lunedì 30 agosto 2010

a seguito un articolo su come la tragedia in Pakistan sia stata fatta subito "capitalizzare" dai benefattori del mondo alisa FMI, Banca Mondiale ed affini.
Barbara

COME I RICCHI SPECULATORI TRAGGONO PROFITTO DAI DISASTRI.

DI EAMONN MCCANN
Belfast Telegraph

Le calamità naturali danno ad alcuni capitalisti l’opportunità di trarre massimi profitti dalla carenza di beni alimentari
Quando la terra cuoce, i mercati vanno a fuoco.
Il caldo intenso e la più rigida siccità degli ultimi cent’anni hanno bruciato una enorme fetta di terra coltivabile in Russia che va dal Mar Nero alla Siberia, distruggendo la raccolta di grano e portando il governo di Medvedev a bloccare le esportazioni nel tentativo di assicurare le scorte.
Come conseguenza, i prezzi sono lievitati dappertutto nel resto del mondo. In Europa sono aumentati dell’80% nelle scorse sei settimane, mentre i mercati del grano a Chicago hanno visto un aumento del 25% in una settimana. Chi ha comprato il grano a prezzo fissato in anticipo ha incassato una fortuna, mentre i contadini in Russia si trovano davanti alla prospettiva di impoverimento e disperazione.
I paesi importatori e le multinazionali di beni alimentari si sono rivolti agli Stati Uniti, Australia, Argentina e alla UE. Il Financial Times commenta: “C'è abbastanza stock per coprire il buco ma manca un cuscino di sicurezza. In altre parole, le condizioni climatiche da qui alla raccolta di dicembre dovranno essere perfette”.
I consumatori devono aspettarsi di pagare di più per il pane e altri beni essenziali entro la fine dell’anno. In seguito, se il tempo non migliora, pagheranno molto di più.
Continua il FT: “I dirigenti delle aziende agricole e gli analisti dicono che la crisi probabilmente accelererà il consolidamento dell’agricoltura russa, permettendo alle grandi aziende di colpire i piccoli agricoltori che combattono”.

Per ogni cento milioni di perdenti nella lotteria dell’economia globale, c'è sempre qualche migliaio di vincitori. Uno dei più grandi a vincere recentemente è stato l’affarista londinese Anthony Ward.

Nell’ottobre del 2009 ha iniziato a stipulare contratti per iniziare la distribuzione del cacao del mese scorso. Cinque settimane fa, il suo hedge fund, Armajaro, ha preso in consegna 240,100 tonnellate, circa il 7% della produzione annuale mondiale. L’effetto è stato l’aumento dei prezzi ai livelli più alti da 30 anni, con enormi profitti per il signor Ward e i suoi investitori.

Le pagine finanziarie suggeriscono che i profitti potranno lievitare verso cime vertiginose se in Ottobre il raccolto della Costa d’Avorio andrà male così come sperano gli affaristi. In quel caso, i prezzi nel paese crolleranno – verso lo zero, secondo un commentatore – creando le condizioni per un altro lucrativo accaparramento di terre.

La Banca Mondiale affermava nei primi giorni di Agosto che “gli investitori mirano ai paesi con leggi deboli, comprano terre coltivabili a prezzi ridotti e non mantengono le promesse fatte”. Circa 124 milioni di acri di terreni coltivabili appartengono agli hedge funds.


Gli hedge funds – “macchine designate per saccheggiare navi naufragate”, secondo la memorabile definizione di un banchiere – si sono rivolti al settore del cibo, dei terreni coltivabili e delle ricchezze minerali del sud del mondo dal momento che le ricche risorse del settore immobiliare si sono prosciugate.

Il secondo più grande hedge fund del mondo, Paulson and Co., ha guadagnato miliardi scommettendo sul collasso del mercato dei subprime negli Stati Uniti. Quando il collasso è avvenuto, buttando fuori casa centinaia di migliaia di famiglie, il capo del fund, John Paulson, ha personalmente guadagnato 3.3 miliardi di dollari. Ora è accreditato come il quarantacinquesimo uomo più ricco al mondo.

Al lato di Paulson, in modo discreto, si trova l’azienda di trasporti di beni Glencore, che fa affari con terreni, grano, zucchero, zinco, gas naturale, ecc., e opera in tutto il pianeta. Anch’essa è nata dal crollo immobiliare in modo prepotente e l’anno scorso ha avuto un utile netto di 2.8 miliardi di dollari dalle sue nuove operazioni.

I prodotti delle aziende agricole di proprietà delle banche e degli hedge funds non sono destinati alle popolazioni locali ma ai mercati internazionali.

A questo fine, l’azienda londinese Central African Mining and Exploration, per esempio, ha appena acquistato 75,000 acri di terra fertile nel Mozambico per creare biocombustibile da esportare. La popolazione locale aveva capito che la terra doveva essere data o concessa in prestito a mille famiglie di coltivatori dislocate dopo che il parco nazionale era stato costituito con l’obiettivo di attrarre turisti.

Un rappresentante del governo spiega che quella gente era “confusa”. Senza dubbio.

Ciò che colpisce di queste operazioni – ce ne sono a centinaia – è l’impatto che possono avere sulla vita quotidiana di un vasto numero di persone, pur rimanendo virtualmente anonime e rimanere totalmente esenti da responsabilità.

L’idea che il profitto è l’unica cosa che conta quando si parla di produzione di alimenti potrà sembrare distorta e perfino immorale. Ma è strettamente in linea con l’etica dell’economia di mercato. Quando una piccola parte del mondo degli affari ha espresso il proprio malcontento per la monopolizzazione del mercato del cacao da parte di Anthony Ward, il Financial Times è corso in suo aiuto con un energico editoriale in cui si metteva in evidenza che egli “non ha infranto alcuna legge”.

Certamente non l’ha fatto. Sono le stesse leggi a truccare il gioco, è lo stesso sistema a generare le ingiustizie.

Titolo originale: "Fat cats profiting off disaster "

Fonte: http://www.belfasttelegraph.co.uk
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18.08.2010
Come Don Chisciotte

INONDAZIONI E DEBITO, DOPPIA PUNIZIONE PER IL PAKISTAN


DI DAMIEN MILLET, SOPHE PERCHELLET E ERIC TOUSSAINT
cadtm.org

A causa delle piogge torrenziali che lo hanno afflitto da diversi giorni, il Pakistan sta affrontando una delle peggiori tragedie, in termini di perdite di risorse umane e materiali, degli ultimi 80 anni. I danni sono impressionanti. Circa 22 milioni di persone sono colpite da gravi inondazioni. Molte infrastrutture non hanno sostenuto la violenza delle piogge. Molte strade sono impraticabili, così come i porti. Milioni di persone sono state costrette a lasciare in fretta le loro case, e le Nazioni Unite hanno già supposto circa 5 milioni di senzatetto. Campi di fortuna sono stati allestiti alla meno peggio e circa 1 milione di persone vi si sono già installate in precarie condizioni sanitarie. Il sud del Paese, soprattutto la provincia di Snidh, risulta la più colpita da questa catastrofe. Le perdite economiche ammontano a miliardi di dollari in particolare nel settore agricolo.

Il Pakistan ha bisogno di aiuto. Il 20 agosto 2010, i paesi membri dell'ONU si sono impegnati a prestare 200 milioni di dollari, ma si tratta solo di promesse e le precedenti esperienze dimostrano che solo una piccola parte di questo denaro arriverà a destinazione. La Banca Asiatica dello Sviluppo, che ha già sperimentato lo tsunami del dicembre 2004, si è auto-nominato leader del finanziamento della ricostruzione in Pakistan e ha già annunciato un prestito di due miliardi di dollari.

La Banca Mondiale ha aggiunto un prestito di 900 milioni di dollari. Da questo disastro naturale, il Pakistan ne uscirà, quindi, con un significativo aumento del proprio debito. Se l'assistenza urgente è indispensabile, è altresì importante riflettere sulla posta in gioco reale della situazione in Pakistan. Nell'agosto 2008, il paese era sull'orlo del default. Costretti ad accettare l'aiuto del Fondo monetario internazionale (FMI), ha ricevuto un prestito totale di 11,3 miliardi di dollari in cambio, però, di brutali condizioni: la vendita di un milione di ettari seminativi, la fine dei sussidi del Governo per il carburante, l'aumento dei prezzi dell'elettricità, drastiche riduzioni sulla spesa sociale ... Solo il bilancio militare non ha conosciuto tagli. Questo prestito ha, insomma, deteriorato le condizioni di vita della popolazione, indebolendo fortemente la sovranità del paese.

Oggi, il Pakistan ha un debito estero di 54 miliardi di euro e spende ogni anno 3 miliardi di dollari per gli interessi. Questo debito, notoriamente esploso dopo gli anni 2000, ha in gran parte origini odiose. Infatti, il vecchio regime del generale Musharraf Perez era un alleato strategico degli Stati Uniti nella regione, soprattutto dopo gli attentati del 11 settembre 2001. I principali sostenitori economici non hanno mai esitato ad appoggiare la dittatura di Musharraf in Pakistan. Nell'autunno 2001 gli Stati Uniti hanno cercato ed ottenuto il sostegno del Pakistan nella loro guerra contro l'Afghanistan, consistito nella disponibilità della regione come base per le truppe militari degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

Il regime di Musharraf ha continuato a indebitarsi con il sostegno attivo della Banca mondiale e delle grandi potenze. I prestiti accordati non hanno alcuna legittimità essendo serviti solo a rafforzare la tirannia di Musharraf peggiorando la vita dei pakistani. Il debito contratto da un regime dispotico è odioso. I creditori che hanno sostenuto Musharraf lo hanno fatto con cognizione di causa e in queste circostanze è inaccettabile che il popolo del Pakistan sia oggi costretto a rimborsare loro questo debito. In queste condizioni, la cancellazione definitiva del debito pakistano costituisce un presupposto indispensabile.

Diversi paesi, sul modello adottato in Ecuador nel periodo 2007-2008, hanno messo a punto una seria revisione generale del loro debito, al fine di annullare la parte ritenuta odiosa.

Il Pakistan è perfettamente in grado di seguire questo esempio. Un altro meccanismo legale per il mancato pagamento deve essere preso in considerazione dal Pakistan soggetto alle devastanti inondazioni: lo stato di necessità. Invocandolo, il Pakistan potrebbe stanziare cospicui fondi per le esigenze vitali del suo popolo martoriato, invece di rimborsare il suo debito, senza timore di azioni penali per inadempimenti dei propri obblighi. I tre miliardi di dollari annualmente destinati alla liquidazione degli interessi sul debito, potrebbero così essere reindirizzati alla spesa sociale a favore del Pakistan. Contestualmente alla sospensione del pagamento del suo debito estero, il governo pakistano dovrebbe poi decidere di procedere alla revisione dello stesso. Lungi dall'essere un obiettivo fine a se stesso, questo dovrebbe essere il primo passo verso un modello di sviluppo radicalmente diverso, basato sulla garanzia dei diritti umani fondamentali.

Damien Millet, Sophie Perchellet, Eric Toussaint
Come Don Chisciotte

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