lunedì 19 novembre 2012

Israele, strage di bambini a Gaza
Raid contro Hamas: finora 70 vittime

«Vicino accordo per una tregua». Obama: siamo con Tel Aviv, ma evitare l'escalation di violenza. Razzi contro il sud di Israele sul Messaggero

 Speciale Gaza: Di omicidi e disinformazione

Alain Gresh fa il punto sulla situazione a Gaza prima dell’escalation militare cominciata nell’ottobre scorso e intensificatasi negli ultimi giorni. Il direttore aggiunto di Le Monde Diplomatique denuncia la politica degli omicidi mirati e condanna la complicità dei media nei confronti della propaganda israeliana.

- di Alain Gresh * – traduzione a cura di Jacopo Granci

Per capire l’escalation a Gaza è necessario introdurre qualche dato su questo territorio (360 km2, più di un milione e mezzo di abitanti – una caratteristica che lo rende uno dei luoghi del pianeta con maggiore densità di popolazione), occupato da Israele dal 1967.

Nonostante il ritiro dell’esercito dalla striscia (2005), infatti, i suoi accessi con il mondo esterno sono sempre controllati dallo Stato ebraico e la circolazione all’interno è limitata. Il blocco attuato qualche anno fa dura fino ad oggi: per le Nazioni Unite Gaza rimane un territorio occupato.

I dati che seguono sono stati diffusi dall’ufficio dell’ONU per il coordinamento delle questioni umanitarie nei territori palestinesi (OCHAOPT) in un documento del giugno 2012 intitolato Five Years of Blockade: The Humanitarian Situation in the Gaza Strip (in allegato):

- è nel giugno 2007 che il governo israeliano ha deciso di intensificare il blocco di questo territorio, già severamente “sotto controllo”;

- il 34% della popolazione (e la metà dei giovani) è disoccupata;

- l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari;

- il PIL pro capite era, nel 2011, il 17% al di sotto di quello del 2005 (considerando l’inflazione);

- nel 2011 solo un camion al giorno usciva da Gaza con prodotti volti all’esportazione, ossia meno del 3% delle cifre di affari registrate nel 2005;

- il 35% delle terre coltivabili e l’85% delle acque riservate alla pesca sono parzialmente o totalmente inaccessibili agli abitanti di Gaza a causa delle restrizioni israeliane;

- l’85% delle scuole sono costrette a fornire un doppio servizio – uno la mattina e un altro nel pomeriggio – a causa del sovrappopolamento.

Ogni guerra, si sa, viene accompagnata da un’intensa propaganda e il governo israeliano è ormai maestro in quest’arte.

Già al momento dell’offensiva di dicembre 2008 -gennaio 2009 avevamo assistito, in questo senso, alla deflagrazione mediatica. Perfino alcuni intellettuali francesi, tra cui l’imbarazzante Bernard-Henri Lévy, avevano contribuito a tale disinformazione.

L’uomo assassinato qualche giorno fa da Israele, Ahmed Jabari, era il capo dell’ala militare di Hamas.

La grande maggioranza dei media lo descrivono come un “terrorista” responsabile di tutti gli attacchi compiuti contro Israele. La realtà, tuttavia, è ben lontana da questo ritratto – senza contare l’utilizzo del termine “terrorismo“, per lo meno ambiguo.

Come spesso accade, è proprio un giornalista israeliano – Aluf Benn – a ricordare che:

“Ahmed Jabari era un appaltatore, incaricato da Israele di mantenere l’ordine e la sicurezza nella Striscia di Gaza. Questa definizione sembrerà senza dubbio assurda a tutti coloro che, nelle ultime ore, hanno visto Jabari descritto come ‘l’archetipo del terrorismo’, ‘il capo del personale del terrore’ o ancora ‘il nostro Bin Laden’.

Tuttavia, questa è la realtà degli ultimi cinque anni e mezzo. Israele aveva imposto ad Hamas di osservare una tregua nel sud e di farla rispettare alle numerose organizzazioni armate insediate nella striscia. L’uomo a cui era stato affidato questo compito era appunto Ahmed Jabari”.

Basta osservare i grafici pubblicati dallo stesso ministero degli Affari Esteri israeliano sul lancio dei razzi palestinesi per rendersi conto che, in generale, la tregua è stata rispettata.

L’accordo è stato rotto dai raid dell’esercito israeliano il 7 e l’8 ottobre 2012, poi il 13 e il 14, provocando un’escalation che da allora continua senza interruzioni.

E, alla vigilia dell’omicidio di Jebari, un’altra tregua era stata conclusa grazie alla mediazione dell’Egitto, come conferma la testimonianza dell’attivista pacifista Gershon Baskin ripresa da Haaretz.

Storicamente, ogni escalation degli attacchi a Gaza fa seguito ad omicidi mirati di militanti palestinesi. Queste esecuzioni extragiudiziali sono una pratica consolidata per il governo israeliano (a cui gli USA hanno dato il loro consenso ormai da tempo).

Avete detto “terrorismo”? Leggete l’articolo di Sharon Weill “De Gaza à Madrid, l’assassinat ciblé de Salah Shehadeh”.

Lo scenario era identico nel 2008. Mentre la tregua era rispettata sul versante palestinese dal giugno 2008, sono stati gli omicidi in novembre di sette attivisti nella Striscia che hanno dato il la all’intensificazione degli attacchi e poi all’operazione “Piombo fuso“.

Sulle violazioni dei cessate il fuoco compiute da Israele negli ultimi anni è interessante leggere l’articolo di Adam Horowitz, “Two new resources : Timeline of Israeli escalation in Gaza and Israel’s history of breaking ceasefires”.

Del resto, è difficile parlare di un vero scontro tra due parti: i razzi palestinesi non sono armi paragonabili agli F-16 e ai droni israeliani. Il bilancio in termini di vite umane, stilato dopo la tregua del gennaio 2009 seguita all’operazione “Piombo fuso”, lo conferma.

L’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani B’Tselem ha pubblicato un elenco dei palestinesi e degli israeliani uccisi a Gaza tra il 19 gennaio 2009 e il 30 settembre 2012.

271 palestinesi (di cui 30 bambini) e 4 israeliani.

Le cifre parlano da sole.

* La versione orginale dell’articolo, pubblicato su Les blog du Diplo de Le Monde, è qui.

17 novembre 2012

Allegato:

ocha_opt_gaza_blockade_factsheet_june_2012_english.pdf (1.83 MB)

Fonte: Osservatorio Iraq visto su IxR

Impressioni di Gaza di Noam Chomsky - 17/11/2012

Anche una sola notte in carcere basta a dare l’idea di che cosa significa vivere sotto il controllo totale di qualche forza esterna. E non ci vuole certo più di un giorno a Gaza per iniziare a  rendersi conto di come deve essere cercare di sopravvivere nella prigione a cielo aperto più grande del mondo, dove un milione e mezzo di persone, nell’area più densamente popolata del mondo, è costantemente soggetto a terrore casuale, spesso selvaggio e a punizioni arbitrarie, senza altro scopo che quello di umiliare e degradare, e con l’ulteriore scopo di assicurarsi che le speranze palestinesi di un futuro decente siano distrutte e che lo schiacciante appoggio per un accordo diplomatico che garantirà questi diritti venga annullato.  L’intensità di questo impegno da parte della dirigenza politica israeliana è stata drammaticamente dimostrata proprio nei giorni scorsi, quando hanno avvertito che “impazziranno” se ai diritti palestinesi verrà dato un riconoscimento limitato all’ONU. Non è un punto di inizio nuovo.

La minaccia di “impazzire” (“nishtagea”) è profondamente radicata, già nei governi laburisti degli anni ’50, insieme al relativo  “Complesso di Sansone”: butteremo giù le mura del  Tempio se vi entrerete. Era una minaccia inutile allora; non oggi.

Anche l’umiliazione fatta di proposito non è una novità, sebbene prenda continuamente nuove forme. Trenta anni fa, i dirigenti politici, compresi alcuni “falchi” famosi, hanno sottoposto al Primo ministro Begin un resoconto scioccante e dettagliato di come i coloni regolarmente maltrattino i Palestinesi nel modo più perverso e con impunità totale. Il preminente analista in materia politica e militare, Yoram Peri, ha scritto con disgusto che il compito dell’esercito non è difendere lo stato, ma “demolire i diritti di gente innocente soltanto perché essi sono Araboushim (“negri”, “ebrei”) che vivono in territori che Dio ha promesso a noi.”

Gli abitanti di Gaza sono stati scelti per imporgli una punizione particolarmente crudele. E’ quasi un miracolo che la gente possa sopportare un’esistenza del genere. Come ci riescano è stato descritto trenta anni fa in un eloquente memoriale da Raja Shehadeh (La terza via), basato sul suo lavoro di avvocato impegnato nel compito disperato di tentare di proteggere i diritti elementari nell’ambito di un sistema legale designato ad assicurare il fallimento, e sulla sua personale esperienza come Samid, “il perseverante,” *che osserva la sua casa trasformata in prigione da occupanti brutali e che non può fare nulla, se non cercare di “sopportare”.

Da quando Shehadeh ha scritto, la situazione è peggiorata molto. Gli accordi di Oslo, festeggiati con grande pompa nel 1993, hanno determinato che Gaza e la Cisgiordania sono un’unica unità territoriale. Allora gli Stati Uniti e Israele avevano già iniziato il loro programma di separali completamente l’una dall’altra, così da bloccare un accordo diplomatico e punire gli Araboushim in entrambi i territori.

La punizione degli abitanti di Gaza è diventata ancora più severa nel gennaio 2006, quando hanno commesso un grave reato: hanno votato nel “modo sbagliato” nella prima elezione libera del mondo arabo, eleggendo Hamas. Dimostrando il loro “appassionato  desiderio di democrazia”, gli Stati uniti e Israele, appoggiati  dalla timida Unione Europea, hanno imposto subito un assedio brutale, conducendo allo stesso tempo intensi attacchi militari. Gli Stati Uniti si hanno deciso  subito procedure operative standard quando una popolazione disubbidiente elegge il governo sbagliato: preparare un colpo di stato per ripristinare l”ordine.

Gli abitanti di Gaza hanno commesso un reato ancora più grande un anno dopo, bloccando il tentativo di colpo di stato, fatto che ha portato a una brusca intensificazione del dell’assedio e degli attacchi militari. Questi sono culminati, nell’inverno 2008-2009, nell’operazione Piombo Fuso, uno dimostrazioni più vigliacche e malvagie di forza militare di recente memoria, poiché una popolazione civile indifesa, intrappolata senza via di scampo, è stata soggetta all’attacco implacabile da parte di uno dei sistemi militari più avanzati del mondo che dipende dalle armi statunitensi ed è protetto dalla diplomazia statunitense. Un resoconto indimenticabile di testimoni oculari del massacro – un infanticidio, secondo le loro parole – è fornito da due coraggiosi medici norvegesi che hanno lavorato nel principale ospedale di Gaza durante gli assalti spietati, Mads Gilbert ed Erik Fosse, nel loro notevole libro: Eyes in Gaza [Occhi a Gaza].

Il presidente designato, Obama, non era stato in grado di dire una parola, a parte reiterare la sua compassione per i bambini che subiscono gli attacchi – nella città israeliana di Sderot. L’assalto accuratamente pianificato è stato concluso subito prima del suo insediamento, cosicché allora ha potuto dire:  è ora di guardare avanti, non indietro; il classico rifugio dei criminali.

Naturalmente c’erano dei pretesti – ce ne sono sempre: il solito, tirato fuori  quando è necessario, è la “sicurezza”: in questo caso i razzi fatti in casa a Gaza. Come succede di solito, il pretesto mancava di qualsiasi credibilità. Nel 2008 era stata stabilita una tregua tra Israele e Hamas. Il governo israeliano riconosce formalmente che Hamas la rispetti completamente. Non un solo razzo di Hama è stato sparato fino a quando Israele ha interrotto la tregua con la copertura dell’elezione del 4 novembre 2008 negli Stati Uniti, invadendo Gaza per motivi ridicoli e uccidendo una mezza dozzina di membri di Hamas. Il governo di Israele era stato avvisato dai più alti funzionari dei sevizi segreti che la tregua poteva essere rinnovata  riducendo  il blocco criminale e mettendo fine agli attacchi militari. Il governo di Ehud Olmert,  a quanto pare una “colomba”, ha però scelto di rifiutare queste opzioni, preferendo ricorrere al suo relativo enorme vantaggio nella violenza: l’Operazione Piombo Fuso. I fatti fondamentali sono  stati riesaminati ancora una volta dall’analista di politica estera Jerome Slater nel numero  della rivista edita dall’ Università di Harvard- e pubblicata dal MIT: Sicurezza Internazionale.

Il modello di bombardamento durante Piombo Fuso, è stato attentamente analizzato da Raji Sourani, nato a Gaza, difensore dei diritti umani ottimamente informato e rispettato in campo internazionale. Fa notare che i bombardamenti erano concentrati nel nord, prendendo come obiettivi i civili indifesi nelle zone più densamente popolate, senza alcun pretesto militare. Raji suggerisce che lo scopo può essere stato quello di spingere verso sud, vicino al confine con l’Egitto,  la popolazione intimorita. I Samidin, invece non si sono mossi, malgrado la valanga di terrore di Israele e degli Stati Uniti.

Un altro obiettivo poteva essere quello di spingerli oltre. Tornando ai primi giorni della colonizzazione sionista, si sosteneva in gran parte dell’insieme dei paesi che gli Arabi non hanno una vera ragione di stare in Palestina: Possono essere ugualmente felici in qualche altro posto, e dovrebbero andarsene – -”essere trasferiti” per esprimersi gentilmente, le “colombe” hanno suggerito. Questa non è una preoccupazione da poco in Egitto, ed è forse una ragione per cui l’Egitto non apre liberamente il confine ai civili o perfino ai materiali di cui si ha una necessità disperata.

Sourani e altre fonti bene informate osservano che la disciplina dei Samidin nasconde una polveriera che potrebbe esplodere in qualunque momento, inaspettatamente, come ha fatto la prima Intifada a Gaza nel 1989 dopo anni di  penosa repressione che non ha ottenuto alcuna attenzione o interesse.

Soltanto per citare uno degli innumerevoli casi, poco prima  dell’inizio dell’Intifada, una ragazza palestinese, Intissar al-Atar, è stata uccisa da colpi di arma da fuoco nel cortile di una scuola da un residente di un vicino insediamento palestinese. Egli era uno delle varie migliaia di coloni israeliani portati a Gaza in violazione della legge internazionale e protetti da un’enorme presenza dell’esercito e che si impadronivano di gran parte della terra e della poca acqua della Striscia e che vivevano “lussuosamente in 22 insediamenti in mezzo a 1,4 milioni di palestinesi indigenti”, come  scrive lo studioso israeliano Avi Raz parlando di quel crimine.

L’assassino della scolara, Shimon Yifrah, è stato arrestato, ma poi rapidamente rilasciato  su cauzione,   quando la Corte ha determinato che “il reato  non è abbastanza grave” per giustificare  la detenzione. Il giudice ha osservato che Yifrah voleva soltanto scioccare la ragazza sparandole con la pistola nel cortile della scuola, non ucciderla, quindi non si tratta di  un persona criminale che deve essere punita, dissuasa e imprigionata per insegnargli una lezione.” A Yifrah è stata data una  condanna  di 7 mesi con sospensione della pena, mentre i coloni presenti nell’aula del tribunale si sono messi a cantare e a ballare. E poi c’è stato il solito silenzio. Dopo tutto è routine.

gaza2012Così è. Quando Yifrah è stato rilasciato, la stampa israeliana ha riferito che una pattuglia dell’esercito in perlustrazione,  ha sparato nel cortile di una scuola per ragazzi di età compresa tra i 6 e i 12 anni in un campo profughi della Cisgiordania, ferendo cinque bambini, presumibilmente soltanto con l’intenzione di scioccarli. Non ci sono state  accuse, e anche questa volta l’evento non ha attirato alcuna attenzione. Era soltanto un altro episodio del programma di “analfabetismo come punizione”, ha riferito la stampa israeliana, che comprende la chiusura delle scuole, l’uso di bombe chimiche??, picchiare gli studenti con il calcio del fucile, la proibizione di primo soccorso per le vittime; e oltre le scuole, un regime  di brutalità più grave, che diventava ancora più selvaggio  durante l’Intifada, agli ordini del ministro della Difesa, Yitzak Rabin, un’altra “colomba” molto ammirata.

La mia impressione iniziale, dopo una visita di diversi giorni, è stata di stupore, non soltanto per la capacità di continuare a vivere, ma anche per la vivacità e la vitalità che ci sono tra i giovani, particolarmente all’università, dove ho passato molto del mio tempo a un congresso internazionale. Anche lì, però, si possono trovare segni che la pressione può diventare troppo difficile da sopportare.  Ci sono notizie che indicano che tra i giovani c’è una frustrazione nascosta, la consapevolezza che con l’occupazione israelo-statunitense il futuro non riserva loro nulla. Gli animali in gabbia non possono sopportare oltre, e ci può essere un’esplosione, che forse assumerà delle brutte forme – offendo un’opportunità ai difensori israeliani e occidentali di condannare in modo moralistico, le persone che sono culturalmente arretrate, come ha spiegato Romney con grande intuito.

Gaza ha l’aspetto di una tipica società del terzo mondo, con sacche di ricchezza circondate da orribile povertà. E, tuttavia, non è “sottosviluppata”. E’, piuttosto, “de-sviluppata”, e anche in modo sistematico, per prendere a prestito i termini di Sara Roy, la principale specialista accademica di Gaza. La Striscia di Gaza sarebbe potuta diventare una prospera regione mediterranea, con un’agricoltura ricca, una fiorente industria ittica, spiagge meravigliose e, come si è scoperto dieci anni fa, buone prospettive di ampie riserve di gas naturale nelle sue acque territoriali.

Per coincidenza o no, questo succede quando Israele ha intensificato il suo blocco navale, spingendo le barche da pesca verso la  riva, oramai a tre miglia o meno.

Le prospettive favorevoli sono fallite nel 1948, quando la Striscia ha dovuto assorbire una valanga di profughi palestinesi che scappavano terrorizzati o che erano espulsi energicamente da quella che diventava Israele, in qualche caso espulsi mesi dopo il cessate il fuoco formale.

Infatti venivano espulsi perfino quattro anni dopo, come riferito sul quotidiano Ha’aretz (25.12.2008), in un   studio di Beni Tziper sulla storia della città israeliana di Ashkelon risalente ai Canaaniti. Nel 1953, Tziper riferisce, “si calcolava freddamente che era necessario ripulire la regione dagli Arabi.” Il nome originale, Majdal, era stata già trasformato nel nome ebraico attuale, Ashkelo, una pratica normale.

Questo avveniva nel 1953, quando non c’era alcun accenno di necessità militare. Tziper stesso era nato nel 1953, e mentre cammina tra i resti del vecchio settore arabo, riflette che “è realmente difficile per me, realmente difficile  rendermi conto  che,  intanto che i miei genitori festeggiavano la mia nascita, altra gente veniva caricata sui camion e cacciata via dalle loro case.”

Le conquiste di Israele del 1967 e le loro conseguenze infliggevano nuovi colpi. Vennero poi i terribili crimini già citati e che continuano fino a oggi.

I segni sono facili da vedere, anche durante una breve visita. Stando seduti in un albergo vicino alla riva, si può sentire il rumore delle mitragliatrici che proviene dalle corvette armate israeliane  che spingono i pescatori fuori dalle acque territoriali di Gaza e verso la riva, cosicché sono costretti a pescare in acque che sono molto inquinate a causa del rifiuto di Stati Uniti e Israele di permettere la ricostruzione del le fognature e del sistema elettrico  che essi hanno distrutto.

Gli Accordi di Oslo hanno preparato  piani per due impianti di desalinizzazione, necessari in questa regione arida. Uno, un’installazione molto  moderna,   è stato costruito: a Israele. Il secondo si trova a Khan Yunis, nella parte sud di Gaza.  L’ingegnere incaricato di cercare di ottenere l’acqua potabile per la popolazione, ha spiegato che questo impianto era progettato in modo che non usasse l’acqua del mare, ma invece l’acqua sotterranea, un processo più economico, che degrada ulteriormente la scarsa falda acquifera, garantendo  gravi problemi in futuro.  Anche così, l’acqua è gravemente limitata, L’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), l’agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione *, che si occupa dei profughi (ma non di altri abitanti di Gaza), recentemente ha pubblicato un resoconto avvertendo che il danno alla falda acquifera potrebbe diventare presto “irreversibile”, e che senza una rapida azione di riparazione, nel 2020 Gaza potrebbe non essere un “posto vivibile.”

Israele permette che entri  il cemento per i progetti UNRWA, ma non per gli abitanti di Gaza presi dalle enormi necessità di ricostruzione. Le limitata attrezzature pesanti giacciono per lo più inutilizzate dal momento che Israele non permette i materiali per le riparazioni. Tutto ciò fa parte del programma generale descritto dal funzionario israeliano Dov Weisglass, consigliere del Primo ministro Ehud Olmert, dopo che i Palestinesi hanno mancato di eseguire gli ordini nelle elezioni del 2006: ha detto: “L’idea “è di mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame.” Questo non sarebbe bello.

E il piano si sta eseguendo scrupolosamente. Sara Roy ha fornito ampie prove nei studi eruditi. Recentemente, dopo vari anni di sforzi, l’organizzazione israeliana per i diritti umani Gisha, è riuscita a ottenere un’ingiunzione  perché il governo rilasci  i documenti elencando i piani per la dieta, e come essi vengono realizzati. Il giornalista Jonathan Cook, di base a Israele, li riassume. “I funzionari della sanità hanno fornito calcoli del numero minimo di calorie necessarie a 1.5 milioni di abitanti di Gaza per evitare la denutrizione. Queste cifre sono state poi tradotte in numeri di carichi di cibo trasportati da camion che si ipotizzava Israele permettesse per ogni giorno….una media di soli 67 camion -molto meno della metà del bisogno minimo – è entrata a Gaza ogni giorno. Questo va paragonato ai 400 camion che entravano prima che iniziasse il blocco.” E perfino questa stima è troppo   generosa,” riferiscono i funzionari dell’ONU.

Il risultato dell’imposizione della dieta, osserva lo studioso del Medio Oriente Juan Cole, è che “la crescita  di circa il 10% dei bambini palestinesi di Gaza che hanno meno di 5 anni, è stata bloccata dalla denutrizione….inoltre l’anemia è largamente diffusa e colpisce i due terzi  dei neonati, iol 58,6 degli bambini in età scolare, e oltre un terzo delle mamme incinte.” Gli Stati Uniti e Israele vogliono assicurarsi che nulla di più di che la pura sopravvivenza sia possibile.

“Ciò che si deve tenere bene a mente”, osserva Raji Sourani,  “è che l’occupazione e l’assoluta chiusura è un attacco continuo alla dignità umana del popolo di Gaza in particolare e di tutti i Palestinesi in generale. E’ una degradazione un’umiliazione, un isolamento e una frammentazione sistematica, del popolo palestinese.” Questa conclusione è confermata da molte altre fonti. In una delle principali riviste mediche del mondo, The Lancet, un medico in visita all’università di Stanford,  sconvolto da ciò di cui era stato testimone, descrive Gaza come ” una specie di laboratorio per osservare l’assenza di dignità,” “una condizione che ha effetti “devastanti” sul benessere fisico, mentale e sociale. “La costante sorveglianza aerea, la punizione collettiva per mezzo del blocco e dell’isolamento, l’intrusione nelle case e nelle comunicazioni, e le restrizioni nei riguardi di coloro che cercano di viaggiare, o sposarsi, o lavorare, rendono difficile vivere una vita dignitosa a Gaza.” Agli Araboushim si deve insegnare a non alzare la testa.

C’erano delle speranze che il nuovo governo Morsi in Egitto, meno alla mercè di  Israele rispetto alla dittatura di Mubarak appoggiata dall’Occidente, potesse aprire il valico di Rafah, l’unico accesso per l’esterno  per gli abitanti di Gaza intrappolati che non sia soggetto al controllo diretto di Israele. C’è stata una piccola apertura, ma non molto. La giornalista Laila el-Haddad scrive che la riapertura ora che Morsi è al potere, “è semplicemente un ritorno allo status quo degli scorsi anni: soltanto i palestinesi che avevano una carta di identità di Gaza approvata da Israele, possono attraversare il valico di Rafah”, esclusi molti Palestinesi e inclusa la famiglia di el-Haddad, dove soltanto una moglie ha la carta.

Inoltre, Laila continua, “il valico non porta alla Cisgiordania, oppure non permette il passaggio delle merci,  che sono limitate ai valichi controllati da Israele e soggetti a proibizioni riguardanti i materiali da costruzione e l’esportazione.” Il valico limitato di Rafah, non cambia il fatto che “Gaza rimane sotto uno stretto assedio marittimo e aereo, e continua a essere chiusa ai capitali culturali, economici, accademici nel resto dei [territori occupati], in violazione degli obblighi di Israele e Stati Uniti in base agli Accordi di Oslo.”

Gli effetti sono dolorosamente evidenti. All’ospedale Khan Yunis, il direttore, che è anche primario di chirurgia, descrive con rabbia e passione come manchino perfino le medicine per alleviare le sofferenze dei pazienti, e anche delle semplici attrezzature per interventi chirurgici, lasciando i dottori  impotenti e i pazienti in agonia.

Storie personali aggiungono un tono vivace al disgusto generale che si prova  davanti allo schifo dell’occupazione violenta. Un esempio è la testimonianza di una giovane donna che era disperata perché  che suo padre, che sarebbe stato orgoglioso che lei era la prima donna nel campo profughi a ottenere una laurea  specialistica, “era morto a 60 anni dopo 6 mesi di lotta contro il cancro. L’occupazione di Israele gli ha negato il permesso di andare a farsi curare negli ospedali di Israele: Ho dovuto interrompere i miei studi, il lavoro, la mia solita vita e restare seduta al suo capezzale. Eravamo tutti seduti lì: mio fratello medico e mia sorella farmacista, tutti impotenti e disperati guardando soffrire. E’ morto durante il disumano blocco di Gaza nell’estate del 2006 quando c’era accesso scarso all’assistenza sanitaria. Penso che sentirsi impotenti e disperati sia il sentimento più micidiale che un essere umano possa mai provare. Uccide lo spirito e spezza il cuore. Si può combattere l’occupazione ma non  si può combattere il  senso di impotenza. Non si può neanche dissolvere quel sentimento.”

Disgusto per l’oscenità, unito alla colpa; è nelle nostre capacità porre fine alle sofferenze e permettere ai Samidin di godere la vita di pace e dignità che meritano.

Noam Chomsky ha visitato la Striscia di Gaza dal 25 al 30 di ottobre 2012.
Arianna Editrice

“Raid a Gaza, i caccia israeliani riforniscono a Decimomannu”

Nei cieli dell'Isola, negli ultimi giorni, si sono intensificate le esercitazioni militari. Bina Casula, consigliere a Villamassargia: “Gli aerei partono da qui”. Gli indipendentisti confermano. Il Comipa: “In casi analoghi è già successo"
redazione cagliaripad
il cielo di Gerusalemme

Nei cieli della Sardegna, negli ultimi giorni, si sono intensificate le esercitazioni militari.
Bina Casula, consigliere comunale a Villamassargia: “Gli aerei partono dall’Isola”.
L’accusa confermata dagli indipendentisti. La notizia rimbalza nei social network.
Tore Mocci, componente del Comipa (Comitato misto paritetico sulle attività militari in Sardegna) non lo esclude: “In casi analoghi l'aeroporto è stato utilizzato come scalo tecnico”.
Cagliari Pad
Un utente di Luogocomune segnala:
e ancora...
Parla Benjamin Netanyahu non sapendo di essere ancora ripreso. Giudicate da voi.

- La prima cosa da fare è colpirli (gli arabi, n.d.IxR). Non un solo colpo, ma tanti colpi talmente dolorosi da rendere impossibile la loro sopportazione. Per ora riescono ancora a sostenere la situazione. E' necessario un più grande attacco all'autorità palestinese, per portarli al punto in cui avranno paura che stia collassando tutto.

- Aspetta, ma il mondo a quel punto si domanderebbe "come mai state di nuovo facendo una guerra di occupazione?". Non hai paura del mondo, Bibi?

- Il mondo non dirà niente, il mondo dirà che ci stiamo difendendo. Specialmente oggi, con l'America. So cos'è l'America, L'America è qualcosa che può essere facilmente mossa, mossa nella giusta direzione. Loro dicono che sono dalla nostra parte, ma è più come dire che non ci si metteranno di traverso, non ci si metteranno di traverso.

Netanyahu Unaware of Camera VIDEO

Civili sotto attacco nella Striscia di Gaza su Voci dalla Strada

Siamo al terzo giorno degli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza. Scriviamo questo comunicato nel mezzo del suono incessante dei bombardamenti, che sono proseguiti per tutto il giorno di ieri, nel corso della notte e oggi. L’escalation militare portata avanti dall’esercito israeliano continua su tutta la Striscia. Da Gaza City, sentiamo il rumore incessante dei droni e dei caccia F16 che irrompono nel cielo sulle nostre teste. Le bombe ci cadono ripetutamente attorno, colpendo aree densamente popolate.
ISM
Finora le forze aeree israeliane hanno condotto più di 500 bombardamenti, portando a 29 il numero dei morti. Più di 255 persone sono state ferite dagli attacchi, la gran parte dei quali civili, tra cui 100 bambini. 30 sono le persone in condizioni critiche. Le aree colpite includono Beit Hanoun, il campo rifugiati Jabalia, i quartieri di Sheikh Radwan e al-Nasser a Gaza City, il campo rifugiati di Maghazi, Deir El Balah, Khan Younis, e l’area dei tunnel a Rafah.
Nella giornata di ieri, 15 novembre, abbiamo visitato l’ospedale Al Shifa a Gaza City, dove è stata portata la maggior parte dei feriti. Abbiamo parlato con i dottori, i pazienti e i loro parenti, vittime degli attacchi in corso nella Striscia di Gaza. Condividiamo alcune delle storie delle persone che abbiamo incontrato.
Haneen Tafesh
Nella giornata di ieri, 15 novembre, abbiamo visitato l’ospedale Al Shifa a Gaza City, dove è stata portata la maggior parte dei feriti. Abbiamo parlato con i dottori, i pazienti e i loro parenti, vittime degli attacchi in corso nella Striscia di Gaza. Condividiamo alcune delle storie delle persone che abbiamo incontrato. Salem Waqef, un uomo di 40 anni, è stato gravemente ferito quando la sua casa è stata distrutta da un attacco la mattina presto del 15 novembre. I suoi dottori dicono che Salem ha subito danni cerebrali a causa della mancanza di ossigeno. E’ stato portato in terapia intensiva alle 5 del mattino. E’ al momento in coma e secondo i dottori in condizioni difficili.
Verso le 13:10, quando lasciavamo la sala di terapia intensiva, una bambina di 10 mesi, Haneen Tafesh, è stata portata in corsia. Era incosciente e il suo corpicino era livido. Aveva subito la frattura del cranio e un’emorragia cerebrale, causata da un attacco avvenuto intorno alle 11 nel quartiere di Sabra a Gaza. Era in coma sotto ossigenazione artificiale. Più tardi nel pomeriggio, abbiamo ricontrollato come stava e i dottori hanno detto che le sue condizioni erano peggiorate. Dopo essere ritornati a casa la sera, abbiamo ricevuto la notizia della sua morte.

Ahmed Durghmush
Ahmed Durghmush ha una ventina di anni ed è stata portato allo Shifa in terapia intensiva verso le 21 di Mercoledì 14, dopo essere stato ferito da un attacco aereo che ha colpito il quartiere di Tel Al Hawa a Gaza City. Ha subito un trauma cerebrale causato dalle schegge di un missile esploso. All’arrivo di Ahmed, il Dr Fauzi Nablusia ha spiegato che soffriva di un’emorragia cerebrale ed era stato operato. Le sue condizioni sono peggiorate nel corso della giornata. Un parente di Ahmed vicino al suo letto si è sfogato dicendoci di sentirsi impotente e di avere paura per la sorte di Ahmed.

Basma Mahmud Al Tourouq
Il pronto soccorso è stato inondato dagli arrivi dei feriti durante tutto il giorno. Tra di essi è arrivata Basma Mahmoud el Tourouq, 5 anni, dal quartiere di Rimal a Gaza City. E’ stata ferita dal bombardamento avvenuto vicino alla sua casa intorno alle 14:30 del pomeriggio. L’onda d’urto dell’esplosione l’ha scaraventata dall’altro lato della stanza, la brusca caduta per terra le causato la frattura dell’avambraccio. Abbiamo poi sentito le storie di alcuni tra i bambini, le donne e gli uomini feriti e dei loro parenti che sono stati ricoverati in diversi reparti dell’ospedale Al Shifa. Mohammed Abu Amsha, due anni e mezzo, è stato ferito mentre sedeva di fronte alla casa di suo nonno a Beit Hanoun.Un F16 ha sparato un missile nelle vicinanze e dopo l’esplosione le macerie l’hanno colpito alla testa. Quando stavamo per andarcene, abbiamo saputo che anche lo zio di Mohammed era stato ferito.
Zuhdiye Samour, madre e nonna, del campo rifugiati di Shati a Ovest di Gaza City, era  ancora visibilmente scossa da quello le era accaduto, quando ci ha raccontato: “Eravamo seduti insieme a casa. Erano le 20:30 di sera e stavamo guardando la Tv, dei film per distrarre i bambini che avevano paura. Poi, abbiamo sentito i botti di 12 colpi di artiglieria sparati dalle navi della marina israeliana”. Zuhdiye e altri tre civili sono stati feriti quando i proiettili sono esplosi nella loro zona abitata a nord di Gaza City.

Mohammed Abu Amsha
Khalid Hamad, il direttore della Pubblica Informazione del Ministero della Giustizia, è stato uno dei civili feriti nell’attacco indiscriminato di un’area residenziale. Era a casa con la sua famiglia a Nabarat, Nord di Gaza City, quando ha sentito l’esplosione di una bomba, che ha colpito la casa del vicino. Molte persone del vicinato sono accorse fuori per aiutare e sono state colpite da altri sei proiettili sparati dalle navi. Il nipote di Hamad, un adolescente, ha riportato ferite lievi. Anche un altro uomo è stato ferito dalle schegge dei proiettili. “Hanno colpito i civili deliberatamente”, ha detto, “le forze israeliane non fanno errori”.

Duaa Hejazi (Lydia De Leeuw)
Una ragazza di 13 anni, Duaa Hejazi, stava tornando a casa sua a Gaza, nel quartiere di Sabra, dopo una camminata con sua madre e i fratelli, quando un missile israeliano ha colpito la strada di fronte alla loro casa intorno alle 8 di sera. “Ho perso molto sangue. Anche mio fratello è stato ferito, alla mano. I vicini mi hanno portato all’ospedale”. Duaa ha riportato ferite causate dalle schegge delle bombe su tutto il torace, alcune delle quali ancora conficcate nel petto. Lei vorrebbe trasmettere un messaggio ai bambini che vivono fuori da Gaza: “Siamo bambini. Non abbiamo colpe per quello che stiamo subendo. Siamo sotto occupazione e, così come Abu Ammar, dico “se sei una montagna, il vento non ti scuoterà”. Noi non abbiamo paura, continueremo a essere forti. Anche oggi abbiamo incontrato il Dott. Mithad Abbas, Direttore Generale dell’ospedale Shifa. Quando gli abbiamo chiesto in che modo l’ospedale stia affrontando l’arrivo dei pazienti ci ha risposto: “Quando arrivano questi casi in ospedale, ci troviamo ad operare in circostanze straordinarie. Siamo in una situazione di assedio, di embargo, per la quale soffriamo della mancanza di medicinali e forniture mediche di prima necessità”. L’ospedale non possiede molti medicinali e strumenti fondamentali, quali antibiotici, cateteri, anestetici, guanti, tutori esterni, eparina, materiali di sutura, detergenti e pezzi di ricambio per macchinari medici.
L’ospedale possiede anche di una riserva di carburante, che fornisce energia durante i quotidiani tagli dell’elettricità. Se i tagli dell’elettricità dovessero raggiungere le 12 ore giornaliere, il Dott. Abbas ci ha detto che in tal caso l’ospedale avrà carburante sufficiente per fornire l’elettricità per non più di una settimana. Il personale dell’ospedale sta affrontando scene caotiche e cariche di tensione, in quanto corridoi e stanze sono diventati sovraffollati, con persone che provano ad accertarsi dei propri parenti e amici feriti.
Il Dott. Abbas racconta: “le persone entrano nel pronto soccorso in panico, cercando i propri familiari. E’ molto difficile gestire tutto ciò”. Nessuno sa dove colpirà il prossimo missile, nessuno sa dove potrà essere al sicuro. I genitori non sono in grado di tenere i propri bambini al sicuro, e neanche a trasmettere loro un senso di sicurezza”.
Questi sono i nomi delle persone uccise dagli attacchi israeliani:
1- Walid Abadlah, 2 1/2 anni
2- Marwan Abu Al-Qumsan, 52 anni
3- Ramai Hamamd
4- Khalid Abu Al-Nasser
5- Habes Mesbeh, 30 anni
6- Wael Al-Ghalban
7- Hisham Al-Ghalban
8- Ahmed Al-Jaabari, 52 anni
9- Mohammed Al-Hams
10- Ranan Arafat, 3 anni
11- Essam Abu El-Mazzah, 20 anni
12- Hani Al-Kaseeh, 18 anni
13- Ahmed Al-Masharawi, 11 anni
14- Hiba Al-Masharawi, 19 anni, incinta
15- Mahmud Sawaween, 65 years old
16- Hanin Tafish, 10 mesi
17- Tareq Jamal Naser, 16 anni
18- Oday Jamal Nasser, 14 anni
19- Fares al-Bassiouni
20- Mahmoud Sadalla, 3 anni
21- Ismail Qandil, 24 anni
22- Tahrir Suleiman, 22 anni
23- Non identificato
24- Non identificato
25- Ziad Abu Jlal
26- Amjad Abu Jlal
27- Ahmed Abu Jlal
28- Hasan Abu Hmela
29- Khaled Shaer
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Siamo un gruppo di internazionali che vivono nella Striscia di Gaza e lavorano negli ambiti del giornalismo, dei diritti umani, dell’educazione, dell’agricoltura. Cerchiamo di difendere e promuovere i diritti della popolazione civile palestinese di fronte all’occupazione israeliana e alle operazioni militari. Oltre ad essere noi stessi testimoni oculari, raccogliamo informazioni dalle nostre reti personali in tutta la Striscia di Gaza, dai media locali, dal personale medico e dalle ONG internazionali presenti a Gaza. Verifichiamo ciò che divulghiamo e speriamo che i nostri resoconti possano contribuire a rendere più accurata la copertura mediatica della situazione di Gaza.

Gaza: continua l’agressione israeliana, il Mondo tace

GAZA – Altri sei bambini e tre adulti morti sono stati estratti dalla macerie di una casa nel rione Nasser di Gaza.
Così riferiscono fonti giornalistiche locali, spiegando che appartengono alla famiglia Adalu. Sale quindi a nove il tragico bilancio di bambini uccisi durante i raid. La Farnesina invece conferma che sono stati evacuati i nove cooperanti italiani rimasti bloccati a Gaza questa mattina. Intanto, Israele si dice pronto a un accordo di tregua con i gruppi di resistenza palestinese ma solo se questi ultimi metteranno fine al lancio di razzi dalla Striscia di Gaza Israele. Lo ha detto questa mattina il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman. Le nostre forze armate hanno colpito 1.000 obiettivi e continuano in questi momenti nelle proprie attività, siamo pronti per estendere le operazioni in maniera significativa», aveva detto il premier Benyamin Netanyahu, nella odierna seduta del consiglio dei ministri. Tuttavia la situazione a Gaza non può essere esasperata e sarebbe «preferibile che la crisi si concluda senza alcuna escalation», ha affermato il presidente Usa, Barack Obama in una conferenza stampa a Bangkok. E anche il ministro britannico degli Affari esteri, William Hague, ha avvertito oggi Israele che un’operazione terrestre a Gaza potrebbe costare a Telaviv una grande perdita del suo sostegno internazionale, stimando che essa «minaccerebbe di prolungare il conflitto». «Il primo ministro e io stesso abbiamo spiegato ai nostri omologhi israeliani che un’invasione terrestre a Gaza costerebbe a Israele una grande perdita di sostegno internazionale», ha dichiarato il capo della diplomazia di Londra. «Un’invasione terrestre è più difficile da sostenere per la comunità internazionale», ha aggiunto il ministro Hague. Ma intanto a Gaza si continua a morire sotto gli occhi della comunità internazionale che fino a oggi non ha messo un dito per impedire i crimini commessi da Israele contro il popolo indifeso palestinese.
Fonte:Irib 
visto su Lo Sai 

Gaza: Boicotta i boicottatori di BDS

Sons of Malcolm

Non si deve essere ingannati da Alì abu Nimah di Electronic Intifada, che sembra avere una posizione radicale in TV, mentre argomenta su al-Jazeera a favore di Gaza, ma si dovrebbe piuttosto guardare da vicino il pensiero che guida abu Nima e il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzione), il movimento di cui Electronic Intifada fa parte. Questo movimento è una ONG finanziata dall’Unione europea, stretta alleata di Israele, e da George Soros, un liberale sionista e da altre organizzazioni simili. Mentre chiedono il boicottaggio dei prodotti israeliani, prendono denaro dal più grande partner commericale di Israele, con cui ha il maggior tasso di scambi: l’Unione europea. E mentre chiede di boicottare le merci e gli scambi artistici e accademici con Israele, non hanno mai provato a chiedere il divieto di inviare armi ad Israele all’UE e agli Stati Uniti.
Si può anche dire che BDS e Electronic Intifada siano stati indirettamente arruolati da Israele, i cui interessi servono. L’idea principale di tali gruppi è riconoscere lo Stato di Israele e cercare una soluzione al problema palestinese, ma nel quadro di Israele. Considerano Israele uno stato d’apartheid che dovrebbe seguire il modello sudafricano, applicando la formula adottata dal Sud Africa per porre fine alla segregazione. In base a ciò, Israele dovrebbe annettersi i territori occupati nel 1967, per formare un paese, un Israele che abbandoni le sue politiche razziali e dia ai palestinesi diritti legali. Questo è, al nocciolo, ciò che Alì abu Nimah concepisce come soluzione del problema palestinese che, non solo è fuori luogo soltanto perché la Palestina non è il Sud Africa, ma perché sembra risolvere i problemi di Israele piuttosto che quelli dei palestinesi.

Si noti il disegno di sopra, ripreso da Electronic Intifada, di come mette sullo stesso piano Siria e Israele, considerandoli uguali. Questo è esattamente il tipo di propaganda che serve gli scopi sionisti.
 Stato e potenza

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