio, dal contadino alla grande distribuzione, oltre alle spese necessarie per far raggiungere al prodotto le rispettive destinazioni parziali e finali, siano esorbitanti, a tutto svantaggio di chi produce e di chi consuma, e a vantaggio di chi lavora nei passaggi intermedi. Certo, grazie a questi vivono in molti, o forse sarebbe meglio dire sopravvivono. Vive chi ha il contatto con il contadino, i trasportatori delle varie fasi, i petrolieri che vendono carburante per il trasporto, le aziende che si occupano dei vari stadi di lavaggio, preparazione e stoccaggio e infine la filiera dei supermercati, proprietari e dipendenti inclusi.
Ogni passaggio comporta un aumento del prezzo finale. Meccanismo infernale dal punto di vista prettamente economico, né più né meno di ogni altro ambito del nostro sistema di sviluppo, considerando che la ragnatela di monopoli vari, i quali decidono e impongono, ad esempio, il prezzo da pagare all’agricoltore, quello alle varie aziende di lavoro intermedio, dei trasporti, dei carburanti e infine della grande distribuzione, comporta che i due estremi, come detto, siano poi quelli maggiormente svantaggiati: ovvero chi produce e chi consuma.
Saltando tutti questi passaggi, si può ipotizzare a prima vista, si potrebbero pagare i prodotti un po’ di più al contadino e potremmo allo stesso tempo pagarli meno noi, utilizzatori finali. Ma tutti quelli in mezzo non ci guadagnerebbero. Oltre al fatto, naturalmente, che sarebbe un problema, soprattutto per chi vive in città, riuscire a reperire ciò che gli serve senza doversi servire della grande distribuzione.
Ma il punto da cogliere è a nostro avviso un altro, e non rappresenta la parte economica, come si vorrebbe far credere, quanto quella esistenziale.
In città e con il nostro stile di vita non abbiamo possibilità materiale né tempo di poter accedere a prodotti locali (se non in sporadici casi) e dunque siamo costretti ad affidarci alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), pagandole il dovuto. Non abbiamo possibilità perché in città non si produce cibo, ma si deve far arrivare da fuori, e non abbiamo tempo perché non possiamo andare fuori a procurarci in modo diretto e locale ciò che ci serve. Magari dobbiamo lavorare due ore di più in ufficio per avere qualche euro in più a fine mese, al fine di poter pagare le carote quello che la GDO ci costringe a pagare. Diabolico. Ma tutto il nostro mondo si regge così. Infatti, visto che anche un idiota può capire che una cosa del genere non può reggere, sta puntualmente crollando (a tal proposito è curioso il fenomeno di Detroit del quale abbiamo parlato ieri, qui).
L’altro aspetto riguarda naturalmente l’inquinamento e l’impiego delle risorse, cosa sulla quale invece non tutti riflettono a sufficienza. Facciamo un unico esempio, facilmente trasferibile in quasi ogni aspetto del nostro sistema di sviluppo. È un esempio che Maurizio Pallante, esponente del movimento Decrescita Felice in Italia fa spesso nei suoi convegni.
L’inquinamento prodotto per ogni vasetto di yogurt che consumiamo. Sinteticamente: ogni volta che mangiamo un vasetto di yogurt inquiniamo per il trasporto dal produttore dello yogurt fino al supermercato, per la sua conservazione all’interno dello stesso, per il carburante necessario a noi stessi tra il supermercato e casa nostra, quindi, dopo averlo mangiato, inquiniamo mediante il vasetto di plastica da eliminare e con il coperchietto di alluminio flessibile che lo chiudeva.
Producendolo in casa, l’inquinamento è praticamente zero.
Ma non abbiamo il tempo né la capacità di farlo (vero?) considerato che dobbiamo correre a lavorare in un ufficio per procurarci i soldi necessari a comperare l’automobile e la benzina con i quali correre verso il supermercato nei ritagli di tempo di una giornata lavorativa, pagare lo yogurt una cifra esorbitante rispetto a quella realmente necessaria per la sua produzione, quindi portarlo a casa e infine lasciare i rifiuti creati in eredità ai nostri figli e nipoti.
Ma veramente esiste ancora qualcuno il quale pensa che questo sistema non possa che crollare?

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