domenica 24 aprile 2011

Non sopporto le frasi fatte ed i proverbi, ma mi verrebbe quasi da dire che non tutto il male vien per nuocere. Però non mi piace e non lo dico. Voglio dire invece delle pessime conseguenze della crisi libica, o meglio, della strategia globalista delle solite elites finanziarie che hanno prima pianificato e poi realizzato le rivolte in Maghreb e Medioriente. Le finalità di questi nuovi assetti geopolitici solo le solite: controllo delle fonti energetiche, creazione di nuovi mercati capitalistici, raccolta di manodopera a basso costo, lotta a religioni ed ideologie che possono arginare il mondialismo laico e progressista. Le conseguenze di cui parlo sono innanzitutto l'immigrazione, che ha ricominciato a colpire le coste italiane, e poi la perdita di influenza economica degli interessi italiani in Libia, con gravi problemi sul piano energetico.

Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e se oggi quella più visibile sembra nera e consunta, dietro ce n'è una che sfavilla e che aspetta di essere vista.
Siamo infatti in una situazione inedita:
l'aggravarsi della fase migratoria, la crescente arroganza dei nuovi arrivati che incendiano, protestano, pontificano ed ammoniscono anche per motivi futili come la fornitura di sigarette, come successo a Lampedusa, creano uno stato di tensione palpabile. Non tanto le sfuriate della Lega con il suo “fora d'i ball”, non solo l'opposizione degli abitanti dell'isola, il fattore veramente importante è la presa di coscienza, tardiva certo, dell'inconsistenza dell'Unione Europea come ente politico. Diversi esponenti politici, sempre della Lega, hanno protestato per il mancato aiuto europeo per gli sbarchi, fino a sollevare il dubbio sulla reale utilità ed importanza della permanenza italiana nel consesso europeo.

L'Europa delle Banche, con la sua riduzione dei popoli a mero brulicare di consumatori e produttori, con il suo coacervo di particolarismi in lotta tra loro che la mancanza di una costituzione che parli di valori e obiettivi mantiene in competizione, è forse il peggiore dei mali degli ultimi vent'anni. Bisogna poi tener conto anche del fatto che i trattati di Lisbona e Basilea ancora non hanno mostrato la loro parte peggiore.
Questa contingente insorgenza di malumore verso il parlamento di Bruxelles e il mostro burocratico senz'anima, può essere sfruttata per liberarsi dal lacciuolo peggiore che l'Europa ci impone: l'Euro della Bce. Per tutti coloro che sanno qual è la natura della moneta-debito, cos'è il signoraggio bancario, quali sono i meccanismi finanziari che soggiacciono al debito pubblico degli Stati, al rating e ai prestiti salva-Stati, si tratta di cavalcare l'onda per reclamare finalmente il ritorno ad una moneta italiana di Stato.

Il sogno di una moneta vera, moneta di popolo, può realizzarsi attraverso questo scontento generale.
Certo, sarà certamente necessario lottare, anche aspramente, per ottenere tale indipendenza monetaria, e resistere alle pressioni violente di coloro che non avranno alcuna intenzione di perdere le proprie posizioni di rendita.

Uscire dall'euro porterà l'Italia alla crisi economica irreversibile, come ventilato da tutti i politici quando si stava per passare alla moneta unica europea? No, a patto che il governo sappia far fronte a due imperativi: difendere l'economia reale dall'assalto di quella virtuale e impostare una nuova politica estera che graviti in un'area alternativa a quella subita dal dopoguerra ad oggi.

Avvicinarci agli attori della nuova economia mondiale: Cina, Brasile, Iran, India, Turchia, Venezuela non dovrebbe essere problematico per una nazione come la nostra che può dire e dare ancora molto in termini di qualità e di creatività. Con logiche di scambio, più vicine al baratto che alla transazione finanziaria, l'Italia potrebbe garantirsi energia e prodotti agricoli in cambio di servizi e tecnologia. Non ci sarebbe quindi bisogno di utopie autarchiche, ma di una più realizzabile strategia di collaborazione economica.

Non sfugge al lettore attento che questa ipotetica situazione si scontrerebbe con un problema che sembrerebbe insormontabile: le basi Nato (leggi statunitensi) in Italia non avrebbero più senso. Ma, fantapolitica per fantapolitica, l'Italia potrebbe liberarsi dal giogo americano proclamando una sorta di neutralità elvetica, obbligando gli Stati Uniti ad un atto di forza che mediaticamente difficilmente potrebbero sostenere. Una volta promulgata la neutralità l'Italia potrebbe tessere nuove alleanze anche militari, avendo cura però di lasciare fantomatici alleati ben fuori dal propri confini. Solo fantapolitica?

Matteo Simonetti
Il giornale del ribelle

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