martedì 6 novembre 2012

Perchè non vuoi il cambiamento in Siria?


- di Ouday Ramadan - 
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria non ho mai visto nessuno cibarsi dai cassonetti della spazzatura.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria non ho mai visto un funerale del più illustre sconosciuto che non avesse almeno 1000 persone dietro.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria ho visto il più umile dei lavoratori riuscire a mandare 10 figli a scuola ed oggi sono il medico, l’ingegnere, l’ufficiale, l’operaio, l’impiegato etc. etc.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria non ho mai visto sfrattare nessuno dalla propria casa in affitto.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: La mia Siria l’ho girata per lungo e per largo con i mezzi pubblici con meno di 5 euro.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria nessuno studente, dalle scuole dell’infanzia fino agli alti studi universitari, paga un centesimo per acquistare i libri di testo.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria ogni siriano ha diritto a 1000 litri di gasolio all’anno per riscaldarsi.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria non si paga un centesimo per curarsi ed il Governo non ti trattiene il 50% della tua busta paga oppure del tuo reddito.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria un kg di pane ha il prezzo di 7 centesimi.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria il figlio dell’industriale e quello dell’operaio si vestono uguale a scuola. In barba ai Calvin Klein, Benetton e cretinate simili.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria è garantito il diritto di culto pure a Tex Willer.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria non vedrò mai un McDonald’s
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria invece di pagare l’impresa funebre per trasportare la salma di un defunto, chi viene a darti le condoglianze ti porta anche la solidarietà in soldi.
Mi chiedono perché non vuoi il cambiamento in Siria?
  • Rispondo: Nella mia Siria se ti dovesse capitare di avere la febbre a 38 gradi, troveresti 50 persone disposte a coprirti e procurarti i medicinali.”


Siria: la soluzione cinese di Thierry Meyssan

La tregua che doveva segnare le celebrazioni della festa musulmana dell’Eid è stata ampiamente violata in Siria. Il governo si era impegnato a tagliare le strade principali per assicurarsi che eventuali incidenti rimanessero isolati e non potessero diffondersi a macchia d’olio. Fatica sprecata: molte brigate dell’Esercito siriano libero (ESL) hanno ricevuto ordini dai loro sponsor per lanciare nuovi attacchi, ai quali l’esercito arabo siriano non ha mancato di rispondere. In definitiva, anche se alcune regioni hanno potuto godere di quattro giorni di calma, il bilancio a livello nazionale è particolarmente deludente. A seconda di dove si vive, si considera dunque questa tregua come un successo o un fallimento. A livello diplomatico, tuttavia, essa consente di valutare le difficoltà che incontreranno le forze di pace, una volta che il Consiglio di Sicurezza deciderà di schierarne. La prima è l’assenza di un interlocutore che sia rappresentativo dell’ESL, e la seconda è la malafede della Francia.
L’ESL è composto da numerosissimi gruppi armati che hanno ciascuno una propria logica. L’insieme dovrebbe obbedire a un comando che si trova presso una base NATO in Turchia. Ma questo non accade più, da quando una concorrenza feroce contrappone gli sponsor francese, del Qatar, saudita e turco. Ognuno consacra i propri sforzi a estendere la propria influenza a spese dei suoi alleati piuttosto che a rovesciare il regime. Le brigate di base obbediscono a chi le finanzia direttamente e non tengono più conto del coordinamento della NATO. Inoltre, malgrado le dichiarazioni, non c’è mai stato un rapporto di subordinazione tra i comitati politici che si incontrano nei salotti a Parigi, a Istanbul e il Cairo, e i combattenti in Siria.
I leader occidentali continuano a chiedere l’unificazione del comando unificato dell’ESL, ma in realtà ne hanno paura. Perché se permettesse di disporre di un interlocutore per fare la pace, screditerebbe i comitati politici all’estero e s’imporrebbe al loro posto. Non si potrebbe più nascondere allora la vera natura di questa pseudo «rivoluzione»: nessun gruppo armato ha combattuto per la democrazia, e la stragrande maggioranza di essi intende imporre una dittatura religiosa sunnita.
adnanalarourUn «Comando centrale dei Consigli rivoluzionari siriani» è stato appena creato a Idlib. Circa l’80% delle forze dell’ESL vi si sono unite. Riconosce come leader spirituale lo sceicco Adnan al-Arour che ha tenuto un discorso per l’occasione. Mentre leggeva un testo moderato, il cui stile sì è parecchio allontanato dalle sue predicazioni abituali, si è congratulato con il suo pubblico per la creazione del Comando militare centrale, ha fatto appello ai tre comitati politici rivali all’estero affinché si uniscano, e ha invocato l’istituzione di un Consiglio legislativo.
Si tratta beninteso del trasferimento del potere legislativo ai religiosi, dei quali egli umilmente accetterebbe di essere il capo, per imporre la legge della shari'a. Di passaggio, ha osservato che l’obiettivo primario della «rivoluzione» è rovesciare non tanto le istituzioni, quanto invece i principi del regime, vale a dire la laicità e il nazionalismo arabo.
In questa fase, si deve osservare che sebbene l’ESL sia costituito da ben pochi combattenti siriani, è sostenuto da diversi milioni di civili, specie nel nord del paese. Tuttavia, nelle manifestazioni organizzate qua e là, in nessun caso le folle hanno issato i ritratti dei leader politici in esilio (Buhran Ghalioum, Abdulbaset Sieda, ecc.), mentre hanno spesso scandito il nome dello sceicco Al-Arour. Soprattutto hanno ripreso i suoi slogan, come «I cristiani a Beirut! Gli alauiti alla tomba!». I siriani che sostengono l’ESL non vogliono una democrazia, bensì reclamano una dittatura in stile saudita, che epuri il sunnismo dai suoi sufi e che reprima tutte le minoranze religiose.
Per avere successo, la tregua avrebbe dovuto essere negoziata dall’inviato speciale dei Segretari generali dell’ONU e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi, e lo sceicco Adnan Al-Arour. Ma un tale incontro avrebbe segnato la fine del sogno della «primavera araba» e avrebbe evidenziato che l’Occidente finanzia e arma il settarismo religioso più estremista.
Il secondo ostacolo che incontrerà il Consiglio di Sicurezza per schierare una forza di pace, è la linea oltranzista francese. Parigi blocca l’attuazione dell’accordo firmato il 30 giugno a Ginevra. Il testo redatto da Kofi Annan era volutamente vago su alcuni punti, in modo che le grandi potenze fossero in grado di firmarlo e di rinviare la risoluzione delle contraddizioni restati. Da allora, Washington, Mosca e Pechino si sono messe d’accordo. Parigi continua ad andare per la sua strada.
La questione è sapere quale opposizione siriana abbia la legittimità per partecipare a una transizione politica, e in cosa consista questa transizione. Per la Francia è ovviamente il Consiglio nazionale siriano, i cui membri sono ospitati a Parigi e lì abbondantemente sovvenzionati, a dover costituire il nucleo del prossimo governo. Mentre per Mosca e Pechino i politici che hanno sostenuto l’azione militare e hanno chiesto l’intervento straniero non sono degni della loro patria. Solo gli oppositori che hanno difeso l’indipendenza del loro paese e la sovranità del loro popolo sono legittimi. Per la Francia, si tratta di organizzare una transizione tra una Siria governata da Bashar al-Assad (senza la Total) ed una Siria senza Assad (ma con Total). Laddove per Mosca e Pechino, la transizione consiste nel passare dallo stato attuale di divisione e di guerra civile all’unità nazionale e alla pace. Da parte sua, Washington è pronta a delle concessioni purché si finisca presto e si eviti una conflagrazione regionale.
Ispirandosi al cessate il fuoco dell’Eid, la Cina ha appena proposto una soluzione originale. Invece di presentare un piano suddiviso in tappe politiche, immagina di risolvere il problema regione per regione. Questo svolgimento potrebbe invertire l’attuale processo di estensione del conflitto e, invece, consentire di ridurre le zone di guerra. È nell’interesse di tutti, ma si scontra frontalmente con la strategia francese: alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente François Hollande ha rivendicato un mandato del Consiglio di sicurezza sulle «zone liberate». Parigi sogna con nostalgia il mandato che le concesse la Società delle Nazioni per legalizzare la sua conquista della Siria (1920-1946). Finora, non è forse riuscita a far adottare la bandiera della colonizzazione da parte dei «rivoluzionari»?
Nel pronunciare un discorso presso l’università nazionale di Singapore, Kofi Annan ha sottolineato che la responsabilità degli avvenimenti attuali ricade su certi Stati occidentali: hanno dirottato il mandato del Consiglio di sicurezza per proteggere il popolo libico in un’operazione volta a cambiare il regime Gheddafi. Oggi, si rifiutano di condannare il terrorismo e spingono al martirio del popolo siriano nella speranza di trovare l’occasione per rovesciare il regime di Assad.
Arianna Editrice

La NATO fa le valige, la Turchia sull’orlo di una crisi di nervi

di Thierry Meyssan

L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC [1]) ha iniziato in Kazakhstan, l’8 ottobre, le manovre denominate «Fratellanza inviolabile» («????????? ????????»). Lo scenario consiste nel dispiegamento di una forza di pace in un paese immaginario in cui operano jihadisti internazionali e organizzazioni terroristiche sullo sfondo di divisioni etno-confessionali.

Il corpo diplomatico accreditato, che è stato invitato a partecipare all’esercitazione, ha ascoltato con attenzione il discorso di apertura del Segretario Generale aggiunto dell’Organizzazione. Questi ha chiaramente indicato che l’OTSC si prepara a intervenire, se necessario, nel Grande Medio Oriente. E per quelli che fanno orecchie da mercante, Nikolai Bordyuzha ha precisato che il suo vice non stava parlando di Afghanistan.

La Dichiarazione di Ginevra, negoziata da Kofi Annan il 30 giugno, prevede il dispiegamento di una forza di pace qualora il governo siriano e l’opposizione lo richiedano entrambi. L’Esercito siriano libero ha respinto questo accordo. Il termine «opposizione» designa quindi solo quei partiti politici che si sono a un certo punto riuniti, a Damasco, sotto l’egida degli ambasciatori di Russia e Cina. Poiché l’accordo di Ginevra è stato approvato dal Consiglio di Sicurezza, il dispiegamento dei «chapka blu» può essere attuato senza una risoluzione ad hoc. Valery Semerikov ha precisato che quattromila uomini sono ormai già assegnati alla forza di pace, mentre altri 46mila sono formati e possono essere mobilitati rapidamente come rinforzo.

In questo contesto, i segni del ritiro occidentale dalla Siria si moltiplicano. Il flusso di armi e combattenti occidentali si è interrotto, mentre continuano unicamente i trasferimenti finanziati dall’Arabia Saudita e dal Qatar.

Cosa assai più sorprendente: per sei volte di seguito, il comando NATO di I.ncirlik ha dato ai jihadisti istruzioni affinché si raggruppassero in zone particolari per prepararsi a vaste offensive. Ora, se l’Esercito arabo siriano, concepito per affrontare l’esercito israeliano, risulta inadatto alla guerriglia, è al contrario efficacissimo nei combattimenti convenzionali. E pertanto, ogni volta, ha circondato e annientato gli elementi raccolti dall’Esercito siriano libero. Si poteva pensare la prima volta a un errore tattico, la seconda alla testardaggine di un generale incompetente, ma – alla sesta volta – occorre considerare un’altra ipotesi ancora: la NATO consegna volontariamente questi combattenti alla morte.

Contrariamente alla percezione comune, la motivazione dei jihadisti non è – a ben definirla – ideologica o religiosa, bensì estetica. Non intendono morire per una causa e si disinteressano peraltro del destino di Gerusalemme. Essi abbracciano una posizione romantica e cercano di esacerbare le loro sensazioni sia attraverso le droghe sia nella morte. Il loro comportamento li rende facili da manipolare: cercano situazioni estreme, dove li si mette e gli si guida il braccio.

Nel corso degli ultimi anni, il principe Bandar bin Sultan era diventato il grande architetto di questi gruppuscoli, compresa Al-Qa’ida. Li inquadrava con predicatori che promettevano loro un paradiso in cui 70 vergini avrebbero loro offerto piaceri parossistici, non tanto se raggiungevano un obiettivo militare determinato o uno scopo politico, ma solo se se morivano da martiri laddove Bandar ne aveva bisogno.

Tuttavia, il principe Bandar è scomparso dalla scena dopo l’attacco che ha subito lo scorso 26 luglio. Probabilmente è morto. Dal Marocco allo Xinjiang, i jihadisti sono lasciati a se stessi, senza alcun coordinamento. Essi possono essere messi al servizio di chiunque, come ha dimostrato il recente caso dell’assassinio dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia. Di conseguenza, Washington ora vuole sbarazzarsi di questa truppa diventata ingombrante e pericolosa, o almeno limitarne il numero. La NATO dà ordini ai jihadisti affinché si espongano al fuoco dell’esercito arabo siriano che li elimina in massa.

Inoltre, la polizia francese ha ucciso il 6 ottobre un salafita francese che aveva commesso un attacco contro un negozio ebraico. Le perquisizioni successive hanno indicato che apparteneva a una rete che comprendeva individui partiti per fare il jihad in Siria. La polizia britannica ha fatto una scoperta simile quattro giorni più tardi.

Il messaggio di Parigi e Londra è che i francesi e i britannici morti in Siria non erano agenti in missione segreta, ma fanatici che agivano di propria iniziativa. Questo è evidentemente falso in quanto alcuni di questi jihadisti disponevano di apparecchiature per le comunicazioni con gli standard della NATO, fornite da Francia e Regno Unito. In ogni caso, queste messe in scena segnano la fine del coinvolgimento franco-britannico a fianco dell’Esercito siriano libero, mentre Damasco riconsegna in tutta discrezione dei prigionieri. Si volta pagina.

Per questo motivo, si capisce la frustrazione della Turchia e delle monarchie wahabite che, su richiesta dell’Alleanza si sono spese senza riserve nella guerra segreta, ma dovranno farsi carico solo del fallimento dell’operazione. Giocando il tutto per tutto, Ankara si è lanciata in una serie di provocazioni per evitare che la NATO si defili. Tutto fa brodo, dal posizionamento di pezzi di artiglieria turchi in territorio siriano fino alla pirateria di un aereo civile. Ma questi gesti sono controproducenti.

Così, l’aereo della Syrian Air proveniente da Mosca che è stato dirottato dai caccia turchi non conteneva alcuna arma, ma solo dei dispositivi elettronici di protezione civile destinati a rilevare la presenza di alte cariche esplosive. In effetti, la Turchia non ha voluto impedire alla Russia di fornire materiale destinato a proteggere i civili siriani dal terrorismo, bensì ha cercato di aumentare la tensione maltrattando i passeggeri russi e impedendo al loro ambasciatore di assisterli. Fatica sprecata: la NATO non ha reagito alle accuse immaginarie proferite da Recep Tayyip Erdog(an. Come unica conseguenza, il presidente Putin ha cancellato sine die la sua visita prevista ad Ankara il 15 ottobre.

Il cammino verso la pace è ancora lungo. Ma se anche la Turchia oggi, o le monarchie wahabite domani, cercassero di prolungare la guerra, il processo è in corso. La NATO fa le valige e i media a poco a poco volgono la loro attenzione verso altri cieli.

Stampa Libera


Onu: A. Saudita, Qatar e Turchia responsabili violenze in Siria


DAMASCO - Circa il 95% di coloro che stanno combattendo il governo siriano proviene da altri paesi.

L'ha detto Heisam Abu Saeed, inviato dell'Alto commissariato Onu sui diritti Umani in Medioriente. In un'intervista con la televisione nazionale della Siria, Abu Saeed ha puntato il dito contro l'Arabia saudita, il Qatar e la Turchia: "essi sono responsabili del sangue versato in Siria", ha aggiunto. "E' ormai ovvio il coinvolgimento di questi tre paesi nella crisi siriana" ... "siamo profondamente dispiaciuti per il fatto che questi continuano a sostenere gruppi armati in Siria". Per il diplomatico, l'Onu e altri organi internazionali per diritti umani non sono d'accordo con la fornitura di armi agli oppositori del governo in Siria perche' questo servira' solo ad aggravare la situazione. Gli occidentali sono ben consapevoli che solo il 5% di coloro che oggi combattono in Siria contro il governo di Bashar al-Assad, e' di origine siriane, il resto sono tutti mercenari provenienti da altri paesi.
Italian Irib


Qatar ospita riunione dei capi terroristi in Siria 

DOHA - Creare una squadra di 50 rappresentanti, tra cui alcuni dall'interno della Siria, come comandanti del cosiddetto 'Esercito libero' e leader locali delle aree ribelli.


E' il piano presentato da Riad Seif, esponente dell'opposizione siriana di primo piano, in occasione della riunione di oltre quattrocento delegati delle bande terroristiche impegnate in Siria che si e' aperta ieri a Doha, in Qatar, per decidere - come hanno annunciato - la nuova leaderhsip della rappresentanza anti-Assad. Secondo Seif, il piano, che toglierebbe potere al Consiglio nazionale siriano, spesso criticato, e' appoggiato da una dozzina di Paesi chiave che sostengono l'opposizione. Anche se Seif non ha specificato di quali nazioni si tratti, ma non e' difficile indovinare che nella prima fila della guerra contro la Siria, vi sono Usa, Gb, Israele, Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Da tempo gli Usa spingono per la determinazione di una nuova leadership e hanno criticato il Cns per lo stallo nella sua gestione. I capi del Cns, dal canto loro, hanno criticato gli Usa per la loro ingerenza nel processo decisionale dell'opposizione. Ieri a Doha, Abdelbaset Sieda, ha dichiarato che il Cns dovrebbe controllare almeno il 40% di qualsiasi organismo decisionale che venisse formato, visto che rispecchia effettivamente ampi segmenti della societa' siriana.
Italian Irib


Siria, terroristi uccidono 30 civili a Idlib

DAMASCO - I ribelli che combattono contro il governo siriano hanno macchiato di nuovo le loro mani con sangue innocente uccidendo almeno 30 civili a Idlib, nel nord del pese.

La nuova violenza arriva giorni dopo che un video diffuso sulla rete ha mostrato l'esecuzione sommaria di una decina di giovani siriani (per media locali 28 soldati), avvenuta giovedi' scorso sempre nella provincia settentrionale. L'ONU e Amnesty International hanno dichiarato che si tratta della prova di un crimine di guerra.
Italian Irib

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