venerdì 24 agosto 2012

 In un paese occupato, privato della propria sovranità, accade che si possa assassinare, aggredire, minacciare impunemente e con la totale copertura mediatica cittadini siriani e pure italiani, come ben documentato da Eric Salerno.
Di solito, quando episodi di cronaca nera riportano aggressioni ai danni di  cittadini stranieri per giorni i media lasciano in evidenza la notizia rimarcando lo sfondo razzista come movente, spesso per occultare altre ragioni ben più pregnanti. Come riportato nell'articolo sotto e confermatomi per altre vie, cittadini siriani ed italiani sono vittime di aggressioni fisiche e verbali integraliste. L'unica colpa di queste persone è quella di essere lealisti e di diffondere la verità riguardo Siria, quella stessa realtà che i media nostrani si impegnano quotidianamente a censurare. Sono tanto esterefatta quanto disgustata e amareggiata per la violenza inaudita di cui sono vittime queste coraggiose ed encomiabili persone. Se ne ricava
quindi il senso di tolleranza che anima coloro che usano questi mezzi "per sostenere i ribelli". In questi giorni in cui sono esaltate a paladine della libertà le Pussy Riot, considerate "perseguitate"  dalla fantomatica repressione di Putin, constato come ancora una volta il paese dei due pesi e delle due misure sia fedele al regime del politically correct commisurato alle intenzioni di Washington e Tel Aviv. D'altronde, si trovano con tale facilità e gratuitamente mercenari del pensiero che non disdegnano di passare ai fatti, quando la fazione pro Nato conta numerosi "adepti" tra le fila dei pacifinti e falsi antirazzisti. Le loro aggressioni sono ben tollerate quando si adeguano allo scopo imperialista, così come avvilisce riscontrare ulteriore conferma dell'impunità e totale accondiscendenza riservate dalle istituzioni nei confronti di chi aggredisce i portatori di opinioni diverse. Eppure la macchina del pensiero politically correct riesce a far saltare carriere, a rovinare pubblicamente persone, a far processare utenti che scrivono commenti liberi sul web,ogni qualvolta si tratti di opinioni in contrasto con le fandonie che vengono dispensate sotto le mentite spoglie di verità. E' quindi più che evidente che si possano minacciare di morte coloro che professano la grave colpa di non sostenere le bugie del pensiero dominante. Già, ma i media ipocritamente fingono d'ignorare quanto accade in Italia e preferiscono scandalizzarsi per la "repressione" di Putin.

Barbara


Facebook strumento omicidiario? Dopo Vittorio Arrigoni i siriani lealisti
 
 [2]Facebook come strumento non solo di socialità ma anche di barbarie?
Facebook come punto di partenza non solo di “character assassinations” ma anche di omicidi veri e propri?
Continua a succedere, a quanto pare, anche adesso, anche in Italia: a fare da bersaglio, in questo caso, i siriani lealisti “colpevoli” di testimoniare alla luce del sole la propria fedeltà alla patria assediata dai terroristi nordatlantici. Al riguardo, mi sembra doveroso condividere qui quanto letto sulla bacheca del mio amico Facebook Fulvio Grimaldi:
VI SEGNALO QUESTA DENUNCIA DELLA COMUNITA’ SIRIANA NON CORROTTA E NON VENDUTA. AUTORITA’, MEDIA, ASSOCIAZIONI, DIRITTOUMANISTI, LAICI, DEMOCRATICI, SINISTRE, PACIFISTI, EMETTERANNO UN BISBIGLIO DI PROTESTA?
Che in Siria sia in corso una lotta per imporre libertà e democrazia, è  finalmente messo in dubbio da molti.
Che in Siria sia in corso una vergognosa battaglia mediatica che non si ferma  davanti allo stravolgimento degli eventi pur di attirare l’opinione pubblica, non  è oramai un mistero.
 In Siria, come all’estero, vengono spesso denunciate le presunte persecuzioni  degli oppositori del governo da parte dei servizi segreti siriani. Amnesty  International la scorsa estate aveva rimediato titoloni su tutti i media  internazionali a questo riguardo.
 Ma dei perseguitati, in Siria esattamente come all’estero, tra i filogovernativi  non se ne parla mai. Eppure ce ne sono, molti, anche qui in Italia.
Basta farsi un rapido giro sulle pagine di Facebook per trovare molte  cosiddette “liste della vergogna” con foto, nomi e dati personali di presunti  “shabbiha”, così vengono definiti dagli oppositori coloro che sostengono  apertamente il governo, con inviti anche espliciti ad attaccarli, colpirli,  perseguitarli e, una volta uccisi, viene messo un timbro sul loro volto.
[4]
Nel  silenzio e nell’indifferenza generale, con il beneplacito di media, associazioni e  istituzioni.
 A queste pagine, in Siria, già più volte gli estremisti hanno attinto le loro  vittime designate, è accaduto a Damasco a fine dicembre, quando sono morti  due studenti universitari, e successo qualche mese fa con un’insegnante di  Deir ez-Zor. Apici di una situazione grave perché largamente diffusa e  sottovalutata nella sua pericolosità.
 Anche l’Italia ha la sua “lista della vergogna” e le sue “vittime predestinate”.
 Si tratta di siriani – cristiani, sunniti e alauiti – accomunati dalla volontà di sostenere apertamente il governo siriano e di non aver timore di dichiararlo in manifestazioni e conferenze.
 L’ultimo attacco mirato è avvenuto ieri sera (venerdì 17 agosto), quando un  siriano che si fa chiamare “Ahmed Sara” ha postato sul suo profilo delle foto di  alcuni di questi sostenitori del governo (siriani e italiani), accompagnate da informazioni infamanti sul loro conto e dati strettamente personali  (appartenenza religiosa, indirizzo di casa, numero di cellulare, targa e modello  dell’auto), ledendo così allo stesso tempo la loro privacy e la loro moralità.
Non contento, le immagini sono state diffuse sulla pagina “Vogliamo la Siria  libera”, che conta quasi 6.000 sostenitori, e su “Boicottiamo Informare per  Resistere” che ha realizzato un vergognoso album dal titolo “A.A.A. cercasi  shabbiha” [l'album c'è ancora!]e ora stanno circolando impunemente per la rete.
Primo esito di questo abuso della rete sono state le molestie telefoniche: il telefono di queste vittime è squillato a ogni ora del giorno e della notte con  nuovi insulti, intimidazioni e minacce, sempre in arabo, da parte di ignoti.
 Ma questo è solo l’ultimo, gravissimo, episodio di una lunga serie di aggressioni iniziate oltre un anno fa contro questi stessi soggetti.
 Eccone una sintesi:  Il primo esempio risale al 6 luglio 2011 quando un bar di Cologno Monzese è  stato semi-distrutto da un gruppo composto da una ventina di persone guidate  da esponenti dell’opposizione, che già da tempo minacciavano i proprietari  colpevoli di essersi recati, proprio la sera stessa, a una manifestazione a  sostegno del presidente Al-Assad e del suo programma di riforme contro ogni  ingerenza straniera.
I due siriani cristiani, oltre agli ingenti danni morali e  economici, sono stati pesantemente malmenati dal gruppo e uno dei due ha
 riportato ben undici punti di sutura alla nuca. Colpito anche un altro amico  siriano alawita che li accompagnava e che ha rimediato anche l’auto distrutta.
E’ bene ricordare che quel locale, fino a pochi mesi prima (prima che in Siria  scoppiasse quella che molti si ostinano a definire “primavera”) era un punto di ritrovo per l’intera comunità siriana che conviveva, in Italia esattamente come  in Siria, senza screzi.
Dopo un periodo di calma apparente, durante il quale il gruppo di oppositori si  limitava a frecciatine, più o meno velate minacce durante le manifestazioni di piazza o sulla rete, la situazione è andata acuendosi nelle ultime settimane e  si è palesata in due nuove spregevoli aggressioni.
 La prima risale alla sera del 25 febbraio quando un gruppo di cinque persone  si è recato sotto casa di un sostenitore del governo “colpevole”, dal loro punto  di vista, di essere sunnita e non appartenere alle fila degli oppositori e, con un  tranello, lo hanno invitato a scendere e tentato di aggredire armati di manganelli e coltelli; non riuscendo a colpire la vittima predestinata – che  fortunatamente è riuscita a riparare in casa per tempo – si sono sfogati sulla  sua auto (mezzo che, come gli aggressori ben sapevano, gli è fondamentale
 per poter lavorare) distruggendone i vetri, ammaccando la carrozzeria e  tagliando tutte e quattro le gomme. Non contenti il giorno seguente lo hanno nuovamente minacciato al telefono, dicendogli che sarebbero tornati quella sera per finire quanto avevano lasciato in sospeso.
 A un altro ragazzo, sempre in prima fila nelle manifestazioni pro-governo, è  stato riservato un altro trattamento: invece di prendersela direttamente con  lui, cercano di convincere il responsabile del luogo di lavoro che se non lo  licenzia ne subirà le conseguenze.
 Il secondo atto, invece, si è consumato nuovamente di fronte al locale di  Cologno Monzese, intorno alla metà di marzo questa volta a farne le spese è  stato un siriano alawita (tengo a precisare ogni volta l’appartenenza religiosa  non perché i siriani ci tengano particolarmente, ma solo perché da quando è  scoppiato questo caos per una parte dell’opposizione il credo sembra essere diventato fondamentale), promotore delle manifestazioni nel nord Italia a  sostegno del governo di Assad. Dopo le bestemmie religiose e le pesanti  minacce, un gruppo – che in questo caso si è trasformato in vero e proprio branco – di centinaia di individui ha cercato di attaccarlo, provvidenziale è  stata la possibilità di rifugiarsi nel bar fino all’intervento delle forze dell’ordine.
Ne sono seguite ulteriori minacce personali e a tutti i partecipanti – siriani -  delle manifestazioni milanesi contro la rivolta (“Non organizzate altre manifestazioni a Milano, altrimenti, a chiunque parteciperà, noi taglieremo le  gambe”, è stato dichiarato al telefono).
 Aggressioni vili ed agghiaccianti, soprattutto se si pensa che a perpetrarle  sono state le stesse persone che si ergono continuamente a difesa dei vessilli  di libertà e democrazia, ma che poi, nottetempo, cercano di toglierle a quanti non la pensano come loro vorrebbero.
 E, purtroppo, non si tratta di casi isolati: moltissimi, infatti, sono gli esempi di siriani in Italia che, dopo aver preso parte a manifestazioni filogovernative ed essersi esposti personalmente senza paura di esprimere il loro punto di vista, sono poi stati minacciati o aggrediti telefonicamente o via web da questi “pacifici e democratici” esponenti della corrente opposta.
 Ma questi casi, chissà come mai, non interessano le grandi associazioni che operano per la difesa dei diritti, le istituzioni e i media che operano nel nostro territorio. Peccato, perché potrebbero aiutare ad aprire nuovi spiragli per analizzare in modo più completo e oggettivo la crisi siriana, o, forse, è proprio questo che si sta cercando di evitare?
 Pierangela Zanzottera
 18.08.2012

L’album “A. A. A. Cercasi Shabbiha” c’è ancora sulla pagina del gruppo in questione: https://www.facebook.com/#!/media/set/?set=a.353559504721105.83744.345570488853340&type=1 [5]
La polizia postale che fa, dorme?
 

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