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venerdì 22 aprile 2011

Studio americano: la metà della carne alimentare è infetta

Notizie nefaste per i carnivori. Uno studio americano condotto dalla Infectious Diseases Society of America – e pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases – informa che circa la metà di tutta la carne e del pollame dei negozi americani è infetto.
In particolare, la carne esaminata (per la precisione il 47%) contiene in tassi elevati lo Staphylococcus aureus, un batterio legato a molte comuni malattie umane. In oltre la metà dei casi, questi batteri si sono rivelati resistenti ad almeno tre classi di antibiotici: in poche parole, sono delle vere e proprie bombe biologiche.
Certo, non che non si potesse già immaginare, ma per la prima volta è stata notificata nero su bianco la pericolosità connessa al consumo dei cibi animali più comuni. Che risultati simili siano ovvi, può facilmente essere dedotto prendendo in considerazione la forte presenza di farmaci e ormoni usati negli allevamenti del bestiame, resi necessari ovviamente per far fronte alla grossa quantità di carne voluta dalla produzione: un farmaco oggi e un farmaco domani e la generazione di batteri ultra-allenati e resistenti è assicurata.
Cosa significa questo in soldoni? Semplice: “le infezioni stanno diventando sempre più resistenti agli antibiotici esistenti”, ha detto il dottor Hughes, presidente del’IDSA. In ancora meno parole: gli antibiotici sono sempre meno utili, sia a fronte di un’alimentazione ricca di tossine e batteri che per un uso sconsiderato di questo tipo di farmaci.
La situazione è così poco simpatica da indurre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad adottare come tema centrale del Giorno Mondiale della Salute proprio la resistenza agli antibiotici. Sorge quasi automatica dunque la corsa agli armamenti: pare che diversi enti di ricerca stiano cercando di creare almeno una decina di super-antibiotici in grado anche di debellare gli ultimi batteri incriminati.
Molto poco da queste istituzioni, invece, viene detto sulla prevenzione e sull’adozione di comportamenti alimentari e salutistici più “sensati” per il nostro organismo. Possibile? Che la “resistenza” davvero problematica non sia quella agli antibiotici ma quella alla revisione delle proprie abitudini e certezze? La domanda, naturalmente, è retorica.
L’articolo completo in questione è: A. E. Waters, T. Contente-Cuomo, J. Buchhagen, C. M. Liu, L. Watson, K. Pearce, J. T. Foster, J. Bowers, E. M. Driebe, D. M. Engelthaler, P. S. Keim, L. B. Price. Multidrug-Resistant Staphylococcus aureus in US Meat and Poultry. Clinical Infectious Diseases, 2011; DOI: 10.1093/cid/cir181.
 Spazio Mente
 

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