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martedì 19 ottobre 2010

La società aperta e i suoi nemici


In una precedente riflessione avevo messo in evidenza come il sistema [presunto] democratico che domina in Occidente utilizzi una sorta di transfert psicologico sulla popolazione, convincendola che esiste un opposto "ideale" della democrazia, il totalitarismo, ed attribuendovi in forma stereotipa tutti i peggiori difetti della democrazia stessa. Violazione dei diritti personali, della libertà di stampa e associazione, spionaggio della vita privata, guerre di aggressione, stermini di massa, tutte cose sulle quali la democrazia ha gettato solide fondamenta, sono idealmente rigettati fuori dell'organismo democratico e attribuiti al Moloch totalitario, educando la gente all'odio verso questo.

Ma ripescando le riflessioni del filosofo austriaco Karl Popper a sostegno della democrazia occidentale viene alla luce un elemento ulteriore, forse più grave dei casi brevemente elencati nelle righe qui sopra, che una volta di più ci costringe a mettere democrazia rappresentativa e totalitarismo sullo stesso piano. Il paradosso, divertente per l'antipatia che nutro per Popper, è che proprio il filosofo ci offre lo spunto su un piatto d'argento, condannando la democrazia proprio laddove ne vorrebbe tessere l'elogio.

Si tratta della visione millenaristica con la quale i totalitarismi novecenteschi hanno percepito (o avrebbero percepito...) se stessi.

Karl Popper nel suo La società aperta e i suoi nemici, sostiene appunto che il fascismo, il nazionalsocialismo, il comunismo siano accomunati dalla pretesa di possedere una verità ultima. La democrazia rappresentativa al contrario non avrebbe questa visione millenaristica di sé e in questo consiste la sua superiorità e maggiore giustizia nei confronti dei totalitarismi.

Non c'è nemmeno bisogno di dimostrare quanto sia falso ciò che Popper attribuisce al sistema democratico. Dire che la democrazia occidentale non abbia la pretesa di possedere la verità ultima è qualcosa che Popper comunica come un dogma ma senza che vi siano argomenti o situazioni concrete a dostenere questa tesi. 
Questo per due motivi. Il primo, la democrazia occidentale si è sempre comportata in modo analogo ai totalitarismi esportando se stessa con la forza nella presunzione che i popoli cui si imponeva l'avessero invocata e considerando questi ultimi "liberati". Il che presume tra l'altro che prima non fossero liberi e che quindi l'intervento in loro favore fosse moralmente giusto. Si badi che non sto parlando dell'esportazione di democrazia tanto sbandierata dall'Occidente dopo l'11 settembre, data che costituisce un punto di svolta ma per un altro fattore che vedremo poco più avanti. Più in generale parlo della storia di tutta la democrazia moderna, rappresentativa, che già a partire dalla Prima Guerra Mondiale ha preteso di volersi sostituire ai regimi politici che cadevano davanti alle armi occidentali. Fino a tutto l'800 infatti la sconfitta militare per un paese poteva significare un drastico cambiamento di rotta nella propria politica, l'abdicazione di un sovrano a favore di un altro e via dicendo, ma mai si era preteso che lo sconfitto dovesse cambiare radicalmente il proprio impianto istituzionale a immagine e somiglianza di quello dei vincitori. Dalla Grande Guerra in poi e in misura più violenta per tutto il '900, la democrazia è invece stata imposta come gendarme nei paesi occupati.

Fino all'11 settembre, data simbolica cui si è accennato prima, tutto questo è avvenuto comunque implicitamente. Da quel giorno, e qui passo al secondo motivo per cui la tesi di Popper sarebbe una sciocchezza, la democrazia non si è solo comportata come se avesse la verità ultima in tasca, ma ha cominciato ad affermarlo esplicitamente per bocca dei propri leader occidentali, americani ed europei. Nei ritrovi internazionali, ultimo caso il G8 a L'Aquila, Obama e camerieri non si sono certo trannenuti dal ricordare come la democrazia rappresentativa costituisca il miglior modello possibile da diffondere in quei paesi che ancora non lo adottano. Ed è bene ricordare che quando i sedicenti democratici parlano di "altri sistemi" non intendono soltanto feroci dittature (che invece spesso, guarda caso, sono benevolmente tollerate quando si dimostrano accomodanti verso gli interessi economici misurati in euro e dollari) ma anche sistemi di controllo popolare che danno concretamente il potere al demos (Venezuela) o usano diverse forme di rappresentanza (Iran), tentando comunque di proiettare queste alternative nell'alveo più generale del totalitarismo idealizzato, il nemico simbolico, così che il pubblico faccia di tutta l'erba un fascio, mettendo nello stesso album di famiglia Chavez e Mobutu, Ahmadinejad e Gheddafi.

Che dunque la democrazia, occidentale e rappresentativa, sia così modesta verso se stessa, come vorebbe farci credere Popper, è decisamente dubbio. Anche in questo caso essa si comporta ne più ne meno come i totalitarismi a cui si vorrebbe contrapposta e che invece le somigliano sempre più, man mano che si denuda il re.

Il che, a mio avviso, rafforza ulteriormente il concetto che la reale contrapposizione per una maggiore libertà non sia tra democrazia e non-democrazia, ma tra partecipazione diretta del popolo e rappresentanza, tra comunità identitaria e globalità spersonalizzata.

Simone
Arcadianet

1 commento:

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