sabato 28 gennaio 2012

Report settimanale del Pchr sulle violazioni israeliane
News - 26/1/2012

Rapporto settimanale sulle violazioni israeliane dei diritti umani nel territorio palestinese occupato (12-18 Gennaio 2012).

Le forze d’occupazione israeliane (IOF) continuano gli attacchi sistematici contro i civili palestinesi e le loro proprietà nel territorio palestinese occupato.
Due attivisti della resistenza palestinese sono stati uccisi dalla IOF in Beit Hanoun, a nord della Striscia di Gaza.
Due attivisti della resistenza palestinese sono stati feriti ad est del campo profughi “al-Boreij” al centro di Gaza.
La IOF ha continuato ad usare la forza contro proteste pacifiche in Cisgiordania.
Molti civili palestinesi hanno sofferto a causa dei gas lacrimogeni inalati in Cisgiordania.
La IOF ha condotto 56 incursioni nelle comunità palestinesi, mentre altre 3 sono state limitate alla Striscia di Gaza.
La IOF ha arrestato 37 palestinesi, inclusi 4 bambini, in Cisgiordania.
La IOF ha arrestato 2 palestinesi di al-Shoka, un villaggio a sud della Striscia di Gaza.
La IOF ha fatto irruzione nella casa e nell’ufficio del giornalista Abou Warda, a Nablus, confiscando i computer e una scheda di memoria della videocamera.
Israele ha continuato ad imporre una chiusura totale del territorio palestinese occupato,
isolando la Striscia di Gaza dal mondo esterno.
I soldati israeliani hanno arrestato 6 civili palestinesi, incluso un bambino, presso vari checkpoint in Cisgiordania.
Israele ha continuato gli sforzi tesi a creare la maggioranza ebraica nella Gerusalemme orientale.
La IOF ha demolito un’abitazione a Shuf’at, raso al suolo un magazzino ed alcuni casermoni a Sur Baher.
La IOF ha continuato l’attività d’insediamento in Cisgiordania ed i coloni israeliani hanno seguitato ad attaccare civili e proprietà palestinesi.
I coloni israeliani hanno continuato i loro attacchi a Hebron e dato fuoco ad un’auto.
SOMMARIO
Le violazioni israeliane delle leggi internazionali ed umanitarie sono proseguite nel periodo oggetto del presente rapporto (12-18 Gennaio 2012).

Sparatorie
Durante il periodo in oggetto, la IOF ha ucciso due attivisti della resistenza palestinese, ferendone altri due nella Striscia di Gaza.

In Cisgiordania molti Palestinesi hanno accusato malori per via dell’inalazione di gas lacrimogeni durante manifestazioni pacifiche.

Il 18 Gennaio 2012, nella Striscia di Gaza, due attivisti della resistenza palestinese sono stati uccisi quando la IOF, posizionata sul confine nell’area sud-orientale di Beit Hanoun, nella Striscia di Gaza settentrionale, ha esploso una raffica di otto proiettili contro i due attivisti, in missione a ridosso del confine. Anche i caccia israeliani hanno aperto il fuoco sui due Palestinesi.

Le IOF hanno sparato anche contro un paio di ambulanze della PRCS che stavano tentavano di raccogliere i corpi.

Le IOF hanno dichiarato di aver aperto il fuoco contro un gruppo di Palestinesi che stavano cercando di piazzare esplosivi presso il confine.
Il 12 Gennaio 2012, due attivisti della resistenza palestinese sono stati feriti quando la IOF, posizionata sul confine tra la Striscia di Gaza e Israele, a est del campo profughi “al-Bureij” , nella Striscia di Gaza centrale, ha esploso due proiettili contro di loro. I due attivisti sono stati poi ricoverati all’al-Aqsa Martyrs Hospital e le loro ferite sono state dichiarate lievi.
In Cisgiordania, durante il periodo in oggetto, la IOF è ricorsa ad un uso eccessivo della violenza per disperdere alcune manifestazioni pacifiche organizzate per protestare contro le attività d’insediamento israeliane e la costruzione di un muro d’annessione in Cisgiordania. A causa di ciò, molti partecipanti alle manifestazioni hanno sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeni. La IOF ha inoltre arrestato 5 civili palestinesi, inclusa una donna.

Incursioni
Durante il periodo in oggetto, le IOF hanno condotto almeno 56 incursioni militari nelle comunità palestinesi in Cisgiordania, durante le quali ha arrestato 37 civili palestinesi, compresi 4 bambini ed un professore universitario.

Durante il periodo in oggetto, le IOF hanno assaltato l’abitazione di Amin Abdoul Aziz Warda, 46 anni, giornalista e docente presso il dipartimento di giornalismo dell’ al-Najah National University. I soldati hanno rinchiuso in una stanza dell’abitazione i cinque membri della famiglia del giornalista, insieme al fratello di Warda e alla moglie di quest’ultimo.

Le IOF si sono ritirate un’ora più tardi, confiscando un laptop, un hard disk, alcuni documenti relativi al lavoro di Warda e le schede SIM dell’ intera famiglia.

Le IOF hanno, inoltre, distrutto la porta dell’ufficio di Warda al terzo piano del palazzo di al-Takrouri, nel blocco occidentale di Nablus. L’ufficio è stato perquisito e i soldati hanno confiscato un laptop, 2 hard disk e la scheda di memoria di una videocamera prima di ritirarsi. Da notare che Warda era stato arrestato dalle IOF il 28 Dicembre 2011 e condotto per un interrogatorio a Petah Tikva. Il 4 gennaio 2012, Warda ha dovuto presentarsi di fronte ad un giudice della Corte Militare Israeliana di Salem Camp, ad ovest di Jenin, il quale decise di estendere la detenzione di Warda per ulteriori 12 giorni, in attesa di interrogatorio.
Il 18 Gennaio 2008 ,nella Striscia di Gaza, le IOF hanno condotto 3 incursioni circoscritte. La prima è stata effettuata verso le 02.00 nel paese di al-Shoka, a sud-est di Rafah, nel meridione della Striscia di Gaza, ed ha portato all’arresto di due Palestinesi.
La seconda incursione ha avuto luogo verso le 11.55, dopo che le IOF avevano ucciso due attivisti della resistenza palestinese a sud-est di Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza. Le IOF hanno effettuato operazioni di esplorazione ritirandosi poi sul confine.
Le IOF hanno condotto la terza incursione intorno alle 12.30. I soldati sono avanzati per circa 400 metri a nord di Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza, mentre contro i poderi palestinesi situati a 700 metri dal confine veniva sostenuto un fuoco continuo, a seguito del quale le IOF hanno effettuato operazioni di esplorazione. Verso le 14.00, le IOF si sono dirette ad est, lungo il confine, e si è posizionata al Villaggio Beduino. I soldati hanno continuato ad aprire il fuoco ed a svolgere esplorazioni. Più tardi si sono spostati all’ex insediamento di Nisanit, a nord-ovest di Beit Hanoun. Le IOF si sono ritirate intorno alle 16.00 e non sono state riportate né perdite né danni ai civili.

Limitazioni agli spostamenti
Israele ha seguitato ad imporre un intenso assedio al territorio palestinese occupato, limitando notevolmente le possibilità di spostamento dei civili palestinesi nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania, compresa la parte orientale occupata di Gerusalemme.

Striscia di Gaza
Israele ha mantenuto chiusi gli accessi alla Striscia di Gaza per più di tre anni. Questa chiusura illegale, imposta con fermezza fin dal Giugno 2007, ha avuto un impatto disastroso sulla situazione economica ed umanitaria nella Striscia di Gaza.
La IOF ha blindato la Striscia di Gaza ed ha istituito l’accesso di Karm Abou Salem come l’unico adibito al commercio dell’area assediata, sebbene esso non sia molto funzionale allo scopo, per via della sua distanza e della sua scarsa capacità operativa.
La IOF ha proseguito la sua politica tesa allo strangolamento del traffico commerciale nella Striscia di Gaza imponendo un controllo serrato del flusso di importazioni ed esportazioni.
La chiusura totale dell’accesso al-Mentar “Karni” il 2 Marzo 2011 ha creato una dolorosa situazione che ha afflitto la Striscia di Gaza. A causa di tale chiusura, tutte le aziende commerciali ed economiche della zona commerciale di Gaza si sono arrestate. Da notare che quello di al-Mentar è il più grande accesso alla Striscia di Gaza in termini di capacità operativa nell’assorbimento dei flussi import-export. Quella presa per al-Mentar rappresenta il culmine delle decisioni finalizzate a chiudere l’accesso di Sofa, ad est della Striscia di Gaza, all’inizio del 2009 e quello di Nahal Oz, ad est della città di Gaza, che era stato dedicato all’approvvigionamento di carburante e gas per la Striscia di Gaza all’inizio del 2010.
Queste statistiche, messe a disposizione del PCHR dal Border and Crossings Department, indicano una costante diminuzione del numero di carichi delle importazioni ed esportazioni di Gaza.
La IOF ha continuato ad imporre il divieto totale alla fornitura di materie prime alla Striscia di Gaza, eccetto alcuni elementi e quantità limitati.
La quantità limitata di materie prime autorizzate ad entrare in Gaza non è in grado di soddisfare le necessità primarie della popolazione civile della Striscia.

La crisi del gas esplosa nel Novembre scorso ha continuato ad affliggere la Striscia di Gaza. La crisi ha avuto origine il 4 Gennaio 2010, quando le autorità d’occupazione israeliane chiusero totalmente l’accesso di Nahal Oz, che era adibito alla fornitura di carburante e gas alla città di Gaza, e stabilirono che la fornitura delle medesime materie spettasse all’accesso di Karm Abou Salem, che tuttavia non risulta sufficientemente equipaggiato a livello tecnico da rispondere adeguatamente alle necessità di carburante della città della Striscia. L’accesso di Karm Abou Salem, al massimo della sua operatività, può ricevere solamente 200 tonnellate di gas per cottura al giorno.
Circa l’80% della popolazione civile di Gaza continua a dipendere dagli aiuti forniti dall’URNWA ed altre agenzie di soccorso e la percentuale di famiglie al di sotto della soglia di povertà è in continuo aumento mentre circa il 40% della manodopera di Gaza soffre la disoccupazione causata dalla cessata attività della maggior parte delle aziende cittadine.
La IOF ha continuato ad imporre il divieto assoluto all’esportazione dei prodotti di Gaza, specialmente quelli industriali, minando qualsiasi possibilità di sviluppo per l’economia locale. La situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alla decisione di rendere quello di Karm Abou Salem l’unico accesso adibito a fini commerciali e la frequente chiusura dello stesso ha negativamente influito sulla quantità di prodotti di Gaza dei quali è stata consentita l’esportazione nello scorso Aprile.
La IOF ha continuato a ritardare l’entrata in vigore del permesso di transito settimanale di 60 automobili, sebbene siano passati più di 11 mesi dall’annuncio di tale decisione, arrivata dopo tre anni di proibizione assoluta alla fornitura di vetture alla città di Gaza. In conseguenza di ciò, i prezzi delle automobili sono in continuo aumento ed i rivenditori locali stanno sperimentando una grande carenza di pezzi di ricambio.
Per circa quattro anni consecutivi, la IOF ha continuato a proibire la fornitura di materiali da costruzione alla città di Gaza. Durante il periodo in oggetto, la IOF ha consentito la fornitura di quantità limitate di materiali da costruzione da parte di varie organizzazioni internazionali.
Israele ha mantenuto chiuso l’accesso di Beit Hanoun (Erez) ai civili palestinesi provenienti dalla Striscia di Gaza. La IOF permette solo il passaggio di piccoli gruppi sottoponendoli a pesanti disagi, comprese lunghe ore d’attesa. La IOF ha proseguito nell’attuazione di una politica mirata a ridurre il numero di pazienti palestinesi ai quali viene consentito il passaggio attraverso Beit Hanoun per poter ricevere cure mediche presso gli ospedali d’Israele, della Cisgiordania e di Gerusalemme. La IOF ha negato ad altre categorie di pazienti di poter accedere agli ospedali al di là del confine.
La IOF ha imposto restrizioni aggiuntive ai diplomatici internazionali, giornalisti e collaboratori umanitari che cercano di accedere alla Striscia di Gaza.
Per circa 55 mesi, la IOF ha continuato a negare ai prigionieri di Gaza detenuti in Israele i diritti di visita senza fornire alcuna giustificazione in merito, il che vìola la legge umanitaria internazionale.

Cisgiordania
La IOF ha continuato ad imporre severe restrizioni agli spostamenti dei civili palestinesi attraverso la Cisgiordania, inclusa la parte orientale occupata di Gerusalemme. A migliaia di civili palestinesi provenienti dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza continua ad essere negato l’accesso a Gerusalemme.
La IOF ha stabilito dei checkpoint tutt’intorno a Gerusalemme, limitando notevolmente l’accesso palestinese alla città. Ai civili è frequentemente impedito di pregare nella moschea al-Aqsa di Gerusalemme.
Ci sono circa 585 posti di blocco permanenti, oltre a checkpoint, con guarnigione o meno, sparsi in tutta la Cisgiordania.
Una volta completato, il muro d’annessione si estenderà per 724 km attorno alla Cisgiordania, isolandone ulteriormente l’intera popolazione. Ne sono già stati costruiti 350 km. Il muro è stato costruito per il 99% all’interno della stessa Cisgiordania, il che ha portato ad una confisca maggiore di terra palestinese. Almeno il 65% delle strade principali che conducono alle 18 comunità palestinesi della Cisgiordania sono chiuse o completamente sotto il controllo della IOF.

Ci sono circa 500 km di strade sottoposte a restrizioni n Cisgiordania. Inoltre, un terzo della Cisgiordania, compresa la parte orientale occupata di Gerusalemme, è inaccessibile ai Palestinesi sprovvisti dei permessi emessi dalla IOF. Tali permessi sono estremamente difficili da ottenere.
La IOF insiste nell’attaccare i dimostranti che organizzano proteste pacifiche contro la costruzione del muro d’annessione.
I civili palestinesi continuano ad essere tormentati dalla IOF a Gerusalemme ed in tutta la Cisgiordania. Frequenti i fermi e le perquisizioni per strada ad opera della IOF.


Sforzi per creare la maggioranza ebraica nella Gerusalemme orientale.
Il 16 Gennaio 2012 la IOF, supportata da bulldozer e poliziotti municipali israeliani è penetrata nel quartiere Shu’fat, ha circondato la casa di Mohammed Ibrahim Abu Khdeir ed ha impedito ai residenti di uscirne. I poliziotti hanno cominciato a tagliare i pali di metallo. Abu Khdeir disse che aveva sistemato quei pali 20 anni prima per costruire un terzo piano in alluminio, legno e mattoni. La casa è costruita su un’area di 278 metri. Aggiunse anche che un ispettore municipale si era recato da lui quattro volte in 10 giorni, ed aveva scattato delle foto alla casa. Il 9 Gennaio 2012 la polizia municipale aveva inviato una notifica che affermava che i pali dovevano essere rimossi entro una settimana altrimenti se ne serabbe incaricata la municipalità stessa, obbligando inoltre il proprietario al pagamento di una sanzione di 150.000 NIS. Lo stesso giorno la IOF rase al suolo un magazzino ed alcune baracche adibite a stalla per le pecore nel villaggio di Sour Baher, a sud della parte occupata di Gerusalemme. Il magazzino e le baracche si estendevano su un’area di 2.200 metri, di proprietà di Mostafa Ali Mostafa Dabash.

Attività d’insediamento
Israele ha continuato la sua attività d’insediamento nel territorio palestinese occupato in violazione della legge umanitaria internazionale ed i coloni israeliani hanno seguitato ad attaccare civili e proprietà palestinesi.
Il 13 Gennaio 2012 un gruppo di coloni, scortati da soldati israeliani, sono entrati nel centro di Hebron con il pretesto di visitare la tomba di un rabbino, come consentito dagli accordi siglati fra autorità palestinese ed Israele. I coloni hanno intonato slogan contro i Palestinesi.
Il 15 Gennaio 2012 un gruppo di coloni residenti nell’insediamento di Ramat Yishai, nel quartiere Tal al-Rmeida al centro di Hebron, ha incendiato un veicolo civile appartenente a Hana’ Jameel Abou Haikal, 55 anni. L’auto è bruciata completamente. Abu Haikal ha detto che la sua Hyunday Intra bianca è bruciata completamente, facendo notare che quella era la quinta volta che veicoli di proprietà della sua famiglia venivano dati alle fiamme dai coloni, in modo da obbligarla a lasciare la sua abitazione, adiacente al suddetto insediamento.

Infopal

Jenin – Pal-Info. Le forze d’occupazione israeliane hanno consegnato ai residenti palestinesi del villaggio di ‘Aqabah, nel nord della Valle del Giordano, 17 avvisi di demolizione edilizia.

Già nel mese in corso, erano state consegnate otto notifiche di questo tipo, sempre ad ‘Aqabah.

Al-Hajj Sami Sadeq, a capo del consiglio dei villaggi nella regione, ha riferito che gli otto avvisi consegnati a gennaio colpiscono famiglie palestinesi le cui abitazioni erano state demolite da Israele a più riprese.

Tra i cittadini che hanno ricevuto le ultime comunicazioni: Akram Mohammed Saleh ‘Abdelkarim, Ma’moun Moustafa Dabak, Ahmed Mahmoud Taleb, i due fratelli Khaled e Eiyad Fayyad Dabak, Deifallah ‘Odeh e Na’el Mohammed ‘Abdelkarim.

Sadeq ha chiesto che i propri concittadini vengano protetti e ha promesso che tutti resisteranno contro questa politica israeliana.

“Nel nord della Valle del Giordano, il 95% delle case e delle strutture edilizie in generale, sono a rischio di demolizione, strade e moschea compresi. Israele sostiene che siano troppo vicini alle proprie aree militari. Ricadono nell’area C, sotto pieno controllo israeliano”.

“Sono manovre che giungono dopo una serie di proteste e iniziative contro l’ebraicizzazione promosse dal Comitato per la difesa della terra di ‘Aqabah e dal Comitato popolare di resistenza non-violenta per la protezione della terra”, rivela Sadeq.

Viene poi lanciato un appello alle istituzioni locali e internazionali per i Diritti Umani, affinché garantiscano protezione per questi cittadini. “Essi chiedono solo di restare sulle proprie terre orignarie, di vivere in pace e serenità”, aggiunge il responsabile palestinese.

Dal 1967 la popolazione palestinese della Valle del Giordano è stata sottoposta alle peggiori politiche israeliane: morti e feriti (50), terra devastata e campi dati alle fiamme, chiusura e restrizioni alla libertà di movimento.

Hanno perso la casa 700 palestinesi, essi non usufruiscono più dei servizi di base, quindi fondamentali, licenze edilizie, né acqua potabile.

Contadini e pastori vengono arrestati, mentre, come avviene per le loro abitazioni, anche altre strutture di loro proprietà come magazzini, capannoni e depositi vengono distrutti da Israele.
Per due volte, nel 1999, Israele ha distrutto rete telefonica, rete elettrica e cisterne d’acqua per uso agricolo.


Infopal 

Storie da Piombo Fuso: la famiglia Abu Rujailah

Gaza – Pchr. “Quando arrivai lì, trovai molte persone della zona lavorare alla propria terra. Era tranquillo ed io mi sentivo sicuro e rimasi lì. All’improvviso una delle jeep che stava al confine si fermò e iniziò a sparare”.
Il 18 gennaio 2009, più o meno alle 10:00 del mattino, le forze israeliane situate al confine tra Israele e la Striscia di Gaza aprirono indiscriminatamente il fuoco in direzione dei contadini che lavoravano la terra, ad est del villaggio di Khuza, ad est di Khan Younis. Uno dei contadini, Maher Abdel Azim Abu Rujailah (23), venne ucciso, colpito da un proiettile che penetrò il braccio sinistro e il petto.
Maher era vicino a me, nel campo. Era dietro di me quando lo sentii gridare ‘Allah Akbar’ (Dio è grande) e scoprii che uno dei proiettili lo aveva colpito. C’era gente per terra che gridava”, ricorda sua padre Abdel Azim Abu Rujailah (59). Maher fu portato su un carretto trasportato da un cavallo, sotto una fitta pioggia di proiettili, e poi trasferito su un’auto. Fu dichiarato morto all’arrivo in ospedale.
Il 17 gennaio Israele dichiarò il cessate il fuoco”, ricorda Abdel Azim. “Il 18 gennaio molta gente era ritornata ad est Khoza per controllare le proprie terre e le case che avevano lasciato lì. Maher è [suo fratello] Yousef erano andati nel nostro pezzo di terra ed io li avevo seguiti perché mi preoccupavo per loro. Quando arrivai lì, trovai molta gente che lavorava sulla propria terra. Era tranquillo ed io mi sentivo sicuro e rimasi lì. All’improvviso una delle jeep che stava al confine si fermò e iniziò a sparare”.
Secondo una testimonianza che Yousef (29) rilasciò al PCHR dopo l’uccisione di suo fratello, la distanza tra Maher e il confine era di circa 800 metri. Yousef disse che la zona era tranquilla e che anche gli elettricisti vi stavano lavorando.
Avrei voluto che si prendessero tutti i lotti della nostra terra e che Maher fosse ancora vivo”, racconta Abdel Azim, che continua: “Mia moglie è stata colpita da due ictus dalla morte di Maher. Dal giorno dell’uccisione, soffro di problemi di cuore. Non possiamo dimenticarlo e la nostra sofferenza è costante. Lo ricordiamo quando vediamo i suoi indumenti, la sua stanza e qualsiasi cosa che lui abbia usato”.
 Talvolta, quando mi sveglio durante la notte, trovo le mie figlie che piangono. Quando vedono gli abiti di Maher iniziano a piangere”, dice Abdel Azim. “Anche le mie figlie hanno molta paura. Dowlat spesso si porta le mani alle orecchie quando sente gli aerei e dice ‘aiutami, padre’. Ha 24 anni e ha paura del buio”.
Abdel Azim ha anche visto grandi cambiamenti in sua moglie. “È stata veramente colpita. Prima dell’incidente stava bene, poi, dopo la morte di Maher, ha iniziato a soffrire. Era una donna molto forte. Adesso piange sempre”, dice. Ma’zouza, troppo emozionata per raccontare di suo figlio, parla piano: “Maher era molto vicino alle sue sorelle, specialmente ad Arwa. Una volta che aveva dei soldi disse ‘se muoio, dalli ad Arwa’. Il giorno prima della sua morte venne da me e mi chiese se suo padre potesse scrivergli un testamento. Lo spinsi a terra e mi sedetti sul suo petto. Stavamo scherzando su questa cosa”.
Oltre a soffrire per la perdita del loro figlio e fratello, la famiglia Abu Rujailah sta anche lottando finanziariamente come conseguenza della distruzione e della inaccessibilità della propria terra. Insieme a suo fratello, Abdel Azim, possiede quattro pezzi di terra ad est di Khan Younis, vicino al confine con Israele.
Le nostre terre erano coltivate ad ulivi ed aranci e vendevamo i prodotti. Ma dall’inizio della seconda Intifada, l’esercito ci è passato sopra con i bulldozer continuamente. Prima dell’offensiva andavamo con regolarità nella nostra terra, ci stavamo fino a tardi e facevamo anche dei barbecue. La gente ci viveva: avevamo costruito degli edifici, ma durante l’offensiva venne tutto distrutto, insieme ai raccolti”, racconta Abdul Azim.
Abdul Azim affronta la stessa violenza che uccise suo figlio quando provo a continuare a coltivarla: “Quando provai a piantare piantine di ulivo, a ottobre dell’anno scorso, essi presero a spararmi e dovetti andarmene. Le piantine ora sono ora sono vicino a casa. Due dei quattro siti non possiamo più raggiungerli. Da quando li hanno spianati con i bulldozer non possiamo più raggiungerli. Se proviamo ad entrarci potrebbero spararci. Quei campi sono coltivati a ulivi di 50 anni”.
La famiglia affronta grosse perdite finanziarie come risultato degli attacchi. Abdel Azim dice: “Nel passato gli alberi che erano nelle nostre terre erano grandi e avevamo grossi raccolti. Vendevamo i frutti ed avevamo delle buone entrate. Ma dopo lo spianamento dei bulldozer abbiamo smesso di beneficiare della terra. E’ anche rischioso pensare di costruire qualcosa di nuovo; potrebbero ritornare e distruggere anche quello. I miei figli mi aiutano trovando da vivere attraverso altri lavori”. Wisam è temporaneamente impiegato come dottore, Ayman lavora in un ufficio di cambio e Yousef è disoccupato”.
Lo sguardo di Abdel Azim sul futuro è un mix di pessimismo e speranze. “Quando guardo al futuro, non vedo segni di miglioramento, neanche nel lungo periodo. Ho paure di altre guerre che potrebbero scoppiare e non mi sento tranquillo. Quando lascio casa è solo per 30 minuti al massimo, e non sono mai sicuro che ci ritornerò”. Per le sue speranze, dice: “Spero di poter vivere liberamente e in sicurezza, che l’occupazione finisca e che potremo viaggiare liberamente. Questo è tutto ciò di cui abbiamo bisogno”.
Il PCHR presentò una denuncia penale presso le autorità israeliane per conto della famiglia Abu Rujailah l’8 novembre 2009. Ad oggi, non è pervenuta alcuna risposta.
Traduzione per InfoPal a cura di Romina Arena

 
Palestina, in azione gli hacker

Siti israeliani presi d’assalto da pirati informatici sauditi e di Gaza. Attaccato il sito della borsa titoli di Tel Aviv, mentre gli hacker chiamano alla cyber guerra contro l’occupante. L’esperto Khooli avverte: “Nel lungo periodo il mix di oppressione e conoscenze tecnologiche potrà danneggiare Israele”

La nuova frontiera della resistenza palestinese all’occupazione potrebbe passare per un computer. Gli attacchi cyber da parte di hacker che si definiscono pro-palestinesi continuano. Ultimo in ordine di tempo quello contro i siti della borsa titoli di Tel Aviv e della compagnia aerea El Al Israel. A firmare l’aggressione che ha bloccato per qualche ora i due siti internet è stato un gruppo di hacker ribattezzatosi Nightmare. “Ad essere attaccato è stato il nostro sito – ha spiegato la portavoce della Tel Aviv Stock Exchange, Idit Yaaron – ovvero il sito che fornisce informazioni. Ma il computer principale, quello che gestisce le transazioni finanziarie non è stato raggiunto e il mercato non si è fermato”. Per alcune ore fino al pomeriggio il sito era irraggiungibile: chiuso per manutenzione, si leggeva nelle due homepage. Gli hacker pro-palestinesi avevano avvertito l’agenzia web israeliana di informazione, Ynet News, dell’attacco cyber che stavano per compiere. Molti pensano si tratti dello stesso gruppo che pochi giorni fa dall’Arabia Saudita aveva pubblicato i dati di migliaia di carte di credito israeliane.
Ma non solo. Lo scorso 12 gennaio, si è attivato un secondo gruppo di pirati informatici, i Gaza Hacker Team, che ha preso di mira il sito ufficiale dei Vigili del Fuoco dello Stato di Israele e quello del vice ministro degli Esteri, Danny Ayalon. L’homepage del sito dei Vigili del Fuoco è diventato nero ed è apparso il messaggio “Siamo entrati nei vostri siti e continueremo così fino a quando ne soffrirete”. Per delle ore il sito www.102.co.il è rimasto inaccessibile.
Situazione simile nel sito di Ayalon, che ha successivamente definito l’attacco “un atto di terrore, risponderemo con forza agli hacker che danneggiano la sovranità israeliana”. Nel sito del vice ministro, il Gaza Hacker Team aveva fatto apparire una sua foto calpestata da un piede.
Aggressioni multiple che il movimento islamista di Hamas dice di aver gestito. “Un segno di creatività da parte dei giovani arabi”, l’ha definito Sami Abu Zuhri, portavoce del partito che governa la Striscia: “Gli hacker arabi stanno lottando contro Israele nel cyberspazio, una nuova forma di resistenza contro l’occupazione israeliana. Hamas chiama la gioventù e i pirati informatici arabi a giocare il loro ruolo contro i crimini israeliani”.
Che l’attacco lanciato dal saudita 0xOmar sia davvero guidato da Hamas è tutto da verificare. Certo è che il danno provocato è stato significativo: i dati dettagliati di circa 400mila carte di credito israeliane sarebbero state messi online il 3 gennaio; altre 11mila il 6. Un’aggressione informatica a cui Israele ha risposto pubblicando i dati di 217 carte di credito saudite.
“Questo è l’inizio della guerra informatica contro Israele, non sarete più al sicuro”, ha scritto il pirata saudita 0xOmar su Pastebin.com, chiamando altri hacker ad arruolarsi contro il “nemico israeliano”. Le tre maggiori compagnie israeliane, tra cui IsraCards e DinnerDash, hanno ridimensionato i numeri: sarebbero state solo 14mila le carte di credito pubblicate online.
A preoccupare le autorità israeliane, come spiegato da Yoram HaCohen, funzionario del Ministero della Giustizia, “non è stata la pubblicazione di simili dati, perché le carte di credito possono essere cancellate, quanto piuttosto le informazioni personali dei proprietari: indirizzi mail, password e carte di identità”.
“Molti servizi di intelligence in tutto il mondo hanno creato divisioni speciali contro gli attacchi informatici – ha spiegato il ricercatore e consulente palestinese, Abed Khooli – Lo stesso Stato di Israele lo ha fatto, arruolando 300 esperti in guerre cyber. Negli attacchi contro Israele dell’ultimo mese possiamo notare un tipo di aggressione messo in pratica da individui o gruppi che non sono collegati a reali entità sul terreno. La maggior parte di questi hacker è mosso dalla lotta contro la tirannia e le ingiustizie: è il caso del gruppo che ha rubato le carte di credito da grandi compagnie e ha compiuto donazioni. Questo genere di attacchi può essere fatto rientrare nella cosiddetta e-resistance, una resistenza che passa per la rete e che opera per smascherare regimi quali l’occupazione militare israeliana”.
Un tipo di aggressioni via etere che nel breve periodo appaiono poco efficaci, ma che nel lungo potrebbero rivelarsi realmente dannosi per il Paese preso di mira da “combattenti” invisibili: “Fino a quando i palestinesi useranno le porte d’accesso israeliane – ha continuato Khooli – cambiamenti reali ed effetti concreti resteranno limitati, soprattutto se si tiene contro dell’esperienza israeliana in questo settore e dei software per garantire la sicurezza messi in piedi dalle compagnie israeliane. La vera minaccia a tali sistemi arriverà da un mix di oppressione sociale e miglioramento delle conoscenze informatiche. Potremmo presto ritrovarci di fronte ad una situazione per cui il sistema di sicurezza obsoleto di uno Stato soccomberà di fronte ad un ragazzino con l’iPhone”.
Insomma, Israele dovrebbe tenere gli occhi ben aperti. Come conclude Khooli, “l’oppresso non si arrende facilmente, la Storia ne è testimone. Se l’informazione tecnologica vincerà sulla superiorità militare, un popolo occupato potrà approfittarne”.

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