domenica 17 aprile 2011

Da ieri i vari notiziari TV, radio e Internet vanno ripetendo trionfalmente la frase “giustizia è fatta”: il signor Harald Espenhahn, amministratore delegato dell’acciaieria ThyssenKrupp, è stato condannato a sedici anni e mezzo di galera per aver volontariamente ammazzato sette esseri umani a scopo di lucro. Pene minori, ma sempre corpose, si sono beccati i complici, addetto alla ”sicurezza” compreso. Nunc est bibendum.
Mi dispiace, ma io non mi unisco al coro.
A mio parere non è affatto vero che giustizia sia stata fatta. A rigor di logica, in questo caso giustizia significa che io metto sul piatto destro della bilancia sette cadaveri e sull’altro sistemo coloro che, per ignobili motivi, di quelle morti sono scientemente responsabili e che se la cavano finendo in carcere, se mai le condanne le sconteranno davvero. Lo faccio e i piatti si mettono in equilibrio. Sempre a rigor di logica, giustizia significa che si tratta di una giusta transazione: quanto costano sette omicidi volontari? Costano un po’ di galera. Affare fatto.
Forse “giustizia umana è stata fatta” sarebbe stata la frase da usare, perché la giustizia così, senza aggettivi, noi non saremo mai capaci di esercitarla e, in questo caso, i colpevoli sono molti di più di chi è stato condannato e l’hanno fatta franca.
Devo dire che rispetto al signor Espenhahn ho provato immediatamente, già quando ci fu la carneficina, parecchio più orrore per il signor Cosimo Cafueri, il funzionario che veniva pagato per vegliare sulla sicurezza di chi lavorava in quello stabilimento e che, di fatto, non alzò un dito per denunciare
una situazione che solo una fortuna sfacciata avrebbe potuto deviare da ciò che è successo. E il pensiero che allora mi è subito sovvenuto è: che ne è dei burocrati che la comunità mantiene per controllare sulla sicurezza e sulla salute? Non ho detto sulla regolarità del campionato di calcio: ho detto sulla sicurezza e sulla salute.
Bene: dopo quasi tre anni e mezzo dal crimine, un lampo per il nostro sistema giudiziario, questa volta è andata così e il giudizio è stato “esemplare”. Ma, a rigor di logica, se un giudizio è definito esemplare significa che gli altri giudizi emessi in casi analoghi non sono esemplari, vale a dire non sono da prendere ad esempio e, dunque, sono ingiusti. E così è, infatti.
Alla ThyssenKrupp ci s’infischiava della sicurezza, un capriccio costoso, ma chi può in buona fede affermare che le istituzioni non se ne infischino esattamente nella stessa maniera? Anzi, a voler essere pignoli, le istituzioni fanno ben peggio, non fosse altro che per il loro essere istituzione.
Se a qualcuno è capitato, come capita a me, di leggere certi progetti d’inceneritori (termovalorizzatori per gl’imbecilli e le canaglie), di centrali a biomasse, di cementifici che cuociono immondizia, di centrali termoelettriche, e potrei continuare, forse qualche dubbio sarà venuto. Chi ha letto le interminabili filastrocche di “non è successo niente” dopo catastrofi ambientali più o meno macrodimensionate forse avrà trovata accesa nel cervello la lucetta rossa che segnala un guasto. Al di là del fatto che queste opere sono una delle testimonianze del fallimento della politica, l’impatto che esercitano sulla salute è infinitamente più grave dei soli sette morti di Torino che, al confronto, diventano quasi irrilevanti nella loro episodicità. Quegl’impianti producono ed emettono notoriamente veleni che uccidono e fanno ammalare non solo la popolazione che ha la scalogna di essere a tiro, ma anche le generazioni future. In più, quasi fosse cosa marginale, quegl’impianti distruggono fauna, flora, aria, acqua e terreno, non di rado in maniera reversibile solo a tempi lunghissimi quando non irreversibile del tutto. E pure il cibo risulta adulterato. “Quello della Thyssenkrupp non e' stato un incidente, ma una strage prevedibile ed evitabile” ha detto l’ineffabile Antonio Di Pietro. Già, perché quelle che non possono non scaturire dagl’impianti di cui ho detto non sono stragi prevedibili ed evitabili? “Mai più morti bianche” si legge sui giornali. Aspettiamo, allora, di conoscere la specifica cromatica delle morti da inquinamento volontario a scopo di lucro.
Inquinamento uguale morti, malattie e malformazioni nei bambini che riescono a nascere: tutto noto e tutto accuratamente nascosto o negato o taroccato dalle istituzioni, con l’aggravante di quelle, in Italia numerosissime, che hanno a che fare con l’ambiente e la salute. E con l’aggravante dei professori che si prostituiscono per affiancare il loro grottesco “lei non sa chi sono io” a chi truffa il popol bue e, per soprammercato, corrompono i loro malcapitati allievi inquinando i loro cervelli con nozioni e concetti stravaganti le prime, criminali i secondi. E con l’aggravante aggiuntiva dei magistrati che ignorano o insabbiano o archiviano. Naturalmente non possono mancare i cosiddetti politici i quali non si tirano che eccezionalmente indietro: se c’è da sedersi a tavola, eccoci qua e buon appetito.
Provate a dire o a scrivere ciò che ho appena scritto io e vedrete le reazioni. Nella migliore delle ipotesi vi daranno dell’allarmista e si prenderanno gioco di voi. A me le istituzioni hanno fatto fuori o hanno permesso mi si facesse fuori lo strumento di lavoro e mi hanno chiuso la onlus con cui tentavo di divulgare i risultati delle ricerche che effettuiamo, massacrandoci, nel nostro laboratorio. Ma c’è sempre incombente l’accusa di procurato allarme. Insomma, è pronto il bavaglio istituzionale.
A rigor di logica e alla luce della sentenza “esemplare” che tanto entusiasmo ha sollevato, basterà una vita intera per scontare la pena che ora dovrà essere comminata a chi delinque all’interno delle istituzioni?
Stefano Montanari

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