giovedì 7 aprile 2011

Sia pure con differenziazioni tra loro, i sociologi della scuola italiana (Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Roberto Michels) ravvisano una costante, ossia una legge empirica, nella strutturazione sociale: ogni società è dominata da una élite od oligarchia e non si governa da sé. Essi considerano quindi irrealistica e irrealizzabile la c.d. divisione dei poteri. ciò essi affermano per ragioni tali, da escludere che mai una società possa essere strutturata diversamente, come invece sostengono sia il marxismo che il liberismo. Le rivoluzioni non portano mai al potere il popolo, anche se di esso si servono, promettendogli di fare il suo interesse e di rappresentarlo; ma sostituiscono (c.d. circolazione delle élites) una élite obsoleta con una élite emergente, più efficiente (ad es., la borghesia produttiva sostituì l’aristocrazia parassitaria attraverso la rivoluzione francese; e le rivoluzioni socialiste hanno portato a nuove oligarchie) e/o sostituiscono una facciata screditata del regime con una nuova e moralmente credibile, capace di recuperare consenso; così mani pulite per qualche tempo, attraverso una c.d. rivoluzione giudiziaria, facendo credere a un reale processo di risanamento, ha ridato credibilità (quindi legittimazione a pretendere le tasse e i sacrifici per entrare nell’euro e svendere il paese al capitale straniero) allo Stato italiano, ribattezzato come “Seconda repubblica”). vi è in ogni caso un bipolarismo, in ogni società organizzata, tra élites (quella in carica e quella che le contende il potere) e popolazione generale. come meglio apparirà nei capitoli sul sistema bancario, modernamente l’élite in carica è la comunità bancaria, rispetto alla società produttiva, e questa è la vera e irriducibile contrapposizione di classe – non quella,
cui ancora molti sono disposti a credere, tra operai e industriali, dipendenti e datori di lavoro, categorie entrambe produttive e non parassitarie. Senza discostarmi da Pareto, ma ad integrazione del suo concetto, osservo che negli ultimi tre secoli circa, in occidente, non si è mai avuta una sostituzione di questa élite, ma solo la sostituzione di livelli inferiori ad essa, di caste intermedie, come l’aristocrazia francese o russa ai tempi della rivoluzione. Il ricambio non interessa, per fare qualche nome, i Rothschild o i Rockefeller o i Windsor. La vera élite si preserva scaricando le tensioni, i conflitti, le responsabilità sui rappresentanti politici, e restando defilata. L’alternanza “democratica” di maggioranze politiche attraverso il voto popolare, è una formalizzazione, un’istituzionalizzazione di questo principio: le caste sub-elitarie sono sostituibili (anche se poi si riciclano o ritornano) attraverso anche il voto popolare o le rivoluzioni o le campagne giudiziarie come Mani Pulite. esse fungono da ammortizzatori politici, da “bronzine” o valvole di sfogo a protezione della vera élite, ma pure da schermatura per i veri detentori del potere, che non si espongono mai, non arrischiano in prima persona, non “ci mettono la faccia” e ovviamente non si sottopongono al voto popolare, né i tribunali osano sottoporli a giudizio. Le ragioni del successo, in termini di stabilità nel potere, dell’élite bancaria, stanno essenzialmente nel fatto che chi ha il potere (monopolistico) di creare il denaro (e anche su questo torneremo), ha eo ipso il potere di creare il motivatore universale: il denaro ha infatti la proprietà di “comperare i comportamenti” di collaborazione della gente, compresi i politici, i legislatori, i mass media; ossia col denaro si può ottenere quasi tutto da quasi tutti. tutto ciò che serve a restare al potere e ad esercitarlo. perciò si ha automatica e inevitabile coincidenza tra vertici del potere e vertici del sistema monetario.

Insomma, nella realtà sono non le élites, o la élite, bensì le sub-élites, a ruotare, a circolare, via via che una si logora e un’altra si crea o una vecchia si ripara e riabilita. In tal modo esse schermano e proteggono le élites vere e proprie.

Nell’ordinamento di molti stati, contemporanei e non, si ha qualcosa di analogo: una parte del regime si espone, si mette in gioco, si logora, e viene quindi sostituita; mentre un’altra parte del medesimo potere costituito si scherma dietro di essa e si mantiene fissa.

Ad esempio, nelle monarchie contemporanee e in molte monarchie passate il re non governa (direttamente), ma nomina un primo ministro, il quale forma il suo gabinetto, e con esso governa, si prende le responsabilità politiche, si espone al confronto con la realtà, con gli insuccessi, col malcontento popolare; e può quindi venir licenziato, sfiduciato, cacciato, anche con biasimo, senza che sia intaccata la figura del monarca. La corona è sempre salva. Esistono persino norme che puniscono penalmente chi attribuisca al monarca la responsabilità politica di atti del governo. Ciò sebbene il monarca sovente scelga il primo ministro e indirizzi l’azione del governo mediante vari strumenti, a cominciare dai discorsi pubblici, dalla moral suasion, e passando attraverso i servizi segreti e la sua partecipazione al sistema bancario centrale. La ragione di questa tutela è ovvia: il re, la corona, la dinastia costituisce la radice della legittimazione del potere dello stato sui cittadini, quindi non ci si può permettere che sia esposta al fallimento, alla delegittimazione, altrimenti quel potere, il principio stesso della sua legalità, potrebbe andare in crisi.

Nell’ordinamento italiano repubblicano vi sono residui più o meno forti di questa dualità dello e nello stato, tra istituzioni e poteri fissi, e istituzioni e poteri mobili, logorabili. Le istituzioni protette sono principalmente, il Capo dello Stato, i magistrati, il sistema bancario; non più il parlamento (che è composto perlopiù da nominati delle segreterie partitiche, privi di reale e autonomo potere, aventi funzione sostanzialmente di ratificatori e di figuranti). Capo dello Stato e potere giudiziario sono detti “poteri neutri”, anche se palesemente non sono neutri né neutrali. Le istituzioni esposte al logorio, al biasimo, alle responsabilità, all’insuccesso, alla verifica dell’efficacia/inefficacia del loro operato, sono invece quelle politiche: il parlamento e, soprattutto, il governo.

Il Presidente della Repubblica, Capo dello Stato, nell’ordinamento italiano ha ed esercita poteri anche di indirizzo governativo e legislativo, ma non è esposto a logorio, a delegittimazione, a biasimo, anche quando interviene su chi è esposto. Fino al 2006, esisteva l’ art. 279 del Codice Penale, che puniva la “Lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica.”: Chiunque pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo, è punito con la reclusione fino ad un anno e con la multa da euro 103 a euro 1.032. Una norma che si spiega con la necessità di mantenere al riparo da fatti delegittimanti il Capo dello Stato, in quanto questi, oltre a rappresentare l’unità della nazione, ha una funzione di garanzia di continuità della legittimazione, soprattutto in quanto nomina il capo del governo e guida le crisi parlamentari e lo scioglimento dlele camere.

Il Presidente della Repubblica non ha mai torto, è sempre saggio. Tutti elogiano le sue affermazioni, manifestando ammirazione e consenso per esse, anche quando sono banali o di parte. Chi si oppone e le critica, appare come un estremista. Il Presidente non ha un passato rimproverabile, o lo ha ma non se ne deve parlare. I mass media lo rispettano. E’ un potere palesemente temuto, dotato di efficaci e poco regolamentati strumenti per delegittimare e mettere in crisi l’azione sia dei poteri politici che degli organi giudiziari. Strumenti per sostenere o attaccare e per bloccare attacchi e indagini. Dispone di un numeroso personale (oltre 800 persone) e di molto denaro, che usa senza specificare per che cosa. Tutti, quindi, si guardano dal criticare il Presidente della Repubblica. Al più si può fingere che le sue parole abbiano significati e implicazioni che non hanno, per tirare la sua autorevolezza dalla propria parte, o per fare apparire le sue esternazioni come meno critiche di quello che in realtà intendono essere.

I magistrati e la magistratura godono di analoghe prerogative. I magistrati sono pressoché esenti dalla responsabilità civile per propri errori, abusi, negligenze, soprattutto quando si accaniscono contro qualcuno o chiudono un occhio per qualcun altro. Il CSM non li condanna praticamente mai, nemmeno di fronte a colpe palesi e scandalose. I loro stipendi sono agganciati a quelli dei parlamentari e hanno meccanismi di galleggiamento che li fanno costantemente lievitare. La loro carriera è pressoché automatica. Costituiscono un potere politico molto forte, sia pure non previsto dalla Costituzione. Molto forte è anche la gerarchia interne: la magistratura sarà indipendente, ma i singoli magistrati dipendono molto dai loro poteri interni di categoria o corporazione, Magistrati che hanno compiuto gravissimi abusi, rovinando la vita di persone innocenti, hanno fatto egualmente carriera (v. il caso Tortora). Godono di altissimo prestigio, come categoria vengono identificati con la giustizia tout court, e talora la loro funzione, ossia la giurisdizione, viene addirittura chiamata “la giustizia”, e molti si aspettano da tale “giustizia” niente di meno che il risanamento morale e legale del paese. Ciò sebbene, oggettivamente, il servizio giudiziario italiano sia pessimo, a livello di Africa nera, e tale da allontanare molti investimenti, stranieri e nazionali. In un sistema-paese in cui la politica e i grandi affari si fanno perlopiù con mezzi e fini penalmente illeciti, trasversalmente, il potere giudiziario ha essenzialmente la funzione di regolare tali pratiche e di decidere chi può farle e fino a che punto, non di tutelare il cittadino e la legalità. Che, in effetti, statisticamente, non sono tutelati.

Più forti sono le prerogative del potere monetario, o bancario. Così forti, che non se ne parla quasi mai, anche se sono bene enunciate e codificate. Il governatore della Banca d’Italia (banca di proprietà privata al 95%) era, fino a poco tempo fa, nominato a vita. Le banche italiane godono del fatto di essere socie della Banca d’Italia, la quale ha la funzione di controllo disciplinare su di esse, ed esercita tale funzione in modo segreto, non trasparente – nel che sta una palese ingiustizia, un’incompatibilità tra la posizione di controllato e la funzione di controllore. Assai più intense sono le prerogative della BCE e della BIS (Bank of International settlements – una sorta di banca centrale delle banche centrali): queste hanno una sorta di immunità diplomatica, un’esenzione da ogni controllo politico, democratico e persino giudiziario; l’esenzione da ogni responsabilità per le loro azioni (ricordiamo che esse decidono le politiche monetaria, quindi le scelte di fondo dell’economia politica). Inoltre hanno il diritto alla segretezza e alla criptazione delle loro discussioni e comunicazione. E ancora hanno licenza di compiere qualsiasi operazione finanziaria, anche per conto terzi – ossia di eseguire operazioni come investimenti, vendite, trasferimenti, pagamenti, per sé o per terzi, che sarebbero proibiti agli altri soggetti (pensiamo all’aggiotaggio, al narcotraffico, al commercio di armi, alla corruzione, al finanziamento di forze politiche e militari). Il potere di BCE e BIS è sovrano perché esercita la sovranità monetaria da un lato, e dall’altro è sottratto, nella sua direzione della politica degli stati come pure nel suo affarismo finanziario, sia al controllo del potere politico che al sindacato di quello giudiziario. Analoghe prerogative ha il WTO, magister della globalizzazione.

Ebbene, i poteri bancari, la BCE soprattutto, e la Fed, hanno compiuto, anche in tempi recenti, scelte disastrose di politica monetaria e di tolleranza verso la finanza predatrice. Queste scelte hanno gonfiato bolle e prodotto rarefazione monetaria e crolli di borsa, distruzione di risparmi, di redditi, di posti di lavoro. La BCE ha continuato ad alzare il costo del denaro, e la BIS ad innalzare i requisiti per il credito, col pretesto dell’inflazione, sino all’estate del 2008, sino a far precipitare le borse e poi le economie per carenza di liquidità (liquidity crunch, credit crunch). Di tutto ciò ha fatto senza apparirne responsabili. Responsabili sono apparsi, invece, i governi e i parlamenti, sebbene oramai privati degli strumenti di base della politica economica in favore del sistema bancario. Il biasimo per gli effetti delle strategie speculative e di indirizzo economico, assieme all’onere di gestire le conseguenze di tali effetti, ricade sui governi, sui parlamenti, sulla politica, ossia su organi rappresentativi del popolo elettore. Popolo che quindi si trova in una condizione di passività e impotenza, oltre che di strutturale precarietà e incertezza, in quanto ai diritti di lavoratore, di risparmiatore, di consumatore, di malato, di pensionato, di studente. Mentre i suddetti poteri fissi, sovrani, procedono nell’opera di svutamento dei diritti politici, sociali e civili, di svalorizzazione e precarizzazione non solo del lavoro, a favore del capitale e delmonopolio (che sottraggono quote crescenti di reddito al lavoro e al risparmio), ma dello stesso essere umano: precarizzazione antropologica.

Marco Della Luna

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