Sono passati vari giorni dalla "carica dei Cosacchi" al Ministero degli Interni, ma il caso kazako ancora non è inquadrabile in un contesto preciso. L'effetto di distrazione provocato dal Buffone di Arcore, con la sua patologica tendenza a mentire, all'inizio ha attirato su di lui la maggior parte dei sospetti per la vicenda della frettolosa e brutale espulsione della moglie e della bambina del "dissidente" Ablyazov. La menzognera dichiarazione del Buffone di aver conosciuto il presidente kazako Nazarbayev solo nel 2009, anzi di conoscerlo appena, era improponibile nell'epoca di internet, nella quale è a disposizione di chiunque un articolato archivio-stampa. Risultano infatti negli archivi ADN-Kronos <incontri del Buffone con Nazarbayev almeno dal 2003, con reciproche promesse di altri viaggi ed incontri, ovviamente con al seguito cordate imprenditoriali, in primis ENI e Finmeccanica.
Non erano mancate neppure le consuete profferte di amicizia personale tra i due leader, nel più tipico linguaggio scompostamente confidenziale di stampo arcoriano,
che a suo tempo aveva congedato la ritualità delle formule diplomatiche.
D'altra parte non si può neppure presentare questi rapporti così cordiali come un'attrazione fatale del Buffone per personaggi di dubbia fama a livello internazionale (i famosi "dittatori"). Alcuni commentatori hanno proposto il paragone con la Corea del Nord, ma il Kazakistan non è affatto catalogato dalla "Comunità Internazionale" - cioè dagli USA - come uno "Stato Canaglia" o uno "Stato Paria". Non si può negare peraltro che Human Rights Watch - cioè l'organizzazione per i diritti umani alle dipendenze dal finanziere George Soros - presenti annualmente rapporti allarmati sul Kazakistan.
Ciò non sembra però comportare conseguenze sulle sue relazioni internazionali; quindi potrebbe trattarsi non di una scomunica, ma di una semplice spada di Damocle, cioè un "ricordati che se non continuerai a fare il bravo suddito, potrei sempre metterti nella lista dei cattivi". Il Kazakistan può vantare infatti uno status di partner esterno della NATO, confermato dalle notizie riportate dal sito ufficiale della stessa NATO appena l'anno scorso.
Anche il fatto che il Kazakistan abbia costituito con Russia e Bielorussia un'unione doganale, non è di per sé un sufficiente motivo di frizione con Washington, poiché si tratta di un meccanismo pienamente inserito nelle regole del WTO, e che non disturba le relazioni d'affari con gli USA.
Infatti è sul sito della Casa Bianca che si possono reperire le lodi più sperticate a Nazarbayev, lodi rivoltegli nel marzo dell'anno scorso dal presidente Obama in persona: la lista dei meriti attribuiti al presidente kazako è praticamente infinita, e va dalla collaborazione nella cosiddetta "lotta al terrorismo", alla partnership negli affari, all'attività nel campo della denuclearizzazione. In questo ultimo aspetto Nazarbayev può essere davvero considerato un benefattore degli USA, in quanto il Kazakistan ha letteralmente regalato al Pentagono tutto l'uranio degli impianti nucleari militari ereditati dall'Unione Sovietica. L'ingratitudine degli USA è sì proverbiale (basti pensare alla sorte del povero Pakistan), ma al momento non si riscontrano tracce significative di una qualche ostilità statunitense verso il Kazakistan.
Poche settimane fa, il 2 luglio, un altro esponente di spicco del Sacro Occidente, uno dei più proni ai diktat americani, il primo ministro britannico Cameron, ha compiuto anche lui un pellegrinaggio d'affari in Kazakistan, intrattenendosi con gli studenti dell'Università che prende il nome proprio dal presidente kazako.
In quell'occasione a Cameron è stato consentito di pronunciare indisturbato tutta la sua trita propaganda contro Assad davanti ad una platea di studenti addomesticati, nessuno dei quali gli ha chiesto conto della presenza dei reparti speciali britannici delle SAS in Siria, in assistenza ai cosiddetti "ribelli". Eppure questo tipo di notizie è riportato dall'anno scorso (ed in toni smaccatamente celebrativi!) dalla stampa britannica; tutto ciò mentre Cameron sta recitando la sceneggiata del dubbio amletico dell'inviare o non inviare aiuti ai "ribelli" siriani.
Proprio dal Regno Unito è arrivato in questi ultimi giorni il più grosso depistaggio sul caso Ablyazov. Secondo le voci fatte pervenire dalla Gran Bretagna, Ablyazov avrebbe truffato per vari miliardi alcune banche italiane, tra cui il Monte dei Paschi di Siena. Pare strano che con un MPS sotto inchiesta giudiziaria da mesi, questa notizia non sia uscita prima. In realtà dal novembre del 2011 risultava alla magistratura britannica che i maggiori creditori truffati da Ablyazov fossero invece le più importanti banche del Regno Unito, e cioè la Royal Bank of Scotland e la Barclays. La notizia era già disponibile sulla stampa britannica, e "The Guardian" se ne era largamente occupato.
Non c'è quindi bisogno di supporre esclusivamente moventi affaristici di marca italiana nel troppo zelante servilismo dei funzionari del Ministero degli Interni, poiché nella circostanza si trattava di favorire un beniamino degli USA ed un partner della NATO, più volte insignito di riconoscimenti internazionali nel campo della sedicente lotta al terrorismo. In un quadro di sottomissione coloniale come quello dell'Italia, è del tutto fisiologico che la mediazione politica venga scavalcata, dato che la "politica" sta lì solo come pura distrazione ed intrattenimento per l'opinione pubblica; perciò non è assolutamente sorprendente che le burocrazie statali rispondano direttamente ai loro omologhi esteri senza passare per il consenso governativo.
Ma ciò non può essere condotto nel modo plateale che si è riscontrato in questa circostanza, con un ambasciatore/agente segreto straniero che scorazza per un ministero facendosi notare anche da chi non avrebbe dovuto. C'è però da considerare che la presenza di un personaggio di spudorata inconsistenza come Angelino Alfano nella poltrona di ministro degli Interni, può aver assunto indirettamente una valenza destabilizzante nella vicenda, convincendo i funzionari ministeriali di poter fare tutto quel che gli pareva. Che alcuni prefetti abbiano poi cercato di giustificarsi con il ridicolo pretesto dell'assenteismo di Alfano per il suo "doppio lavoro" di segretario del PdL, è un fatto che conferma questa sensazione, poiché nell'epoca dei telefoni satellitari non ci si può nascondere dietro la patetica foglia di fico dell'irreperibilità del proprio superiore, specialmente se questi vive circondato dalla scorta di polizia.
La stampa italiana ha affrontato, come sempre, il caso kazako nei termini della pura sottomissione coloniale, cercando di scaricare tutte le responsabilità sul piano interno, secondo i forzati schemi interpretativi della "anomalia italiana" e della "partitocrazia", quando invece le evidenti analogie col caso Abu Omar avrebbero suggerito il contrario. Una delle caratteristiche principali del colonialismo psicologico consiste proprio in questa infantilizzazione, in questo compiacimento dell'additare le continue "marachelle" del proprio Paese, presentato come il figlio degenere nell'austera famiglia occidentale. Appena un anno fa si era avuto un esempio analogo di questa autorazzistica sottomissione coloniale, allorché il settimanale "l'Espresso" aveva rilanciato con toni scandalistici una "rivelazione" di Wikileaks circa la vendita da parte di Finmeccanica di una tecnologia di telecomunicazioni (il "Tetra") alla Siria. Ma la "rivelazione" appariva chiaramente strumentale ed enfatizzata, forse perché in quel periodo Julian Assange era già sotto assedio nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, ed aveva iniziato la sua collaborazione con la testata giornalistica "Russia Today", quindi aveva bisogno di dimostrare imparzialità facendo un po' di "cerchiobottismo". L'ovvia accusa de "l'Espresso" a Finmeccanica era di aiutare il "tiranno" Assad; ciò a conferma dell'aforisma manzoniano, secondo il quale anche ai mascalzoni capita a volte di essere calunniati.
La stessa notizia era stata infatti riportata dalla stampa americana senza gli eccessi di zelo ed i toni indignati della stampa italiana (gli Americani non hanno bisogno di fare sempre i filoamericani), sottolineando invece che non si trattava di una tecnologia prettamente militare, e che l'affare era stato combinato nel 2008.
La disciplina filoamericanistica del Paese colonizzato costringe infatti i nostri media a perpetuare le ipocrisie nella rappresentazione della guerra in Siria, mentre i media americani possono già permettersi di trattare quella situazione come un revival della guerra fredda, con gli USA e la Russia che armano e assistono le parti in conflitto.
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