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giovedì 30 dicembre 2010

Italia schiava delle banche

di Monia Benini


In questo lungo periodo di crisi strutturale viene da chiedersi quanto possano gli Stati europei decidere autonomamente per il bene dei propri cittadini e per la tutela della propria nazione.
Articoli, dichiarazioni, misure, provvedimenti, decreti legge, ecc…si susseguono regolarmente palesando una realtà davvero allarmante: in Italia, come nel resto del Vecchio Continente, i Governi nazionali non sono liberi di legiferare autonomamente, ma sono costretti ad obbedire ciecamente alle disposizioni di organismi internazionali nominati dalle élites del potere, del tutto autonome. Questo vale sia per la “normale amministrazione” economica e finanziaria, come può essere l’emissione della moneta, sia per i provvedimenti speciali assunti per tamponare un’emergenza che spesso, come abbiamo già visto in passato, è tutt’altro che spontanea.
Il nostro Paese è infatti erroneamente considerato una delle cosidette democrazie avanzate del mondo occidentale: il Governo emana leggi che regolano la vita sociale in ogni suo aspetto (sanità, scuola, lavoro, pensioni, giustizia, ecc…) eppure è vincolato da trattati che limitano la sua sovranità al punto tale da impedirgli di adempiere al diritto/dovere di stampare, emettere e gestire una moneta nazionale.
La realtà dei fatti è tale per cui da un’analisi attenta risulta che anche la politica decisionale interna è pesantemente condizionata dai “pareri” o dalle risoluzioni emanate dagli organismi europei, secondo i quali una nazione non può decidere autonomamente ad esempio in materia di provvedimenti che riguardano il mercato e il commercio, piuttosto che relativamente alle pensioni. Ogni entità statale deve rispondere direttamente rispetto alle obbligazioni assunte con una serie di trattati internazionali.
Di notevole interesse, nonostante non se ne parli diffusamente, è la situazione storico-economica che ha portato l’Italia a rincorrere l’ingresso in Europa e quindi a sottomettersi ad una serie di poteri forti che ora costituiscono di fatto la spina dorsale della maggioranza dei provvedimenti normativi nazionali.

domenica 26 dicembre 2010

Uniti e Diversi: il Punto in Videochat con Maurizio Pallante


il 27 dicembre 2010 ore 21-23

Il punto su...Uniti e Diversi
In diretta da Torino, VIDEO CHAT CON MAURIZIO PALLANTE, portavoce nazionale del progetto Uniti e Diversi, e tanti altri ospiti amici di PBC.
A causa del maltempo molti aderenti e simpatizzanti di PBC non hanno potuto partecipare all'assemblea del 18 a Bologna: "Il Punto" cercherà di spiegare brevemente le decisioni della giornata, chiarendo dubbi e delineando l'ipotesi di progetto condiviso che andrà presto a concretizzarsi.
Non mancare!
Per seguire ed intervenire in chat collegarsi sul portare di
PER IL BENE COMUNE

Pallante: ma la crescita non è il rimedio, è il male

Se il mondo sta franando, è perché ha preteso di crescere in modo folle. La grande crisi? E’ quella della crescita. Finisce un ciclo di 250 anni, quello dell’industria. La politica? Si è limitata a servire l’economia della crescita esponenziale. E adesso che la crescita è finita, perché stanno finendo le risorse planetarie, ecco lo spettacolo del collasso globale: crisi economica, sociale, ecologica, morale. Il denaro come unico valore, la guerra come unica soluzione. La società occidentale sbanda, si disintegra, senza che l’economia riesca a trovare vie d’uscita. Siamo alla vigilia di una catastrofe? Forse. A meno che non si capovolga lo scenario: la crisi è un’occasione d’oro per la rivoluzione culturale di cui il mondo ha bisogno.


Lo sostiene Maurizio Pallante, promotore italiano della Decrescita, impegnato a raccogliere forze critiche per costruire una piattaforma alternativa, anche politica, su cui impostare una rinascita delle idee per il futuro. Nuovo paradigma: decrescita del Pil non significa disagio sociale, ma migliore qualità della vita.

sabato 25 dicembre 2010

Rapinare i risparmiatori: truffa decisa da banche e governi



di Giorgio Cattaneo

Titoli tossici, divenuti carta straccia una volta scoppiata la bolla immobiliare; il bluff di mutui senza copertura, di quote azionarie senza capitali e senza più valore commerciale né relazioni con l’economia reale. Grande crisi? No, grande truffa. Organizzata dagli Stati, con la complicità delle banche centrali. Obiettivo: derubare i cittadini. Letteralmente: espropriarli dei loro risparmi, per alimentare il grande flusso del capitalismoBruno Amoroso, docente all’università danese di Roskilde. finanziario globale: hi-tech e spese militari in primis. Tutto legale, naturalmente. Perché sono stati gli stessi “truffatori” a manipolare le leggi per agevolare il grande saccheggio. Lo afferma un importante economista,
Allievo del professor Federico Caffè, grande economista italiano scomparso nel nulla il 15 aprile 1987, Amoroso è reduce da conferenze e incontri pubblici nei quali non ha esistato a denunciare il capitalismo finanziario che sta scatenando la più grave crisi sociale nella storia delle democrazie occidentali. «Alla parola crisi, generalmente, diamo questo significato: la crisi è qualcosa di difettoso, legato al non-funzionamento dei meccanismi dell’economia o dei sistemi politici. Qualcosa di non voluto, qualcosa che è sfuggito di mano», premette Amoroso, in una video-intervista girata da “Radio dal basso” e collocata su YouTube. Secondo la tesi corrente, è «come se l’intenzione della finanza e dell’econimia fosse equa e però qualcosa è sfuggito o qualcuno ha imbrogliato. Be’, secondo me non è così».
«Questa che si chiama crisi finanziaria – afferma il professor Amoroso – non è una crisi: è il risultato di politiche programmate per realizzare l’esproprio dei risparmi di milioni di persone, sia nei paesi europei ma anche a livello mondiale».

Il massacro quotidiano dei lavoratori palestinesi




23/12/2010
di Vittorio Arrigoni
Guerrillaradio


E’ sorprendente constatare quanti giornalisti internazionali, anche fra i più quotati, una volta giunti a Gaza riportino come l’assedio si sia attenuato osservando i negozi strapieni di cianfrusaglia e il declino del mercato nero dei tunnel negli ultimi mesi.
Senza necessariamente subentrare nella Striscia basterebbe documentarsi con i rapporti delle maggiori organizzazioni per i diritti umani per comprendere la situazione reale.
Recentemente, 21 fra le maggiori ONG che operano a Gaza, fra le quali Amnesty International, Oxfam, Save the Children, Christian Aid and Medical Aid for Palestinians hanno denunciato come un milione e mezzo di abitanti della Striscia, (più della metà sono bambini) continuano a essere strangolati da un assedio illegale sotto ogni punto di vista.

Nel rapporto, nominato “Speranze svanite, la continuazione del blocco di Gaza [1]” si fa luce sulle promesse disattese d’Israele di un allentamento dell’assedio all’indomani del massacro dello Freedm Flotilla.
Secondo l’ONU Israele ha permesso l’entrata a solo il 7% del materiale necessario per la ricostruzione degli ospedali e delle scuole danneggiate o distrutte durante l’offensiva Piombo Fuso, e ciò fra le altre cose quest’anno ha comportato l’impossibilità d’accesso all’istruzioni ad oltre 40 mila studenti. L’economia continua a essere al collasso per via del blocco delle importazioni e delle esportazioni, con il 93% delle industrie chiuse e oltre il 70% della forza lavoro disoccupata.
L’88% della popolazione continua a vivere di aiuti, sotto la soglia di povertà.

L’imposizione della “buffer zone”, quella porzione di terra  nei pressi del confine che Israele ha di fatto sequestrato sparando a chiunque si avvicini, secondo l’ONU riguarda terreni fertili dal confine fino a un chilometro e mezzo nell’entroterra palestinese, cioè il 35%  del totale dei terreni coltivabili a Gaza e che ora sono lasciati incolti.
E’ proprio avvicinandosi a queste zone di confine che si ha la misura di quanto l’assedio non si sia affatto attenuato, ma al contrario stretto attorno alle vite dei suoi abitanti, rendendo la vita impossibile ai contadini e ai molti raccoglitori di materiale edile di riciclo dai palazzi in macerie.

Dall’inizio di novembre ad oggi, il Palestinian Center for Human Rights [2] e l’International Solidariety Movement [3] hanno documentato 31 attacchi compiuti dei soldati israeliani al confine direttamente contro civili palestinesi. 6 di queste vittime sono bambini.
15 dicembre
Circa  alle 9 50 am, cecchini israeliani appostati su una delle torri di osservazione poste sul confine Nord della Striscia di Gaza, nei pressi di Beit Lahiya, hanno aperto il fuoco verso un gruppo di lavoratori palestinesi impegnanti nel recupero dalle macerie di materiale edile riciclabile, ferendo alla gamba sinistra Waleed Nasser Marouf di 21 anni originario di Beit Lahia.
14 dicembre
Circa  alle 8:00 am, cecchini israeliani appostati su una delle torri di osservazione poste sul confine Nord della Striscia di Gaza, nei pressi di Beit Lahiya, hanno aperto il fuoco verso un gruppo di lavoratori palestinesi impegnanti nel recupero dalle macerie di materiale edile riciclabile, ferendo ad un piede e alla mano sinistra Mohammed Motei Shkhaidem, 23 anni di  Beit Lahia.

mercoledì 22 dicembre 2010

Indigeni contro multinazionali. Una speranza dal nord del Perù



Alessia Marucci
Il 16 settembre scorso Ayabaca, Huancabamba, Jaén e San Ignacio si sono autoproclamate zone libere da attività mineraria, in un paese in cui 21 milioni di ettari sono stati dati in concessione a imprese minerarie



Dichiarare una zona libera da attività mineraria in Perù? Sarebbe come proclamare una zona libera da corruzione in Italia, da xenofobia in Europa, da violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Eppure, quattro province del nord del Perù lo hanno fatto. Il 16 settembre scorso Ayabaca, Huancabamba, Jaén e San Ignacio si sono autoproclamate 'zone libere da attività mineraria' (Zlm).
Il boom del settore minerario. Il settore estrattivo vive il suo momento di maggiore espansione nella storia del paese: l'ultimo Rapporto dell'Osservatorio sui Conflitti Minerari in Perù dice che 21 milioni di ettari di territorio sono stati dati in concessione a imprese minerarie, il 16,73% del territorio nazionale. Se al conteggio includiamo i lotti petroliferi e per l'estrazione di gas naturale, i risultati sono allarmanti: il 48,6 percento dell'Amazzonia peruviana è già stata ceduta e secondo le previsioni la percentuale potrebbe crescere fino al 72 nei prossimi anni.
L'attività mineraria è una delle cause principali dei conflitti sociali in Perù: la maggior parte delle concessioni si ubica nelle terre delle comunità contadine della zona andina che, anno dopo anno, assistono alla svendita dei loro territori. Dal 2006 al 2010 il numero delle concessioni in tutto il paese è raddoppiato.

Il governo peruviano non ha saputo risolvere i cosiddetti conflitti 'socio-ambientali' e continua ad assegnare concessioni senza rispettare il diritto dei popoli indigeni a essere consultati (previsto dalla Convenzione 169 della Oil, ratificata dallo stato peruviano).
L'ultimo in termini di tempo è il
conflitto esploso nella provincia di Áncash in seguito al quale il ministero per l'Energia e le Attività Minerarie ha annullato il permesso ambientale assegnato all'impresa Chancadora Cantauro per lo sviluppo del progetto minerario Huambo. Gli abitanti della zona protestavano da giorni per l'impatto ambientale che tale attività avrebbe provocato, per i rischi di contaminazione alla laguna Conococha e all'area circostante, cordone ombelicale fisico con altre lagune, fiumi e torrenti che alimentano tre regioni (Ancash, Lima e La Libertad). Durante la settimana di proteste che ha paralizzato tutta la regione di Huaraz, gli scontri con la Polizia Nazionale hanno originato un morto e vari feriti.
Anche in queste terre esiste la volontà di dichiarare zone libere da attività minerarie; anche qui gli abitanti delle comunità non erano stati consultati, come prevede la normativa nazionale ed internazionale.

Tambogrande ha scritto la prima pagina di una lunga storia di resistenza che vede da un lato lo Stato e le imprese estrattive e dall'altro gli abitanti di comunità contadine e di comunità indigene.

mercoledì 15 dicembre 2010

Non m’interessa se cade Berlusconi.


Non m’interessa se cade Berlusconi.

Non pochi italiani si sono augurati la caduta del governo Berlusconi. Altrettanti, se non di più, si sono augurati l’esatto contrario.

Il governo non è caduto.

La cosa non mi rattrista ne mi rende felice. La cosa mi è indifferente.

La destra e la sinistra sono delle semplici facciate vuote. La politica, quella dei media, parla ancora di “scelte” degli elettori, quando si recano alle urne; ma si può scegliere quando i candidati vengono “cooptati” dai partiti politici! E’ una scelta votare tra due coalizioni che sono il risultato di un’arbitraria addizione di correnti ideologiche completamente disomogenee tra loro, fatta per accaparrarsi il maggior numero di voti utili possibile? Si può scegliere tra il bianco e il nero, se ne il bianco, ne il nero, esistono?

Ha senso recarsi alle urne una volta per esprimere un voto, e poi lasciare che il gioco delle parti faccia il resto, senza occuparsene più, come se la cosa non ci riguardasse!?

Negli ultimi trent’anni (per usare un periodo qualsiasi), durante l’avvicendarsi dei governi di destra e dei governi di sinistra, qualcuno ha visto migliorare le cose?

E’ migliorata la nostra condizione salariale?

E’ migliorata la nostra condizione abitativa?

E’ migliorata la nostra sanità?

E’ migliorata la qualità dell’istruzione?

Sono migliorate le nostre pensioni?

E’ migliorato il modo in cui lo stato si occupa delle classi più disagiate?

E’ migliorata la nostra qualità della vita, in generale?

Vita da polli


di Saverio Pipitone

Il 26 agosto del 1789, in piena Rivoluzione francese, venne emanata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Dopo duecento anni e innumerevoli passi avanti sulla strada del “progresso”, il 15 ottobre del 1978 veniva proclamata a Parigi la dichiarazione universale dei diritti dell’animale con la quale si stabilisce che tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza (articolo 1). Nel caso che l’animale sia allevato per l’alimentazione, deve essere nutrito, alloggiato,trasportato e ucciso senza che per lui ne risulti ansietà e dolore (articolo 9).

In quegli stessi anni, gli attivisti animalisti erano molto critici nei confronti dell’allevamento industriale; Ruth Harrison, autore del libro Animal Machines (1964), denunciava i sistemi di produzione intensiva di vitelli, suini e avicoli, rivendicando le cinque libertà dell’animale: alzarsi, sdraiarsi, girarsi, stendere gli arti e pulirsi senza difficoltà.

17 chili a testa
Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso i polli crescevano circa 2 chilogrammi in 63 giorni. Oggi, invece, un pollo industriale (il broiler, una razza appositamente selezionata in relazione alle esigenze dell’allevamento industriale: quantità, velocità, basso costo) è “pronto” in soli 33 giorni: uno sviluppo troppo rapido che ingrossa a dismisura ossa, polmoni, cuore e corpo. «Non ci reggiamo sulle zampe – racconta un pollo moderno – zoppichiamo e stiamo spesso seduti sulle lettiere sporche, molti contraggono malattie alla pelle. Per prevenire le malattie che potrebbero compromettere la nostra vendita, ci imbottiscono di antibiotici» (tratto dal libro Cosa Mangia il pollo che mangi? – Arianna Editrice).

giovedì 9 dicembre 2010

Gas di scisti, stampa italiana, Halliburton e l'attore "terrorista".

Improvvisamente, tutti a parlare di gas di scisti. Non certo per il mio post ( http://petrolio.blogosfere.it/2010/11/fratturiamo-leuropa.html ) di martedì scorso sull'avvento del fracking in Europa, più probabilmente per l'assurdo editoriale di Massimo Mucchetti uscito sul Corriere ( http://www.corriere.it/editoriali/10_dicembre_03/alcune-domande-su-eni-e-mosca-editoriale-massimo-mucchetti_bed39922-fea4-11df-b6f8-00144f02aabc.shtml ) di venerdì. Ne avevamo già accennato qui ( http://petrolio.blogosfere.it/2010/12/berlusconi-non-e-mattei-e-il-taxi.html ) .

In sintesi, l'articolo sostiene che comprare gas dalla Russia è inutile perché gli americani hanno scoperto... l'America: ovvero una fonte di gas ubiqua e pressoché infinita. Quanto si parla di energia in questi termini, è già di per sé obbligatorio diffidare. Ancora più obbligatorio, se poi chi ci racconta la faccenda da un autorevole quotidiano omette accuratamente quelli che sono gli aspetti più controversi della questione. Mezzo nordamerica si rivolta contro l'estrazione di shale gas, e Mucchetti lo dipinge come un dono degli dei facile ed economico. Sembra un piazzista, che diamine. Non ci credete? Ecco qua:

in America inizia una rivoluzione tecnologica che rende abbondante il gas, e dunque riduce in prospettiva la centralità dei fornitori storici, Russia, Algeria e Libia (traduzione: gli americani hanno risolto il problema con mirabolanti tecnologie, e noi ancora nella tenda con Gheddafi)

In tre anni questo gas non convenzionale emancipa gli Usa dalle importazioni e fa crollare i prezzi sul mercato (traduzione: lo shale gas è praticamente regalato, perché dar soldi ai russi?)

perché l'Eni si impegna in un investimento miliardario per raddoppiare le onerose importazioni dalla Russia quando c'è tanto gas più a buon mercato nel mondo (traduzione: lo shale gas è convenientissimissimo e l'ENI è incompetente o corrotta)

La massoneria deviata, quella non deviata e lo spezzatino ENI

La massoneria deviata, quella non deviata e lo spezzatino ENI

Berlusconi si sa, ha fatto dell’ottimismo una professione di fede. È vero, ultimamente è diventato pessimista anche lui (“Vogliono farmi fare la fine di Mattei”, ha detto[1]) ma non c’è motivo: con degli oppositori come quelli che ha lui non è il caso. Gente seria, che al di là della polemica politica, pensa sempre – innanzitutto – al bene del paese. Gente sulla cui trasparenza non si discute. Pensate: nel PD hanno persino un codice etico[2]. È vero, anche lì ogni tanto scappa fuori qualcuno col grembiulino[3], ma cosa avete capito? Si tratta di massoneria seria e pulita, mica di robaccia deviata come la P2. Qualcuno potrebbe osservare che il termine “qualcuno” è un delicato eufemismo, di fronte al pullulare di logge nei bacini elettorali tradizionali del detto partito, ma sarebbe indice di una mentalità malata, riprovevolmente complottista. Pensiamo a Livorno, ad esempio: “Quando a Livorno c’erano più fratelli che logge”, titolava tempo fa Il Giornale[4]. Ma scherziamo? Vogliamo sospettare pure della città che ha dato i natali a Ciampi[5] e a Toaff? E che cacchio!

A proposito di Ciampi, il giornalista investigativo Ferruccio Pinotti, nel suo FRATELLI D’ITALIA[6], ha chiesto ragguagli al noto finanziere Florio Fiorini, “un uomo che conosce come pochi i rapporti tra finanza e poteri occulti”[7].

Domanda: «Ciampi era massone?»

Risposta: «Che Ciampi sia massone mi pare ovvio. D’altra parte, uno di Livorno! Uno di Livorno non può non essere massone! Solo che uno non deve confondere la massoneria seria, di cui faceva parte Ciampi, con quella di Gelli. Era tutto un altro mondo».

Domanda: «Ciampi è stato un terminale come Cuccia, dell’alta finanza internazionale vicina alla massoneria?»

Risposta: «Indubbiamente Ciampi si muoveva in un certo ambiente della finanza laica. La massoneria seria, in Italia, è sempre stata un’eredità di Mazzini. Il segretario del Partito repubblicano era Ugo La Malfa: quella era la massoneria seria…».

Ciampi e Gelli: tutto un altro mondo. Non siete convinti? Ma allora siete dei complottisti inguaribili. Sarebbe come confondere Ciampi con Berlusconi: una bestemmia! Se non volete credere a me, credete almeno agli esperti.

Ecco ad esempio cosa dice il giornalista Antonio Nicaso, intervistato anche lui da Pinotti[8]:

Domanda: «Con Nicaso affrontiamo il tema del rapporto tra massoneria e poteri criminali in Italia: come può essere inquadrato, storicamente?»

Risposta: «Vorrei fare una premessa: la massoneria è stata oggetto di grandi pregiudizi. Ci sono logge pulite e logge sporche. Non bisogna generalizzare. Le logge sporche non hanno lesinato contatti e rapporti con organizzazioni criminali, come la ‘ndrangheta, la camorra e Cosa nostra. Il rapporto è diventato organico dagli anni Quaranta in poi».

Il popolo........ superstizioso

"Il Punto", rubrica a cura di Monia Benini

Il popolo…superstizioso
 
“ Con il termine superstizione si indicano credenze di natura irrazionale che possono influire sul pensiero e sulla condotta di vita delle persone che le fanno proprie” (Wikipedia) e quindi…cosa c’è di meglio del colore viola ad indicare quanti veicolano la loro insoddifazione sull’obiettivo che si vuole abbattere (Berlusconi) attraverso un movimento di massa che dalla nascita dice di essere estraneo ai partiti, mentre invita i segretari degli stessi partiti alla propria convention? Esatto. Proprio quel popolo viola creato “dal basso” (ma già in origine sostenuto finanziariamente e politicamente da IDV e PRC) che domenica ha creato un bel palcoscenico per l’ennesimo teatrino della politica e per i suoi attori?
Cosa ne pensano quanti in buona fede erano davvero convinti che “la rivoluzione viola” avrebbe cambiato il sistema? Sono davvero convinti che i partiti a cui loro si sono rivolti si siano assunti una responsabilità tale da costituire un cambiamento per il paese? Quale progetto è uscito da parte di questi partiti per l’Italia (a parte la cacciata del loro demonio, quale fosse l’unica causa di tutti i mali), sufficiente per ottenere la fiducia del popolo viola?
Oppure il popolo viola è l’ennesima stampella del centro sinistra?
 
Il Punto

lunedì 6 dicembre 2010

Popolo Viola: il dissenso fine a se stesso

Un anno fa sembrava destinato a grandi sviluppi. Ma solo a patto di non vedere i limiti intrinseci dell’iniziativa, confermati anche dalla convention di ieri a Roma 
di Davide Stasi

Si è tenuta ieri, al Teatro Vittoria di Roma, la prima “convention” del Popolo Viola, movimento spontaneo antiberlusconiano nato in Rete giusto un anno fa. Scopo dell’incontro, secondo gli organizzatori è «conoscersi e confrontarsi con i partiti che si oppongono a Berlusconi», oltre che tirare le somme di un anno di micro-iniziative locali, in gran parte veicolate tramite Facebook.
Dopo il primo exploit, il Popolo Viola come movimento collettivo sembrava essersi inabissato nei meandri di internet, condannato all’irrilevanza. Ad aiutarne la resurrezione, in questi giorni, è arrivato Wikileaks, secondo cui Berlusconi si era dichiarato preoccupato per la mobilitazione del “No-B-day”, prospettando a un diplomatico USA la necessità di stabilire alcune restrizioni alla Rete. La notizia ha fatto da trampolino mediatico, ridando slancio al movimento, che a Roma ha affrontato, insieme ai partiti più “vicini”, cinque tematiche selezionate in Rete: legge elettorale, conflitto di interessi, lavoro, istruzione e cultura, libertà di informazione.
Nulla che possa incidere sul sistema, in realtà. Il centro del dibattito sono state le cure possibili ad alcuni sintomi, nemmeno i più importanti, di un male che è molto più globale e radicato. Non una parola sul sistema economico globale, sul turbo-liberismo consumista, sulla dittatura delle banche, sui modelli di vita conseguenti, ossia sulla reale patologia del nostro paese e del mondo. Non una parola quindi su eventuali alternative per uscire dalla deriva istituzionale e dalla decomposizione del corpo sociale.
Questioni cruciali, ma forse troppo per un gruppo, come il Popolo Viola, che si porta dietro la tara insita nella sua stessa fondazione. È un movimento privo di idee e di qualunque elaborazione, non solo politica, ma anche culturale, con l’unico scopo dichiarato di far fuori politicamente una persona. La sua unica utilità, quindi, è quella di coagulare il dissenso di cittadini che, in buona fede e delusi dal sistema nel suo complesso, cercano argomenti facili e strumenti di aggregazione accessibili nell’intento di dare rilevanza alla propria voce. Gruppi sedicenti “dal basso” come il Popolo Viola ne spuntano come funghi dal brodo primordiale del malessere diffuso. Ma, privi come sono di qualunque strutturazione politico-culturale,

sabato 4 dicembre 2010

Effeti del COREXIT: sostanze tossiche, decisioni inspiegabili e morti sospette

Ian R. Crane: BP, sostanze tossiche, decisioni inspiegabili e morti sospette

Verso la fine di agosto 2010, Bianca Finkler, presentatrice del programma olandese Nightfall Project, ha intervistato l'autore inglese Ian R. Crane a proposito del disastro della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Data la sua pluridecennale esperienza nell'industria del petrolio e i contatti che tuttora conserva, Crane è nella rara posizione di avere accesso a gran parte delle informazioni che sono state tenute fuori dai mass media principali.
Quello che segue è un lungo estratto dell'intervista, approssimativamente al minuto 29' del podcast.

IAN R. CRANE: Mentre una volta, credo, ci vantavamo di come il nostro sistema d'istruzione insegnasse ai nostri giovani ad essere intellettualmente curiosi, oggi il sistema d'istruzione non ha niente a che vedere con la curiosità intellettuale. Il sistema d'istruzione di oggi, particolarmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, serve a creare i confini dell'ortodossia. Serve per dire alla gente ciò che è e ciò che sarà, e per insegnarle i confini entro i quali pensare: chiunque osi pensare al di fuori di questi confini è immediatamente considerato un pericolo per la società.

BIANCA FINKLER: O totalmente ridicolizzato.

IRC: Sì, o un complottista. O qualcosa di malato, comunque. E questi termini sono usati nei media, effettivamente, per demonizzare pensatori critici, perché i media mainstrem creano la narrativa di ciò che deve essere la realtà, ed esigono che nessuno la metta in discussione; mentre un pensatore critico dirà sempre, come dico io nelle mie conferenze, 'per amor di Dio, non prendete tutto quello che dico per oro colato, non vi serve a niente!'
Tutto quello che faccio è “piantare i semi” e incoraggiare la gente a verificare queste cose per conto proprio, perché in finale la gente deve arrivare alle proprie conclusioni di ciò che è reale, la verità, e ciò che è fantasia, narrativa. Non puoi dirglielo, devono arrivare loro a questa realizzazione.
Penso che quello che sta succedendo in questo momento, riguardo a ciò di cui stiamo parlando, cioè il disastro della BP, in un certo senso questo faccia il nostro gioco, perché ci aiuta a dimostrare che le cose in realtà non stanno come sono ritratte nei media.
Quello che vediamo in questo momento è che nel Rego Unito, da quasi due mesi, ci sono questi scandalosi articoli che asseriscono che il petrolio “non c'è più”, “era tutta un'esagerazione”, “era tutto un piano per demonizzare la BP e permettere all'industria petrolifera americana di comprare assetti della BP”.

BF: Beh, in fondo è pur sempre British Petroleum!

IRC: Esatto. Come se pensassero: 'li abbiamo vinti nella guerra d'indipendenza, e adesso troveremo un sistema per controllare le loro compagnie'. Beh, la morale è che John Brown, il precedente amministratore delegato della BP, si sarà pure fatto molti nemici quando era a capo della BP, non c'è assolutamente dubbio, anche se aveva molti agganci, e credo certamente che – in parte – l'agenda fosse anche di spezzettare la BP e fornire opportunità a compagnie americane come la Exxon di tornare a essere la maggiore produttrice globale di petrolio. Per cui quello che vedremo nei prossimi mesi sarà sicuramente una maggiore quantità di assetti della BP acquistata da compagnie statunitensi: quindi probabilmente vedremo Exxon impossessarsi dell'oleodotto in Alaska, dell'Alaskan North Slope dalla BP Amoco, e probabilmente anche le operazioni nel Golfo del Messico. Quello è l'aspetto industriale. Ma diamo un'occhiata nel Golfo, nonostante i media britannici cerchino di dirci che l'olio è sparito: prima di tutto cerchiamo di capire dove possa essere sparito. Per prima cosa, la BP ha disseminato un eccesso di 41.500 ettolitri di un solvente chimico estremamente pericoloso, noto come Corexit; per essere precisi, hanno usato una varietà particolarmente tossica, che si chiama Corexit 9527A. La ragione per cui hanno utilizzato quel tipo era perché sapevano che non avrebbero mai più avuto l'occasione di usarlo, quindi questa era l'opportunità per immetteerlo nell'oceano e far pagare il conto a qualcun altro.

BF: Sì, volevano darci a bere, dopo aver riversato milioni di ettolitri di petrolio nell'oceano, che questo casino si poteva rimediare con sostanze chimiche?

IRC: Effettivamente, ciò che fa questo Corexit è spingere il petrolio sotto la superficie [del mare]: lo relega sott'acqua.

venerdì 3 dicembre 2010

7 dicembre, non dimenticare ...se ci sei batti un colpo..ALLE BANCHE !

a seguito articolo tratto da Comedonchisciotte
LA "RIVOLUZIONE" DI ERIC CANTONA AGITA LE BANCHE ?

7 dicembre, non dimenticare ...se ci sei batti un colpo..ALLE BANCHE !

Tutto è iniziato con un intervista a Eric Cantona.. anzi, tutto è iniziato nel 1694, con la nascita della banca d'inghilterra, una società privata, che ha cominciato a prestare denaro allo stato.

da 3 secoli a questa parte la situazione non è cambiata. oggi, in tutto il mondo, le banche centrali di emissione creano denaro dal nulla e lo prestano agli stati, indebitandoli.

pochi banchieri internazionali sono responsabili dell'attuale situazione. la tecnologia fa passi da gigante, si lavora sempre di più ma i debiti sono sempre più alti. ..tanto alti da far fallire interi stati (vedi grecia e irlanda).

grazie alle scoperte scientifiche si sarebbe potuto arrivare ad un ottimo tenore di vita per tutti gli abitanti della terra. a causa della moneta debito ciò non si è verificato.

il 50% della popolazione mondiale vive con meno di 2 dollari al giorno (3 miliardi di persone) mentre l'1% della popolazione mondiale possiede l'80% della ricchezza complessiva. l'occidente sfrutta e depreda il "terzo mondo" assicurandosi una vita "tranquilla" (mutuo per 40 anni, 2 settimane di ferie l'anno, un paio di televisori al plasma e diversi cellulari).

questa situazione inaccettabile non è sfuggita ad eric cantona, ex calciatore ed ex attore dalla mente sveglia, che in un'intervista ha denunciato i colpevoli proponendo una protesta pacifica ma dai risvolti rivoluzionari: http://www.youtube.com/watch?v=padCfgZjbXI

dopo l'intervista, Geraldine Feuillien, Arnaud Varnier e Yann Sarfati, tre francesi, hanno aperto un evento su facebook e fissato il 7 dicembre 2010 come data per il ritiro dei soldi dalle banche: http://www.facebook.com/event.php?eid=101996426533405

l'esempio francese è stato immediatamente seguito dall'italia: la pagina ufficiale facebook del nostro sito: http://www.facebook.com/pages/Lo-sai/126393880733870 ha creato l'evento italiano, quello greco: http://www.facebook.com/event.php?eid=156793421024126&index=1 e quello internazionale: http://www.facebook.com/event.php?eid=137793666269183&index=1

in altre nazioni sono stati aperti eventi corrispondenti, per un totale di 15 paesi (dall'islanda al messico).

ora fate molta attenzione: il 12 novembre,

Irlanda, Inter Alpha ed il comunismo dei debiti

due validi articoli che illustrano una chiara sintesi della situazione Irlanda e del meccanismo del Fondo Monetario Internazionale, il primo tratto da Movisol, il secondo di Cobraf
Barbara


Dopo il 25 novembre, il sistema Inter-Alpha è finito

1 dicembre 2010 (MoviSol) - Il 21 novembre il governo irlandese ha issato la bandiera bianca e chiesto il salvataggio UE. Di conseguenza, verrà attivato il meccanismo dell'EFSF (European Financial Stabilization Facility), l'entità offshore con cui gli stati dell'UE si indebiteranno sul mercato per prestare soldi a Dublino. In realtà, come abbiamo scritto (cfr. EIR Strategic Alert 46/10), l'Irlanda ha bisogno di soldi solo per salvare tre banche fallite: Anglo-Irish Bank, Allied Irish Banks e Bank of Ireland. Queste, a loro volta, non sono che strumenti offshore degli investimenti ad alto rischio delle banche britanniche e tedesche, che hanno nei loro confronti un'esposizione di 270 miliardi di euro.

Il pacchetto di salvataggio UE per l'Irlanda ha fatto poco per cambiare una situazione globale che, a meno che Londra non riesca ad effettuare l'equivalente strategico di un colpo di stato, si avvia verso il naufragio del sistema finanziario e monetario centrato sul gruppo Inter-Alpha. Il pacchetto di 85 miliardi contiene atrocità come l'uso dei fondi pensione per rimborsare gli speculatori, e rappresenta un compromesso tra il governo tedesco e la Banca Centrale Europea, che ha portato all'abbandono formale della proposta di ristrutturazione del debito "ex-ante" per l'Eurozona.

È stata adottata la formula dell'approccio "caso per caso", tipica del FMI. Questo, però, non assicura la garanzia totale per i paesi e le banche dell'Eurozona richiesta dai mercati.

Inoltre, il tema all'ordine del giorno della riunione straordinaria dell'Ecofin del 28 novembre non era più l'Irlanda, ma il Portogallo e la Spagna. Benché i dati siano noti solo alla BCE e forse ai ministri finanziari, si presume che una fuga di depositi di clienti "corporate", simile a quella che ha colpito l'Irlanda nelle ultime settimane, sia in corso anche nella penisola iberica. La parola chiave è "Inter-Alpha". Il debito bancario irlandese, portoghese e spagnolo, come quello del resto dell'Eurosistema, costituisce una rete intricata e collegata, al centro della quale c'è il gruppo bancario Inter-Alpha.

Prendiamo l'Irlanda: il membro Inter-Alpha Royal Bank of Scotland (nazionalizzata all'80%) è esposta per 64 miliardi di euro verso l'Irlanda, dieci dei quali sono già ufficialmente in sofferenza; nel piccolo Belgio, il fondatore di Inter-Alpha Kredietbank (KBC) è esposto per 17,8 miliardi. Se passiamo al Portogallo, qui l'esposizione delle banche spagnole, in primis il membro Inter-Alpha Santander, è vasta. Secondo un analista della Bank of New York Mellon, citato dal Daily Telegraph del 25 novembre, è già in corso una fuga di capitali esteri dai mercati finanziari spagnoli.

Si consideri che i titoli spazzatura in pancia alle banche Inter-Alpha sono assicurati con le banche americane, come JP Morgan, Bank of America, Goldman Sachs ecc., e il potenziale di reazione a catena diventa chiaro.

giovedì 2 dicembre 2010

Scappo dalla città - Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione

di Grazia Cacciola
Cari lettori di vivi Consapevole, abbiamo il piacere di pubblicare l'ntroduzione del libro "Scappo dalla città - Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione" (Edizioni Fag Milano, Ottobre 2010) della nostra collaboratice Grazia Cacciola, autrice della rubrica "Piantare e raccogliere" per la nostra rivista. Buona lettura!

Una grande varietà di forze sembrano fare pressione oggi sulle persone: lavoro, risultati, guadagno. Un enorme dispendio di tempo, la gran parte della nostra vita. E’ difficile sfuggire a questi ingranaggi, soprattutto se vi si è nati. Se da piccoli ci voleva un’ora di strada per andare a scuola, da adulti non apparirà strano che ci vogliano due ore per andare al lavoro. Si cerca di piegare mente e fisico alla stanchezza di questi ritmi, allenandoli a sopportarti con l’unico baluardo di un fine settimana riposante o di una serata davanti alla televisione. Cio’ di cui molti non si rendono conto è che il loro tempo di vita vera è quello, il riposo, banale e necessario, dal tempo lavorativo. Nella realtà, non deformata invece da un’organizzazione sociale distorta, il tempo di vita dovrebbe essere maggiore e qualitativamente migliore di quello lavorativo.
Si cita sempre il mito dei paesi del nord Europa dove si è capito da lungo tempo, dove le trentatrentacinque ore settimanali di lavoro non diventano, se non in casi sporadici, le quaranta-quarantacinque più una decina di pendolarismo a cui siamo ormai abituati in Italia. Il risultato è, non a caso, una società più sana, più presente, meno stanca.
La pressione della competizione, i consumi percepiti come necessari, la corsa al lusso,

mercoledì 1 dicembre 2010

Europa, la beffa dei fondi strutturali. Risorse destinate anche a Coca-Cola, Siemens e Ibm

A metà percorso, spesi solo il 10 percento di 347 miliardi di euro. Risorse destinate anche a Coca-Cola, Siemens e Ibm
Come vengono spesi i fondi strutturali europei? Non vengono spesi. Miliardi di euro destinati a promuovere la crescita delle regioni depresse del nostro continente rimangono nelle casse di Bruxelles perchè i governi non hanno le risorse finanziarie integrative per sbloccarli. E non solo.
E' un'inchiesta svolta dal Financial Times, in collaborazione con il Bureau of investigative journalism di Londra, a rivelare come le risorse siano spese male, non spese, o stornate dalla mafia. In oltre otto mesi, il Bureau e il Financial Times hanno raccolto dati relativi a milioni di euro per costruire il più grande database a oggi disponibile per rintracciare chi ha ricevuto 347 miliardi di euro distribuiti in 271 regioni di 27 Paesi. A metà del ciclo di spesa di sette anni, è stato utilizzato solo il dieci percento dei fondi allocati per il periodo 2007-2013.
Le preoccupazioni in merito all'efficienza e alla bontà di tali programmi sono forti, se si considerano le conclusioni a cui sono arrivati giornalisti e ricercatori:
La complessità dei programmi rende assai difficile un controllo da parte dell'autorità centrale su come vengono spesi i fondi. Con solo 25 investigatori anti-frode e una rete burocratica quasi impenetrabile, è impossibile rintracciare come i soldi vengono distribuiti, e come milioni di euro vengono sprecati, perduti o rubati.
Il problema principale è che i fondi vengono consegnati alle regioni, ed è a quel punto che il loro percorso diventa opaco.
Dal database, che è riuscito a scavalcare l'euroburocrazia di Bruxelles e i tortuosi percorsi degli Stati membri e delle loro amministrazioni regionali, elencando il percorso fino al beneficiario finale (e sono quasi 700mila) emergono dati inattesi. Se è noto che la 'ndrangheta ha una expertise superiore a molti enti pubblici nell'accaparrarsi le risorse elargite dall'Unione Europea, pochi sanno che milioni di euro destinati a piccole e medie imprese sono finiti nelle casse di multinazionali come Coca-Cola, Siemens e Ibm. Altre compagnie utilizzano i fondi per rilocalizzare le imprese in località dove la manodopera è più economica, a dispetto di norme che proibiscono tale pratica.
La Commissione annovera tra le ragioni di un utilizzo così scarso delle risorse allocate il tempo necessario per l'approvazione del progetto e i soldi spesi e rimborsati da Bruxelles. Gli Stati membri, infatti, molto spesso non possono anticipare ciò che poi verrà reso loro dall'Unione Europea, in tempi considerati nemmeno troppo lunghi. Laszlo Andor, commissario per gli Affari sociali dell'Unione Europea, si giustifica così: "Non siamo una banca che deve produrre un bilancio ogni volta".

ps mentre impongono misure lacrime e sangue a beneficio delle banche, gli euroburocrati (45.000 funzionari) si autopremiano in nome della "meritocrazia" con un aumento del loro magro stipendio di un 3,7% in più.

Barbara