domenica 17 novembre 2013

Se fosse vero sarebbe una scoperta scientifica sensazionale per una volta, a favore della vita e della natura e per rimediare ad un danno incalcolabile causato dalla scienza in collaborazione con il capitale. Speriamo che si affrettino a trovare il modo di decontaminare tutto ciò che il nucleare ha impestato ed avvelenato. Sempre se non disturba gli interessi di qualche compagnia multinazionale.
Barbara

Wow: super depurazione anti radiazioni.
Passa da Pavia, presidio chiave per le tecnologie nucleari, la strada che potrà portare l’Italia alla centrale atomica di Fukushima. E’ qui infatti che al Lena (Laboratorio Energia Nucleare Applicata) è stata testata in gran segreto Wow, l’invenzione di un ingegnere padovano, i cui risultati sono stati definiti senza precedenti. Alle facoltà di fisica e chimica dell’Università, infatti, dove dal 1965 è in funzione Triga, un piccolo reattore nucleare di ricerca gestito dal Lena. Dopo tre prove ripetute a distanza di pochi mesi, gli esperti hanno ottenuto acqua decontaminata da una soluzione fortemente radioattiva contenente radiocesio, lo stesso radionuclide di Fukushima.

L’ultimo esperimento il cui esito è stato certificato il 15 ottobre 2013, è durato quaranta giorni di fila ha raggiunto una conclusione incredibile, determinando una riduzione di 7.500 volte della concentrazione di Cesio radioattivo nell’acqua. Di qui, tutta una serie di scenari che possono portare questa tecnologia ad affrontare i guai della centrale giapponese. Oggi a Fukushima vengono depurati 25 mila metri cubi d’acqua al mese e la radioattività viene confinata in 5 mila metri cubi di fanghi e rifiuti. Con Wow, dalla stessa quantità si otterrebbero solo 5 metri cubi di residui, senza produrre fanghi o rifiuti aggiuntivi. Una conclusione che ha già allertato non solo gli scienziati, ma anche il mondo dell’impresa e degli operatori specializzati, che ha fiutato enormi business potenziali. Lo strumento, presentato insieme alla multinazionale Techint al Remtech di settembre a Ferrara, rassegna dedicata ai processi di bonifica dei siti contaminati, ha suscitato subito un enorme clamore nel ristretto ambiente del settore, una volta dimostrato che il macchinario azzera la radioattività nel liquido trattato proveniente da soluzioni contaminate. La storia comincia un paio d’anni fa, quasi per caso, quando Adriano Marin, studioso veneto cinquantenne, nel garage di casa costruisce con altre persone e con una spesa ridicola il prototipo di un potabilizzatore portatile, con l’obiettivo di salvare dalla siccità alcuni villaggi africani. Ma presto le prime prove dimostrano che lo strumento è in grado di separare le molecole d’acqua da qualunque altro elemento. Fanghi, metalli, inquinanti di ogni natura, fino agli atomi radioattivi. Piccolo come una lavatrice, l’apparecchio consente - attraverso un mero ma misterioso processo fisico - di depurare l’acqua radioattiva, senza utilizzare alcun filtro o sostanze chimiche. Una procedura termodinamica legata all’evaporazione, coperta da brevetto industriale mondiale. Il primo a essere incredulo è lo stesso inventore, che però sottopone Wow a delle prove servendosi prima dei laboratori Arpav di Padova, poi del Cnr. Dopo i risultati formidabili, l’approdo è al Lena di Pavia, dove Wow viene volutamente testato su acque molto simili a quelle utilizzate per il raffreddamento dei reattori incidentati di Fukushima: il risultato conferma la riduzione di 7.500 volte della presenza di Cesio. Il fattore di riduzione del volume, però, per una ragione molto tecnica, non è esattamente uguale al fattore di decontaminazione. Nella pratica, da 5.000 metri cubi di acqua radioattiva se ne ottengono 4.999 di acqua pulita. Un livello di abbattimento centinaia di volte superiore a quello di qualunque metodo oggi disponibile.

Gli sviluppi della tecnologia sembrano illimitati, estensibili come sono alla desalinizzazione, alla pulizia delle acque di sentina, alla lavorazione dei metalli pesanti all’abbattimento dei fumi tossici vaporizzati (come nel caso dell’Ilva di Taranto), al trattamento di percolati di siti oggetto di bonifica e recupero ambientale. Chiunque produce rifiuti liquidi, insomma, è un potenziale fruitore dell’invenzione. Tanto è vero che attorno all’ingegner Marin è nata una start up di dodici azionisti, che hanno creduto nel progetto quando ancora non c’erano certezze, condividendo con l’inventore, prima che le possibilità di guadagno, sogni e speranze che questa scoperta può rappresentare per il nostro Paese e per l’ambiente. La sfida è mantenere il brevetto in Italia e lanciarlo su larga scala nel mondo.
Dall’inviato Enrico Fovanna - Pavia, 31 ottobre 2013


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