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lunedì 13 maggio 2013

Buone a sapersi

A seguito
IL PIÙ GRANDE EVASORE DELLA STORIA: LO STATO ITALIANO! (contributi Inps) 
Da vent’anni lo Stato spende meno di quanto gli versiamo
Banche, poco credito e sofferenze alle stelle
Africa: paradiso fiscale delle imprese occidentali

Banche, 15 milioni di risparmiatori non si fidano del conto corrente

di MARIETTO CERNEAZ
I risparmi in banca? No grazie: troppe spese di gestione. Meglio le Poste, o magari il vecchio intramontabile materasso, soprattutto dopo quel che è accaduto a Cipro. Secondo la Cgia di Mestre a preferire metodi alternativi al conto in banca per i propri
soldi sono 15 milioni di italiani, dai 16 anni in su.

Per l’ufficio studi degli artigiani mestrini addirittura a livello europeo nessun altro Paese può contare un numero così elevato di persone che non possiedono contro corrente in un istituto di credito. ”Questo record – spiega il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – è riconducibile a ragioni storiche e culturali ancora molto diffuse in alcune aree e fasce sociali del Paese. Non possiamo disconoscere, ad esempio, che molte persone di una certa età e con un livello di scolarizzazione molto basso preferiscono ancora adesso tenere i soldi in casa, magari sotto il materasso, anziché affidarli ad una banca”.

In Italia, fortunatamente, è ancora molto in uso il pagamento in contanti, e chi ricorre questa modalità ha la necessità di avere i soldi sempre a portata di mano. Sarebbero poi molti i pensionati che tengono i propri soldi nei libretti di risparmio postale o utilizzano, in misura maggiore rispetto ai cittadini di qualsiasi altro Paese dell’Ue, il conto corrente di un familiare. ”Detto ciò – aggiunge Bortolussi – è altresì vero che non sono poche le persone che diffidano delle nostre banche perché ritengono che le spese di gestione di un conto corrente siano troppo elevate. Un’accusa, quest’ultima, che gli istituti di credito respingono da sempre, ritenendo, tra le altre cose, che l’elevato costo sia da attribuire al livello di tassazione raggiunto in Italia. Un peso che non è riscontrabile in nessun altro Paese d’Europa”. Eppure, anche per anatocismo, molte banche han perso cause e s ono state costrette a rimborsare i clienti.

Lo studio della Cgia è stato realizzato su dati della Commissione europea che ha monitorato quanti cittadini europei con più di 15 anni di età non dispongono di un conto corrente bancario. L’Italia primeggia con quasi 15 milioni di persone senza un conto (il 29% degli italiani over 15); seguono Paesi come la Romania, con poco più di 9.860.000 persone (55% dei romeni over 15 ) e la Polonia, con poco meno di 9.700.000 cittadini (30%). Il divario con le nazioni omologhe all’Italia e’ abissale. In Francia e nel Regno Unito i cosiddetti ‘unbanked’ sono (per entrambi) poco più di un milione e mezzo (pari al 3% della popolazione con più di 15 anni). In Germania, invece, la soglia di coloro che non detengono un conto corrente si abbassa a poco più di un milione e quattrocentomila persone (pari al 2%).


IL PIÙ GRANDE EVASORE DELLA STORIA: LO STATO ITALIANO!
DI GIUSEPPE SANDRO MELA*

Lo stato italiano non ha versato per anni i contributi pensionistici ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni e quindi li ha fatti confluire nell’Inps, ponendoli a carico di coloro che la sventura pose a lavorare nel comparto produttivo.
Forse che i pensionati italiani non saranno solidali con i poveri dipendenti delle pubbliche amministrazioni?
Unqua non fia!
Il presidente dell’Inps ha confermato che l’ente ha quasi terminato le sue disponibilità: in breve sarà illiquido.
  «Mastrapasqua, a sostegno del suo allarme, ha citato la Relazione della Corte dei Conti sul bilancio preventivo 2012, da cui emerge chiaramente che la fusione con Inpdap ed Enpals operata all’inizio del 2012 si è rivelata una pillola avvelenata per i conti dell’Inps: “il patrimonio netto … è sufficiente a sostenere una perdita per non oltre tre esercizi”
Già. E perché siamo vicini al fallimento anche dell’Inps?
  «Questo, a causa della fusione Inpdap-Inps, ovvero l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici con la previdenza privata. Una fusione voluta dalla manovra Salva-Italia del 2011 che non ha cancellato il buco di 23 miliardi di euro, equivalente al debito che lo Stato ha nei confronti dei contributi previdenziali per i suoi dipendenti. Buco che ora grava nelle casse del SuperInps, con il rischio di non riuscir più a pagare le pensioni per i prossimi anni se non verranno fati interventi a carattere urgente per risanare i conti
Sì. Avete letto bene: ciò accade a causa del «debito che lo Stato ha nei confronti dei contributi previdenziali per i suoi dipendenti», e tutto questo si somma, tanto per gradire al «deficit di 91 miliardi che la Pubblica Amministrazione ha nei confronti dei propri fornitori». Poi, ovviamente, ci sono tutti gli altri debiti, ma state tranquilli. Sono solo un po’ più di duemila miliari di euro.
  «Se le amministrazioni dello Stato rallenteranno ancora i pagamenti l’Inps avrà “ulteriori problemi di liquidità”, che non potrà non ripercuotersi sul regolare pagamento corrente delle pensioni.»
  «Le entrate contributive si incrementeranno dello 0,9% (a 213,762 miliardi) nel 2013, le uscite per prestazioni istituzionali saliranno del 2,3% a 303,077 miliardi (di cui la spesa per prestazioni pensionistiche sarà di 265,877 miliardi, +1,7%).»
Quindi, entrano 213.762 miliardi e ne dovrebbero uscire 303.077. Mancano all’appello 89.315 miliardi.
Donde prenderli? Elementare. Riducendo i 265.877 miliardi delle spese pensionistiche di 89.315 miliardi, portandole a 176.562 miliardi. Una riduzione del 34%, come preannunciammo in passato.
Per cui, pensionatucci miei, mettevi l’animo in pace. Tra breve Vi taglieranno, e di brutto, le Vostre pensioni per elargire benessere ed abbondanza ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni confluiti a Vostro carico. Che si godranno il beneficio senza aver versato un centesimo bucato: tanto il conto lo pagherete Voi, se riuscirete a sopravvivere, ovviamente.
«Pubblico é Bello»!
Lascio i Signori Lettori alla lettura di questi due bei pezzi, che sintetizzano in modo molto chiaro quanto stia succedendo.
p.s. Ma dove é mai finito quel mare di denaro?
*Link all’originale: Rischio Calcolato

Da vent’anni lo Stato spende meno di quanto gli versiamo

Se durante il fine settimana lavi l’auto, controlli l’olio, la pressione dei pneumatici e cosi via, questo post fa per te. Un’automobile non può funzionare senza il lubrificante, l’olio appunto. Per questo, regolarmente, estrai dal motore l’asta di metallo. Sai perfettamente che il livello dell’olio non deve essere né troppo basso, né troppo alto, quindi all’interno di due limiti (tacca di minimo – tacca di massimo). Il mancato rispetto degli stessi danneggia il motore. Immagina l’Italia. Il motore di una nazione siamo noi, con le nostre idee, competenze e la nostra volontà. Ok, noi siamo il motore, ma l’olio – la spesa a deficit, la differenza tra la spesa dello Stato e gli introiti fiscali – per far scorrere perfettamente gli ingranaggi chi lo mette? Chi lo controlla? Lo Stato. Compito fondamentale di un governo è garantire che l’olio nel motore (spesa a deficit) sia della quantità adeguata, sopra il minimo, sotto il massimo. Così il motore funziona perfettamente e la piena occupazione è possibile.

Se c’è troppo poco olio, il motore si blocca e la disoccupazione aumenta. Rifletti: la strategia europea attuale, in risposta alla crisi, è l’austerity: eliminare ogni goccia di olio dal motore, fino all’ultimo residuo nel più remoto ingranaggio perché, dicono, cosi funzionerà meglio. Può andare a buon fine questa strategia? L’austerità in risposta alla crisi imposta dalla perdita di sovranità monetaria è una scelta che blocca l’auto. Cosa accade invece se c’è troppo olio nel “motore Italia”? Compito dello Stato è anche evitare che l’olio trabocchi. Un fraintendimento base relativo alla Me-Mmt, è la credenza errata che uno Stato monetariamente sovrano debba spendere all’infinito. Sbagliato. Lo Stato spende, cioè inietta olio, ma mai oltre la tacca di “massimo livello”, che è rappresentata dalla piena occupazione. Utilizzata la piena capacità dei fattori produttivi e delle risorse umane, ulteriore olio motore (spesa a deficit) genererebbe inflazione, una cosa di cui il “motore Italia” non sente la mancanza.

Inoltre lo Stato non deve spendere a caso, ma concentrare i suoi sforzi affinché il motore, che siamo noi, possa esprimere la sua efficienza nel migliore dei modi possibili, quindi perseguendo esclusivamente l’interesse pubblico. Capire un malinteso. Possono i cittadini rabboccare l’olio autonomamente? No, perché nessuno di noi è in grado di produrlo. Qualcuno ce lo deve fornire e l’unica azienda che lo produce è lo Stato, a cui non costa nulla. Potrebbero fornircelo anche le banche, ma loro lo prestano solo per un arco di tempo, terminato il quale lo rivogliono indietro. Quindi vivremmo sempre con l’ansia costante di cercare qualcun altro che ci venda altro olio, altrimenti il motore si rompe.
Per decenni, il governo italiano ha speso a deficit. Le entrate fiscali sono sempre state abbondantemente sotto la spesa primaria (primary expenditure, la spesa dello Stato da cui sono stati decurtati gli interessi sul debito pubblico). All’inizio degli anni ’90 l’ideologia dell’Ue, per opera del Trattato di Maastricht, ha preso il sopravvento. Da quel momento la tassazione è sempre stata superiore alla spesa. Ogni anno lo Stato ha eliminato denaro dai nostri conti correnti, distruggendo la domanda di beni e servizi. I risultati li vediamo oggi. Spero che questa metafora sia utile a te, che ti danni a far comprendere al vicino di casa come il ruolo dello Stato sia naturale per far funzionare correttamente il motore (Ps: se mentre rabbocchi l’olio pensi alla spesa a deficit e ne metti troppo, non è colpa mia).
(Dario De Angelis, “La spesa a deficit spiegata a un appassionato di motori”, dal sito “MeMmt” creato da Paolo Barnard per diffondere la Modern Money Theory elaborata dall’economista democratico Warren Mosler).
Fonte: Libre Idee


Banche, poco credito e sofferenze alle stelle

Nonostante i 260 miliardi ricevuti dalla Bce, non vengono più concessi prestiti ai cittadini e alle imprese. Le banche hanno utilizzato circa 130 miliardi per comprare titoli di Stato

Andrea Angelini

C’è del marcio nelle banche italiane. Nonostante i prestiti triennali agevolati concessi dalla Banca centrale europea fra novembre 2011 e marzo 2012 la situazione finanziaria e patrimoniale è a dir poco catastrofica. Eppure le banche italiane avevano incamerato  ben 260 miliardi all’1%  che sarebbero dovuti servire per tornare a fare credito alle imprese e alle famiglie. In tal modo si sarebbe innescata una decisa svolta. Le imprese avrebbero potuto investire e i cittadini avrebbero avuto più risorse per i consumi. E si sarebbe sostenuta la domanda interna con effetti positivi sulla crescita economica. Ma il risultato è stato opposto grazie anche al fatto che la Bce non ha vincolato quei soldi ad un loro preciso utilizzo. Le banche infatti si erano trovate in grave difficoltà sia per investimenti andati a male sia per perdite consistenti su vere e proprie speculazioni. Sia infine per gli effetti della recessione che hanno messo in seria difficoltà la clientela, tanto da far salire le sofferenze, ossia i crediti inesigibili, a livelli record. Si parla di 131 miliardi. Di conseguenza i soldi presi dalla Bce sono stati utilizzati per ricapitalizzarsi. Lo testimoniano i dati ufficiali che dicono che più della metà di quei 260 miliardi è stata reinvestita in titoli di Stato che rendono il 3-4-5%. Una cifra che è appunto pari a quella delle sofferenze.
Niente invece per imprese e cittadini che si sono visti richiedere il rientro dagli scoperti che finora erano stati concessi. Inevitabile è stata la linea scelta dalle banche. Ridurre i costi. Quindi il numero dei dipendenti. Anche per le banche si è scelta la via più facile che fa pagare ai lavoratori responsabilità che sono proprie dei dirigenti. Si potrebbe in tale ottica citare la disastrosa gestione di una banca come il Monte dei Paschi finita sotto i riflettori per l’operato di taluni dirigenti che l’hanno riempita di debiti in conseguenza di operazioni gestite malissimo, in tutti i sensi, come l’acquisto dell’Antonveneta. Ma sarebbe come sparare sulla Croce Rossa e non si aggiungerebbe niente di nuovo ad una realtà che era ben conosciuta.
Semmai c’è da ricordare ancora una volta che la crisi bancaria attuale è stata aggravata dalla possibilità concessa agli istituti di essere al tempo stesso banca commerciale, che raccoglie soldi a breve (liquidità vera e propria) e lo presta a breve termine, e banca di investimento che con quei soldi può comprare per se stessa, e non per la clientela, titoli a lungo termine, azionari e obbligazionari. 

Agli inizi degli anni novanta, venne cancellata di fatto la legge bancaria del 1936 che prevedeva che le banche non potessero essere direttamente azioniste o obbligazioniste di società industriali se non attraverso banche di investimento e società finanziarie con capitale proprio e ben separato da quello della casa madre. Una imposizione, da parte di Mussolini, provocata dai disastri operati dalle commistioni azionarie tra banche e imprese, il cosiddetto modello tedesco, che avevano finito per aggravare gli effetti della crisi del 1929. Società super indebitate come la Fiat di Agnelli e l’Ansaldo dei Perrone avevano cercato infatti di impadronirsi, con scorrerie in Borsa, rispettivamente del Credito Italiano e della Commerciale. Si voleva in tal modo mettere le mani sui soldi dei correntisti e pagare in tal modo la riconversione da una economia di guerra ad una pace dopo il conflitto del 1915-18.  Il ritorno al modello della banca mista di tipo tedesco è andata di pari passo con l’irrompere  delle normative europee che hanno coinciso con le privatizzazioni delle banche pubbliche. Sia quelle di interesse nazionale (Commerciale, Banca di Roma e Credito italiano) che quelle di diritto pubblico (San Paolo, Monte dei Paschi, Bnl, Banco di Napoli, Banco di Sicilia e Banco di Sardegna). Mentre in precedenza i manager pubblici si ponevano dei limiti, i nuovi dirigenti privati si sono fatti pochi problemi nell’operare sui cosiddetti Mercati. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
11 Maggio 2013  - Rinascita

Africa: paradiso fiscale delle imprese occidentali

L’ex segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha accusato le aziende dei Paesi del G8 di “corruzione” e di “evasione fiscale”

Francesca Dessì

“Le perdite subite dall’Africa sotto forma di uscita di capitali illeciti rappresentano il doppio di quanto il continente riceve in aiuti internazionali”. L’atto d’accusa è stato lanciato dall’ex segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, introducendo un rapporto dell’Africa Progress Panel, presentato a Johannesburg, in Sudafrica. Secondo Kofi Annan, il G8 dovrebbe inasprire le regole per impedire che le sue società attive nel settore minerario favoriscano e incoraggino la corruzione e l’evasione fiscale. Due fattori, ha detto il premio Nobel per la pace 2001, che frenano la crescita economica del continente africano.
“È inaccettabile che alcune aziende, spesso sostenute da funzionari disonesti, pratichino una evasione fiscale contraria a qualsiasi etica e si servano dei costi di trasferimento e delle società anonime per massimizzare i loro profitti, a danno di milioni di africani, privati dell'accesso a diritti fondamentali come il cibo, la salute e l’istruzione” si legge nel rapporto, ripreso dal Financial Times. Pertanto, l’Africa Progress Panel, un gruppo di monitoraggio fondato nel 2006 da Tony Blair e presieduto da Annan, chiede alle aziende registrate nei Paesi del G8 di “pubblicare una lista completa delle loro filiali e anche tutte le informazioni concernenti le loro entrate su scala internazionale, i profitti e le imposte pagate nelle differenti giurisdizioni”.
Inoltre, i dieci membri dell’organismo, cui fanno parte anche l’ex presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo, l’ex direttore generale dell’Fmi, Michel Camdessus e il cantante Bob Geldof, chiedono alla comunità internazionale, e al prossimo G8 di giugno in Irlanda del Nord, di vigilare per evitare che gli investitori utilizzino “le società offshore” e i paradisi fiscali che “minano gli sforzi dei riformatori africani” e “facilitino l’evasione fiscale e la corruzione privando l’Africa di entrate che dovrebbero essere utilizzate per lottare contro la povertà”.
Tra i Paesi che hanno regole troppo “accomodanti” in materia di finanza ci sono nei primi posti: Svizzera, Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone.
Nel suo rapporto, Kofi Annan cita il caso dell’Eurasian Natural Resources Corporation (Enrc) il colosso minerario nato nel 1994 in Kazakhstan e quotato a Londra. L’ex segretario delle Nazioni Unite lo accusa di “trading opaco” su alcune concessioni nella Repubblica Democratica del Congo, costate al Paese africano circa 725 milioni di dollari. Secondo quanto riporta il Financial Times, il Congo è in perdita per 1,36 miliardi di dollari tra il 2010 e il 2012, in seguito a presunte sottovalutazioni di obbligazioni statali congolesi in cinque accordi minerari, tre dei quali siglati con Enrc.
Il colosso minerario, precisa il giornale londinese, ha acquistato concessioni minerarie in Congo tramite Dan Gertler, un uomo di affari israeliano e commerciante di diamanti, che ha parlato di “accordi puliti”.
L’Enrc è accusata di frode e di tangenti oltre in Africa, anche in Kazakhstan e in Gran Bretagna. Ma non è l’unica.
Secondo l’ong britannica Oxfam, solo nel 2010, l’Africa ha esportato per 333 miliardi di dollari di petrolio, gas e minerali, ma oltre 200 miliardi di dollari sono andati persi a causa di traffici finanziari illegali. Secondo un’inchiesta pubblicata nel 2011 da Swiss Trading SA, la multinazionale Glencore ha privato lo Zambia di immense entrate fiscali praticando rifatturazioni interne, non dichiarazioni doganali, rinvii di perdite e coperture di rischi. Sono tante le multinazionali straniere che sono coinvolte in giri d’affari loschi nel continente africano. Sono ancora di più i Paesi che le “proteggono” e che sono loro complici.
Nel 2010, la Global Witness, un’organizzazione non governativa, ha accusato il governo di Londra di non aver denunciato alle Nazioni Unite le società britanniche responsabili di contribuire al traffico illegale di minerali che alimenta da anni la guerra civile nel Congo.
L’Onu infatti prevede severe sanzioni per chiunque sostenga attraverso il commercio illegale di risorse minerarie i gruppi armati congolesi, quali le Forze democratiche del Congo e l’Esercito di resistenza del Signore.
Nel suo dossier, dal titolo “Di fronte a un fucile, cosa si può fare?”, l’ong accusava nello specifico la britannica Amalgamated Metal Corporation e la tailandese Thaisarco, colossi del commercio minerario, di “rifornirsi da mediatori locali che a loro volta finanziano gruppi armati che controllano ampie porzioni nell’est del Paese”.
Secondo la Global Witness, “il fatto che i governanti locali non esigano che le aziende operanti sul posto presentino regolarmente i conti delle loro attività, che il Ruanda e il Burundi non controllino i trasporti alle loro frontiere e che i diplomatici non si occupino direttamente di accordi e operazioni minerarie, sono tutti elementi che favoriscono il perpetuarsi di un conflitto che negli ultimi 12 anni ha già causato la morte di migliaia, se non milioni di persone”.
11 Maggio 2013 Rinascita

3 commenti:

  1. Paul De Grauwe è uno degli economisti top a livello europeo e in concomitanza del 1° maggio ha dichiarato su Bloomberg … “ ora che le banche si sono liberate dei titoli di stato dei paesi periferici, i politici tedeschi e francesi non vogliono più proteggere i creditori delle banche … sono i cittadini della Slovenia o di Cipro a doversi far carico delle perdite …”.
    In sostanza sono i depositanti e gli investitori del paese a dover pagare il conto delle perdite delle proprie banche!!!
    La storia si ripete!
    A fine marzo l’ammontare dei titoli di Stato in pancia alle banche italiane ha segnato un nuovo record. Secondo i dati contenuti nel supplemento al bollettino statistico di Bankitalia, gli istituti di credito residenti in Italia avevano in portafoglio 362,912 miliardi di € di titoli di stato nazionali in rialzo di quasi il 25% rispetto a marzo 2012.
    Si tratta del nuovo livello più alto mai registrato dal giugno 1998, quando via Nazionale ha iniziato a pubblicare le statistiche. A fine febbraio le banche italiane avevano in portafoglio 351,582 miliardi di titoli pubblici (in pratica le banche italiane hanno acquistato per oltre 11 miliardi di €, titoli di stato italiani, in un solo mese … e poi ci dicono che lo spread scende perché è ritornata la fiducia degli investitori esteri sui nostri titoli!!!).
    … un quadro molto chiaro della salute attuale e futura dei nostri istituti di credito.

    Un mondo dove il titolo azionario di una banca , la Deutsche Bank, fa + 10% in una settimana dopo aver …
    FRANCOFORTE, 29 aprile (Reuters) – Deutsche Bank ha annunciato che raccoglierà 2,8 miliardi di euro tramite un aumento di capitale e potrebbe emettere strumenti subordinati per altri 2 miliardi per rafforzare la patrimonializzazione. La banca tedesca intende emettere 90 milioni di nuove azioni attraverso un’operazione di accelerated book building e ulteriori strumenti di capitale subordinato fino a 2 miliardi di euro nei prossimi 12 mesi.
    … fatto un aumento di capitale da 2,8 miliardi di € emettendo nuove azioni e detto di raccoglierne altri 2.
    Io sono molto preoccupata di questo … capisco cosa servono i sacrifici dei cittadini italiani, spagnoli, irlandesi, greci, ciprioti, portoghesi, ecc. a far si che le banche tedesche possano scaricare il rischio dell’esposizione a quei paesi (vendendo i titoli alle banche e alle compagnie di assicurazioni nostrane) e al contempo a raccogliere denaro per pararsi dai buchi che hanno nel loro bilancio, approfittando di una finestra di mercato psicologicamente indotta, dove il denaro a costo zero scorre a fiumi, grazie all’intervento delle banche centrali.
    Una banca la Deutsche che …
    ha una esposizione in derivati pari a circa 20 volte il valore del Prodotto interno lordo tedesco. Ma si sa … loro sono tedeschi … quindi …

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  2. interessante.
    Solo un appunto Eleonora, tu come cittadina italiana ti senti rappresentata che sò, da Unicredit?
    Perché i tedeschi devono essere simbiotici e rappresentati dal proprio sistema bancario?
    Cioè, sono responsabili di cosa fanno le loro banche? Sarebbe come dire che è colpa dei cittadini italiani per MPS no trovi?

    Il documento che consente i prelievi dai conti correnti come e quando la troika comanda è stato voluto dalla BCE ed è del luglio 2012.
    Piuttosto, come mai anche chi attacca tanto la Ue non lo tirò fuori?

    Ps un abbracio e graze per le utili info...

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  3. Ma si sa … loro sono tedeschi … quindi …
    era una battuta Non ci sono popoli criminali. Ci sono classi che sfruttano, opprimono, uccidono. E ci sono le altre che a volte resistono, a volte ne vengono obliterate. Ci sono delinquenti delle classi prevaricatrici che obnubilano, ricattano, incarcerano, decerebrano. Non era un attacco al popolo tedesco giammai è anche esso vittima.
    Però c'è da dire che il popolo tedesco ha beneficiato in parte del sistema a scapito dei PIIGS poiché le loro aziende hanno continuato a vendere e si sono ingrandite non hanno licenziato ma hanno assunto... ancora per poco però.
    Noi non siamo più nessuno perché abbiamo perso la nostra sovranità monetaria economica politica a favore di un mostro che è l'UE che ha distrutto per ora i paesi del sud e che poco per volta distruggerà anche gli altri, vedi ad es. la Francia. Bisogna fare un distinguo i popoli sono quelli che hanno perso mentre le elites hanno vinto. Ogni giorno la UE partorisce provvedimenti contro i popoli a favore delle elites siamo noi che dobbiamo prima comprendere e poi opporci.
    Grazie per le informazioni che divulghi, solo se avremo la coscienza di essere un unico popolo e non tanti in lotta tra di noi possiamo sperare di contrastare questo NOM.

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