lunedì 6 dicembre 2010

Un anno fa sembrava destinato a grandi sviluppi. Ma solo a patto di non vedere i limiti intrinseci dell’iniziativa, confermati anche dalla convention di ieri a Roma 
di Davide Stasi

Si è tenuta ieri, al Teatro Vittoria di Roma, la prima “convention” del Popolo Viola, movimento spontaneo antiberlusconiano nato in Rete giusto un anno fa. Scopo dell’incontro, secondo gli organizzatori è «conoscersi e confrontarsi con i partiti che si oppongono a Berlusconi», oltre che tirare le somme di un anno di micro-iniziative locali, in gran parte veicolate tramite Facebook.
Dopo il primo exploit, il Popolo Viola come movimento collettivo sembrava essersi inabissato nei meandri di internet, condannato all’irrilevanza. Ad aiutarne la resurrezione, in questi giorni, è arrivato Wikileaks, secondo cui Berlusconi si era dichiarato preoccupato per la mobilitazione del “No-B-day”, prospettando a un diplomatico USA la necessità di stabilire alcune restrizioni alla Rete. La notizia ha fatto da trampolino mediatico, ridando slancio al movimento, che a Roma ha affrontato, insieme ai partiti più “vicini”, cinque tematiche selezionate in Rete: legge elettorale, conflitto di interessi, lavoro, istruzione e cultura, libertà di informazione.
Nulla che possa incidere sul sistema, in realtà. Il centro del dibattito sono state le cure possibili ad alcuni sintomi, nemmeno i più importanti, di un male che è molto più globale e radicato. Non una parola sul sistema economico globale, sul turbo-liberismo consumista, sulla dittatura delle banche, sui modelli di vita conseguenti, ossia sulla reale patologia del nostro paese e del mondo. Non una parola quindi su eventuali alternative per uscire dalla deriva istituzionale e dalla decomposizione del corpo sociale.
Questioni cruciali, ma forse troppo per un gruppo, come il Popolo Viola, che si porta dietro la tara insita nella sua stessa fondazione. È un movimento privo di idee e di qualunque elaborazione, non solo politica, ma anche culturale, con l’unico scopo dichiarato di far fuori politicamente una persona. La sua unica utilità, quindi, è quella di coagulare il dissenso di cittadini che, in buona fede e delusi dal sistema nel suo complesso, cercano argomenti facili e strumenti di aggregazione accessibili nell’intento di dare rilevanza alla propria voce. Gruppi sedicenti “dal basso” come il Popolo Viola ne spuntano come funghi dal brodo primordiale del malessere diffuso. Ma, privi come sono di qualunque strutturazione politico-culturale,
quella che un tempo veniva chiamata “ideologia”, possono servire solo a incanalare e irreggimentare il dissenso. Con l’obiettivo, magari, di tramutarlo in consenso.
Sia chiaro: alcuni temi sono sacrosanti, ma la mancanza di un’analisi critica complessiva del sistema e di un’elaborazione politico-culturale alternativa condannano queste mobilitazioni estemporanee a restare irrilevanti da un lato, mentre dall’altro le espongono alla strumentalizzazione da parte del sistema stesso. Un fenomeno evidente a livello locale, dove tali movimenti, pur dichiarando una natura anti-sistema, il più delle volte accettano ben presto contaminazioni e sovrapposizioni con chi dovrebbe rappresentare l’avversario da battere, in primis i partiti, tutti. Oppure non sanno opporsi con efficacia agli inevitabili tentativi di infiltrazione da parte dei partiti considerati più affini.
La sinistra, o “le sinistre”, per il Popolo Viola; l’IDV e i vendoliani per il movimento di Beppe Grillo, trovano in questi gruppi la riserva di caccia per il proprio consenso. Per questo il movimento di Grillo non otterrà il successo sperato, e necessario: oltre alla mancanza di una cultura realmente alternativa, non ha messo in campo, o l’ha fatto in modo troppo blando, specie a livello locale, un’opposizione intransigente al sistema rappresentato dai partiti, per cui verrà vampirizzato allegramente in fase elettorale. Il Popolo Viola, dal canto suo, ha ceduto quasi subito alle lusinghe del sistema, tanto che nella propria convention ha preteso di suggerire ai vari soggetti dell’opposizione alcuni “temi forti” per il futuro post-berlusconiano.
Alla fine, queste mobilitazioni spontanee finiscono per giocare, rispetto ai partiti che si dichiarano “alternativi” ma che restano all’interno del sistema, lo stesso ruolo che le più blasonate fondazioni giocano per i partiti cosiddetti “moderati”. Rischiano di essere cioè un pollaio dove tenere compatto, allevato e ammaestrato il dissenso, grazie a poche innocue parole d’ordine, in attesa che alcune parti del sistema vi peschino liberamente al momento del bisogno elettorale. Un modo come un altro per perpetuare se stessi, cooptando e ribaltando a proprio favore un dissenso che invece, se diventasse consapevole, potrebbe diventare la scintilla per una ribellione autentica e a tutto campo.
Davide Stasi

2 commenti:

  1. Mi piace quello che scrivi. Sono pienamente d'accordo con te nella parte finale dove scrivi dei rischi che queste mobilitazioni spontanee corrono.

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  2. Ciao I am,

    sono contenta che condividi l'articolo, ma non posso prendermi il merito di ciò che non è mio, magari sapessi elaborare così bene come ha fatto il bravo Davide Stasi!
    Purtroppo il sistema ha bisogno di ingabbiare il dissenso, di dirigerlo, ecco perché dietro a delle forme di mobilitazione che, nelle fondamenta sono anche condivisibili e giuste, poi purtroppo mirano ad andare altrove, a ricondurre il dissenso entro ranghi dove non nuocciano.

    Un caro saluto,
    Barbara

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