venerdì 11 ottobre 2013

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Harvard – Draghi chiude l’Eurogabbia. Letta, Cdm da pazzi
Giovedì,  Ottobre 10th/ 2013

– di Sergio Basile –

L'Euro è irreversibile! La salvezza? L'Accentramento dell'impero bancario
Italia – La risposta "ideale" di Letta-Stalin & Co: nuove dismissioni del patrimonio pubblico nazionale e stabilizzazione del Comitato permanente di privatizzazione

Draghi chiude la gabbia – L'Euro? Irreversibile                                                

Francoforte, Roma, Harvard – di Sergio Basile - Mario Draghi, nella giornata di ieri ha mandato avanti la sua efficace macchina propagandistica nel centro decisionale (vero) dell'impero europeo: gli Stati Uniti d'America, quartier generale delle principali (criminali) agenzie di rating. Ciò ribadendo con forza e sconcerto che l'euro (lo strumento cardine della distruzione dell'economia di una manciata di paesi europei, i cosiddetti Pigs, e non solo) è «irreversibile». Ciò per la gioia degli stessi speculatori e banchieri statunitensi che da anni banchettano sulle macerie di paesi come Italia e Grecia, legittimando il genocidio indotto dei rispettivi popoli.

Genocidio dei popoli del Sud Europa – Euro e Unione Bancaria               

La soluzione per l'"italiano" Draghi è dunque l'unione bancaria, per altro
già decisa e legittimata dagli "illuminati" incravattati dell'Eurocamera (vedi allegati in basso): organo francamente ridicolo e completamente asservito al sistema. «Quando avviene la frammentazione del sistema bancario – ha dichiarato Draghi – questo mina non solo l'unicità della moneta, ma anche le condizioni della concorrenza. Quando in un mercato unico, un'impresa spagnola riceve un finanziamento da una banca del suo Paese a un tasso d'interesse più alto di quello che otterrebbe da una banca olandese - ha aggiunto - si crea un problema sistemico: non siamo più davanti a un mercato unico per i capitali. Questo – ha monito – è quello che l'unione bancaria vuole capovolgere». Come dire, col Sistema Target2 ti creo deficit indotto e ti destabilizzo il sistema economico, gonfio il debito pubblico – con la complicità di rating e spread – e poi fingo di trovare la soluzione, accentrando l'impero. Francamente questa follià è inaccettabile. E la distruzione di un Paese meraviglioso e ricco come l'Italia ne è la cartina tornasole.

 La Risposta del Governo Letta                                                                               

Come, in scia a quanto detto, emblematica è la nuova dismissione del patrimonio pubblico nazionale – creato in secoli di sudore e duro lavoro dai nostri avi - decisa ieri dal CdM Letta per compiacere questo folle meccanismo assassino e la stabilizzazione permanente del "Comitato (stalinista) di privatizzazione". Ma il colmo della follia è stato raggiunto quando il banchiere-capo dell'euro-impero ha dichiarato come il "trasferimento di poteri a livello europeo in materia fiscale con le recenti riforme, non è una perdita di sovranità, ma un rafforzamento del pilastro fiscale dell'unione, in un modo che ridà credibilità alle politiche di bilancio renendole più efficaci". Tutto ciò mentre i nodi "signoraggio bancario" e "sovranità monetaria" continuano ad essere puntualmente evasi da poilitici e media, e mentre a Francoforte continua lo scempio e lo sperpero di denaro dei contribuenti europei nella costruzione della nuova faraonica sede della BCE: 1,2 miliardi di euro di spesa. Di sangue!

Sergio Basile (Copyright © 2013 Qui Europa)
Qui Europa

secondo la commissione europea guadagnamo troppo.E come mai in Svizzera che hanno la metà delle tasse erogano stipendi che sono doppi dei nostri? Sarà mica perché non hanno l'euro? Inoltre, come dice Giovannini, siamo pure troppo ignoranti (non abbiamo tanti masters da esibire) per quello che siamo improvvisamente poco occupabili. Non è che ci stanno riempiendo di cazzate?


L’irrealtà degli Stati Uniti d’Europa

Lo scorso 30 maggio, scrissi qui che quello che il neo governo di Enrico Letta si sarebbe apprestato a fare al popolo italiano in nome dell’ideale degli Stati Uniti d’Europa sarebbe stato ancora più rigore (tagli alla spesa e maggiori imposte) e ulteriore indebolimento dei lavoratori; naturalmente non era un’idea mia ma riprendeva solamente le parole dello stesso Letta: della serie “Ci fottono e ce lo dicono pure”.

Il punto su cui vorrei soffermarmi è questo: spesso, in molti sono concordi nel dire che i sacrifici che ci vengono richiesti oggi siano necessari e in fin dei conti accettabili perché finalizzati al raggiungimento di una meta finale più alta, più nobile, ossia la creazione degli Stati Uniti d’Europa, una federazione di Paesi strutturata in modo simile agli Stati Uniti d’America. Gli stessi architetti dell’Euro hanno ammesso a più riprese che la condivisione della moneta unica era solo il primo passo, cui sarebbe dovuta seguire l’unione fiscale fra gli Stati (ad oggi, infatti, non esiste un Ministero del Tesoro Europeo).


Fonte: AGI.

In merito, Enrico Letta ha candidamente ammesso nel suolibroL’Europa è finita (scritto con Lucio Caracciolo nel 2010): ”l’euro è l’anticamera dell’unione politica. Ed è l’unica anticamera possibile. Perché all’unione politica non si potrà mai arrivare, e non si arriverà mai, per semplice volontarismo dei governi, che su questi temi si muovono soltanto sull’impeto dell’urgenza e della necessità. Così come l’Europa è nata dopo la guerra, e per via della guerra; così come l’euro è nato dopo la riunificazione tedesca e la fine del muro di Berlino; allo stesso modo, l’unione politica non può che nascere dalla crisi, dalla grande crisi finanziaria a causa della quale l’Europa rischia di implodere…[...] L’euro è l’anticamera della futura unione politica perché, rispetto alla crisi, rende evidenti quali sono i termini della questione: o si abbandona la moneta unica o si torna alle monete nazionali, e quindi ai singoli Stati membri, facendo dell’Unione europea un’area di libero scambio – dunque andando indietro su molte conquiste di questi anni  - oppure si va avanti. Ma andare avanti vuol dire che siamo di fronte a questa alternativa solo perché c’è l’euro. Se l’euro non ci fosse stato non ci troveremmo di fronte a questa scelta” (pag. 35 e 39).


Recentemente, lo stesso Romani Prodi ha ammesso pubblicamente che: ”La colpa non è dell’euro in sé ma del fatto che non si possono fare le cose a metà. [..] Erano tutti d’accordo che l’Euro doveva essere rafforzato. Ma poi è arrivata l’Europa della paura ed ora ne paghiamo le conseguenze” (fonte).

Il che significa, da una parte, riconoscere che oggi ci sono problemi oggettivi derivanti dalla moneta unica e dalla struttura di governo dell’Eurozona e, dall’altra, legittimare la prosecuzione su questa strada (accettando quindi i sacrifici che ne derivano in termini di disoccupazione, aziende che chiudono, condizioni di lavoro sempre più precarie e infime, disagi sociali crescenti, suicidi per motivi economici) in nome di una meta da raggiungere, di un sogno da perseguire: gli Stati uniti d’Europa appunto.

Ecco, detto ciò, cosa dicono invece due della figure più importanti a livello di istituzioni europee: gli Stati Uniti d’Europa sono irrealizzabili. Sì, avete capito bene, e non si tratta di due di poco conto.


Uno è il presidente della Banca Centrale Europea,Mario Draghi, il quale, il 27 settembre 2013, ha dichiarato: “Una politica di bilancio comune all’interno dell’Unione Europea appare oggi poco credibile perché essa viene vista come un modo per trasferire su altri Paesi il peso degli sprechi del passato” (fonte).

L’altro è Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio Europeo (che riunisce i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea), che il 9 maggio 2012 ha ammesso: “L’Unione europea non diventerà mai gli Stati Uniti d’Europa. Siamo 27 o 28 con la Croazia, ciascuno ha la sua storia, per alcuni lunga 200 anni, come per Belgio e per altri è una storia di migliaia di anni. Non siamo come uno Stato americano. Abbiamo le nostre lingue, 23 in Europa. Abbiamo un’identità particolare in ogni nostro stato membro e situazioni molto specifiche dovute alla nostra storia” (fonte).


Ma non finisce qui, perché anche un ammorbidimento delle posizioni del governo tedesco sulle politiche di rigore non sembra affatto alle viste, dal momento che Angela Merkel ha ribadito lo scorso 21 settembre la sua totale contrarietà a qualsiasi forma di mutualizzazione europea del debito pubblico: “non ci saranno eurobond [titoli del debito pubblico a livello europeo, nda]… la condivisione dei debiti è sbagliata” (fonte).

Una posizione peraltro tutt’altro che nuova, visto che il 27 giugno 2012, la stessa Cancelliera dichiarava: “Mai eurobond finche vivo” (fonte).

Dopo tutto voi avete l’impressione che sia anche solo politicamente proponibile all’opinione pubblica tedesca o finlandese (gli stessi che volevano il Partenone come garanzia per gli aiuti alla Grecia) di fare quello che il Tesoro degli Stati Uniti d’America fa su base regolare, ossia operare trasferimenti fiscali dagli Stati più ricchi a quelli più poveri?

Negli Stati Uniti d’America, infatti, come testimonia questo studio pubblicato dalla rivista Economist il primo giugno 2011, “alcuni Stati federali ricevono più in spesa federale di quello che pagano in imposte federali; altri ricevono meno. Dopo oltre un ventennio, questi trasferimenti fiscali rappresentano una somma considerevole. Dal 1990 al 2009, il governo federale ha speso 1,44 trilioni di dollari e riscosso in tasse meno di 850 miliardi di dollari, una differenza di oltre 590 miliardi di dollari. Ma in relazione alla grandezza della sua economia, la Virginia ha ottenuto minori vantaggi dall’unione fiscale Americana rispetto a Stati come il New Mexico, il Mississipi e la West Virginia, dove i trasferimenti ventennali hanno superato il 200% del loro Prodotto interno lordo annuale. I trasferimenti verso Puerto Rico [...] hanno superato il 290%. Da dove provenivano questi trasferimenti? New York ha trasferito oltre 950 miliardi di dollari al resto dell’Unione fiscale dal 1990 al 2009, il Delaware ha fatto la più grossa contribuzione, equivalente a più del doppio del suo Pil del 2009″.

Inoltre, un autorevole studio sul tema, datato 1991 e intitolato Fiscal federalism and optimum currency areas: evidence for Europe from the United States, di Jeffrey Sachs (Harvard University) e Xavier Sala-i-Martin (Yale University) sottolinea come negli stati Uniti “la riduzione di un dollaro nel reddito pro capite regionale fa scattare una diminuzione di circa 34 centesimi di imposte federali e un incremento dei trasferimenti fiscali di circa6 centesimi. Quindi, la riduzione finale del reddito pro capite disponibile è nell’ordine di 60 centesimi. Ossia, da un terzo a circa la metà dello shock iniziale viene assorbito dal governo federale. [...] Calcoli grezzi sull’impatto del sistema di tassazione Europeo esistente sul reddito regionale suggeriscono che uno shock di un dollaro sul PIL regionale ridurrebbe i versamenti fiscali al governo della Comunità Economica Europea di mezzo centesimo. Quindi, l’attuale sistema di tassazione Europeo ha una lunga strada da fare prima di raggiungere i 34 centesimi del Governo Federale degli Stati Uniti”.

Il grafico in basso fotografa esattamente l’andamento dei trasferimenti fiscali negli Stati Uniti d’America dal 1990 al 2009 in percentuale del Pil del singolo Stato. In verde abbiamo gli Stati per così dire “contributori netti” (quelli cioè che versano al governo federale una somma maggiore di quella ricevuta da parte del Tesoro americano), mentre in rosso abbiamo gli Stati che possiamo definire “beneficiari netti” (dal momento che ricevono sotto forma di spesa pubblica e trasferimenti da parte del governo federale più di quanto pagano in tasse).


Ecco, qualcuno crede che sia razionale e realistico credere (o sarebbe meglio dire sognare) che sia politicamente possibile che, per esempio, la Baviera trasferisca denaro dei propri contribuenti al Peloponneso o all’Andalusia?

La mia risposta è no. E l’impressione (personale) è che il fare appello agli Stati uniti d’Europa sia ormai diventato per i nostri governanti un modo, da un lato, per prendere tempo, dal momento che qualsiasi politico sa perfettamente che l’ammissione del fallimento del progetto dell’Unione Monetaria e dell’Euro sancirebbe la propria fine politica; dall’altro, fornisce un alibi perfetto per quando le cose andranno a scatafascio e i politici nostrani potranno dire: “Eh, lo sapevamo che l’Euro da solo era sbagliato e infatti volevamo fare gli Stati Uniti d’Europa,  ma la Merkel brutta e cattiva non ha voluto”.

Daniele Della Bona

Fonte: MEMMTTOSCANA


Deindustrializzare: vi spieghiamo perché dal 2007 ad oggi la produzione industriale italiana è crollata del 20 per cento

di Loretta Napoleoni

Si salvi chi può, ecco il motto degli imprenditori italiani travolti dalla deindustrializzazione. In Eurolandia solo la Finlandia condivide questo triste destino. I motivi, secondo la Commissione europea, sono legati all’aumento del salario lordo ed alla bassa competitività del Made in Italy. Ma pesa anche il costo energetico (il più alto dell’Unione insieme a Cipro), l’eccessiva burocrazia e il basso livello d’investimenti nella ricerca e nello sviluppo. Ecco spiegato perché dal 2007 ad oggi la produzione industriale italiana è crollata del 20 per cento.

Di fronte alla nave che affonda chi sa nuotare si getta in acqua per raggiungere la terra ferma. È quello che hanno cercato di fare le 682 imprese che hanno risposto all’invito del sindaco di Chiasso, per partecipare a un incontro sulla possibilità di trasferirsi in Svizzera. Ne sono state selezionate per l’incontro 168.Tutto ciò succede nella stessa settimana in cui due colossi italiani Telecom ed Alitalia, e presto anche sezioni di Finmeccanica, vengono svenduti sul mercato internazionale ai partner-concorrenti stranieri, rispettivamente Telefonica ed Air France-Klm. Partner che esercitano opzioni loro concesse anni fa dal management italiano. Queste sono le ultime di una lunga lista di imprese prestigiose – dalla Ducati alla Plasmon fino alla Fiat, ormai trasferitesi negli Stati Uniti – a diventare di proprietà straniera.

Viene spontaneo chiedersi se le piccole e medie imprese italiane varcano il confine per paura di finire anche loro fagocitate dai concorrenti stranieri. Timore razionale: con la pressione fiscale più alta in Europa, costi di produzione astronomici ed una burocrazia da terzo mondo, lavorare bene in Italia ed essere competitivi non è più possibile.

In Svizzera invece la situazione è diametralmente opposta: l’Iva è ancora ferma all’8% – in Italia si discute se portarla al 22%. La pressione fiscale media sulle imprese è del 17,1%, quella complessiva è meno della metà del 68,3% imposto alle aziende italiane. Chi investe a Chiasso, come in tutto il Ticino, e assume lavoratori locali, ha la possibilità di ottenere rimborsi sugli oneri sociali. Infine, chi punta in settori innovativi, come quelli tecnologici, ha anche qui la possibilità – poi tutto varia da caso a caso – di ottenere aiuti sugli investimenti. La deindustrializzazione colpisce tutte le imprese ed è frutto per le piccole della pessima gestione dell’economia e per le grandi della ancor peggiore conduzione manageriale da parte di individui scelti dai politici egualmente incompetenti. Le disavventure di Alitalia ben illustrano questa situazione. Vale la pena rinfrescarsi la memoria a riguardo.

Nel 2008 i francesi offrirono 6,5 miliardi di euro per gli investimenti necessari a far ripartire l’impresa in cambio del pacchetto di maggioranza dell’azienda. Berlusconi, allora in campagna elettorale, disse di no e guidò l’Operazione Fenice alla quale parteciparono alcuni suoi “accoliti” industriali e manager con lo scopo di far rimanere italiana l’Alitalia. Risultato: oggi l’Alitalia trasporta circa 25 milioni di passeggeri, meno di un quarto di quelli di Lufthansa e meno di un terzo di quelli della compagnia low cost Ryanair e del gruppo franco-olandese Air France-Klm. Un disastro!

Lo Stato italiano ha buttato quattro miliardi di euro per sanare il fallimento della compagnia di bandiera. La cordata di imprenditori capitanata da Roberto Colaninno e Intesa Sanpaolo ha perso un altro milione e le leggi ad hoc varate dal governo Berlusconi sulla chiusura del mercato, con il divieto d’intervento per l’Antitrust sulle tratte monopolistiche detenute dalla nuova Alitalia, non hanno funzionato. Il destino triste dell’industria italiana è segnato dall’inettitudine della sua classe politica. Trasferirsi in Svizzera, per molti, è l’unica alternativa al declino.

Saldi all’italiana
Nel 1992, dopo la svalutazione, Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, guida i primi saldi all’italiana sul mercato internazionale. Multinazionali angloamericane, ma anche francesi e svizzere, arrivano in Italia per «fare shopping»: vanno in cerca di società, specialmente agroalimentari e di meccanica di precisione, da comprare a poco prezzo. La Nestlé, per esempio, compra l’Italgel per 680 miliardi di lire contro una valutazione di 750. Anche i giganti italiani guadagnano dallo smembramento del patrimonio nazionale: il gruppo Benetton si aggiudica per 470 miliardi GS autogrill, che poi rivende ai francesi di Carrefour GS per 10 volte tanto. Viene privatizzata totalmente la Telecom, oggi fagocitata dalla Telefonica spagnola, e parzialmente l’Enel e l’Eni.
La svendita del Made in Italy non porta, come era stato promesso, al miglioramento dei conti pubblici ma contribuisce al processo di deindustrializzazione che oggi preoccupa la Commissione Europea. Nel 1994 il debito pubblico ammontava a 1.771.108 miliardi di lire mentre il gettito generato dalle privatizzazioni per il triennio 1993-1995 fu di di appena 27.000 miliardi, meno dell’1,5 per cento.

Fonte: www.caffe.ch
http://www.oltrelacoltre.com/?p=17278


Spagna: 3 milioni di persone vivono in povertà estrema
Pubblicato da ImolaOggiEUROPA UE, NEWSott 10, 2013
poverta10 OTT – Tre milioni di spagnoli vivono in situazione di povertà estrema – vale a dire con meno di 307 euro al mese – una cifra doppia rispetto all’inizio della crisi, nel 2008. Il dato allarmante è contenuto nel rapporto della Caritas spagnola del 2012, anno in cui la organizzazione cattolica ha accolto e assistito in Spagna 1.300.914 persone.
Il rapporto dell’Osservatorio sulla realtà sociale, presentato oggi a Madrid dal segretario generale della Caritas, Sebastian Mora.
http://www.imolaoggi.it/2013/10/10/spagna-3-milioni-di-persone-vivono-in-poverta-estrema/

Francia, rapporto choc: un contadino suicida ogni due giorni
Pubblicato da ImolaOggiEUROPA UE, NEWSott 10, 2013
europa10 ott – Ogni due giorni vi è un suicidio fra gli agricoltori francesi. Il dato scioccante è contenuto in un rapporto pubblicato oggi dall’Istituto Nazionale per il controllo sanitario, che ha preso in esame il periodo 2007-2009, registrando 500 suicidi nelle campagne. Si tratta della terza causa di morte, dopo tumori e malattie cardiovascolari.
http://www.imolaoggi.it/2013/10/10/francia-rapporto-choc-un-contadino-suicida-ogni-due-giorni/

2 commenti:

  1. dove sono i paladini della democrazia piddina???

    non mi sembra molto democratico questo d r a g h i con la storia del processo irreversibile...

    ci siete piddini???

    che schifo

    lelamedispadaccinonero.blogspot.it

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  2. eh i piddini stan lottando per difendere la democrazia....per i i rimborsi elettorali e che diamine, tutto il lavorio che fanno a favore dell'usurocrazia europeide dovrà essere ricompensato no? ;)

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