sabato 30 marzo 2013


Luca Tentori

Uno dei cavalli di battaglia più sfruttati dal pensiero dominante liberaldemocratico è la “difesa dei diritti umani”, intesa come un complesso di garanzie che vanno riconosciute a qualsiasi cittadino in qualsiasi parte del mondo con lo scopo di tutelare l’inviolabilità della sua persona e le sue “libertà individuali”. Questa libertà individuale è intesa come la libertà dell’individuo suddetto di esprimere il proprio pensiero attraverso la parola, la stampa, i mezzi di comunicazione di massa, la libertà di scegliere i propri rappresentanti di governo, di criticarne le scelte, di essere sottoposto a processi ritenuti corretti dagli organi internazionali, di riunirsi in associazioni della natura
più disparata, di professare liberamente la propria religione e così v ia.
Tali diritti sono riassunti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Febbraio del 1948 (1), con lo scopo, almeno iniziale, di evitare ulteriori catastrofi umane come quello della Seconda Guerra Mondiale.
A tutela di questa serie di diritti umani dovrebbero provvedere organismi internazionali universalmente riconosciuti e teoricamente “super partes”, tutte facenti parte dell’ONU. Sulla carta, questa teoria dei diritti umani è all’apparenza ampiamente condivisibile, ma nella pratica, in quanto comunque parte integrante del sistema giuridico così come inteso nella dottrina capitalista, essa risulta nei fatti viziata in origine da questa dottrina ed è oggi più che mai sfruttata per legittimare atti criminali di portata internazionale. Per chi nutrisse dei dubbi sull’effettiva veridicità di questa affermazione basta citare pochi ma significativi paradossi. Uno dei più evidenti è dato dal comma n°1 dell’articolo n°23 il quale recita che:
”Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione”.
In altre parole uno Stato nel quale non esista la piena occupazione dovrebbe essere a tutti gli effetti un paese che non tutela i diritti umani e dovrebbe quindi, se veramente i sottoscrittori di queste dichiarazioni fossero coerenti con sé stessi, essere sottoposto a sanzioni. Naturalmente essendo questa dichiarazione soltanto uno strumento volto a dare un volto presentabile ad azioni per nulla benefiche verso l’umanità, nessuno penserebbe mai di criticare i paesi nei quali oggi si sta acuendo in maniera preoccupante una grave crisi economica, causata proprio dal fallimento di quelle teorie liberal-capitalistiche difese a spada tratta dagli stessi sottoscrittori della dichiarazione. L’attuale crisi e tutto ciò che ne consegue (la disoccupazione è solo la punta dell’iceberg), come già espresso nel nostro periodico, non è una “crisi umana” o una “crisi globale”, ma una crisi del capitalismo e delle sue strutture. Tuttavia essendo il concetto di diritti uman i inglobato nel pensiero unico capitalista, le violazioni dei diritti umani derivanti dall’essenza stessa del capitalismo, praticamente vengono considerate non esistenti o come fatti inevitabili e non imputabili a nessuno.
Nel comma n°1 dell’articolo n°25  si legge poi che:
”Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione  e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.
E’ paradossale come i paesi del disciolto blocco socialista, accusati di essere “l’impero del male”, siano stati i principali sostenitori e fautori di quanto espresso in questo articolo, mentre nella nazione guida del pensiero liberaldemocratico, ossia gli Stati Uniti d’America, solo in questi ultimi anni si stia muovendo qualcosa per garantire ad ogni cittadino un servizio sanitario veramente pubblico e gratuito, e nonostante ciò, questi miglioramenti vengono considerati in modo altamente negativo da una percentuale comunque relativamente elevata della popolazione statunitense, a testimonianza di quanto il lavaggio cerebrale verso qualunque cosa sia anche lontanamente collegabile ad un concetto socialista sia stato massiccio ed efficace. Ciononostante si registrano comunque nel ricco Stato nordamericano sempre alte percentuali di homeless e di persone che vivono in grave difficoltà, acuite ulteriormente dalla crisi economica attuale. Il fatto che molti c ittadini statunitensi vedano la recente riforma sanitaria negativamente in quanto bollata di “filo-comunismo” fa capire anche quanto siano effimere le tanto decantate libertà di stampa e comunicazione. E’ sì vero che è possibile esprimere il proprio pensiero, ma è altresì vero che la possibilità di espressione è direttamente proporzionale alla sua disponibilità economica. Chi ha a disposizione enormi capitali può contare su mezzi di diffusione dell’informazione potentissimi e se attraverso questi mezzi si diffondono notizie false costruite appositamente “in laboratorio” (le recenti tecnologie si sono rivelate di grande aiuto nel caso), tali notizie passano per assolutamente vere. Poca importanza ha se poi, chi conosce la verità, provvederà a diffonderla attraverso un suo piccolo blog disperso in altri milioni di realtà similari che si appoggiano o si smentiscono a seconda dei casi. In altre parole, si hanno delle “verità ufficiali”, diffuse dai p rincipali mezzi di informazione e quindi “garantite e veritiere” per forza di cose, e “verità effettive”, diffuse attraverso mezzi di comunicazione ben più modesti, ma che per la scarsa fiducia che la massa nutre verso queste realtà all’apparenza poco meritevoli di fiducia, passano per “farneticazioni”, “complottismi” e via di questo passo. Se poi fatti come le armi chimiche di Saddam Hussein, le fosse comuni di Gheddafi si dimostreranno delle falsità clamorose, questo ha poca importanza: la verità si conoscerà solo quando essa non sarà più nociva agli interessi di chi ha provveduto ad occultarla.
Infine vi sono altri due articoli che meritano di essere analizzati al di là di come si presentano ad una prima impressione; il n° 28, secondo cui:
”Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e la libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati”.
e il n°30, nel quale si legge che:
”Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati.”.
I risvolti pratici di questi due articoli aprono scenari decisamente pericolosi ed inquietanti. Mentre quanto letto negli articoli sopra esaminati (n° 23 e n°25) prestava il fianco a critiche di incoerenza, quanto espresso negli articoli n°28 e n°30 appare come una legittimazione a qualsiasi azione intrapresa dai governi delle nazioni in cui (in teoria) sono rispettati i diritti umani, verso altri Stati, altre comunità o altre culture in cui questi diritti non sarebbero rispettati, sempre secondo un giudizio arbitrario. Questi due articoli quindi, costituiscono la legittimazione contemporanea all’esistenza del moderno imperialismo capitanato dagli USA e dai paesi ad esso collegati attraverso la NATO. La NATO stessa infatti è stata creata proprio allo scopo di difendere i paesi ad essa aderenti da una possibile aggressione che ne avrebbe distrutto l’ordinamento giuridico, a loro dire rispettoso dei diritti umani, e il tipo di società su di esso fondato, ossia quella capitalistico-liberista. Poco importa se per la difesa dei diritti umani questa alleanza militare è ricorsa a colpi di stato che hanno portato al potere regimi come quello dello shah, di Pinochet, di Singman Ree e moltissimi altri o se si sono privati milioni di cittadini del più importante dei diritti, ossia quello alla vita (che è pure riportato fedelmente nell’art. n°3 della sopracitata Dichiarazione del 1948).
Con la scomparsa dell’URSS la corsa in avanti dell’imperialismo verso la costruzione di quell’“ordine sociale internazionale” propagandato nell’articolo n°28 contro quegli “stati, gruppi o persone” accusati arbitrariamente di “esercitare attività o compiere atti miranti dalla distruzione dei diritti e delle libertà”, ha subito un’accelerazione formidabile. E mentre gli anni ’90 e ‘2000 registravano una paurosa escalation di violenza nei quali i diritti umani di milioni di persone venivano cancellati da bombardamenti o violenze atroci e rivoltanti compiute dagli ascari dell’imperialismo (tra i sottoscrittori della famigerata Dichiarazione si annoverano anche i terroristi dell’UCK od organizzazioni similari attive in Medio Oriente, Asia Centrale, eccetera, a quanto pare?), il mondo procedeva sempre più spedito verso l’attuale crisi economica che però non trova imputati. Perchè? Semplicemente perchè chi oggi è chiamato a giudicare gli attentatori ai diritti umani, sono gli attentatori stessi e quindi non imputabili. Imputabili sono i soliti noti, ossia chi non si allinea al disegno egemonico dell’imperialismo: cinesi, iraniani, cubani, nord-coreani, siriani e via di questo passo, elencando tutti quei soggetti compresi nell’articolo n°30. La realtà non è affatto quella che gli imperialisti vogliono farci credere coprendosi con dichiarazioni di ogni sorta, ma che il loro mondo, il loro sistema, nelle loro intenzioni l’unico il perfetto e il definitivo, si sta pian piano sgretolando vittima di sé stesso, mentre altre realtà che si volevano confinate a sottoposte, stanno invece sempre più emergendo. Cosa si è trovato di meglio, nell’affrontare questa nuova situazione, che cercare di distruggere o screditare agli occhi dell’opinione pubblica occidentale queste realtà che non bollarle come malefiche, violente, arretrate e barbariche? Basta dare sostegno ai terroristi come quelli più sang uinari che oggi stanno dilaniando il Medio Oriente o il Nord Africa [ma nella Dichiarazione non si parlava forse di “associazioni pacifiche”? (art.n°20,comma n°1)], presentare come eroi figure tutt’altro che meritevoli come il Dalai Lama, dare legittimità a cause inesistenti come quella appunto dell’indipendententismo ceceno, curdo o tibetano. Oppure erigere a paladini dei diritti umani (con tanto di premio Nobel), traditori dichiarati come Liu Xaobo.
E quando vi sono reazioni legittime contro questi soggetti tutt’altro che pacifici e disinteressati, ecco scoccare la condanna quale “violazione de diritti umani”.
Forse questi signori, Dichiarazione dei Diritti Umani in pugno, dovrebbero fare in primis un esame di coscienza essi stessi invece di erigersi a giudici universali. Forse dovrebbero rendersi conto che se volessero essere davvero coerenti con le loro dichiarazioni dovrebbero sottoporre a critica e giudizio proprio quello stesso sistema che essi stessi hanno creato, quel capitalismo che oggi è alla base dei problemi economici del mondo più avanzato e come conseguenza è causa dei problemi di quei paesi in via di sviluppo a cui non si vorrebbe permettere di svilupparsi. Cercare di fermare l’avanzata di enormi porzioni dell’umanità verso una condizione di vita migliore, più stabile e sicura, attraverso la violenza e l’inganno non solo è un disegno criminale che non può trovare alcuna legittimazione, ma anche un progetto volto al fallimento più completo, che prima verrà abbandonato, prima risparmierà notevoli sofferenze per molta gente. Paradossalmente, mentre nei p aesi più sviluppati della terra, milioni di persone stanno vedendo sempre più svanire le proprie garanzie sociali, si vuole pretendere di ergersi a maestri di fronte a realtà che invece cercano con successo di evolvere e migliorarsi, pur tra cotraddizioni, difficoltà ed ostacoli di ogni sorta. In altre parole si vorrebbe pretendere che un sistema statale disciplinato e ordinato fondato su sani principi che garantisca stabilità e sicurezza ai propri cittadini e che usi il rigore contro chi attenta a quel tipo di società, sia peggiore di un sistema in costante declino che lascia ai suoi cittadini il diritto di lamentarsi liberamente per i suoi problemi, senza però far nulla per risolverli. Va altresì ricordato e mai perso di vista un punto fondamentale: il diritto degli individui di organizzarsi e portare avanti determinati tipi di posizioni politiche è garantito fino al punto in cui queste attività non rappresenteranno un pericolo per le classi dominanti. Qualora le possibilità di cambiamento del tipo di società siano però alla reale portata di una di queste organizzazioni, ecco che esse saranno immediatamente bollate come sovversive, terroristiche e comunque facente parti di quella serie di soggetti elencati nel sopracitato articolo n°30.
Se i grandi profeti del pensiero liberale odierno scendessero qualche volta di più dalle loro cattedre e si mettessero invece nei panni, ad esempio, di quegli 8,2 milioni di cittadini italiani che l’ISTAT ha dichiarato vivere in condizione di povertà relativa (di cui 3,4 milioni in povertà assoluta) probabilmente non solo staremmo molto meglio noi, ma anche i cittadini di quei paesi emergenti vittima delle “attenzioni” dei dirittumanisti di turno. L’Italia oggi non si può definire un “paese povero” nel senso assoluto, poiché la maggior parte dei suoi cittadini gode comunque di un tenore di vita più che accettabile se non ottimo, ma il fatto che questo benessere sia sempre più traballante e precario, sempre più legato ad un eredità passata ormai in via di esaurimento, e con una quota di cittadini che non possono goderne in costante crescita dovrebbe quantomeno far riflettere profondamente tutti noi sul futuro che ci si prospetta. Un paese come il nostro, s enza sovranità, in costante emorragia di capitale finanziario e umano, guidato da un governo in stallo legislativo è come una bomba ad orologeria. Ed in una situazione come questa sarebbe molto più utile pensare a risolvere i problemi sociali e nazionali nostrani, che non tagliarci ulteriormente le vene sanzionando l’Iran, bombardando la Libia, danneggiando il nostro commercio con la Cina Popolare o la Russia, o inviando missioni militari a sostegno dell’imperialismo atlantico, il tutto con la pretesa di difendere i diritti umani delle popolazioni di quei paesi (magari sostenendo nel contempo gruppi estremisti o terroristi in essi operanti, tanto per essere coerenti con la propria incoerenza). Il capitalismo liberista dimostra sempre di più soltanto di essere capace di porre obiettivi sulla carta stampata senza avere dentro di sé le capacità di realizzarli e dare risposte concrete, che sono quelle che la popolazione si aspetta. Una forma di società rispettosa dei diritti umani è quella che dà ai suoi cittadini la possibilità di avere una vita stabile, sicura e sana e che non esiti a colpire chi attenta ad essa per soddisfare il proprio egoismo personale o dietro ordine di chi non tollera che esistano società alternative alla propria. In altre parole rispetta i diritti umani solo chi dà un aiuto concreto alla risoluzione delle necessità sociali degli individui, intesi non come corpi estranei l’uno dall’altra ma come parte di una collettività unica, e non chi abbandona questi individui a sé stessi, lasciando ad essi soltanto la libertà di lamentarsi o di cercare rifugio in miti inesistenti, in comportamenti autodistruttivi che culminano anche con il suicidio.

(1) Interlex

0 commenti:

Posta un commento