giovedì 2 febbraio 2012

Proprio la decrescita, che comodamente i detrattori fingono di non capire essere cosa ben diversa dalla recessione/crisi economica, spero che l'intervista ad Alain De Benoist  chiarisca una volta per tutte le abissali differenze.
Il primo articolo di Paolo De Gregorio costituisce invece un sunto di buon senso ed una risposta immediata, plausibile, razionale per cominciare a reagire.
Buona lettura
Barbara
Ps una precisazione, La Touche attribuisce erroneamente l'etichetta di eco-fascista ad Alain De Benoist, un precursore della decrescita e sicuramente tra i più importanti filosofi della stessa, la cosiddetta etichetta di eco-fascista è stata già "registrata" da soggetti legati alla global elite sterminazionista (Royal Society)  che avvalendosi del surriscaldamento auspica razionamento del cibo, depopolamento e scie chimiche, niente di più lontano da ciò che è la filosofia di De Benoist.Insomma costoro sono i classici agenti dei poteri forti, filantropi alla Soros per intendersi che tutto hanno in mente meno che il benessere per i popoli ma che hanno interesse ad usare e manipolare ogni "fresca idea" per renderla innoqua.


Inventiamoci il futuro a KM zero!
di Paolo De Gregorio - 01/02/2012

Noi tutti viviamo nella gabbia PRODUZIONE-CONSUMO, oggi globalizzata, che tiene insieme, nella stessa barca, capitale e lavoro, le due entità fondamentali, legate dal medesimo interesse di salvaguardare il sistema: a me i profitti, a te il lavoro e il consumo, e vedi di consumare perché sennò non c’è neanche il lavoro.
 In questo SISTEMA tutto viene deciso dal capitale: quali merci produrre, come distribuirle, come impostare campagne mediatiche per fare della gente scimmie ammaestrate al consumo, il tutto attraverso il possesso delle fabbriche, delle catene distributive delle merci, l’uso delle televisioni, della pubblicità, delle case di moda, fino al controllo della musica e del modello di divertimento obbligatorio per tutti.
 Tutta la politica si è omologata a questo modello di sviluppo, recita una parte subalterna, né destra  né sinistra pensano a un modello diverso da quello capitalista e ti ritrovi il PD compagno di Marchionne contro la FIOM, a favore della TAV, a sostenere un governo, composto da banchieri e liberisti, insieme a Berlusconi e agli ex democristiani.
 Chi ha capito finalmente che non viviamo in democrazia, che definirci “popolo sovrano”

è una cinica beffa, che la politica è una CASTA che tutela solo i poteri oligarchici della economia, che i preti sono foraggiati per tenerci creduloni e remissivi, si trova di fronte alla necessità di ricominciare da zero, con metodi nuovi, senza delegare niente a nessuno, se si vuole veramente fermare questa logica capitalista, tra l’altro in crisi e sull’orlo della bancarotta.
Chi vuole cambiare questo sistema senza ricorrere al sangue deve sapere anzitutto che deve legarsi alle persone che da subito vogliono vivere in logiche alternative al PENSIERO UNICO capitalista, sottraendosi alle logiche che ti vogliono consumatore obbediente, schiavo salariato, abbandonato in una situazione di competizione di tutti contro tutti.
 Il primo segnale da dare, per farsi riconoscere, anche dai propri figli, è quello di sottrarsi ai consumi non essenziali, uscire dal ruolo di scimmietta ammaestrata e cercare di progettare un futuro possibile e sostenibile.
Se boicotti i consumi devi sapere che sarai attaccato come elemento che toglie il lavoro ai poveri e devi essere in grado di proporre una alternativa e una strategia complessiva.
 Al modello consumistico industriale globale che sta distruggendo l’ecosistema, i cervelli, e per giunta è in fallimento finanziario, si deve contrapporre una iniziativa che, partendo dal basso, porti centinaia di migliaia di persone espulse dal processo produttivo a immaginare il proprio futuro nella creazione della autosufficienza energetica ed alimentare nazionale, attraverso una miriade di piccole e piccolissime imprese che siano “fattorie solari”, al tempo stesso produttori di energia e di risorse alimentari.
 Oggi la contraddizione principale che  vive la nostra agricoltura, anche quella moderna, meccanizzata, chimicizzata, è di essere strozzata dai mercati generali in mano alle varie mafie o dai rapporti diretti con le grandi catene di supermercati, dove i prezzi li stabiliscono mafie e grossisti.
 Interrompere questo andazzo è possibile solo eliminando le monocolture, passando a forme di produzione più variegate e  praticando esclusivamente la vendita diretta dei propri prodotti sul territorio, cercando di creare una nuova cultura che porti molte persone a fare abitualmente la spesa direttamente in campagna, e integrando il proprio reddito con una rendita che può derivare dal vendere energia elettrica prodotta con poche decine di mq di elementi fotovoltaici.
 Singoli, famiglie, piccole cooperative, che escludono la schiavitù salariata, possono trovare in questa dimensione sostenibile, biologica, moderna, una possibilità di vivere in sintonia col territorio, senza sfruttare nessuno e senza essere sfruttati, in una prospettiva che disegna un futuro possibile, sobrio, rispettoso dell’ambiente, dove l’aria, l’acqua, il cibo, ci possono nutrire e far vivere sani.
Già parecchi “coltivatori diretti” arrivano con le loro merci nei mercatini rionali e vendono direttamente ai cittadini, ma non sono in numero tale da mettere in discussione il potere delle mafie e dei supermercati.
Scardinare questo sistema, protetto dalla rassegnazione e dalla politica, è possibile solo attraverso una lungimirante iniziativa dal basso, che porti un numero importante di persone ad avere un rapporto diretto con i produttori, nelle varie forme possibili, al fine di sostenere la piccola agricoltura, cercare la freschezza e la genuinità, liberare le nostre strade dai camion della globalizzazione, ridimensionare mercato e mafie, consumare nel territorio a km zero.
 A coloro che sostengono che è impossibile liberarsi dalla globalizzazione dei mercati, dalle mafie, rispondete con il vostro comportamento, rifiutando la grande distribuzione, creando gruppi di acquisto, allacciando rapporti diretti con i produttori o scegliendo di andare a vivere e produrre in campagna.
Come materialista convinto, sono sicuro che nulla è più convincente dei fatti concreti, soprattutto perché, quando non possiedi i mezzi di comunicazione,  l’unica cosa che hai è la testimonianza personale e di gruppo, ed è infinitamente più efficace contro le mafie colpire i loro mercati con comportamenti nuovi, che qualsiasi corteo con annessa fiaccolata che lascia le cose come sono.

Per un'abbondanza frugale
di Luca Barbirati - 31/01/2012

É uscito da qualche giorno il nuovo saggio di Serge Latouche, eco-intellettuale francese, il quale prende in esame i malintesi e le controversie originate sul tema della decrescita. Edito da Bollati Boringhieri, s’intitola “Per un’abbondanza frugale”. Nell’introduzione, spiega Latouche, il titolo “abbondanza frugale” è definito come: orizzonte di senso per una fuoriuscita dalla società dei consumi, ma anche un obiettivo politico a breve termine da opporre alle pseudoterapie neoliberali o keynesiane nella situazione attuale di depressione repressiva.

Cerco, attenendomi al testo, di sintetizzare gli argomenti (limitatamente ai malintesi) trattati, rimandando al sopracitato volume ogni approfondimento e/o chiarimento.

La decrescita è crescita negativa?

Per i non partigiani della decrescita questo concetto fa rabbrividire al solo sentire ed indica la diminuzione dell’indice feticcio delle società della crescita: il PIL. Indica recessione, depressione, declino, crollo di una economia; non esiste scenario peggiore della mancanza di crescita in una società produttivista. Tale indice deve essere tenuto distinto dal programma cultural-politico della decrescita, che presuppone, invece, la fuoriuscita stessa dal produttivismo. La decrescita è un programma, di austerità volontaria, avviato nel momento in cui l’iperconsumo rischia di farci cadere nell’obesità. Non è crescita negativa, è il superamento dell’idea - illusoria - della crescita.

… è stato stazionario?

La tesi, economica classica, sottesa è quella dei rendimenti decrescenti, che portano inevitabilmente al blocco dell’accumulazione e all’avvento di uno stato stazionario. Se i principali economisti classici (Smith, Malthus, Ricardo) la considerano come una condanna alla sopravvivenza ed alla miseria, di ben altra opinione è John Stuart Mill, che intravede l’etica di una società, liberata dall’ossessione della crescita, dedita all’educazione di massa e all’elevazione della cultura. I classici rendimenti decrescenti altro non sono che la finitezza della natura, l’esaurimento delle risorse, il limite del Pianeta (Club di Roma); pertanto l’etica dello Stato Stazionario è un modello non molto lontano dalla frugalità gioiosa proposta dagli obiettori di crescita (Illich, Gorz).

… è tecnofoba?

Gli obiettori di crescita non si oppongono ciecamente al progresso, ma è vero che si oppongono al progresso cieco. La decrescita mette in discussione la fede irrazionale nella scienza prometeica e l’onnipotenza della tecnica. La decrescita si oppone all’ideologia transumanista di Kurzweil dato che la fede irrazionale nella razionalità porta al delirio della ragione. Il problema fondamentale è la fede dell’uomo medio in una qualche entità, sia essa divina, mitica, superumana o transumana, che riporti il problema alla normalità, perdendo la definizione stessa di uomo libero e responsabile di fronte alle proprie azioni. Considerando che la ricerca, oggi, è organizzata al fine di ridurre gli ostacoli nei processi della produzione, per aumentare lo sfruttamento delle risorse, la società decrescente metterà al controllo della società tali illusioni.

… è ritorno all’età della pietra?

Spesso viene tacciata di antimodernismo, lo stesso Massimo Fini ha pubblicato il Manifesto per l’Antimodernità; ma l’età della pietra è poi così male? Stando agli studi di Paul Goodman, Marshall Sahlins e John Zerzan, i primitivi dovevano passarsela piuttosto bene: due ore di lavoro per giorno e il rimanente tra svago e giochi. Dopo questa provocazione Latouche ribadisce che il progetto della decrescita non è un passo indietro, piuttosto un passo di lato, per abbandonare la strada che ci sta portando alla catastrofe. Essere progressisti è arrivare sempre in ritardo sulla cattiva strada.

… è localismo?


Non si nasconde l’evidenza. La volontà di ridurre l’impronta ecologica passa in primo luogo per una profonda rilocalizzazione. Si smantellerà la grande distribuzione e si tornerà a coltivare il proprio orto (anche sui balconi), cuocere il proprio pane, fare lo yogurt, …, riscoprendo il piacere e la soddisfazione della semplicità delle piccole cose. [vedasi ad esempio i consigli di Marta Albè, NdA]. Occorre riterritorializzare l’intera vita, e per farlo – non è tabù – si può seguire la struttura piramidale delle democrazie locali su base bioregionale, ossia regioni naturali dove l’allevamento, le piante, gli animali, le acque e gli uomini formano un insieme relativamente coerente.

… è comunitarismo?

L’inizio è imperativo, Latouche cita Cochet: Non possiamo più sognare un “mondo comune” continentale o planetario come quello a cui aspirava Hannah Arendt cinquant’anni fa. Bisogna però star attenti che la concezione della eco – o bio – regione non si fonda sulla razza e il sangue ma sull’adesione, vissuta o scelta, a un luogo di vita. La decrescita è reinquadramento dell’economia nel sociale, reintroduzione della solidarietà e reciprocità orizzontale, non gerarchia a senso unico. L’autentico individualismo è plausibile come superamento della massificazione. La persona adulta costruisce riconoscendo in modo critico le sue appartenenze e affiliazioni; se un superamento della logica individuo-comunità non fosse possibile, allora non resterebbe altro che aspettare passivamente l’apocalisse ecologica.

… è disoccupazione?


Riduzione del PIL equivale a depressione economica e disoccupazione, lo scenario peggiore in una società produttivista del ben-avere. La società decrescente non si pone il problema dell’indice PIL, superandolo. Il primo obiettivo è una riduzione massiccia dell’orario di lavoro, moltiplicando così i posti occorrenti (si provi a immaginare turni da 4 ore, o anche meno). Per raggiungere l’obiettivo dell’affrancazione dal lavoro occorre una transizione disintossicatoria, nella quale – non è un mistero – non è detto che si blocchi subitamente la crescita; ad esempio per una riconversione sociale occorrerà molto lavoro in alcuni settori:
assistenza sociale
insegnamento
deindustrializzazione agricola
rilocalizzazione industriale
riconversione ecologica
ristrutturazione termina degli edifici
energie alternative (solare ed eolico)
artigianato
riciclaggio dei prodotti
riparazioni e trasformazioni
Sarà organizzata una società di transizione non senza traumi – è vero – verso una società in cui il lavoro sarà abolito in quanto significazione immaginaria centrale.

… è democrazia?

I problemi continuano ad essere linguistici. Attualmente non stiamo vivendo in una democrazia; attualmente il contenuto democratico (responsabilità e coscienza politica del cittadino) è offuscato dall’asservimento cerebrale alle lobbies del marketing multinazionale. Viviamo – non è una novità – in una postdemocrazia, ossia una democrazia caricaturale, priva di contenuto effettivo (l’impossibilità di scegliere i propri rappresentanti, il non rispetto dei referendum cittadini, governi tecnici ecc ecc). La decrescita ha come obiettivo la rifondazione della democrazia attraverso la decolonizzazione dell’immaginario produttivista ed attraverso la pratica di comportamenti virtuosi, approdando a ciò che si può chiamare Democrazia Ecologica. È imperativo l’evoluzione della mentalità; ma se l’uomo non riuscirà ad essere responsabile e capace di gestire la sua libertà, ci penseranno o il realismo-pedagogico o l’insorgenza di aggregazioni neofasciste (peraltro già in movimento).

… è destra o sinistra?

La decrescita non è soltanto contro il capitalismo, è antiproduttivista, ossia anche contro l’ideologia del socialismo scientifico che ha in sé l’immaginario capitalista ed allo sfruttamento dei padroni sostituisce la dittatura del proletariato, senza porsi il problema dell’ambiente naturale. La decrescita può essere espressa con un’ideologia eco-socialista. Lo slogan dei movimenti di contestazione indigeni amerindi è appropriato: “Non c’è giustizia sociale senza giustizia ecologica”.
La decrescita non è comunque prerogativa della sinistra, anche perché – paradossalmente – il capitalismo è avanzato negli ultimi decenni grazie alle socialdemocrazie finto-sinistroidi. La decrescita è stata studiata, sviluppata e proposta da movimenti marxisti ortodossi, anarchici, antimoderni, consiliaristi, situazionisti, e non meno da eco-fascisti (vedi Alain de Benoist).

La decrescita è il riflusso di un torrente straripato. Siccome il fiume dell’economia è uscito dagli argini, è quanto mai auspicabile che vi rientri.
Arianna Editrice

2 commenti:

  1. Sulla decrescita ho letto ultimamente un libricino (credo si chiami "dePILiamoci") molto interessante. Sostanzialmente credo di condividere questa teoria.

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  2. Ciao Primo Ultimo,

    scusami per il ritardo con il quale ti ringrazio del commento... non mi arrivano in posta e spesso mi scordo di controllare...
    La decrescita è un progetto di autonomia dalle autorità...
    Forse l'unico vero e serio...

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