a seguire La legge è uguale per tutti? di Petrosillo G.
e
“Ecco come nell’ufficio della Finocchiaro si decise di “far fuori” Clementina Forleo” di Carlo Vulpio
Clementina Forleo: no, la legge non è uguale per tutti
Viso e parole affilatissimi nonostante il sorriso e la dolcezza della maternità appena voluta a dispetto dell'anagrafe, Clementina Forleo, 47 anni, non smentisce la sua fama di giudice che non teme di cantare fuori dal coro (per questo, nel 2008, è stata «esiliata» a Cremona) e ricorda che «l'articolo 82 della Costituzione prevede che il Parlamento costituisca una commissione d'inchiesta qualora particolari motivi di interesse pubblico lo ti chiedano». Smentendo così, indirettamente, chi ha invitato il premier ad «andare a leggersi la Costituzione».
Non so se la situazione sia tale da richiedere effettivamente una commissione parlamentare d'inchiesta. In alcune regioni però, e soprattutto in certe procure più esposte ai riflettori si sono verificati da parte di alcuni pm eccessi di potere che meriterebbero di essere valutati. A prescindere dal caso Berlusconi.
Susciterà un vespaio...
Ci sono abituata.
Ma lei è favorevole a una commissione parlamentare?
Non sono contraria a patto che, accertati i presupposti concreti circa la sua istituzione, ponga poi l'attenzione a 360 gradi su ciò che è accaduto negli ultimi anni, senza fare sconti a nessuno, superpotenti e intoccabili compresi. Io stessa, a quel punto, chiederei di essere ascoltata perché si indagasse sulla vicenda delle scalate bancarie (che coínvolgeva esponenti del Pd, come Massimo D'Alema e Nicola Latorre, ndr) che mi è stata sottratta tra il maggio e il 29 luglio 2008.
Che cosa lamenta?
Le carte concernenti la posizione del senatore Latorre, che in seguito alla mia richiesta tomavano dal Senato, stranamente] non arrivàrono mai sulla mia scrivania. Finché, approfittàndo di una mia assenza di sette giorni, dopo oltre due mesi il pm le dissotterrò per inoltrarle «con urgenza» al gip di turno. Questi le rispedì al Senato senza informarmi, mentre ero stata tenuta al corrente di ogni dettaglio anche durante le ferie. Questo salvò Latorre. Se invece le carte fossero arrivate a me, che ero il giudice naturale; le avrei inoltrate al pm affinché decidesse se avviare o meno un procedimento, come già avevo fatto per D'Alema. Ritengo che questa sia una delle pagine più nere della giustizia e della storia del nostro Paese. Per questo richiedee chiarezza.
Per questa vicenda Anna Finocchiaro l'ha appena querelata.
Le ho risposto con una denuncia per calunnia. Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato ed ex magistrato, mi querela oggi per una vicenda che risale a tre anni fa e riguarda un «summit» che si tenne nel suo ufficio per avviare un procedimento disciplinare contro di me, come poi effettivamente accadde, perché stavo per depositare la trascrizione di conversazioni imbarazzanti che vedevano coinvolti, suoi compagni di partito. Il punto è che le dichiarazioni per cui mi si querela, mai smentite, sono state rilasciate tre anni fa alla procura di Brescia dall'ex senatore Ferdinando Imposimato. Non sono io da querelare.
Vuole dire che la giustizia non è uguale per tutti?
Lo dico da magistrato e ad alta voce: la legge non è uguale per tutti. Prendiamo il caso della pm barese Desirèe Digeronimo: attaccata in modo violento da Nichi Vendola, per le indagini che stava svolgendo, anche a suo carico, nessuno è intervenuto in sua difesa o ha aperto una pratica a tutela. Zero! Mentre se si prova a toccare un pm di Mani pulite o di Caltanissetta o di Palermo, che si sta occupando di un possibile coinvolgimento del premier nella stagione delle stragi si assiste a una levata generale di scudi e alla mobilitazione del Consiglio superiore della magistratura e dell'Associazione magistrati. E magari all'intervento di Antonio Di Pietro, il quale, silente sui due episodi che ho esposto, ha ripetuto più volte che si deve abbattere Berlusconi «anche scendendo a patti con il diavolo». L'affermazione mostra che l'ex magistrato Di Pietro vive l'avversario politico come un nemico da abbattere, con qualsiasi mezzo. Purtroppo un problema della giustizia è dato da certe frange del potere giudiziario che insorgono o tacciono a seconda di un interesse politico.
Secondo lei, un magistrato non dovrebbe fare politica?
No, se non togliendosi definitivamente la toga. Per due voifemi è stata offerta. una candidatura e nonostante la consapevolezza che questo avrebbe potuto liberarmi da tanti problemi, per due volte ho rifiutato. Voglio cóntinuare a fare il giudice e credo di poterlo fare ancora con passione, autonomia, serenità
Che rosa c'entra la serenità?
Guai a mancare di serenità rispetto ai casi che si trattano. Ecco perché certi pm, che si occupano sempre dei medesimi indagati, a un certo punto dovrebbero fare un passo indietro. A meno che non ci sia una connessione oggettiva fra i vari procedimenti, non dovrebbe essere possibile essere titolari a vita di indagini contro la stessa persona: perché ciò intacca la serenità nel sostenere l'accusa o l'immagine di serenità che anche un pm' deve garantire
La magistratura non è una casta? Guai a parlare di riforme, a toccare gli stipendi, a chiedere un trasferimento...
Non sono una che difende la casta, ma sui trasferimenti spezzo una lancia per la categoria: non bastano gli incentivi economici per invogliare un magistrato d'esperienza a sportarsi in una sede disagiata. Serve anche un incentivo professionale, la garanzia di non essere destinato a smaltire l'arretrato, od occuparsi di fatti marginali.
Non ha detto una parola sulla riforma della giustizia.
Ne ho dette tante, invece: è indispensabile. A partire dal Csm, che deve essere liberato al più presto dal sistema correntizio.
Occorrono regole diverse dall'elezione e quindi una riforma costituzionale, per nominare i componenti del Csm evitando che si istauri una sorta di voto di scambio tra eletto ed elettore. In seconda battuta è fondamentale la separazione delle carriere. Che non significa, come è stato detto, che il pm deve essere subordinato all'esecutivo, bensì che deve essere messo in concreto nelle stesse condizioni della difesa.
Molti suoi colleghi sono riluttanti.
Io stessa, quando ho parlato della necessità di riforme in un convegno delle camere penali, sono stata attaccata con estrema violenza da illustri esponenti della magistratura associata e si sono permessi addirittura di offendermi, visto che la libertà di certe espressioni è loro concessa, mentre ad altri non concedono neppure la libertà di opinione. Via dunque a questa riforma. Altrimenti sarà il massacro della giustizia.
Arianna Editrice
Viso e parole affilatissimi nonostante il sorriso e la dolcezza della maternità appena voluta a dispetto dell'anagrafe, Clementina Forleo, 47 anni, non smentisce la sua fama di giudice che non teme di cantare fuori dal coro (per questo, nel 2008, è stata «esiliata» a Cremona) e ricorda che «l'articolo 82 della Costituzione prevede che il Parlamento costituisca una commissione d'inchiesta qualora particolari motivi di interesse pubblico lo ti chiedano». Smentendo così, indirettamente, chi ha invitato il premier ad «andare a leggersi la Costituzione».
Non so se la situazione sia tale da richiedere effettivamente una commissione parlamentare d'inchiesta. In alcune regioni però, e soprattutto in certe procure più esposte ai riflettori si sono verificati da parte di alcuni pm eccessi di potere che meriterebbero di essere valutati. A prescindere dal caso Berlusconi.
Susciterà un vespaio...
Ci sono abituata.
Ma lei è favorevole a una commissione parlamentare?
Non sono contraria a patto che, accertati i presupposti concreti circa la sua istituzione, ponga poi l'attenzione a 360 gradi su ciò che è accaduto negli ultimi anni, senza fare sconti a nessuno, superpotenti e intoccabili compresi. Io stessa, a quel punto, chiederei di essere ascoltata perché si indagasse sulla vicenda delle scalate bancarie (che coínvolgeva esponenti del Pd, come Massimo D'Alema e Nicola Latorre, ndr) che mi è stata sottratta tra il maggio e il 29 luglio 2008.
Che cosa lamenta?
Le carte concernenti la posizione del senatore Latorre, che in seguito alla mia richiesta tomavano dal Senato, stranamente] non arrivàrono mai sulla mia scrivania. Finché, approfittàndo di una mia assenza di sette giorni, dopo oltre due mesi il pm le dissotterrò per inoltrarle «con urgenza» al gip di turno. Questi le rispedì al Senato senza informarmi, mentre ero stata tenuta al corrente di ogni dettaglio anche durante le ferie. Questo salvò Latorre. Se invece le carte fossero arrivate a me, che ero il giudice naturale; le avrei inoltrate al pm affinché decidesse se avviare o meno un procedimento, come già avevo fatto per D'Alema. Ritengo che questa sia una delle pagine più nere della giustizia e della storia del nostro Paese. Per questo richiedee chiarezza.
Per questa vicenda Anna Finocchiaro l'ha appena querelata.
Le ho risposto con una denuncia per calunnia. Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato ed ex magistrato, mi querela oggi per una vicenda che risale a tre anni fa e riguarda un «summit» che si tenne nel suo ufficio per avviare un procedimento disciplinare contro di me, come poi effettivamente accadde, perché stavo per depositare la trascrizione di conversazioni imbarazzanti che vedevano coinvolti, suoi compagni di partito. Il punto è che le dichiarazioni per cui mi si querela, mai smentite, sono state rilasciate tre anni fa alla procura di Brescia dall'ex senatore Ferdinando Imposimato. Non sono io da querelare.
Vuole dire che la giustizia non è uguale per tutti?
Lo dico da magistrato e ad alta voce: la legge non è uguale per tutti. Prendiamo il caso della pm barese Desirèe Digeronimo: attaccata in modo violento da Nichi Vendola, per le indagini che stava svolgendo, anche a suo carico, nessuno è intervenuto in sua difesa o ha aperto una pratica a tutela. Zero! Mentre se si prova a toccare un pm di Mani pulite o di Caltanissetta o di Palermo, che si sta occupando di un possibile coinvolgimento del premier nella stagione delle stragi si assiste a una levata generale di scudi e alla mobilitazione del Consiglio superiore della magistratura e dell'Associazione magistrati. E magari all'intervento di Antonio Di Pietro, il quale, silente sui due episodi che ho esposto, ha ripetuto più volte che si deve abbattere Berlusconi «anche scendendo a patti con il diavolo». L'affermazione mostra che l'ex magistrato Di Pietro vive l'avversario politico come un nemico da abbattere, con qualsiasi mezzo. Purtroppo un problema della giustizia è dato da certe frange del potere giudiziario che insorgono o tacciono a seconda di un interesse politico.
Secondo lei, un magistrato non dovrebbe fare politica?
No, se non togliendosi definitivamente la toga. Per due voifemi è stata offerta. una candidatura e nonostante la consapevolezza che questo avrebbe potuto liberarmi da tanti problemi, per due volte ho rifiutato. Voglio cóntinuare a fare il giudice e credo di poterlo fare ancora con passione, autonomia, serenità
Che rosa c'entra la serenità?
Guai a mancare di serenità rispetto ai casi che si trattano. Ecco perché certi pm, che si occupano sempre dei medesimi indagati, a un certo punto dovrebbero fare un passo indietro. A meno che non ci sia una connessione oggettiva fra i vari procedimenti, non dovrebbe essere possibile essere titolari a vita di indagini contro la stessa persona: perché ciò intacca la serenità nel sostenere l'accusa o l'immagine di serenità che anche un pm' deve garantire
La magistratura non è una casta? Guai a parlare di riforme, a toccare gli stipendi, a chiedere un trasferimento...
Non sono una che difende la casta, ma sui trasferimenti spezzo una lancia per la categoria: non bastano gli incentivi economici per invogliare un magistrato d'esperienza a sportarsi in una sede disagiata. Serve anche un incentivo professionale, la garanzia di non essere destinato a smaltire l'arretrato, od occuparsi di fatti marginali.
Non ha detto una parola sulla riforma della giustizia.
Ne ho dette tante, invece: è indispensabile. A partire dal Csm, che deve essere liberato al più presto dal sistema correntizio.
Occorrono regole diverse dall'elezione e quindi una riforma costituzionale, per nominare i componenti del Csm evitando che si istauri una sorta di voto di scambio tra eletto ed elettore. In seconda battuta è fondamentale la separazione delle carriere. Che non significa, come è stato detto, che il pm deve essere subordinato all'esecutivo, bensì che deve essere messo in concreto nelle stesse condizioni della difesa.
Molti suoi colleghi sono riluttanti.
Io stessa, quando ho parlato della necessità di riforme in un convegno delle camere penali, sono stata attaccata con estrema violenza da illustri esponenti della magistratura associata e si sono permessi addirittura di offendermi, visto che la libertà di certe espressioni è loro concessa, mentre ad altri non concedono neppure la libertà di opinione. Via dunque a questa riforma. Altrimenti sarà il massacro della giustizia.
Arianna Editrice
La legge è uguale per tutti?
La legge è uguale per tutti? Forse in un altro mondo ma decisamente non in questo. Lo afferma, seppur con parole diverse, il GIP di Francavilla Fontana, Clementina Forleo, in una recente intervista rilasciata al settimanale Panorama.
Il giudice pugliese, balzato agli onori della cronaca per aver indagato, nella stagione delle grandi scalate bancarie in cui impazzavano sulla scena finanziaria i cosiddetti furbetti del quartierino, i vertici del PD di area post-comunista. Per costoro la preda sulla quale buttarsi con animalesca famelicità era BNL che doveva venire inglobata da UNIPOL, inaugurando così l’ingresso in pompa magna degli ex comunisti nel salotto economico che conta. In quell’occasione le intercettazioni telefoniche predisposte dalla magistratura pizzicarono Fassino, D’Alema e Latorre (il Gatto, la Volpe e la Lince) che incitavano, al pari di ultras da curva sediziosa, Consorte, Ad della compagnia bolognese, a fare il grande colpo. Fassino, attaccato alla cornetta col manager abruzzese esultava perché finalmente stavano per mettere le mani su un prestigioso Istituto di Credito (ormai famosa la sua domanda: “Abbiamo una banca?”), mentre D’Alema col suo solito aplomb da grande statista incompreso (e si capisce pure perché…) diceva a Consorte: “vai, facci sognare!” Più prosaico, invece, Latorre che consigliava al Ceo teatino di non sprecare troppo tempo con Fassino che tanto “non capisce un tubo”. Bene, da quando la Foleo si è interessata agli Untouchables di sinistra non ha più avuto pace. Le hanno interrotto la carriera con uno strano trasferimento, poi le è stata tolta la scorta perché secondo il CSM non vi erano particolari motivi di pericolo per la sua persona, è stata accusata dal medesimo organo della magistratura di non saper svolgere il suo lavoro e di essere un pazza visionaria. Infine, cosa più importante, le hanno insabbiato l’indagine sull’UNIPOL con un vergognoso escamotage, come ricorda lei stessa, non facendole pervenire le carte che inchiodavano Latorre. Quest’ultimo è stato così salvato dai colleghi politicizzati della Forleo e con lui anche Fassino e D’Alema. Gli Intoccabili appunto, come nel film di Brain De Palma. E dire che il togato brindisino ha pure subito recentemente un brutto attentato. Uno sconosciuto, dopo averla affiancata sull’autostrada, l’ha fatta finire fuori dalla careggiata procurandole la frattura dello zigomo e della mandibola. Oggi la Forleo denuncia la parzialità della giustizia italiana che si riproduce puntualmente ogniqualvolta un giudice indipendente avvia indagini senza tener conto dell’appartenenza politica degli indagati. Uguale sorte sta toccando alla pm barese Desirèe Di Geronimo attaccata, afferma la Forleo, con una violenza verbale inusitata da Vendola messo sotto inchiesta per via di quel brutto affare di tangenti che ha investito la sanità pugliese (a proposito, perchè non se ne sente più parlare? E perchè nulla più si è saputo dell'affaire Banca 121 che vide truffati centinaia di risparmiatori pugliesi da quel De Bustis amico di D'Alema, poi incredibilmente promosso al Montepaschi nonostante avesse fatto appena naufragare la banca salentina?). Dove sono i paladini della legalità in tutti questi episodi? Perché nessuna voce si alza in difesa di questi magistrati senza tessere e appartenenze? Travaglio tace, Di Pietro dorme…se non c’è di mezzo Berlusconi non ha senso ergersi a difensori della legge. I cattivi stanno sempre ad Arcore tanto che i “buoni”, se non si tratta del Cavaliere Nero, si girano volentieri dall’altra parte. E’ questo il paese normale che piace a D’Alema? E’ questo lo stato dei balocchi dove il compagno Spezzaferro e i suoi compari sperano di instaurare la loro tirannia del silenzio? Altro che Berlusconi! Qui il più pulito ha la peste e chi parla del rischio di contagio è lui stesso l'untore…
Il giudice pugliese, balzato agli onori della cronaca per aver indagato, nella stagione delle grandi scalate bancarie in cui impazzavano sulla scena finanziaria i cosiddetti furbetti del quartierino, i vertici del PD di area post-comunista. Per costoro la preda sulla quale buttarsi con animalesca famelicità era BNL che doveva venire inglobata da UNIPOL, inaugurando così l’ingresso in pompa magna degli ex comunisti nel salotto economico che conta. In quell’occasione le intercettazioni telefoniche predisposte dalla magistratura pizzicarono Fassino, D’Alema e Latorre (il Gatto, la Volpe e la Lince) che incitavano, al pari di ultras da curva sediziosa, Consorte, Ad della compagnia bolognese, a fare il grande colpo. Fassino, attaccato alla cornetta col manager abruzzese esultava perché finalmente stavano per mettere le mani su un prestigioso Istituto di Credito (ormai famosa la sua domanda: “Abbiamo una banca?”), mentre D’Alema col suo solito aplomb da grande statista incompreso (e si capisce pure perché…) diceva a Consorte: “vai, facci sognare!” Più prosaico, invece, Latorre che consigliava al Ceo teatino di non sprecare troppo tempo con Fassino che tanto “non capisce un tubo”. Bene, da quando la Foleo si è interessata agli Untouchables di sinistra non ha più avuto pace. Le hanno interrotto la carriera con uno strano trasferimento, poi le è stata tolta la scorta perché secondo il CSM non vi erano particolari motivi di pericolo per la sua persona, è stata accusata dal medesimo organo della magistratura di non saper svolgere il suo lavoro e di essere un pazza visionaria. Infine, cosa più importante, le hanno insabbiato l’indagine sull’UNIPOL con un vergognoso escamotage, come ricorda lei stessa, non facendole pervenire le carte che inchiodavano Latorre. Quest’ultimo è stato così salvato dai colleghi politicizzati della Forleo e con lui anche Fassino e D’Alema. Gli Intoccabili appunto, come nel film di Brain De Palma. E dire che il togato brindisino ha pure subito recentemente un brutto attentato. Uno sconosciuto, dopo averla affiancata sull’autostrada, l’ha fatta finire fuori dalla careggiata procurandole la frattura dello zigomo e della mandibola. Oggi la Forleo denuncia la parzialità della giustizia italiana che si riproduce puntualmente ogniqualvolta un giudice indipendente avvia indagini senza tener conto dell’appartenenza politica degli indagati. Uguale sorte sta toccando alla pm barese Desirèe Di Geronimo attaccata, afferma la Forleo, con una violenza verbale inusitata da Vendola messo sotto inchiesta per via di quel brutto affare di tangenti che ha investito la sanità pugliese (a proposito, perchè non se ne sente più parlare? E perchè nulla più si è saputo dell'affaire Banca 121 che vide truffati centinaia di risparmiatori pugliesi da quel De Bustis amico di D'Alema, poi incredibilmente promosso al Montepaschi nonostante avesse fatto appena naufragare la banca salentina?). Dove sono i paladini della legalità in tutti questi episodi? Perché nessuna voce si alza in difesa di questi magistrati senza tessere e appartenenze? Travaglio tace, Di Pietro dorme…se non c’è di mezzo Berlusconi non ha senso ergersi a difensori della legge. I cattivi stanno sempre ad Arcore tanto che i “buoni”, se non si tratta del Cavaliere Nero, si girano volentieri dall’altra parte. E’ questo il paese normale che piace a D’Alema? E’ questo lo stato dei balocchi dove il compagno Spezzaferro e i suoi compari sperano di instaurare la loro tirannia del silenzio? Altro che Berlusconi! Qui il più pulito ha la peste e chi parla del rischio di contagio è lui stesso l'untore…
“Ecco come nell’ufficio della Finocchiaro si decise di “far fuori” Clementina Forleo”
Non mi aspettavo mica che questa notizia l’avrebbe data, chessò, “Il Foglio”, che non pubblica una garbata letterina di precisazioni nemmeno se gliela mandi due volte. Né mi aspettavo che l’avrebbero raccontata i giornali grandi e piccini. O i Tg 1, 2 e 3. Oppure le reti Mediaset. O la “nuova” La7. Oppure Sky, magari durante un Calcio Show.
No, questa notizia, che pure, come si dice in questi casi, “c’è tutta”, non l’ha data nemmeno la controcorrente Current Tv all’una di notte. E, soprattutto, non l’ha raccontata nemmeno il giornale che dice di dire “ciò che gli altri non dicono”, cioè FQ, il Fatto Quotidiano, che quando fa così a me piace chiamare “il Pacco Quotidiano” (non è che il sarcasmo può valere solo se chiami il Corriere della Sera “Pompiere della Sera”, no?).
Speravo allora che questa notizia, per spiegare com’è che funziona il giornalismo libero, quello che si chiede il perché e il percome, si riuscisse a raccontarla bene e tutta in uno dei “templi” del giornalismo libero, quella Columbia University di New York dove, a spiegare cosa sono la libertà e la stampa in Italia, sono atterrati i giornalisti Travaglio e Borromeo e il giudice di Cassazione Piercamillo Davigo.
Ospiti di Alexander Stille – figlio di Ugo Stille, il direttore che vent’anni fa mi chiamò al Corriere della Sera e del quale conservo un affettuosissimo ricordo -, i sopra citati Italians non hanno fatto nemmeno per errore un riferimento alle “cose di casa nostra” che fosse, diciamo così, un po’ diverso e un po’ più esaustivo dalla solita messa cantata su Berlusconi e il berlusconismo che ci impedirebbero – mannaggia – di raccontare “la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”.
Ed ecco dunque la notizia.
Anna Finocchiaro (capogruppo Pd al Senato, magistrato in aspettativa) ha querelato il gip di Cremona, Clementina Forleo (appena diventata mamma di una deliziosa bambina di nome Stella, auguri). La Forleo a sua volta ha denunciato la Finocchiaro per calunnia.
Forte, no? E mica soltanto per il fatto (nessun riferimento al giornale) in sé, ma anche e soprattutto per l’antefatto (ancora una volta, nessun riferimento).
La vicenda riguarda un “summit” che si è tenuto il 6 giugno 2007 nell’ufficio della Finocchiaro. L’incontro è stato raccontato da Ferdinando Imposimato – ex senatore Ds ed ex magistrato – in due verbali ai magistrati di Brescia.
Fu un incontro – dice Imposimato – in cui si decise di inviare un’ispezione ministeriale alla procura di Milano, il cui fine nemmeno tanto coperto era quello di mettere sotto procedimento disciplinare per “incompatibilità ambientale” l’allora gip di Milano, Forleo, che si stava occupando delle famose scalate bancarie dei “furbetti del quartierino”.
Più avanti, se volete conoscerlo nei dettagli, trovate una sintesi della ricostruzione di questo incontro tratta dal mio libro Roba Nostra (Il Saggiatore, con prefazione – ohibò – di Travaglio e postfazione di Antonio Ingroia).
Racconto questa vicenda per una ragione molto semplice: non mi piace che su questa storia tutti tacciano. Ma lo faccio anche perché, mentre tutti tacciono, la signora Finocchiaro spara querele, invece di spiegare cosa è accaduto quel giorno in quella stanza, mentre il PQ ogni santo giorno non solo si vanta di dire “ciò che gli altri non dicono”, ma fa pure la morale a tutti.
Ebbene, il PQ non ha dedicato un rigo a questo argomento. Non vuole raccontarlo. Non vuole proprio toccarlo. Non lo ha fatto nemmeno in occasione della festa per il suo primo compleanno, in Toscana, dove per l’occasione si è parlato di corruzione. Tra gli invitati alla festa c’era anche il pm milanese Francesco Greco. Ma anche lui, silenzio. Eppure Greco è uno di quelli che sulla vicenda Forleo qualcosa potrebbe dirla. Per esempio, potrebbe spiegare chi e perché ha “custodito” nei cassetti, senza mai dire da quale altro ufficio le avesse ricevute, le carte che invece dovevano finire sulla scrivania del gip naturale delle “scalate”, cioè Clementina Forleo.
Né ha sprecato, il pur solitamente informato PQ, un solo rigo per raccontarci, così, per amore della pura cronaca, come mai l’allora procuratore aggiunto di Milano, Edmondo Bruti Liberati, avesse sentito l’impellente bisogno di scrivere (online, nelle mailing list dei magistrati) un duro quanto inopportuno commento contro la pronuncia del Tar Lazio che dava ragione alla Forleo e sconfessava il Csm che l’aveva cacciata da Milano e trasferita a Cremona (immaginate se una cosa del genere l’avesse fatta un altro, o la stessa Forleo).
E sempre per la completezza della nostra beneamata cronaca, ci saremmo aspettati di leggere da qualche parte o di sentire da qualcuno che i protagonisti in toga dell’impropriamente denominato “caso Forleo” sono stati – dopo la “eliminazione” del gip milanese – tutti promossi: Piero Gamacchio è diventato presidente di sezione del Tribunale, Filippo Grisolia (quello che per pura coincidenza, il 30 luglio 2007 – cioè il giorno successivo a quello in cui Clementina Forleo si assenta per malattia -, deposita il parere sul “deficit di equilibrio” da cui sarebbe stata affetta la stessa Forleo) è diventato presidente di sezione della Corte d’Assise, Francesco Greco è diventato procuratore aggiunto ed Edmondo Bruti Liberati procuratore capo, quest’ultimo con la ostentata “benedizione” di destra e sinistra (rientra anche questo tra gli esempi di “inciucio buono”, come il PQ ama definire le cose che sponsorizza?).
Con un certo ritardo rispetto alla diffusione del racconto di Imposimato, ecco arrivare la querela di Anna Finocchiaro contro Clementina Forleo. Anche in questo caso, giornali e tv fanno i distratti. Un trafiletto può bastare. Ma c’è un giornale che si distingue per capacità di distrazione (non possiamo dire “di massa” perché non lo consente il numero di lettori). E’ l’Unità di Concita De Gregorio, che alla notizia dedica poche righe senza spiegare nulla, nemmeno “l’antefatto”: a leggerlo, chiunque penserebbe che Forleo abbia tirato un ceffone alla Finocchiaro, o qualcosa del genere. Eppure, Concita sulla vicenda poteva farsi illuminare. Per esempio, da Luigi (de Magistris). Che sull’Unità tiene pure una rubrica e sull’argomento sa di tutto e di più. Anche perché proprio lui ha scritto la postfazione a un libro in cui si parla abbondantemente di questo “summit”. Il libro è “Il caso Forleo”, di Antonio Massari (che è anche giornalista del FQ). Niente. Su questo, zitta Concita, zitto Luigi – che ignora persino i frequentatori del suo blog che chiedono lumi sulla vicenda Forleo – e zitto Antonio.
Zitto pure quell’altro campione della legalità, della libertà e della “democrazia dal basso” che risponde al nome di Beppe Grillo da Woodstock, provincia di Cesena.
Nel momento in cui Forleo “serviva” (come il sottoscritto, del resto) – a lui, a de Magistris, alla Alfano, a Santoro, a Travaglio – aveva anche aperto la finestra “Forza Clementina” sul suo blog. Dopo, silenzio assoluto e censura sistematica – ma in nome della libertà di espressione, ci mancherebbe – per tutti i commenti critici (puntualmente “bannati”) che piovevano sul suo blog.
Evidentemente, chi gli scrive i testi e gli ha programmato il rilancio politico-economico, per lui molto redditizio, ha spiegato a Grillo che è meglio, per il bene della democrazia e per “non fare il gioco di Berlusconi”, si capisce, non toccare l’argomento Forleo e così tacere su quella brutta pagina scritta nel Palazzo di Giustizia di Milano nell’estate del 2007, specialmente se è una pagina di cui oggettivamente non si può dare la colpa al Caimano.
Zitto, naturalmente, anche il vicequestore di Polizia in aspettativa Gioacchino Genchi. Lo capiamo, in qualche modo. Come potrebbe parlare di questa storia senza “farla propria”? Se lo facesse, mannaggia, sarebbe poi costretto ad aggiungere al suo voluminoso libro quel capitolo – su alcune figure (o figuri) del Palazzo di Giustizia milanese – che da quel libro è misteriosamente scomparso appena prima di andare in stampa.
Zitto anche Antonio Di Pietro, che pure alla Forleo aveva offerto due candidature, gentilmente non accettate dal giudice, ma pur sempre segno di stima e di considerazione nei suoi confronti.
Di Pietro non sa bene che pesci pigliare, in questo momento, e un po’ va capito. I sondaggi lo danno in pericolosa discesa e i “suoi”, ogni giorno che passa, si rivelano per quello che sono, né “capaci”, né “fedeli” e meno che mai “leali”. Ma è certo però che se continua su questa strada – un piede di qua, uno di là, un altro su, l’altro giù – torna al 2-3 per cento degli esordi.
Di Pietro non sa bene che pesci pigliare, in questo momento, e un po’ va capito. I sondaggi lo danno in pericolosa discesa e i “suoi”, ogni giorno che passa, si rivelano per quello che sono, né “capaci”, né “fedeli” e meno che mai “leali”. Ma è certo però che se continua su questa strada – un piede di qua, uno di là, un altro su, l’altro giù – torna al 2-3 per cento degli esordi.
E Salvatore Borsellino? Che cosa è successo a Salvatore Borsellino? Il suo silenzio – mi riferisco al silenzio pubblico, poiché le dichiarazioni private in questi casi lasciano il tempo che trovano – su Clementina Forleo, alla quale, non dimentichiamolo, è stato anche assegnato il premio in memoria del fratello Paolo, è assai strano, singolare, imbarazzante.
Salvatore Borsellino sa meglio di tutti cosa significa essere lasciati soli. Anche lui si è convertito alle ragioni della “ragion politica”? Anche lui soppesa la verità – la verità dei fatti – prima di enunciarla? Anche lui si chiede, prima di parlare, “cui prodest”?
Lo so, mi si obietterà che le battaglie di principio valgono fino a un certo punto. Poi occorre vincere. Anche “facendo un patto con il diavolo”, come hanno detto e ridetto, guarda un po’, Di Pietro e Vendola, e come in giro si sente ripetere sempre più spesso.
Ecco, io non la penso così. Penso che “il diavolo” sia il Male e che se dici di voler allearti persino con il Male per far trionfare il Bene, oltre a dire una enorme sciocchezza, stai anche barando. Non può venire nulla di buono da chi è disposto ad accompagnarsi anche con “il diavolo”. Ci provò già Faust con Mefistofele e sappiamo tutti com’è andata a finire.
Credo invece che se ti batti per un principio devi farlo per affermare quel principio e basta, non devi chiederti a chi giova e a chi no. E’ una strada difficile da percorrere, è vero, anche perché, purtroppo, la politica, tutta la politica, anche quella che oggi si spaccia come “alternativa”, ride di considerazioni del genere. Le reputa ingenue, folli, autolesionistiche. Punti di vista. Nessuno è obbligato a fare ciò che non ha scelto. E poiché ognuno, alla fine, sceglie, ognuno risponde di ciò che fa. O non fa.
Per me, l’obiettivo non è “abbattere” Berlusconi o chicchessia. Per me, l’obiettivo, ma a questo punto sarebbe meglio dire: la speranza, è cambiare in meglio le nostre vite, il nostro Paese, con le idee e soprattutto con i comportamenti che devono essere coerenti con le idee (diffidate di chi sostiene che la coerenza è la virtù degli imbecilli). Faccio un esempio terra terra: non puoi parlare dei precari a 500 euro al mese e “soffrire” per loro e intanto guadagnare 500mila o qualche milione di euro l’anno. Soprattutto se quei soldi sono denari pubblici. Altrimenti non sei credibile. In fondo, il nocciolo della questione è tutto qui: la credibilità. Do you understand?
Buona lettura
da “Roba Nostra” (Il Saggiatore, seconda edizione, 2009):
“E’ il 6 giugno 2007. Clementina Forleo non è stata ancora trasferita e si appresta, per poterle valutare e selezionare, a sbobinare le telefonate dei tre «Orazi» (D’Alema, Fassino e Latorre, Ds) e dei tre «Curiazi» (Grillo, Comincioli, Cicu, di Forza Italia).
A Roma sono molto preoccupati. Tanto che decidono di tenere un «summit» al volo in una qualche stanza del Parlamento. Chi partecipa a questa riunione ristretta e di cosa si discute? Lo rivela ai giudici – durante alcuni faccia a faccia ad alta tensione, quasi costretto a farlo dalla sua (ex) grande amica Forleo – l’ex senatore Ds ed ex magistrato Ferdinando Imposimato.
Dice Imposimato: «Ci fu una riunione nella stanza del capogruppo Anna Finocchiaro, dell’Unione, nel corso della quale era sopraggiunto anche il ministro Mastella, sollecitato da altri convenuti (Calvi, Latorre e altri) a un’ispesione ministeriale presso il tribunale di Milano. Il ministro aveva inizialmente rifiutato di disporre l’ispezione, perché pensava di dover attendere le determinazioni dei presidenti delle Camere…». […]
Se nessuno può fermarla con le buone, allora come si fa? La si fermi con le cattive. In che modo? Ma con un’ispezione ministeriale, no? E dunque ecco la scena: la senatrice Finocchiaro (anche lei ex magistrato), il senatore Nicola Latorre (uno dei principali coinvolti nell’inchiesta sulle scalate bancarie), il senatore Guido Calvi (avvocato di Massimo D’Alema), Clemente Mastella […] più «altri» non meglio identificati: tutti quanti insieme appassionatamente che discutono e si scervellano su come meglio servire la mela avvelenata a Clementina Forleo attraverso un’ispezione ministeriale urgente al tribunale di Milano. Ma bisogna fare le cose per bene. Quindi, meglio avere anche «le determinazioni dei presidenti delle Camere», di cui si discute nella stanza della Finocchiaro […]
Le «determinazioni» non si fanno attendere un minuto più del dovuto. Lo stesso giorno, 6 giugno, a firma congiunta – Franco Marini per il Senato e Fausto Bertinotti per la Camera – arriva la «determinazione» tanto attesa, che esprime le «preoccupazioni» del Parlamento per quelle benedette telefonate.
Ci sono tutti. Anzi, no. Ne manca ancora uno. Il capo dello Stato. E il 23 luglio arriva anche lui. Giorgio Napolitano, dall’aula di Palazzo dei Marescialli, durante un plenum del Csm, rivolge un appello ai giudici, chiedendo che «non inseriscano nei loro atti valutazioni non pertinenti». […]
Dopo, parecchio tempo dopo, quando ormai chi doveva capire la lezione l’aveva abbondantemente capita, ecco che dal Quirinale giunge una smentita, o meglio, una rettifica, che spiega come il presidente Napolitano non intendesse riferirsi a nessuno in particolare, e quindi nemmeno al giudice Forleo.
Ma intanto la macchina si è messa in moto, ed è un tritacarne inarrestabile. D’altra parte, bisogna fare in fretta. Intercettando Antonio Fazio si è arrivati a Giovanni Consorte e intercettando quest’ultimo si è arrivati a Massimo D’Alema. La partita si fa sempre più pericolosa. Saltano le regole e i vecchi riferimenti che servivano da orientamento si rivelano inutili. Non c’è più nemmeno l’alibi del «nemico» della magistratura per definizione, il «nemico di destra». Ora il nemico, il Caimano, arriva anche dall’altra sponda della palude. E questo sembra fare ancora più paura. Scappano tutti. E quelli che non si dileguano si fanno caimani pure loro. La Forleo viene lasciata sola.
Il resto è gioco di accerchiamento. Dopo la riunione segreta ospitata dalla Finocchiaro e i pronunciamenti delle tre più alte cariche dello Stato, Clemente Mastella dichiara ai giornali che la Forleo non rispetta la Costituzione e D’Alema dichiara al duopolio tv Rai-Mediaset che si è oltrepassato il segno (cioè è stato chiamato in causa lui) e i giudici vanno puniti. E’ stato detto tutto. E’ tutto pronto. Immediata, scatta l’azione disciplinare promossa dal procuratore generale della Corte di Cassazione, Mario Delli Priscoli. […]
La decisione annunciata di trasferire Clementina Forleo con la fantasiosa motivazione della «incompatibilità ambientale» è assunta dal Csm il 22 luglio 2008. Ma Forleo andrà a Cremona in settembre. Fino a quella data, quindi, il gip di Milano competente sulla storiaccia delle scalate bancarie è ancora lei. […] Che cosa è accaduto dal 29 maggio al 29 luglio 2008?
In questi due mesi, la procura e l’ufficio gip di Milano hanno fatto di tutto per ritardare la decisione di iscrivere sul registro degli indagati il senatore Nicola Latorre. Invece di fare ciò che potevano (e forse dovevano) fare, i magistrati di Milano hanno solo dato a vedere di volerlo fare con urgenza. E così hanno scippato il caso delle scalate bancarie dalle mani del gip Forleo, nonostante fosse lei il giudice competente.
Una vicenda gravissima […] Ma quando anche nel palazzo di Giustizia di Milano si arriva a questo, è giusto chiedersi cosa ci si può aspettare da altre procure e altri tribunali. Forse è anche per questo che i giornali e le tv non ne devono parlare. E infatti non ne parla nessuno. Quando lo scrivo, devo farlo su un blog, il sito di gossip «Dagospia». Ma nemmeno questo è sufficiente a far sì che giornali, radio e tv riprendano la notizia.
Vediamo dunque come sono andate le cose.
Dopo l’ordinanza del gip Forleo (quella dei «complici e non semplici tifosi») sull’operazione Unipol-Bnl-Antonveneta-Rcs, la Camera dei deputati aveva dato il nulla osta all’iscrizione dei parlamentari sul registro degli indagati, affermando che non era necessaria l’autorizzazione del Parlamento.
Restava da decidere solo il caso di Latorre, per il quale si doveva esprimere la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato.
Nella sua ultima seduta del 22 gennaio 2008, la Giunta propone al Senato di restituire gli atti all’autorità giudiziaria, come vuole la legge.
In altri termini – questo è il senso della decisione della Giunta –, poiché in questo caso non si sta chiedendo di intercettare un parlamentare, ma di utilizzare le sue conversazioni con altri indagati, quel parlamentare può essere iscritto sul registro degli indagati. Quindi Latorre (proprio come aveva stabilito la Camera dei deputati anche per D’Alema, Comincioli e gli altri parlamentari indagati) era «iscrivibile» e la procura di Milano poteva farlo già all’indomani del 22 gennaio 2008. […]
Un mese dopo l’insediamento del nuovo Parlamento, il 29 maggio, la Giunta delle immunità parlamentari restituisce gli atti riguardanti Latorre al presidente del tribunale di Milano, Livia Pomodoro. La quale avrebbe dovuto trasmetterli, come aveva fatto in precedenza per gli atti della Camera, al gip competente, e cioè alla Forleo.
Invece quegli atti alla Forleo non sono mai arrivati. Ora, è vero che Livia Pomodoro e il capo «reggente» dei gip di Milano, Filippo Grisolia, nei giorni in cui si stavano cercando pretesti per massacrare la Forleo l’hanno accusata di protagonismo, mancanza di equilibrio e persino di «scarsa produttività». Ma nemmeno questa avversione nei confronti della Forleo poteva autorizzarli a non trasmettere gli atti al gip naturale.
E tuttavia, nel cristallino palazzo di Giustizia di Milano gli atti giunti dal Senato il 29 maggio vengono trasmessi direttamente alla procura, dove rimangono chiusi nel cassetto fino al 29 luglio. Saranno tirati fuori, «per l’urgenza a provvedere» due mesi dopo (l’urgenza? due mesi dopo?), quando è di turno il gip supplente Piero Gamacchio. E proprio quando la Forleo si assenta per malattia per alcuni giorni, a causa di un piccolo incidente domestico (rientrerà il 2 agosto). […]La richiesta di Gamacchio, sostenuta dalla procura di Milano (la firmano in cinque: il capo Minale, l’aggiunto Bruti Liberati, e i pm Orsi, Perrotti e Fusco) non si discosta granché da quella della Forleo, salvo in un paio di righe in cui si dice che le intercettazioni per cui si sta chiedendo l’autorizzazione «rimangono la sola fonte di innesco di una investigazione», ossia l’unico elemento per iscrivere Latorre tra gli indagati.
Ma allora, se è così, perché tutta questa perdita di tempo? Perché trattenere le carte per due mesi e poi sventolare l’urgenza a provvedere? Se Gamacchio non avesse fatto ciò che con ogni probabilità non avrebbe fatto la Forleo (qualora le avessero trasmesso gli atti che le spettava avere), a quest’ora le cose starebbero diversamente. Non ci sarebbero state tutte le danze inutili tra Roma e Strasburgo, tra parlamento italiano ed europeo, e Latorre, D’Alema e gli altri telefonisti, anche a loro garanzia si capisce, come per ogni altro cittadino, risulterebbero iscritti nel registro degli indagati.
Ma questo, in Italia, non si può dire. Non si può dire che il «caimano» Berlusconi, bene o male, nelle aule di giustizia ci è entrato (giustamente) affinché alcuni processi a suo carico fossero celebrati. Mentre per il «caimano» D’Alema (e compagni) non ci può essere nemmeno la semplice iscrizione in un registro degli indagati. […] Per la cronaca, resta l’esito finale: Forleo trasferita e Gamacchio promosso presidente di sezione.”
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