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giovedì 25 dicembre 2014

Il cyber-attacco preventivo degli USA alla Corea democratica avrà gravi conseguenze

Wayne Madsen Strategic Culture Foundation 23/12/2014

Gli Stati Uniti hanno utilizzato le più inconsistenti prove per giustificare un attacco massiccio al rudimentale servizio internet della Repubblica democratica popolare di Corea. Con il lancio di ciò che equivale a un attivo cyber-attacco contro la Corea democratica, una potenza nucleare, l’amministrazione Obama ha ancora una volta dimostrato di essere più adatta a usare la forza che la diplomazia, e le spacconate al ragionamento. Quando si tratta di brandire l’arsenale degli USA, che si tratta di armi tradizionali o cyber-armi, Barack Obama non è diverso dal suo predecessore guerrafondaio George W. Bush. Anche gli svolazzi retorici di Obama corrispondono a quelli di Bush. Rispondendo alla presunta pirateria informatica della Corea democratica alla rete dei computer della Sony Pictures, per la prevista proiezione a Natale della commediola “The Interview”, dove un carro armato uccide il leader nordcoreano Kim Jong Un. Obama ha detto che gli Stati Uniti avrebbero risposto “nel luogo, tempo e modi che abbiamo scelto”. A quanto pare, la risposta è venuta sotto forma di attacco dell’US Cyber Command alle poche connessioni Internet che la Corea democratica mantiene con il resto del mondo. La maggior parte della connettività globale della Corea democratica avviene tramite server nella città cinese di Shenyang. La Corea democratica non aveva connettività diretta con Internet fino al 2010. Vi sono tutte le indicazioni che la Central Intelligence Agency degli Stati Uniti, così come il dipartimento di Stato degli Stati Uniti, abbiano collaborato con i dirigenti della Sony Pictures, produttori di “The Interview” come operazione di “soft power per minare il governo della Corea democratica. Un certo numero di DVD pirata attraversa il confine Cina-Corea democratica dove i cittadini nordcoreani normalmente sono esclusi dalla visione di film occidentali. La CIA e il suo contraente privato prediletto, la RAND Corporation di Santa Monica, in California, hanno riconosciuto il “soft power” nella cultura popolare degli Stati Uniti integrandone l’impiego nelle operazioni d’intelligence degli Stati Uniti. La diffusione nel 2012 su YouTube del “trailer” del film anti-islamico “The Innocence of Muslims”, aveva tutte le caratteristiche di una provocazione delle intelligence statunitense e israeliana per sfruttare le già tese proteste di piazza dall’Egitto e Libia a Yemen e Pakistan. A seguito delle informazioni raccolte dalle e-mail violate dei vertici della Sony Pictures di Culver City, California, e della Sony Corporation di Tokyo, la responsabilità politica e delle agenzie di intelligence nella produzione e distribuzione programmata di “The Interview” diventa cristallina. E’ anche abbondantemente evidente che i responsabili dell’hacking dei computer Sony avessero informazioni che avrebbero potuto ottenere solo addetti ai lavori della Sony o delle agenzie d’intelligence statunitensi. Le informazioni in possesso degli “hacker” includevano password amministrative e di sicurezza e altre credenziali privilegiate. Ci sono anche scarse prove che il gruppo di hacker che ha rivendicato la fuga di numerosi file della Sony Pictures, “I Guardiani della Pace”, sia legato alla Corea democratica.
Sony Corporation è sotto pressione da parte del governo del Giappone a causa dei negoziati molto sensibili tra Tokyo e Pyongyang sul rimpatrio di cittadini giapponesi, per lo più della città di Niigata, rapiti dalla Corea democratica negli anni ’70. Le delicate trattative tra Tokyo e Pyongyang sono incentrate sul numero di sequestrati che devono essere rimpatriati. Mentre Corea democratica e Giappone concordano sul numero dei rapiti giapponesi, meno di 20, altri rapporti indicano che sarebbero centinaia. Mentre la Corea democratica si preparava per consegnare a Tokyo una lista di 883 rapiti, numero che ha stupito il governo giapponese del primo ministro Shinzo Abe, Sony Pictures ha annunciato la distribuzione di “The Interview” il 25 dicembre. Il film, che ha per stelle i tristi e arroganti sostenitori dell’Israel Defense Force Seth Rogen e James Franco, è carico di stereotipi anti-asiatici e sciovinismo americanista. Quando i dettagli del film sono fuoriusciti, non da parte degli hacker ma dalle pagine di Hollywood Reporter e VarietySony e il governo giapponese si sono preoccupati. La scena più raccapricciante del film mostra la testa di Kim fatta a pezzi da un carro armato, spargendo materia cerebrale, pezzi di cranio, capelli e carne carbonizzata. I due personaggi principali, interpretati da Rogen e Franco, sono presumibilmente assunti dalla CIA per uccidere Kim Jong Un, dopo esser stati invitati a intervistare il leader nordcoreano. Secondo le e-mail trapelate della Sony, i dirigenti della sede centrale di Sony tentavano di frenare la libera gestione della divisione di City Culver e modificare il contenuto del film che avrebbe infiammato il governo della Corea democratica. Su pressione del governo Abe a ritirare “The Interview”, i dirigenti della Sony iniziarono a fare presente le loro riserve alla divisione intrattenimento della società a Culver City. I bigotti media aziendali statunitensi, legati a Hollywood tramite i legami aziendali di Fox News, MSNBC, CNN e “Tinsel Town”, si sono lamentari di come gli Stati Uniti siano preda del bullismo del dittatore della Corea del Nord. La CIA è salita sul carro invocando maggiore sorveglianza del cyberspazio. E senza alcuna prova, anche circostanziale, il Federal Bureau of Investigation ha accusato la Corea democratica del cyber-assalto alla Sony. La Corea democratica è il cyber-spauracchio favorito dal complesso militar-spionistico degli Stati Uniti che la classifica con Russia e Cina per creare “cyber-nemici”.

Le e-mail hackerate della Sony mostrano lo scambio tra l’“esperto” sulla Corea democratica della RAND Corporation Bruce Bennett e il presidente e CEO della Sony Pictures Entertainment Michael Lynton. Bennett ha detto di aver esaminato la scena finale in cui la testa di Kim saltava e credeva che il DVD del film, una volta contrabbandato in Corea democratica, avrebbe avuto un impatto in Corea potendo accelerare l’assassinio del vero Kim e innescare il rovesciamento del governo della Corea democratica. 

La RAND Corporation era ed è un’importante azienda della CIA. Bennett è il consulente sulla Corea democratica della RAND i cui consigli sono richiesti dai finanziatori della RAND, CIA, US Cyber-Command (affiliato alla National Security Agency) e Pentagono. Lynton rispose a Bennett dicendo che la scena della morte di Kim era stata approvata da un alto funzionario del dipartimento di Stato degli Stati Uniti e dall’inviato speciale degli Stati Uniti per i diritti umani in Corea democratica, l’ambasciatore Robert King. Le email diffuse indicano che l’alto funzionario della Sony ha poi contattato Daniel Russel, assistente Segretario di Stato per l’Asia Orientale e il Pacifico. A giugno, la co-presidente di Sony Pictures Entertainment Amy Pascal, il cui razzismo verso il presidente Obama appare nelle e-mail rivelate dagli hacker “I Guardiani della Pace”, inviò una e-mail al vicepresidente della Sony Pictures Jeff Black con un ordine urgente: “dobbiamo far uscire da qui il nome della sonys [sic] al più presto”. Pascal esortava a cancellare la scena della morte orribile di Kim che RAND e dipartimento di Stato volevano rimanesse, e confezionare una versione meno violenta di “The Interview” da distribuire con la sussidiaria della Sony, la Columbia Pictures. Lynton inoltre convenne che la scena della morte dovesse sparire: “Sì, possiamo essere carini qui. Ciò che vogliamo veramente non è il volto che esplode, in realtà non vederlo morire. Uno sguardo d’orrore all’avvicinarsi del fuoco è probabilmente ciò che ci serve”. E’ chiaro che i dirigenti della Sony in Giappone fecero pressione sulla divisione per abbandonare la scena, se non l’intero film. Kaz Hirai, presidente della Sony in Giappone, non voleva la scena della morte di Kim. Le sue preoccupazioni coincidevano con le trattative delicate tra Giappone e Corea democratica sui giapponesi rapiti. Tuttavia, emerge dalle e-mail trapelate che l’arrogante supporter delle IDF, la co-star Rogen, s’era infuriato nell’abbandono della scena della morte. Rogen, un noto sostenitore delle atrocità dell’esercito israeliano a Gaza e altrove, si è anche opposto al piano del capo della Sony, Hirai. Con i cartelloni teatrali che toglievano la prevista premiere di “The Interview” del 25 dicembre, Rogen e Franco hanno istigato i loro “glitterati” amici a condannare la censura. I proprietari del teatro si erano detti preoccupati da non precisate minacce “terroristiche” contro i teatri che proiettavano il film. Utili idioti come George Clooney e Bill Maher si sono mobilitati a difesa del film. Va sottolineato che l’operazione VICE di Maher, della HBO, è penetrata in Corea democratica con la scusa di documentare il viaggio del giocatore di basket Dennis Rodman per incontrare Kim. Non vi è dubbio che VICE, che accede ai campi di battaglia di tutto il mondo, sia un’altra operazione d’intelligence degli Stati Uniti con Hollywood come copertura.
La Corea democratica s’è offerta di condurre un’indagine congiunta con gli Stati Uniti sull’hackeraggio della Sony. Washington l’ha respinta immediatamente. Nessuno dell’amministrazione Obama vuole mostrare le impronte digitali degli Stati Uniti nel film di propaganda “The Interview”, meno di tutti alla RPDC. Lsabota negazione inaudita degli attacchi alle reti dei computer della Corea democratica spacciata da “risposta proporzionale” degli USA all’attacco alla Sony, ha innescato l’hacking dei computer dell’operatore dei reattori nucleari della Corea del Sud, Korean Hydro Nuclear Power Company (KHNP). Proprio come le sanzioni economiche contro la Russia hanno innescato una crisi finanziaria europea e mondiale, l’attivo cyber-attacco di Washington alla Corea democratica avrà conseguenze di vasta portata. L’amministrazione Obama, come il suo predecessore, dimostra al mondo che gli USA non sono affidabili con i loro adorati “giocattoli da guerra”.


Bruce Bennett: ‘esperto’ della CIA sulla Corea e nullità umana.


Robert King: l’inviato speciale statunitense per i ‘diritti umani in Corea democratica’, che invoca l’assassinio del leader della Corea democratica e il rovesciamento armato del governo nordcoreano.


Bill Maher: ideatore e padrone della serie giornalistica VICE, copertura globale delle operazioni della CIA.

La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.


GLI USA CONTANO SUL PARTITO "AMERICANO" IN RUSSIA

Salutata con accenti di gioia barbarica dai media "occidentali", la crisi economica russa non ha commosso neppure il Consiglio Europeo della scorsa settimana, che, sotto le direttive della cancelliera Merkel (cioè della NATO e del FMI), ha riconfermato le sanzioni contro la Russia. In realtà è tutto da dimostrare che le sanzioni "occidentali" abbiano qualcosa a che vedere con l'attuale crisi russa, per cui le sanzioni probabilmente rientrano nel capitolo dell'ingerenza imperialistica degli Usa in Europa in vista del suo inglobamento nel TTIP. Nella crisi russa risulta sicuramente molto più determinante la caduta del prezzo del petrolio innescata dall'Arabia Saudita. Quel che appare certissimo, è che le sanzioni europee stiano danneggiando seriamente l'export europeo; prova ne sia l'atteggiamento tiepido, seppure allineato, del presidente francese Hollande; ed anche i piagnistei di Renzi, il quale, pur riconfermando l'adesione italiana alle attuali sanzioni, ha pietito che almeno non se ne decidano altre.
Altrettanto da dimostrare è che un'eventuale dissoluzione del regime Gazprom-putiniano a seguito della caduta del prezzo del petrolio, abbia come sbocco l'instaurazione di un regime più filo-"occidentale" a Mosca. In Russia vi sono solo due poteri che contano: Gazprom, che è in gran parte espressione dell'ex KGB, e le forze armate. Sinora colui che i media occidentali hanno presentato come uno "zar" o come un "dittatore", cioè Putin, ha svolto in effetti un ruolo di mediazione tra questi due poteri, sebbene in modo sempre sbilanciato a favore degli affari di Gazprom. Date queste premesse, lo scenario più realistico a seguito di una caduta di Putin, dovrebbe consistere nell'emergere dell'altro potere che conta in Russia, quindi un regime militare. In quel caso la Russia uscirebbe dall'attuale atteggiamento meramente difensivo, ed allora davvero si potrebbe parlare di nuova guerra fredda. L'atteggiamento aggressivo del dipartimento di Stato Usa apparirebbe perciò piuttosto avventuristico; ma potrebbero esserci altre variabili in gioco.
La forza dell'imperialismo USA infatti non è mai consistita nella sua sagacia, e neppure nella sua intrinseca potenza. Non si comprende nulla dell'imperialismo, se non si tiene conto del fatto che esso funziona soprattutto per l'attrazione che esercita su tutti i gruppi affaristico-criminali in loco, che scorgono nell'aggressore imperiale un potenziale alleato per le loro losche operazioni. L'affarismo criminale determina sempre delle condizioni di guerra civile latente, ed è proprio questa guerra civile la vera risorsa dell'imperialismo. L'invasione NATO dell'Afghanistan nel 2001 fu possibile solo grazie al sostegno sul terreno da parte della cosiddetta "alleanza del Nord", cioè le milizie dei trafficanti di oppio, desiderosi di sbarazzarsi dei Talebani.
L'imperialismo USA è solo in parte un'espressione dell'oligarchia statunitense, e per molti versi è invece un prodotto delle oligarchie del resto del mondo. L'imperialismo non è solo americano, ma anche "filoamericano". Le mitiche "borghesie nazionali" non sono mai esistite; esistono invece gruppi affaristici, più o meno criminali, che agiscono a livello locale; gruppi che trovano la loro identità e la loro coscienza di classe nel collaborazionismo con l'ingerenza imperialistica. Persino dal punto di vista ideologico, l'americanismo ha trovato fuori degli USA apologeti e cantori spesso molto più efficaci - e subdoli - di quelli americani DOC; basti pensare all'austriaco Joseph Schumpeter.
Nel 1991 la prima Guerra del Golfo si risolse in un mezzo disastro per la coalizione guidata dagli USA. Gli Iracheni poterono concludere in modo ordinato il ritiro delle truppe dal Kuwait; un ritiro che avevano già cominciato prima della guerra, che era quindi priva di qualsiasi legittimità in base al diritto internazionale. Inoltre l'invasione del suolo iracheno fu bloccata in battaglie di carri che dimostrarono l'incapacità statunitense di superare avversari tecnologicamente meno attrezzati. I tecnici balistici russi che assistevano Saddam Hussein, riuscirono a colpire con i loro missili Scud (in pratica dei V2 della seconda guerra mondiale) sia Israele che l'Arabia Saudita. Nell'ultimo giorno di guerra un missile si abbatté su una caserma americana di fronte all'albergo dei giornalisti "occidentali", che, almeno per quella volta, non poterono fare a meno di riferirlo. Eppure l'impennata dei prezzi del petrolio dovuta alla guerra risultò mortale per l'Unione Sovietica, poiché la neonata Gazprom, grazie agli introiti ed alle prospettive di nuovi affari, riuscì a disfarsi di Gorbaciov.
Le politiche attuali dell'imperialismo USA si basano dunque sulla speranza che oggi in Russia il partito degli affari, pur di salvare gli affari, sia disposto a liquidare la stessa Russia come Paese unitario, per spezzettarlo in tante "Arabie Saudite" gestite da cleptocrazie locali. Il regolamento di conti tra Gazprom e le forze armate non sarebbe così scontato, e potrebbe assumere i contorni di una guerra civile.
Dal 2007 infatti Gazprom è una vera forza militare. Nel 2010 questo esercito privato era già pervenuto a dimensioni e ad un livello di armamenti considerevoli. La notizia della militarizzazione di Gazprom è pressoché assente nei media occidentali, forse perchè il fatto implica una conflittualità latente tra la stessa Gazprom e la ex Armata Rossa; una circostanza che contrasterebbe con l'immagine fasulla del Putin "zar" plenipotenziario che i media "occidentali vorrebbero imporre. I dati sull'evoluzione di Gazprom in esercito privato sono invece reperibili su siti di centri specializzati in studi militari.

sabato 20 dicembre 2014

PRIMO: SALVARE LE BANCHE! Il Quantitative easing di Mario Draghi

di Leonardo Mazzei
Il processo inarrestabile della disunione europea va avanti

Quantitative easing (QE): ecco il nuovo pomo della discordia di un'Europa sempre più divisa. La questione è da tempo sul tavolo della Bce, ma adesso il tempo stringe. Il problema è quello se utilizzare, oppure no, il QE per acquistare titoli di Stato. E, se sì, in quale misura. Su tutto ciò i paesi dell'eurozona sono divisi, e così pure il comitato esecutivo della Bce.

Il QE è un classico strumento di politica monetaria. L'acquisto di titoli - in generale non importa se pubblici o privati - è il mezzo per ottenere un significativo aumento della massa monetaria. Uno "stampare moneta" che, aumentando la liquidità, è normalmente orientato a far ripartire il credito e gli investimenti. Uno strumento, dunque, di una politica anticiclica utilizzato per contribuire all'uscita dalle recessioni più profonde. Che è quello che hanno fatto, con risultati significativi anche se non sempre univoci, le banche centrali degli Stati Uniti (Fed), del Giappone e della Gran Bretagna.

Il caso dell'eurozona è però palesemente diverso. E la diversità risiede nell'assurdità di una moneta unica per 18 stati con 18 diversi debiti, con 18 diversi tassi di interesse e 18 diversi rating. Il tutto a rappresentare 18 economie piuttosto disomogenee tra loro. Ovvio che in questa situazione la Bce sia intervenuta di fatto, negli anni scorsi, solo a tamponare provvisoriamente la situazione nei momenti più drammatici della crisi del debito.

Ed è chiaro che, nella sostanza, quegli acquisti hanno rappresentato una violazione dei trattati europei che vietano la messa in comune del debito dei singoli stati. Una violazione sulla quale tutti hanno chiuso un occhio per evitare il default dei paesi dell'area mediterranea. Ma oggi questo divieto viene richiamato con decisione dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che non più tardi di ieri l'altro lo ha ribadito con forza in una lunga intervista concessa a la Repubblica.

Lo scontro è dunque nelle cose, dato che gli interessi tendono sempre più a divergere. Ed è uno scontro ormai interno alla più "sacra" delle istituzioni europee, laddove la "sacralità" fa coppia fissa, come sempre in Europa, con la negazione di ogni principio democratico. Stiamo ovviamente parlando della Bce.

Nei giorni scorsi due importanti organi di stampa tedeschi, il settimanale Die Zeit ed il quotidiano Die Welt, hanno riferito, senza essere successivamente smentiti, di una clamorosa spaccatura all'interno del comitato esecutivo della Bce. Ben tre membri su sei - la tedesca Lautenschläger, il lussemburghese Mersch ed il francese Coeuré - si sarebbero rifiutati di sottoscrivere le dichiarazioni di Draghi che sembrerebbero preludere ad una sorta di "QE" all'europea", sia pure rimandandolo a gennaio.

La posizione anti-QE viene ampiamente ripresa e motivata nella già citata intervista di Weidmann, il quale conferma il no tedesco, rinforzandolo con un altro esplicito no alle richieste di flessibilità sui bilanci di Francia ed Italia. In sostanza Weidmann dice che le regole vanno semplicemente rispettate, che ogni deroga concessa servirebbe solo a renderle meno credibili. La classica impuntatura tedesca, si dirà, ma è un fatto che le regole alle quali egli si richiama sono state effettivamente sottoscritte da tutti i paesi dell'eurozona. Con l'Italia di Monti e Napolitano che, per eccesso di zelo, ne ha inserito il punto cardine perfino in Costituzione!

Tuttavia, nonostante l'opposizione tedesca, è assai probabile che il QE si faccia. Ma con quali scopi e in quali forme?

Chiariamo subito un punto. Con l'eccezione del patetico Scalfari, che continua a credere che il QE venga fatto per uscire dal credit crunch (stretta del credito), aprendo così la strada all'ormai mitica "ripresa", tutti sanno che il quantitative easing all'europea ha fondamentalmente un altro scopo: quello di salvare le banche italiane dalla bancarotta.

In queste settimane, ma in maniera più massiccia nei primi mesi del 2015, le banche dovranno restituire i prestiti del cosiddetto LTRO (Long term refinancing operation), concessi dalla Bce tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012. Pur essendo stati definiti di "lungo termine", questi finanziamenti sono ormai a scadenza. Il problema è che le banche del sud Europa furono chiamate ad utilizzare quei soldi per acquistare i titoli del debito dei rispettivi stati. In quell'operazione le banche guadagnarono, e non poco, visti i bassi tassi di interesse praticati da Francoforte, riempiendo però oltre misura i propri portafogli di titoli destinati a deprezzarsi nel prossimo futuro.

Assolutamente emblematico il caso italiano, ma lo stesso fenomeno si è verificato anche negli altri stati investiti dalla crisi del debito. Rispetto a tre anni fa la montagna di Btp posseduta dalle banche del nostro Paese è infatti passata da circa 200 miliardi ad oltre 400. Un raddoppio che mette a rischio la stabilità dei bilanci bancari, data l'insostenibilità delle attuali quotazioni.

Da cosa deriva questa insostenibilità? Per capirlo basta aprire gli occhi e mettere a confronto due dati: il primo è il livello straordinariamente basso dei tassi di interesse; il secondo è il deterioramento del livello del debito, al quale corrisponde anche un progressivo declassamento del rating, come quello annunciato nei giorni scorsi da Standard & Poor's. Semplicemente due cose che non possono stare insieme. Di sicuro non a lungo.

Certo, la riduzione dei tassi nominali è dovuta anche alla situazione di sostanziale deflazione in cui ci troviamo. Un fenomeno che, ad oggi, garantisce ancora un discreto interesse reale ai possessori dei Btp. C'è però un problema, e si chiama futuro. I Btp decennali rendono attualmente circa il 2% lordo. Ora, chi scommetterebbe mai su un tasso di inflazione inferiore al 2% tra 3 anni, 5 anni, 10 anni? Ovviamente nessuno. Ma chi ha in portafoglio questi titoli, specie quelli acquistati nell'ultimo periodo, e dunque con tassi più bassi, ha esattamente questo problema.

Un problema che può essere risolto solo disfacendosi di questa massa di Btp. Mediobanca, ad esempio, prevede che le banche italiane vorranno e dovranno scendere da 400 a 100 miliardi in un anno. Ma a chi vendere i restanti 300? O meglio, come farlo senza produrre un crollo del loro prezzo, e di conseguenza un'impennata dei tassi di interessi reali? Siccome non pare proprio che ci sia la ressa per comprarli, c'è solo una soluzione: l'acquisto da parte della Bce. E' l'attesa di questo evento che ha consentito di mantenere i tassi ad un livello così basso ed oggettivamente innaturale.

Da questo punto di vista l'intervento della Banca centrale europea è dunque una necessità assoluta. In caso contrario, al primo stormir di foglie, cioè alle prime avvisaglie di nuove tensioni sui mercati finanziari, molte banche rischierebbero il crac. Ovvio che Francoforte lo voglia impedire, anche perché la bancarotta del sistema bancario italiano equivarrebbe alla fine della moneta unica.

L'intervento di Draghi appare dunque obbligato, ma davvero la Bce vorrà funzionare come "acquirente di ultima istanza"? Non pensiamo proprio. Molto probabilmente il "QE all'europea" sarà la solita mezza misura: utile a "comprare tempo" (quanto è difficile dirlo), del tutto inutile per affrontare i nodi strutturali generati dal sistema dell'euro.

Se così stanno le cose, lo scontro che investe la Bce, che riflette quello tra il blocco tedesco e i paesi dell'area mediterranea, si risolverà in un compromesso che farà del QE di Francoforte la classica coperta corta. Non del tutto inefficace, ma del tutto insufficiente.

Perché "coperta corta" è presto detto. L'ipotesi è quella di aumentare il bilancio della Bce di 1.000 miliardi. In realtà niente di trascendentale, visto che in questo modo si tornerebbe ai valori di tre anni fa, nel frattempo erosi dalla restituzione dei crediti del LTRO. In pratica una partita di giro: con una mano Francoforte rientrerebbe in possesso dei soldi serviti alle banche per acquistare titoli, con l'altra acquisterebbe essa stessa, questa volta direttamente, nuovi titoli.

Ma quanti di questi 1.000 miliardi verrebbero spesi per acquistare bond dei vari debiti pubblici degli stati dell'eurozona? Secondo le stime più accreditate (vedi, ad esempio, il Sole 24 Ore del 5 dicembre scorso) la cifra più realistica si aggirerebbe sui 500 miliardi. Ma quali stati ne beneficerebbero?

Gli europeisti più ingenui, una specie zoologica ancora esistente anche se in tendenziale via d'estinzione, penseranno forse ad acquisti indirizzati esclusivamente, o almeno principalmente, verso i paesi in difficoltà del sud Europa. Eh no, signori cari! L'Europa non funziona così. Non funziona in base ad un criterio solidaristico, che poi sarebbe l'unico in grado di tenere in piedi la baracca. Funziona invece in base al Pil. Il che significa che l'Italia con il suo 17,6% sul totale dell'eurozona avrebbe acquisti per 88 miliardi e la Grecia per meno di 10, mentre la Germania - che di tali acquisti non ha ovviamente alcun bisogno - ne beneficerebbe per 135 miliardi. Viva l'Europa!

Ora sarà chiaro perché il QE, sempre che si faccia, avrà in realtà un'efficacia assai limitata. 88 miliardi, che peraltro verrebbero acquistati in un periodo di tempo presumibilmente assai lungo, sono ben poca cosa rispetto all'urgenza a vendere delle banche. Urgenza che diventerebbe ben più stringente qualora i tassi riprendessero a crescere. Una prospettiva assai naturale, indipendentemente dalla probabile esplosione di nuove crisi finanziarie, dato che l'operazione della Bce punta ad alzare il livello dell'inflazione fino alla soglia del 2%.

Ma, al di là delle cifre, quel che va rilevata è l'assoluta indisponibilità politica delle istituzioni europee, in questo tutte unite, a prendere in considerazione qualsiasi ipotesi di una pur parzialissima mutualizzazione del debito. Detto per inciso: auguri Tsipras!

E' in questa cornice, in questa gabbia d'acciaio, che si svolge lo scontro interno alla Bce. Uno scontro, tutto politico, nel quale Draghi prova ancora a sostenere una posizione federalista (quella che punta ai mitici e sempre più irraggiungibili Stati Uniti d'Europa). E' quel che ha fatto qualche giorno tempo fa, durante la sua visita in Finlandia, dove ha detto che: «Il successo dell'unione monetaria dipende dalla consapevolezza che una moneta unica significa unione politica».

Questa posizione che, sia chiaro, porterebbe ad un mostro antidemocratico ancor peggiore di quello attuale, ha ovviamente una sua logica, dato che alla lunga non potrà mai reggere una moneta senza stato. Ma è una logica che confligge con la realtà delle cose. Quello in atto non è un percorso verso l'unione politica, bensì un processo di progressiva disunione dell'UE.

Non conosciamo il futuro di Draghi, sul quale si vocifera molto, al punto che qualcuno lo immagina al Quirinale. Quel che conosciamo è l'opinione tedesca. Di Weidmann abbiamo detto, mentre dei continui richiami rigoristi della Merkel hanno scritto anche recentemente i giornali. Ora sappiamo anche la posizione della già citata signora Lautenschläger, membro tedesco del comitato esecutivo della Bce, che ha preso platealmente le distanze da Draghi, attaccando l'ipotesi del QE e soprattutto l'acquisto di titoli di stato, dato che tale operazione equivarrebbe ad un «trasferimento fiscale».

Vedremo cosa accadrà a gennaio, ma anche se il QE prenderà davvero il via, i paletti di questa operazione sembrano già ben fissati. E se Draghi potrà forse avere una vittoria d'immagine, è assai più probabile che nella sostanza sia Weidmann ad avere successo.

Quel che è certo è che lo scontro è in atto. E che il blocco rigorista non intende mollare di un centimetro. Non si tratta della sola Germania. Basti pensare alle minacce di Juncker a Francia ed Italia, ed alla clamorosa interferenza nelle vicende politiche della Grecia.

Un ricordo, quello di queste ultime vicende, che dedichiamo a quelli che negano l'esigenza di riappropriarsi della sovranità nazionale. Che sono poi quelli che... «l'Europa è riformabile». A costoro possiamo solo consigliare un'antica ricetta, quella dell'analisi concreta della situazione concreta. Una ricetta per la quale i fatti ci regalano ogni giorno qualche ingrediente in più.

20 dicembre

giovedì 18 dicembre 2014

Indovinate CHI l'ha detto? Ceaușescu? Mussolini? Maduro? Oppure? ...


"Xxxxx ipotizza l’uscita dall’euro con una legge. In un’intervista ha descritto il suo scenario: “Si potrebbe farla a fine anno, chiudere le banche per evitare che i correntisti vadano a ritirare i loro risparmi, riaprire le banche con l’anno nuovo e la lira......"

Per la serie...ma il problema dell'euro non era che non ci avevano chiesto la ns. opinione (sovrana)? Niente referendum etc?
Dunque mi sembra solo logico che si possa concepire persino di peggio per uscirne...
Ovvero per decreto legge e per di più obbligando&condannando i risparmiatori italiani ad una "potenziale" svalutazione da -50% dei loro risparmi senza lasciare loro possibilità di scelta e via d'uscita...come in una tonnara...
È cosa buona e giusta impedire ai correntisti di ritirare i loro risparmi in nome del "Bene Supremo&Comune" (che naturalmente qualcuno sa sempre riconoscere al posto nostro e meglio di noi...).
Del resto cosa credevi???
I TUOI Risparmi mica sono i TUOI: sono delle banche, dello Stato, della politica, del Paese etc etc ... insomma di tutti meno che i TUOI...

In questo caso il "cattivo cattivo" Mercato risulta persino più democratico: che so io...se tu hai i tuoi risparmi allocati su dei titoli agricoli e le previsioni del tempo prospettano il rischio di grandinate...tu che fai? Alleggerisci liberamente e con un click le tue posizioni sui titoli in oggetto come risposta al rischio potenziale...i risparmi sono i tuoi e mica vuoi rischiare di perderci a suon di grandinate...
Invece secondo questi "Paladini Maduriani del no-euro" ...
di fronte al più colossale Evento di Rischio Valutario della Storia fin dai tempi della dissoluzione dell'impero romano e del sesterzio...
i cittadini (pensionati inclusi) devono essere impossibilitati dal prelevare i loro risparmi (magari mettendoli in dollari sotto al materasso) e/o dal fare BB verso qualche safe haven...
e devono fidarsi ciecamente dei modellini teorici dei Guru Economisti che ti dicono che tutto andrà bene.
Nessuna strategia di risk protection deve essere permessa ai fessacchiotti .................
.

che non sono stati sufficientemente accorti da metterla in pratica PRIMA e per tempo (altrimenti il "giochino" potrebbe non funzionare).
La trappola si chiude...chi è fuori è fuori...e chi è dentro è dentro (e preghi che non si sbaglino perché le variabili imprevedibili in eventi del genere sono proprio tante...e potrebbe finire molto ma molto male...con i mercati in leva ad usarci come bersaglio).

Insomma...
una volta tanto anche io ne faccio una questione di principio e non una questione pratica (che in questo caso è liquidabile con un semplice "caxxi di chi è stato così fesso da non premunirsi e da non ascoltare i blog come il mio"...).
Ma voi cosa rispondereste se vi dicessero che per risolvere la crisi in Italia basterebbe far fuori 10 milioni di vecchietti attraverso un decreto legge fatto prima di Natale? E per l'anno nuovo tutto fatto...il peso pensionistico sarà stato alleggerito alla grande e l'Italia potrà ripartire...
Rispondereste che non si può...che bisogna trovare un altro metodo.
Invece decidere per legge il passaggio alla Lira e bloccarti i TUOI risparmi sul c/c infrangendo i più basilari diritti di libertà dell'individuo va bene?
Insomma...quando accadeva a Cipro per colpa della Troika e dei Crucchi era una schifezza somma...era una Dittatura imposta dall'esterno...etc etc
Mentre se accadesse qui in Italia con la benedizione di Salvini, Di Battista, della Meloni e di Razzi...allora tutto bene?? L'importante è avere di nuovo qualche pezzo di sovranità in più da usare in stile "Maduriano", vero? Per il Bene Supremo naturalmente...
Ah già..."ma tanto non colpirebbe me...ma solo quelli che"...così ragiona l'italiota. Capite perché no hope for this italy?

Non sarebbe il caso piuttosto di chiedercelo prima come sta facendo M5S con il Referendum no-euro e soprattutto spiegando per bene agli italiani quali enormi rischi e quali misure straordinarie comporti VERAMENTE tutto questo? (rischi che M5S non sta spiegando manco per la ceppa, mentre al contrario sta facendo apparire l'Eurexit come fosse una gita a mare...)
Ahhh no...non si può...perché con il referendum poi non funzionerebbe...i Mercati ci massacrerebbero (cosa tra l'altro VERISSIMA)...E poi non è costituzionale.
Dunque è NECESSARIO un metodo da Putsch, non democratico ed illiberale.
Cogliete le profonde contraddizioni di tutto questo?
E capite che, se si ritiene cosa buona&giusta una mossa del genere, allora attraverso il "varco" potrà passare ben altro? (anche se mi rendo conto che in Italia è assolutamente maggioritaria una mentalità illiberale-katto-komunista e dunque molti non saranno in grado di "cogliere"...)
E vabbè vi lascio riflettere sulla questione filosofica e di principio (che però poi tocca pesantemente le TASCHE degli italiani)
lasciandovi con un paio di flash...

1. I Guru no-euro de noantri chiamano "criminali e terroristi" coloro che prospettano scenari catastrofici nella fase OPERATIVA dell'uscita dall'euro (ho detto operativa e non teorica, chiaro?)
Dichiarano con certezza matematica che non succederà niente di catastrofico, che non ci sarà fuga di capitali o bank run, che non ci sarà il fallimento a catena delle banche italiane, che la svalutazione sarà assolutamente sotto controllo insieme all'inflazione etc etc
E che dunque potete stare assolutamente tranquilli
Ma intanto gli stessi Guru si sono PARATI IL CULO per loro stessa dichiarazione...perché le loro Ipotesi sono "certezze scientifiche"...ma nel frattempo non si sa mai... ;-) (ED HANNO FATTO SOLO BENE! Proprio per questo la stessa possibilità dovrebbe essere CONCESSA A TUTTI...)
(N.B. In questa sede non commento la strategia di protezione ma dico solo che presenta qualche difettuccio non da poco, in primis l'illusione di proteggersi con asset in altre valute detenuti su banche italiane..)
Di nuovo...per la serie...
"Indovinate Chi l'ha detto? Ceaușescu? Mussolini? Maduro? Oppure? ..."

.......La perdita da svalutazione quindi, da qui ai prossimi due anni, ci dovrà essere in ogni caso.
Anch’io, che di soldi ne ho pochi, li ho portati all’estero, in modo del tutto legale, investendoli in un fondo dove ho pesato opportunamente dollaro e mercati emergenti, evitando l’Europa (il che non significa escluderla, perché non si devono mai mettere tutte le uova in un solo paniere, ed è sempre bene comprare “basso” per vendere “alto”). Punto.
Chi ha senno fa così e lo ha già fatto (come credo abbiano fatto tutti quelli che mi leggono), perché non ha comunque senso investire in un continente che si sta suicidando e va da un rimbalzo del gatto morto al successivo.
Se ti vuoi proteggere da una svalutazione, devi investire nella valuta rispetto alla quale sei rivalutato (cioè il dollaro) e se vuoi rendimenti devi investire in economie che crescono (Usa e emergenti).
La morale della favola è che agli intervistatori che con aria sapiente (“Eh, ora ti metto io in difficoltà!”) mi chiedono: “Ma lei cosa farebbe?”, io rispondo: “Niente, perché ho già fatto quello che c’è da fare. Lei no? Mi dispiace.”.........

T'è capì?... Che coerenza sublime da parte di persone percepite dai più come dei Guru nonché dei Don Chisciotte "dell'italianità"...
Il Guru no-euro si protegge (ed anche i Pasdaran al seguito...)
mentre il Pensionato con un po' di liquidità sul conto
o si sveglia e si fa un corso accelerato di "capital protection" (meglio se con un conto on-line ed usando qualche ETF, qualche CFD ed una strategia neutrale di copertura rischio cambi attraverso derivati...)
oppure CAXXI SUOI...e si deve FIDARE del suddetto Guru e basta...perché gli bloccheranno/limiteranno i prelievi sul c/c, i bancomat, la possibilità di fare dei BB etc etc

2. Valutate meglio il "sadismo" della "mossetta" in stile Ceauşescu-Mussolini-Maduro sopra descritta
 alla luce di uno SCENARIO REALISTICO di cosa accadrebbe realmente in caso di Eurexit e non alla luce di scenari di Cartapesta costruiti sui tavolini degli Economisti...
E da questo scenario POSSIBILE e PROBABILE a tantissimi italiani verrebbe IMPEDITO di potersi proteggere attraverso un bella VACANZA BANCARIA in stile Cipro... fico no?
Potete farlo attraverso il mio post ed i link in esso contenuti


Oppure attraverso l'ultima analisi di Zibordi che è no-euro/sovranista di provata fede...e persino MMT (dunque ritiene cosa buona e giusta che la futura Bankitalia sovrana stampi anche 200mld all'anno) Pertanto anche un no-euro-pasdaran d.o.c. dovrebbe fidarsi di lui e delle sue analisi perché Zibordi è persona di fede insospettabile.... ;-)
Ma allo stesso tempo CI CAPISCE DI MERCATI e dunque è uno dei pochi in campo no-euro a disegnare degli scenari previsionali SENSATI E REALISTICI.
Insomma...il rischio di uno scenario CATASTROFICO in caso di Eurexit è tutt'altro che trascurabile.
Dunque trovare un MODO meno-catastrofico per uscire dall'Euro è il vero PUNTO FOCALE...e non è affatto detto che ci sia.
(N.B. il fatto che io non concordi con alcuni presupposti teorici di Zibordi non inficia la validità delle sue previsioni pratiche su cosa realmente accadrebbe in caso di Eurexit).
  • Raccogli le Firme per il Referendum Contro l'euro (anche se in Questo modo lo si Perderà)
  • 19:00 10/12/14
  • Parte domani la campagna per il referendum.
    Ecco qui sotto le domande e risposte sull'Euro della campagna del M5S che indica come verrà condotta dal M5S.
  • E' un iniziativa importante, in questo modo si parlerà di euro, eurozona, debito e BCE e anche nel resto d'Europa catalizzerà l'attenzione.........
    Il problema non è se il referendum sia controproducente come strategia politica.
    Il problema è la sostanza di quello che proponi, qui ormai con la tattica e la strategia politica non fai più un 'azzo, qui è l'ora di chi capisce qualcosa di economia.
    Con questo tipo di discorso (imitato appunto da Bagnai e Borghi) per il ritorno alla lira perderai di sicuro, perché è Naïf, presta il fianco a critiche facili e non suona realistico a chi capisce qualcosa del mondo finanziario...
    Persino alla conferenza che ha organizzato Bagnai, con anche Borghi, in novembre c'erano un paio di economisti non pro-euro, ma semplicemente più scettici, che hanno mostrato facilmente che il ritorno alla lira è dieci volte più complicato di come lo descrivono
  • Vediamo di ri-spiegarlo, perché la disgregazione dell'Euro a partire dall'Italia è una questione epocale, gli interessi in gioco sono semplicemente colossali, non è una questione che riguarda l'Italia e basta...
    Il mercato attualmente finanzia il debito italiano a tassi tra l'1% e il 2% (il decennale del BTP quotava 1,95% ieri). Questo perché l'inflazione è crollata dal 3% e rotto del 2011 al -0,4% per merito dell'austerità che ha distrutto l'economia.
    Per cui comunque un BTP rende in termini reali un +2,4% che al momento nel mondo per un titolo pubblico è parecchio.
    Ma anche perché vale ancora la promessa della BCE di Draghi di comprare BTP SE NECESSARIO PER TENERE ASSIEME L'EURO.
    CIOE' IL MERCATO CHIEDE SOLO IL 2% ALL'ITALIA PERCHE' L'INFLAZIONE è SOTTOZERO E PERCHÉ SI FIDA CHE DRAGHI NE COMPRERA' SE L'EURO ENTRA IN CRISI.
    Giusto ? Siamo d'accordo ?
    Quando ritornassi alla Lira questa si svaluterà del -20% circa contro dollaro (e metà delle valute del mondo che sono legate al dollaro) e del -60% contro marco (e altre valute del nord-europa) e ci sarà quindi più inflazione (da costi di importazione). OK ? Qui per ora stiamo sfondando porte aperte, ma è solo l'inizio, purtroppo l'economia globale moderna finanziaria è una catena di effetti e cause...
  • Se ci limitasse a tornare alla lira e basta, l'economia non si riprenderebbe però molto, se ritorni alla lira lo fai ANCHE per ridurre le tasse e di molto.
    Oppure per aumentare la spesa pubblica, insomma per aumentare il deficit pubblico altrimenti lo stimolo che viene dall'importare meno ed esportare di più non è sufficiente.
    (Occorre la prova ? il Giappone ha svalutato del -35% contro euro e quasi del -45% contro dollaro negli ultimi due anni. Il PIL è migliorato di 1 punto e mezzo percentuale, forse due punti... di crescita... e loro sono il Giappone...)
    Anche aumentare il deficit pubblico quindi produrrà più spesa e più inflazione (specie se aumenti la spesa pubblica).
    Bene, ma allora siamo anche d'accordo che ritornare alla lira significa avere due fattori di inflazione importanti, la svalutazione e i deficit pubblici aumentati.
    Quindi ci sarà un inflazione che sale da -0,4% a, per esempio, 5% e rotti (se va bene).
    Il mercato questo ragionamento che ho appena fatto lo fa e lo sa da anni e quindi giocherà d'anticipo e senza aspettare che l'inflazione si materializzi chiederà un rendimento del 2% reale (a cui è abituato da 30 anni) + inflazione, quindi del 2% + 5% = 7%, se tutto va bene. Di conseguenza i BTP che oggi pagano un 2% pagheranno un 7%, se tutto va bene. E quindi il costo del debito pubblico esploderà velocemente dagli attuali 85 mld di euro a (supponendo una parità iniziale 1 euro per 1 lira) a 100, poi 110, poi 120, poi 130 mld...
  • Occorre ricordare qui che prima dell'arrivo dell'euro, nel 1993-1996, l'Italia pagava l'equivalente di 180 mld di oggi di interessi e un 21% della spesa pubblica (e un 11% circa del PIL !!!).
    A meno che....
    A meno che...la Banca d'Italia non si metta lei a fare "QE" a manetta, cioè Bankitalia compri dai 200 mld in su di titoli di stato (su 400 mld che vanno in scadenza ogni anno).
    Questo è possibile e fattibile e anche giusto, ma ovviamente se uno stato come l'Italia esce dall'Euro e svaluta quindi di colpo e poi in aggiunta si mette a stampare 200 mld di lire all'anno solo per comprare BTP succede poi quello che succede ora al Giappone, che fa una politica del genere, ma in modo più estremo.
  • Succederà allora che la svalutazione iniziale del -20% circa contro dollaro (e metà delle valute del mondo che sono legate al dollaro) e del -60% contro marco (e altre valute del nord-europa) diventerà forse del -30% contro dollaro e del -80% contro marco..
  • Attenzione però che non sto esagerando.
    Il cambio Lira/Marco era a 200 lire a inizio anni '70 ed arrivò a 1,200 lire a metà anni '90, quindi in 25 anni circa era aumentato di 6 volte (la quantità di lire necessarie per comprare 1 marco....).
    Se tanto mi da tanto, dopo 15 anni in cui è bloccato non ci sarebbe niente di strano che il cambio Lira/Marco da 1000 lire (supponendo ora per fare un confronto più facile di che si esca alla parità di 1,000 lire per 1 marco..) vada a 2,000 lire per 1 marco.
    Clicca qui per ingrandire
    A quel punto però sia l'inflazione importata e gli effetti sull'import export che le perdite sui risparmi in lire si amplificano ancora rispetto all'ipotesi iniziale di una svalutazione diciamo seria, ma non drammatica.
    .......Ah ah... qui siamo arrivati al "buco nero" del discorso della lira, la fuga di capitali
  • Diciamo allora che l'italiano che aveva un milione di euro e li avesse lasciati in Italia se ne ritrova la metà rispetto all'italiano che aveva un milione di euro e li avesse spostati su qualcosa di germanico.
  • Nota a margine (ma nemmeno troppo...): CAPITO PERCHE' DA ANNI FACCIAMO GRUPPI D'ACQUISTO IMMOBILIARI SU BERLINO ANCHE SE TANTI "IMPRUDENTI RITARDATARI" CONTINUANO A NON "DARSI UNA SVEGLIA"?...
    Ehi... il problema del ritorno secco alla lira, con la conversione forzosa di circa 4mila mld di saldi bancari oggi in euro per decreto una mattina di lunedì in lire è che nei mesi precedenti CI SARA' LA MADRE DI TUTTE LE FUGHE DI CAPITALI
  • Qui si fa finta che non esista la madre di tutti i problemi del ritorno alla Lira
    e cioè che l'italiano che aveva un milione di euro e li lasci in Italia se ne ritroverà la metà rispetto all'italiano che aveva un milione di euro e li sposta su qualcosa di germanico.
    Un terzo della ricchezza finanziaria degli italiani attuale può prendere la strada dell'estero.
    Che significa che il sistema bancario italiano salterà e andrà salvato con centinaia di miliardi..
    ......ma non si affronta il punto debole del ritorno alla lira "secco": la paura per i propri risparmi, il semplice fatto che chi riuscirà per tempo a liquidare bot, cct, btp, pronti contro termine, obbligazioni bancarie italiane e tutto quello che ha di italiano nel portafoglio guadagnerà dal 50% in su rispetto ai tapini che invece rimangano incastrati in Italia o con investimenti italiani.
  • Dato che la ricchezza finanziaria in Italia, come in tutti i paesi moderni, è concentrata, almeno il 50% è in mano ad un 5% della popolazione, quelli che hanno dal milione di euro in su pro-capite e non sono tutti sprovveduti, hanno consulenti in banca o altrove, hanno o nipoti o figli o amici che gli spiegano magari qualche cosa oppure anche loro leggono internet ecc...
  • Questa piccola fetta della popolazione che è benestante e ha qualche milione di euro a testa, appena sentirà che l'uscita dall'Euro non è una teoria, ma una possibilità reale, appena ne vedrà discutere seriamente in TV, appena vedrà che c'è il referendum sul serio ad esempio e i sondaggi non sono a favore dell'euro, che la lira può anche vincere... sai cosa succederà ?
  • Non tutti ovviamente, ma anche solo un terzo si spaventeranno e sposteranno i loro soldi...
    .....E quindi dei 3,500 mld di euro e rotti della ricchezza finanziaria degli italiani attuale può essere che almeno 800 mld prendano la strada dell'estero e che il sistema bancario italiano salti..
    (E questa è una stima che faccio conservativa, nel 2011 dalla Spagna sono usciti circa 300 miliardi ad esempio solo perché si temeva un default della Grecia e un possibile "contagio"...senza nemmeno che si temesse il ritorno della Spagna alla peseta)
    ......E cosa succede di brutto se vengono venduti titoli pubblici e bonds bancari, liquidati conti risparmio, p/c, prelevati contanti ecc.. per diciamo 800 mld dalle banche italiane...?
    Che è una corsa "agli sportelli" delle banche, che queste avranno bisogno di essere salvate e Bankitalia dovrà stampare altri 200 o 300 o 400 mld per sostenerle...e questo a sua volta farà svalutare ULTERIORMENTE la lira ecc..
    ......................................

martedì 16 dicembre 2014

I tre economisti oggi contro l’euro, ieri a favore. Cavalcare l’onda. Chiedetevi perchè?

Sono ormai due anni che il trittico di “economisti”, Bagnai, Borghi e Rinaldi, ci propinano la loro tiritera che o l’Italia esce dell’euro oppure è la fine per tutti. Fino a poco tempo fa erano praticamente degli sconosciuti, ma ora, grazie alla potenza mediatica, che vi ricordo essere il maggiore strumento di controllo delle masse, hanno raggiunto l’obiettivo perseguito da tempo: la popolarità, dal momento che il mondo economico non se li è mai filati di striscio.

Peccato che a questo dogma non facciano seguire una soluzione concreta. Perchè se prima non si comprende perchè il sistema non permetterà di uscire a meno che esso stesso non decida di implodere (e per questo vi rimando all’articolo sulle bolle papali, utilizzate dai tempi che furono per controllare la legge universale del libero arbitrio), si può tanto urlare che i trattati internazionali non sono validi e cose del genere, ma trattasi di propaganda, teorica e politica. Nè più nè meno.

In aggiunta, i tre di cui sopra, denominati nei reali ambienti economici “i tre tenori”, hanno la memoria molto corta riguardo al loro passato: chi era uomo soggiogato agli organi di potere, pronto a tutto pur di cercare visibilità politica, chi sosteneva l’euro e predicava la flessibilità del lavoro.

Hanno ottenuto ciò che volevano: visibilità, partecipazione a conferenze, prezzemolini della tv, tasche piene. E chi li segue di certo contribuisce a questo, senza rendersi conto che non sono certo i salvatori della Patria, ma del loro orticello.

Allora, vediamo di ricordare un po’ la loro storia.

Claudio Borghi, ha indossato elmo e armatura lumbard per approdare al partito di Salvini. Alla disperata ricerca di visibilità politica, ha fatto della battaglia contro la moneta unica il tema principale, praticamente l’unico, della sua campagna elettorale. La leggenda dell’euro studiato a tavolino da politici e banchieri tedeschi per opprimere le operose genti della Padania fa breccia facilmente tra artigiani e piccoli imprenditori. E Borghi, autore del manuale “Basta euro. Uscire dall’incubo è possibile”, si è prestato con entusiasmo a fare da spalla al capopopolo Salvini. Storia singolare, quella del nuovo crociato lumbard.

Fino a qualche anno fa infatti Borghi lavorava per la Deutsche Bank. Sì, proprio quella, proprio il bastione della finanza teutonica, bersaglio della propaganda leghista. Il manager milanese, classe 1970, era un “sales”, come si dice in gergo, cioè vendeva prodotti finanziari agli investitori istituzionali.

Tra il 2008 e il 2010 Deutsche Bank ha ristruttura le sue attività italiane e Borghi cambia mestiere, ma resta nell’ambiente. Nel 2011, per dire, lo troviamo nel consiglio di amministrazione della Banca Arner, sede in Svizzera, filiale a Milano. Arner è un nome noto alle cronache per almeno due motivi: gli stretti rapporti con Silvio Berlusconi e un’indagine della procura di Milano per gravi irregolarità di gestione.

Era approdato alla filiale italiana della banca di Lugano subito dopo il commissariamento disposto dalla Banca d’Italia, che impose il repulisti tra manager e amministratori. I soci di maggioranza, però, non sono mai cambiati: un gruppo di finanzieri legati a Berlusconi da almeno un ventennio. Capitolo chiuso anche quello, ormai. Da circa un anno Borghi ha abbandonato il board della Banca Arner, ma nel frattempo è riuscito a costruirsi la fama dello studioso di economia.

Il suo curriculum accademico, in verità, è piuttosto scarno. Laureato nel 2000, a 30 anni, con una tesi sul trading di Borsa, il crociato lumbard insegna all’Università Cattolica di Milano grazie a un contratto temporaneo di docenza. Le sue materie sono “Economia degli intermediari finanziari” ed “Economia dell’arte”. E l’euro che c’entra? Niente.

Andiamo avanti.

A ben guardare, le invettive che infiammano le piazze leghiste non sono poi così diverse da quelle che Antonio Maria Rinaldi ha riservato all’elettorato di Fratelli d’Italia, tradizionalmente più forte al sud. Al congresso dei transfughi di Alleanza Nazionale, c’era anche lui, Rinaldi che ha tenuto un applaudito discorso contro la moneta unica. Il partito di Giorgia Meloni è l’unico, insieme alla Lega Nord, ad aver sposato in pieno le idee No euro. Porte aperte, allora, a chi fornisce contributi intellettuali utili alla causaIl romano Rinaldi, al pari del milanese Borghi, non è un accademico in senso stretto, visto che non fa parte dei ruoli del ministero dell’Istruzione. Può vantare, però, due incarichi di docenza: uno nella capitale, alla Link University l’altro a Pescara, nella stessa università di Bagnai. Quanto basta, insomma, per essere definito professore ed economista, anche se nel suo curriculum non ci sono pubblicazioni scientifiche.

Di certo però Rinaldi ha avuto la possibilità di conoscere la finanza molto da vicino. Ha lavorato all’Eni, alla Consob e suo padre Rodolfo era un banchiere potente, prima al Santo Spirito e poi alla Bnl, come vicepresidente, negli Ottanta e Novanta del secolo scorso. Altro uomo del sistema Tra i militanti a tempo pieno della causa no euro c’è anche un altro figlio d’arte. Si chiama Nino Galloni, 60 anni, erede del più volte ministro democristiano Giovanni. Galloni junior, che vanta alcune docenze universitarie, ha lavorato una vita tra enti pubblici (anche l’Inps) e ministeri, compreso il Bilancio ai tempi della prima Repubblica. Il suo impegno contro la moneta unica data addirittura dal 2005, quando scrisse un primo pamphlet contro i misfatti della finanza. Da allora è stato un crescendo di pubblicazioni e interventi. Anche Rinaldi si è mosso per tempo. Nel 2011, in piena crisi del debito pubblico, lo studioso della Link University dava alle stampe il pamphlet “Il fallimento dell’euro” e argomentava la necessità di un ritorno alla lira accompagnato da una svalutazione del 25-30 per cento per ridare fiato alle esportazioni.

Io mi auguro che non abbiate solo partecipato a qualche strapagata sua partecipazione a convegni, ma che abbiate anche letto il suo testo: economicamente il nulla, e non lo dico certo io, ma coloro che hanno il titolo per essere definiti economisti.

Ed infine la chicca: Bagnai.

«Non è vero», va predicando da mesi Bagnai, che dell’eterogenea compagnia dei noeuro è forse quello con il curriculum scientifico più articolato. È lui l’autore del libro che viene considerato una sorta di testo sacro della crociata contro la moneta unica. Il titolo è già un programma politico: “Il tramonto dell’euro. Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa”. Professore di Politica economica all’università di Pescara, 51 anni, Bagnai ormai gira come una trottola. Colleziona interviste. Ha un blog sul “Fatto Quotidiano”. Infaticabile su twitter, organizza convegni con il suo centro studi A/simmetrie.  «Stiamo assistendo al suicido economico di un continente», va predicando Bagnai, che descrive l’euro come un progetto studiato dalle élite per favorire se stesse. Parlantina sciolta, oratore infaticabile, il professore di origini toscane combatte la sua battaglia a suon di grafici, tabelle e citazioni, molto spesso di se stesso.

Peccato però che Bagnai ha la memoria MOLTO corta.

Qui di seguito vi pubblico una sua relazione del 1997, dove non solo veniva esaltato l’euro, ma addirittura auspicata il più possibile la flessibilità del lavoro.

Per carità, cambiare idea è sinonimo di grande intelligenza. Ma mi piacerebbe capire, di fronte allo stato disastroso dell’economia europea degli ultimi cinque anni, chi in realtà non l’ha cambiata o finge di non averlo fatto?

Riprendendo le parole di Gianluca Monaco, degno erede della scuola Auritiana: Quando parlo di ECOMUNISTI® mi riferisco a persone come questo signore qui che oggi critica chi non si accorse dove ci avrebbe portato la UE e l’Unione monetaria mentre nel 1997 era a favore della moneta unica e della precarizzazione che oggi ci chiede la UE.

Ed un ringraziamento a Daniele Pace, che ha sottoposto pubblicamente la questione.

Leggere per credere:


Bene.

Appurato che evidentemente i motivi per i “tre tenori” sono tutt’altri che quelli di “riprendersi le chiavi di casa”, slogan ripetuto, perchè altrimenti non si limiterebbero a blog, twitter, convention, ma proporrebbero qualcosa di concreto diverso dal libro strenna natalizia con concetti ripetuti in continuazione, posto che rientri nel loro dna, l’UNICO che fin da prima del Trattato di Maastricht ha sempre detto che l’euro ci avrebbe portato al punto in cui siamo è stato GIACINTO AURITI.

Non solo un economista, ma un GENIO, che diede contributi concreti da subito per evitare questo disastro. Tutti bravi quando le uova nel paniere sono rotte a raccogliere il malcontento. Solo persone altamente dotate possono farlo MOLTO TEMPO PRIMA che addirittura la gallina faccia l’uovo.

Per non dimenticare un GRANDISSIMO, chissà perchè tanto disprezzato dai tre tenori, ho scelto “casualmente” un video del 1997:


Scritto il dicembre 14, 2014