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sabato 31 gennaio 2015

In contiguità con la trattativa stato mafia

Partendo dall'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia finita con la cancellazione delle registrazioni disposta dai togati non appena è spuntato il nome di Napolitano, spunta anche fuori tal Mattarella. Ma che strano, piace pure a Salvatore Borsellino, che di mafia ne sa qualcosa avendo perso il fratello Paolo.
Non che sia un nome di "rottura", tutt'altro. Infatti, sotto l'egida di questo personaggio si è ritrovato l'amore a sinistra. Per Mattarella son tutti pazzi, dall'"antagonista" SEL alle correnti ribelli del Pd.
Basta usare l'icona di un parente morto per la lotta alla mafia per ascrivere a lui gli stessi meriti. Però gli altri son vivi e sappiamo cosa vuol dire......

Ovviamente tale scelta è stata fatta passare come "superamento" del patto del Nazzareno, grande battaglia di civiltà e democrazia che risolleverà i destini di milioni di famiglie italiane ridotte in miseria....a leggere certa stampa è quanto si evince.

Poco importa se questo signore diede nome alla riforma che cancellò il proporzionale, si sa, oggi giorno pensare di concedere più voce al popolo, più rappresentanza ad esso viene considerato un abominio. Tant'è che abbiamo il terzo governo consecutivo non eletto e lo consideriamo sommo atto di responsabilità.

Ma il consenso è stato bipartisan, con una sponsorizzazione come quella di Mario Draghi l'ordine non poteva essere rifiutato o contestato.
Non può non piacere all'impero atlantico, dato che il Mattarella in qualità di Ministro della Difesa del governo Amato  dette il via ai bombardamenti sulla ex Jugoslavia.
Così come certo non poteva essere votato Imposimato, unico a denunciare il Bilderberg quale mandande di ogni strage commessa sul territorio italiano,  che ha osato denunciare all'Aja gli Usa per l'11/9, unico a rendere pubblico in modo dettagliato il malaffare che si cela dietro al sistema Tav Italia che funziona da bancomat per i partiti. Una classe di conniventi, corrotti e servi non avrebbe mai potuto convergere su Imposimato. Siamo in democrazia, ed è questo il suo prezzo, il suo valore.

Riporto un articolo di Dagospia che, raccogliendo altri pezzi, delinea un profilo del loro presidente della Repubblica fresco di conferma Mattarella.
Sotto, link ad altri articoli interessanti a riguardo che la stampa si è ben premurata di non approfondire.

Mattarella e i "modesti regalini" dal "ministro dei lavori" di Totò Riina


MATTARELLA: FIRME FALSE PER CANDIDARLO A BOLZANO NEL 2001


IL PRESIDENTE DI RENZI? E’COSI’ VICINO AGLI ITALIANI, DA AVERLI PUGNALATI ALLE SPALLE





30 gen 2015 11:16


1. “SPECCHIATO” E “SCHIENA DRITTA”, MA ANCHE IL CARO MATTARELLA TIENE FAMIGLIA. E SOPRATTUTTO UN FRATELLO CHE ERA IN AFFARI CON ENRICO NICOLETTI, BOSS DELLA MAGLIANA - 2. L’AVVOCATO ANTONINO, O EX AVVOCATO, VISTO CHE SECONDO ALCUNI DOCUMENTI SAREBBE STATO CANCELLATO DALL’ORDINE, HA AVUTO PIÙ VOLTE A CHE FARE CON LA GIUSTIZIA - 3. TRA GLI ANNI ’80 E ‘90 SI INDEBITÒ PESANTEMENTE CON NICOLETTI, MA FU ANCHE CURATORE DEL SUO FALLIMENTO. FINO A ESSERE ACCUSATO DI AVER RICICLATO SOLDI SPORCHI INVESTENDOLI IN GROSSI ALBERGHI A CORTINA (FU ARCHIVIATO PER MANCANZA DI PROVE) - 4. IL FRATELLO PIERSANTI, POI VITTIMA DELLA MAFIA, FU COLUI CHE FECE ELEGGERE VITO CIANCIMINO SINDACO DI PALERMO. E IL PADRE, BERNARDO, SEMPRE NOTABILE DC SICILIANO, FU DENUNCIATO COME AMICO DEI MAFIOSI DA DANILO DOLCI E DALLA SINISTRA SICILIANA

1. LE OMBRE DEL PICCOLO SCALFARO - SAN SERGIO FINÌ NEI GUAI PER FINANZIAMENTO ILLECITO. E IL FRATELLO...

Tommaso Montesano per “Libero Quotidiano”

«Con la schiena dritta». Eccola la formula più usata, dai sostenitori della sua candidatura al Quirinale, per descrivere Sergio Mattarella. «Un politico per bene», twitta il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un ex popolare con un rigore morale, a leggere i ritratti comparsi sui giornali, La Repubblica in primis, da fare invidia a Oscar Luigi Scalfaro.

Nelle biografie ufficiali e non, Sergio Mattarella risulta avere un solo fratello: Pier Santi, l’ex presidente della Regione Sicilia assassinato a Palermo da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980. In realtà il candidato del centrosinistra al Quirinale di fratello ne ha anche un altro. Si chiama Antonino ed è balzato agli onori delle cronache alla fine degli anni Novanta nell’ambito di un’inchiesta della procura di Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa.

Procedimento poi archiviato nel 1996 per mancanza di prove. Le cronache dell’epoca consentono di ricostruire la vicenda. Secondo l’allora sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Andrea De Gasperis, citato dal Giornale di Sicilia del 18 ottobre 1999, Antonino Mattarella, insieme al commercialista trapanese «Giuseppe Ruggirello, avrebbe convogliato nella perla del Cadore (Cortina d’Ampezzo, ndr) un’ingente massa di soldi sporchi, riconvertendo in multiproprietà alcuni grandi alberghi».

Tra gli indagati ci furono anche Enrico Nicoletti, il «cassiere» della banda della Magliana, Riccardo Lo Faro, legale rappresentante della «Cortina Sport», proprietaria di una delle strutture acquisite (l’hotel Mirage), e un imprenditore di Frosinone, Mario Chiappisi. Indagine chiusa per mancanza di prove sulla presunta provenienza illecita del denaro. A macchiare l’immagine di Sergio, invece, c’è la confessione di aver accettato, alla vigilia delle Politiche del 1992, un contributo elettorale di tre milioni di lire - sotto forma di buoni benzina - dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, noto in Sicilia per essere vicino a Cosa Nostra.

Il padre di Pier Santi e Sergio, Bernardo, è stato pure lui in politica. Deputato per cinque legislature, oltre che uno dei leader della Dc siciliana nel Dopoguerra. Un ruolo di primo piano, alla guida della corrente morotea dell’isola, che emerge anche dalla relazione di minoranza che nel 1976 depositò in Parlamento l’allora deputato comunista Pio La Torre, assassinato a Palermo il 30 aprile 1982 per mano di Cosa Nostra. Dal nonno al nipote.

Il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, docente di Diritto amministrativo (all’università di Siena e alla Luiss di Roma), è capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della Pubblica amministrazione guidato da Marianna Madia. Quella Madia che è stata fidanzata con Giulio Napolitano, il figlio dell’ex presidente Giorgio. Forse è anche in nome di questi legami che ieri Napolitano senior ha fatto per la prima volta il suo ingresso nell’Aula di Montecitorio nella nuova veste di senatore a vita.

L’ex capo dello Stato non ha nascosto di tifare per l’elezione di Mattarella: «È persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica, alta sensibilità costituzionale». Un endorsement in piena regola che testimonia l’attivismo di Napolitano per l’ascesa del giudice costituzionale - nominato alla Consulta dal Parlamento proprio sotto la sua presidenza - al Colle. «Io lo conosco bene, da quando era deputato», ripete il presidente emerito in Transatlantico prima di lasciare il Parlamento.

2. IL FRATELLO ANTONINO E QUEGLI AFFARI COL RAS DELLA MAGLIANA

Marco Lillo per “il Fatto Quotidiano”

Un fratello che chiedeva prestiti a Enrico Nicoletti: non è certo un punto a favore della candidatura di Sergio Mattarella la presenza in famiglia di un tipo come l’avvocato Antonino Mattarella, o forse sarebbe meglio dire ex avvocato perché, stando ad alcune pubblicazioni di una decina di ani fa, sarebbe stato cancellato dall’ordine professionale per i suoi traffici.

Le colpe dei fratelli non ricadono sui presidenti in pectore però è giusto conoscere a fondo la storia delle famiglie di provenienza quando si parla di capi di Stato. Sia nella luce, come nel caso del fratello Piersanti, nato nel 1935 e ucciso nel 1980 dalla mafia, sia nell’ombra, come nel caso di Antonino, nato nel 1937, terzo dopo Caterina (del 1934) e prima del piccolo Sergio, classe 1941.

Antonino Mattarella ha fatto affari con quello che è da molti chiamato “Il cassiere della Banda della Magliana” anche se in realtà quella definizione è imprecisa e sta stretta a don Enrico Nicoletti, una realtà criminale, come dimostra la sua condanna definitiva per associazione a delinquere a 3 anni e quella per usura a sei anni, autonoma e soprattutto di livello più alto.

Enrico Nicoletti era in grado di parlare con Giulio Andreotti, faceva affari enormi come la costruzione dell’università di Tor Vergata, si vantava di conoscere Aldo Moro, ha pagato parte del riscatto del sequestro dell’assessore campano dc Ciro Cirillo. Ora si scopre che ha prestato, 23 anni fa, 750 milioni di vecchie lire al fratello di un possibile presidente della Repubblica.

Il Tribunale di Roma nel provvedimento con il quale applica la misura di prevenzione del sequestro del patrimonio di Nicoletti nel 1995 si occupa dei rapporti tra l’avvocato Antonino Mattarella e Nicoletti. Nell’ordinanza scritta dal giudice estensore Guglielmo Muntoni, presidente Franco Testa, si descrive la storia di un palazzo in zona Prenestina comprato da Nicoletti, tramite una società nella quale non figurava, grazie anche alla transazione firmata con il curatore di un fallimento di un costruttore, Antonio Stirpe.

L’affare puzza, secondo i giudici, perché il curatore, Antonino Mattarella era indebitato con lo stesso Nicoletti. Il palazzo si trova in via Argentina Altobelli in zona Prenestina e ora è stato confiscato definitivamente dallo Stato. “Davvero allarmanti sono le vicende attraverso le quali il Nicoletti ha acquistato l’immobile in questione – scrivono i giudici – Nicoletti infatti ha rilevato l’immobile dalla società in pre-fallimento (fallimento dichiarato il 20 luglio 1984) dello Stirpe con atto 9 gennaio 1984; è riuscito ad evitare una azione revocatoria versando una cifra modestissima, lire 150 milioni, rispetto al valore del bene, al fallimento.

La transazione risulta essere stata effettuata tramite il curatore del fallimento Mattarella Antonino, legato al Nicoletti per gli enormi debiti contratti col proposto (dalla documentazione rinvenuta dalla Guardia di finanza di Velletri emerge che il Nicoletti disponeva di titoli emessi dal Mattarella, spesso per centinaia di milioni ciascuno)”.

La legge fallimentare cerca di evitare che i creditori di un imprenditore restino a bocca asciutta. Il curatore dovrebbe evitare che, prima della dichiarazione di fallimento, i beni prendano il volo a prezzo basso. Per questo esistono contro i furbi le cosiddette azioni revocatorie che riportano i beni portati via con questo trucco nel patrimonio del fallimento. Il curatore dovrebbe vigilare e invece, secondo i giudici, l’avvocato Antonino Mattarella aveva fatto un accordo con Nicoletti e il palazzo era finito nella società di don Enrico.

Per questo le carte erano state spedite in Procura ma, prosegue l’ordinanza del sequestro, “una volta che gli atti furono trasmessi dal Tribunale Civile alla Procura della Repubblica per il delitto di bancarotta si rileva che le indagini vennero affidate al Maresciallo P. che risulta tra i soggetti ai quali Nicoletti inviava generosi pacchi natalizi”.

Non era l’unica operazione realizzata dalla società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, la Cofim, con Antonino Mattarella. “In data 23 aprile 1992 risulta il cambio a pronta cassa dell’assegno bancario di lire 200 milioni non trasferibile, tratto sulla Banca del Fucino all’ordine di Mario Chiappni”, che è l’uomo di fiducia di Nicoletti per l’attività di usura. “In data 28 aprile viene versato sul predetto c/c altro assegno di lire 200 milioni sulla Banca del Fucino, tratto questa volta all’odine della Cofim dallo stesso correntista del primo assegno: questo viene richiamato dalla società, a firma dell’Amministratore sig. Enrico Nico-letti. In data 30 aprile 1992 la Banca del Fucino comunica l’avvio al protesto del secondo assegno).”

L’assegno citato – concludono i giudici di Roma – risulta essere stato emesso dal Prof. Antonino Mattarella”.

I giudici riportano le conclusioni del rapporto degli ispettori della Cassa di Risparmio di Rieti, Cariri. “A tal proposito – scrive il Tribunale – viene esemplificativamente indicato il richiamo di un assegno di 550 milioni emesso sempre dal Prof. Mattarella. Si riporta qui di seguito per estratto quanto esposto dall’ispettorato Cariri: ‘In data 15 maggio 1992 (mentre era in corso la presente ispezione), è stato effettuato dalla Succursale il richiamo di un assegno di Lire 550 milioni, tratto sulla Banca del Fucino da Mattarella Antonio, versato in data 4 maggio sul c/c 12554 della Cofim (società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, ndr).

Il richiamo è avvenuto previo versamento sul c/c della Cofim di altro assegno di pari importo tratto dallo stesso Mattarella, essendo il primo insoluto’. La Banca del Fucino ha regolarmente informato la nostra Succursale (il giorno 21 o 22) che anche il secondo assegno, regolato nella stanza di compensazione del 18 maggio, era stato avviato al protesto. (...).

L’assegno di 550.000.000 lire è tornato protestato il 4 giugno e, al termine dell’ispezione, è ancora sospeso in cassa per mancanza della necessaria disponibilità per il riaddebito sul conto della Cofim”. I rapporti tra Nicoletti e Antonino Mattarella risalivano ad almeno 3 anni prima. I giudici riportano un episodio: il 17 luglio del 1989 Nicoletti telefona al suo uomo di fiducia Mario Chiappini mentre sta nell’ufficio di un tal Di Pietro della Cariri. Chiappini prende il telefono e dice al suo boss “che aveva prelevato e fatto il versamento e che era tutto a posto. Doveva sentire solo Mattarella con il quale aveva un appuntamento”.



3. BORDIN LINE
Massimo Bordin per “Il Foglio”

Nel settembre 1970 Vito Ciancimino divenne sindaco di Palermo. Durò pochissimo. Fu il segretario della Dc di allora, Arnaldo Forlani, a imporre da Roma le sue dimissioni. Del resto la maggioranza che lo aveva eletto fu molto risicata. Nella stessa Dc votarono contro gli andreottiani di Lima, la corrente di Alessi e qualche spirito libero, oltre a socialisti e comunisti. I neofascisti si divisero nel segreto dell’urna, a favore votarono repubblicani e socialdemocratici oltre ai Dc fanfaniani, guidati da Gioia, e morotei, guidati dal giovane Piersanti Mattarella che aveva proposto la candidatura di Ciancimino.

E fu proprio Piersanti Mattarella ad essere convocato a Roma da Forlani, segretario nazionale del partito e fanfaniano, eppure convinto che fosse meglio evitare un sindaco del genere. Ciancimino dovette dimettersi e Piersanti Mattarella fu, dieci anni dopo, un coraggioso presidente della regione che pagò con la vita il suo diniego alle pretese di Ciancimino e dei mafiosi.

Il fratello di Piersanti, Sergio, entrò in politica qualche anno dopo l’omicidio di suo fratello, chiamato da De Mita a rappresentare in Sicilia la svolta della Dc e il suo e emendarsi da un passato di contiguità con la mafia, rappresentato anche da Bernardo Mattarella, notabile Dc siciliano, padre di Piersanti, più volte denunciato come amico dei mafiosi da Danilo Dolci, e da tutta la sinistra, negli anni 50 e 60.

Oggi si vuole al Quirinale suo figlio Sergio, persona irreprensibile. Almeno si sappia che, incolpevolmente, rappresenta questa storia, familiare e politica. Molto più tragica e grave di un carrello dell’Ikea o di un processo per truffa.

lunedì 26 gennaio 2015

QUELLO CHE NON SAPETE DI TSIPRAS

il cosiddetto partito antisistema, talmente anti sistema che non solo vuole che la Grecia rimanga nell’euro, nella Ue etc, si è rimangiato già la famosa promessa di cancellare l’ultimo Memorandum e per giunta, ha silenziato l’opposizione interna del 30% che era per l’uscita dell’ero. La solita democrazia de sinistra, se lo avesse fatto qualsiasi altro partito non si sarebbe certo avuto paura di usare il termine fascista, ma quando gli stessi metodi sono usati dai buoni è normale dialettica democratica. Davvero un resoconto interessante, sembra la nascita del PD, ma cantiamo Bella Ciao come quando arrivò Monti
 ps l'altro "fenomeno" del yes we can de noantri

QUELLO CHE NON SAPETE DI TSIPRAS di Stathis Kouvelakis*
21 gennaio. 
Mancano oramai pochi giorni alle elezioni in Grecia. Secondo l'ultimo sondaggio SYRIZA ha aumentato il suo vantaggio su Nuova Democrazia. L'altro giorno abbiamo dato notizia della lista della sinistra no-euro.
Riteniamo utile, allo scopo di comprendere cosa SYRIZA sia, ripubblicare il racconto del Congresso del luglio 2013 quando, in fretta e furia, SYRIZA si trasformò in partito unico. Kouvelakis è uno degli esponenti più noti di "Piattaforma di sinistra", la sinistra interna no-euro, che rappresenta il 30% di SYRIZA.
La svolta, moderata, di Syriza 
2. Annunciando il congresso del partito a maggio, la direzione puntava a un solo obiettivo: fare della costituzione di Syriza in partito unico, l’occasione per “riprendere il controllo” cercando allo stesso tempo di marginalizzare l’opposizione interna e di stabilizzare una forma partitica in rottura con aspetti decisivi della cultura politica e organizzativa della sinistra radicale. Detto altrimenti, l’obiettivo era di arrivare velocemente a una “forma partito” ritagliata su misura per ancorare nella realtà organizzativa la linea del “riposizionamento” che la direzione segue con determinazione dall’autunno 2012. [1]
Per questo, la direzione del partito ha imposto un congresso a tappe forzate (con una distanza inferiore a un mese tra la pubblicazione dei testi preparatori e il voto delle sezioni) e un’agenda interamente dedicata alle questioni interne, lontana dalle preoccupazioni strategiche e dall’imperativo di un’elaborazione programmatica che la congiuntura impone.
Questa agenda “introversa” si è strutturata attorno a tre punti chiave:
- la questione delle “componenti” con l’ultimatum di due o tre mesi per il loro scioglimento nel quadro del processo di “unificazione”;[2]
- un diritto di tendenza svuotato di sostanza con la soppressione delle “liste separate”, un modo per designare la rappresentanza proporzionale delle minoranze nelle istanze di direzione;
- modalità di elezione del presidente del partito, derivante dal congresso e non dalle istanze di direzione (comitato centrale).
3. Questa agenda interna non avrebbe senso se non fosse collocata nel contesto più ampio della percezione di Syriza da parte dei rappresentanti del blocco di potere e nell’evoluzione interna che questo partito conosce da circa un anno.
Per i media e le forze politiche di sistema, le “componenti” e le “tendenze” di Syriza, la sua famosa “cacofonia”, rappresentano un codice per designare il radicalismo di Syriza, incarnato dalle sue correnti a fronte di una direzione (quella di Tsipras) che invece rappresenta il “realismo” e la linea del “riposizionamento”. La direzione, in particolare Tsipras, è dunque sottoposta a una pressione costante da parte del sistema per “ripulire” il partito e affermare la sua autorità (“Tsipras, taglia le teste”, è una delle affermazioni ricorrenti sui media) sbarazzandosi delle voci in dissenso. In particolare, sono indicati quelli che la criticano da sinistra e che vengono presentati come ostacoli “all’immagine” di Syriza come “partito responsabile di governo”.

All’interno, gli eccezionali successi elettorali della primavera 2012 si sono tradotti in una dinamica contraddittoria. Da un lato, un’ondata significativa di adesioni (con il raddoppio delle iscrizioni balzate a 35 mila) ma anche successi in alcuni settori, in particolare nel movimento sindacale, tradizionale punto debole di Syriza (successi relativi visto che l’influenza sindacale resta significativamente inferiore a quella del Pc greco, Kke, che ha ottenuto meno del 5%). Questa ondata, però, comporta anche un altro aspetto, ben più ambiguo. In una società traumatizzata dalla depressione economica e plasmata da decenni di “partitocrazia”, l’adesione a un partito che sembra alle porte del potere può prendere la forma della ricostituzione di un rapporto clientelare unito a un rapporto di obbedienza al leader carismatico.

Un momento del Congresso di SYRIZA del luglio 2013
4. Questo fenomeno, in parte spontaneao e perfettamente prevedibile per chi conosce la realtà greca, nondimeno è stato chiaramente incoraggiato, in nome del necessario “allargamento”, dalla direzione del partito a partire dall’autunno 2012. Le scelte operate da quel momento – assenza di una vera strategia di intervento militante e di costruzione del partito, scelta del congresso e di conferenze nazionali organizzate frettolosamente con un numero di delegati pletorico, etc. – conducono inevitabilmente a un partito “prendi-tutto”. In altri termini, un partito elettoralista, dalla vita interna atrofizzata, che si raccoglie attorno al proprio leader con un discorso calato dall’alto e rivolto principalmente, tramite i media, a un “uditorio nazionale” ma sempre modulato in modo tale da piacere a “pubblici” diversi (più radicale quando ci si rivolge ai militanti, più “sobrio e pragmatico” quando si tratta di incontrare Schoeble o l’Fmi).
5. Gli aspetti più problematici del congresso fondatore della “nuova Syriza”, partito ormai unificato, discendono da queste tendenze che portano al suo mutamento in “partito di governo”; un numero di votanti sproporzionati rispetto ai partecipanti alle discussioni interne, un corpo ingestibile di 3500 delegati, assenza di discussione strutturata durante le prime due giornate (quelle in cui I delegati potevano prendere la parola), assenza di relazioni sull’attività delle istanze uscenti, discorso di apertura di Tsipras adatto più alle esigenze di un meeting elettorale che non rivolto a un’istanza deliberativa del partito.
A questo si è venuto ad aggiungere il clima particolarmente aggressivo nei confronti dell’opposizione interna (riunita nella Piattaforma di sinistra, n. 3) che è culminata la sera dell’ultima sessione del congresso, durante i voti sui tre punti riguardanti il funzionamento interno. Si sono così succedute scene scioccanti per un congresso della sinistra radicale (rappresentanti della Piattaforma di sinistra fischiati, insulti, Tsipras applaudito ogni volta che saliva in tribuna anche prima che iniziasse a parlare) che hanno portato a uscire dalla sala i delegati della Piattaforma e un numero significativo di delegati della maggioranza.

6. Qual è il bilancio del congresso? Dal punto di vista del contenuto programmatico e dell’elaborazione strategica piuttosto magro o meglio inesistente. I documenti adottati si limitano semplicemente a ripetere le formulazioni adottate alla scorsa conferenza nazionale. Testi di compromesso con formulazioni ambigue e contorte (…) Ad esempio, lo scorso dicembre, qualche giorno dopo l’adozione alla conferenza nazionale della posizione sull’annullamento immediato del Memorandum tramite voto parlamentare in caso di vittoria elettorale, i responsabili delle questioni economiche e i principali dirigenti dopo Tsipras si sono dilungati in dichiarazioni per precisare che Syriza “non agirebbe in modo unilaterale” evitando sistematicamente di utilizzare i termini di “annullamento” o di “abrogazione” rimpiazzati da riferimenti irenici alla “negoziazione” con i “nostri partner europei” (…)
7. La Piattaforma di sinistra ha tentato di imprimere un contenuto politico a un dibattito programmatico quasi inesistente e ha depositato quattro emendamenti riferiti ai punti strategici più sensibili: debito (rimessa in discussione della legittimità del debito in quanto tale, denuncia delle convenzioni esistenti e ricorso, se necessario, alla cessazione del pagamento per ottenere l’annullamento); eventualità dell’uscita dalla zona euro; nazionalizzazione del settore bancario nella sua totalità, impegno chiaro ad annullare l’insieme delle privatizzazioni in corso e rinazionalizzazione, sotto controllo popolare, di settori strategici dell’economia (telecomunicazioni, energia, infrastruttura stradale e aeroportuale); strategia delle alleanze riaffermando la linea del governo anti-austerità con l’esclusione dell’apertura al “centro” o ad altre forze della destra nazionalista. 
L’insieme di questi emendamenti è stato rigettato ma ha raccolto tra un terzo e il 40% dei voti, con il sostegno più ampio agli emendamenti sul debito e l’euro. Sulla questione della linea politica, dunque, si deve ammettere che la direzione ha imposto il proprio orientamento.


8. Con riferimento agli obiettivi posti, questo congresso rappresenta una sconfitta. L’agenda in tre punti già evocata e focalizzata sulla “rimessa in ordine” all’interno del partito, è uscita malconcia dall’appuntamento. Sulla questione dello scioglimento delle componenti e dell’ultimatum loro rivolto, la direzione si è dovuta attestare su un compromesso (la formulazione adottata parla di “scioglimento in un tempo ragionevole e in seguito a concertazione”) anche in virtù della posizione molto ferma adottata da Manolis Glezos

Figura emblematica della Resistenza, forte di un prestigio enorme e di una statura all’altezza dell’eroe nazionale qual è, Glezos non si è accontentato di difendere il diritto all’autonomia delle componenti. Ma ha attaccato Tsipras in modo diretto e personale e rigettato con forza il modello di partito “presidenzialista” minando così l’autorità morale e simbolica della direzione e del suo leader. Sulla vicenda della rappresentazione delle minoranze (…) dopo aver proposto un sistema che accordava, con un sotterfugio “tecnico” un vantaggio automatico alla lista maggioritaria, il blocco di maggioranza ha imposto alle tendenze (minoritarie) che volessero presentarsi l’obbligo di costituire delle liste separate, pubblicate su bollettini separati (…) Un modo per far apparire le minoranze come un “corpo estraneo” e per conferire alla lista di maggioranza uno statuto simbolico di detentore unico della legittimità partitica.
L’operazione, nondimeno, si è ritorta contro i suoi ispiratori. Invece di indebolirsi, la Piattaforma si è rafforzata e, aiutata dalla presenza di piccole liste “indipendenti” ha ridotto la lista di maggioranza al 67,5%, cioè sette punti in meno di quanto raccolto alla scorsa conferenza nazionale. Infine, sulla questione dell’elezione del presidente del partito direttamente dal congresso (…) la direzione ha ottenuto il risultato ma con l’adozione di una disposizione “flessibile” che autorizza ogni congresso a decidere liberamente. Nel voto segreto, poi, Tsipras ha ottenuto il 72% (…)


9. La principale sconfitta della direzione sta dunque nel rafforzamento della Piattaforma di sinistra che ha superato la soglia simbolica del 30% cioè una progressione di 5 punti rispetto alla scorsa conferenza nazionale (30,16 contro 25,6%) e questo in un quadro altamente conflittuale (…)
Questo ha provocato un vero choc in seno alla direzione che ha evitato qualsiasi commento ufficiale (…)
Da parte sua, la Piattaforma ha reso pubblico, per la prima volta, un comunicato distinto precisando il proprio sforzo per ottenere “la radicalizzazione e l’ancoraggio a sinistra di Syriza e per l’unità dell’insieme della sinistra radicale”. Segno che il suo successo è inteso come un incoraggiamento a dispiegare un intervento in maniera più visibile all’interno del partito e anche al di fuori.

9+1. In conclusione, si può dire che questo congresso fondatore ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti o tentato di farlo. Costituito ormai in partito unificato, dotato di uno statuto, di documenti dal carattere programmatico e di una direzione eletta, 
Syriza appare comunque come un partito profondamente diviso su punti strategici essenziali, che sono al centro del dibattito nazionale ed europeo. 

E’ evidente che lo scontro tra i sostenitori di un approccio “realista” desideroso di accedere al potere “a freddo”, di non rompere con il quadro europeo e di padroneggiare i settori strategici delle forze dominanti e coloro che auspicano lo scontro aperto e la rottura con l’attuale quadro della Ue, tocca il nervo delicato delle questioni che riguardano la sinistra nel Vecchio continente.
Il congresso di Syriza sarà stato senz’altro utile in quanto avrà permesso di formulare i termini dei problemi in modo più chiaro e più agilmente percepibile dalle forze sociali e politiche impegnate in un progetto di emancipazione.
NOTE
1. Sull’evoluzione di Syriza leggere l’articolo di Baptiste Derickebourg, “Prendere il potere senza perdere l’anima” su Le Monde diplomatique di giugno 2013 così come il testo di Philippe Marlière, “Alexis Tsipras entre radicalisme et réalisme” suhttp://blogs.mediapart.fr/blog/philippe-marliere/220313/alexis-tsipras-e….
2. Dal 2004, data della sua creazione, fino alla conferenza nazionale dello scorso novembre, Syriza esisteva in quanto alleanza di una dozzina di componenti distinte, che coprivano la quasi totalità della sinistra radicale. La componente più importante era Synaspismos, il partito di Alexis Tsipras, partito anch’esso costituito da correnti distinte che vanno dalla social-democrazia moderata ai neo-comunisti della Corrente di sinistra (vedi nota seguente)
3. La Piattaforma di sinistra si è costituita sotto la sua forma attuale durante la conferenza nazionale di novembre 2012 per la convergenza delle due principali componenti, esistenti da più di un decennio: 1) la Corrente di sinistra del Synaspismos, essenzialmente formata da militanti che hanno lasciato il Kke alla scissione del 1991. Questa controlla la maggioranza delle sezioni di impresa, il settore sindacale e conserva una forte presenza in alcune sezioni e federazioni regionali, soprattutto nel nord della Grecia; 2) le tre componenti di origine trotskysta (Kokkino, Dea e Apo) ormai riunite sotto l’ombrello di Rproject/Rete rossa. Durante il congresso ha aderito alla Piattaforma una componente uscita dal Pasok, Dikki, così come un’organizzazione di quadri sindacali che avevano lasciato il Kke nel 1995 (Keda). Circa una dozzina di parlamentari di Syriza, su un totale di 70, si riconoscono nella Piattaforma, tra cui uno dei tre portavoce del gruppo parlamentare. Panayiotis Lafazanis, già dirigente del Kke e deputato da lungo tempo dell’emblematica circoscrizione del Pireo, la più operaia del paese, ne rappresenta la figura pubblica più conosciuta.
* Stathis Kouvélakis è membro di Syriza e uno tra gli animatori  della Corrente di sinistra, di cui il più famoso personaggio pubblico è Panagiotis Lafazanis. Il sito della Corrente di sinistra è: www.iskra.gr. Stathis Kouvélakis è intervenuto al congresso di fondazione di Syriza e ha partecipato alla riunione congiunta, nel corso del congresso, della Piattaforma a sinistra, che ha riunito in gran parte i delegati della Corrente di sinistra e di Rproject, cioè DEA, Kokkino e Apo. Alla riunione, convocata rapidamente alle ore 22 di Venerdì 12 luglio 2013, hanno partecipato circa 1000 persone, quindi anche non membri delle due “correnti” di cui sopra, vale a dire i delegati che hanno afferrato laportata reale del Congresso sotto la direzione Tsipras: ovverosia  il “colpo di stato”, formula usata da Stathis Kouvélakis in quella riunione, di Tsipras al fine di rompere la coalizione di 14 organizzazioni che compongono Syriza e fare un partito detto “unificato” con una dissoluzione delle organizzazioni in nome di una “democrazia” composta da un insieme di individui. Pertanto, l’unica “frazione organizzata” sarebbe stato il nucleo intorno a Tsipras. Ciò convalida la caratterizzazione fatta da Stathis Kouvélakis del tentativo di colpo di forza della direzione Tsipras, che è ampiamente fallito.
Tuttavia, una specie di guerra di bassa intensità continuerà certamente contro la sinistra di Syriza. Nondimeno, quest’ultima nel contesto della mobilitazione sociale, può rafforzare e mettere alcuni sassolini nelle scarpe di quelli che Antonis Ntavanellos ha chiamato “nuovigolden boys di Syriza,” che pensano di poter vendere il loro realismo alle élite dominanti Grecia senza neanche menzionare la Troika o Wolfgang Schäuble. Quest’ultimo ha imposto, in stretta collaborazione con il governo Samaras, un enorme controllo poliziesco del centro di Atene e il divieto di tutte le manifestazioni durante la sua visita, il 18 luglio.
Stathis Kouvélakis ha pubblicato, tra gli altri, per la Presses Universitaires de France, il libro Filosofia e rivoluzione: da Kant a Marx, 2003. Insegna al King College di Londra.

FONTE: ilmegafonoquoditidiano.it


giovedì 22 gennaio 2015

LE GUIDE SPIRITUALI DELL'ISIS: SAS, MI6, BLACKWATER, CIA

Uno dei miti più sacri del Sacro Occidente riguarda il controllo che l'opinione pubblica eserciterebbe sui propri governanti. Come spesso capita, la realtà è l'esatto contrario; perciò tocca assistere a repentini cambi di alleanza e di nemico in base alle esigenze affaristiche del momento, e la gran parte dell'opinione pubblica si adatta al ruolo di banderuola. A far da collante nel caos delle contraddizioni della propaganda occidentale rimane, costante ed immutabile, il razzismo, la convinzione imperscrutabile, da trasmettere alle masse, di una missione da compiere per rieducare i barbari del pianeta. Un educazionismo a base di bombardamenti.
Dal vertice dei ministri degli Esteri di lunedì scorso, annunciato dal commissario UE, Federica Mogherini, è uscito il proclama secondo cui l'Islam non sarebbe il nemico. L'ipocrisia di queste viscide dichiarazioni ufficiali serve a lasciare il campo aperto ad una propaganda più subdola, che si spacci come "libera informazione". A presentare l'Islam come il nemico, provvedono infatti gli allarmismi e le notizie-fiaba dei media. La "notizia" della settimana riguarda
i tredici ragazzi iracheni uccisi dall'ISIS per aver assistito ad una partita di calcio. Si tratta dello stesso schema narrativo con cui sono state allestite le storie degli stupri al Viagra di Gheddafi, o della nazionale di calcio nord-coreana condannata a morte in blocco, o certi serial del vittimacomunismo a posteriori, come la storia dei fans dei Beatles perseguitati in Unione Sovietica.
Per riuscire ad imporre e far sedimentare una visione del mondo basata su queste fiabe, non bastano ovviamente gli organi d'informazione, ma risulta fondamentale sorprendere ed aggirare le eventuali diffidenze del pubblico facendo passare le false notizie nei programmi di intrattenimento e nei talk-show. Il "dibattito" è il grande digestivo della propaganda ufficiale, poiché crea un alone "democratico" che allenta le difese e rende credibile qualsiasi assurdità. Il "dibattito" si dovrà anche cimentare con la spinosa questione del delicato equilibrio tra privacy ed esigenze di sicurezza; come se la privacy non fosse stata inventata come slogan proprio nel momento in cui era stata congedata per sempre nei fatti.
Sempre secondo la Mogherini, come misura "concreta" per la lotta al terrorismo, sarebbe stato escogitato dal vertice dei ministri il sempre attuale espediente dello "scambio di informazioni". Di informazioni dovrebbero essercene a disposizione davvero tante, visto che l'assistenza fornita dai sedicenti occidentali all'ISIS ci era stata riferita, appena due anni fa, con dovizia di particolari.
Il
giornale britannico "Daily Star" annunciava trionfalmente nel 2012 che le truppe speciali del SAS e gli agenti segreti del MI6 avevano allestito campi sul confine siriano per accogliere "ribelli" in fuga dalle grinfie del "dittatore" Assad. In tal modo la presenza di truppe e servizi segreti NATO sul territorio siriano, nota da tempo, era ufficialmente riconosciuta, e persino celebrata.
Altro fatto risaputo è che questi "islamici" ortodossi, integralisti e fanatici avevano eletto come propria guida spirituale l'agenzia di mercenari statunitense Blackwater, incaricata dagli USA di
addestrare i ribelli anti-Assad in campi in Turchia. La notizia era stata riportata dalla stampa turca e rilanciata da alcuni giornali occidentali.
Un altro dato riferito dalla stampa, ma poi caduto nel dimenticatoio, riguarda i trasferimenti di armi della CIA ai "ribelli" siriani.
L'uccisione dell'ambasciatore statunitense Stevens a Bendasi avvenne proprio nel contesto di una di queste operazioni di trasferimento di armi dei "ribelli" libici ai "ribelli" siriani. La riluttanza delle milizie libiche a cedere una parte delle proprie armi, causò una serie di scontri culminati con l'attacco al consolato di Bengasi. L'episodio si inquadrò probabilmente anche in una faida interna alla stessa CIA.
All'elenco delle guide spirituali dell'ISIS, pare che non manchi una delle più affidabili, cioè il Mossad. Forse però il servizio segreto israeliano ha lavorato con più discrezione degli altri, perché sinora, nonostante voci e sospetti, non vi sono diretti riscontri a riguardo.
Sino all'anno scorso anche la Francia sosteneva apertamente con truppe, mezzi ed addestramento i "ribelli" siriani, cioè i miliziani dell'ISIS. Anzi, la Francia ha fatto molto di più, poiché è stata il primo Paese a fornire alla "opposizione" siriana un pieno riconoscimento diplomatico. Adesso invece il governo francese invia i suoi soldati a
sostenere la guerra contro l'ISIS, mentre il vecchio nemico Assad oggi sembrerebbe se non un alleato, quantomeno un cobelligerante.
Messa così, la vicenda dell'ISIS potrebbe prestarsi ad una narrazione del tipo di quella della Creatura di Frankenstein, sfuggita alle mani del suo creatore. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Dopo gli anni dedicati dal Sacro Occidente ad attaccare i governi laici in Medio-Oriente, questo riciclaggio del nemico islamico potrebbe rivelarsi solo un espediente tattico della NATO per piazzare le proprie truppe sul terreno siriano in funzione anti-Assad. Di qui a poco una sfilza di notizie-fiaba sui crimini di Assad potrebbe servire a giustificare qualche altro improvviso cambio di fronte.
SOLO GLI ITALIANI NON PAGANO IL RISCATTO. A NOI RILASCIANO GLI OSTAGGI A GRATIS
Isis, nuovo video: 200 milioni entro 72 ore per liberare ostaggi giapponesi
 20 gennaio 2015
 Dubai (Emirati Arabi Uniti), 20 gen. (LaPresse/Reuters) - Un nuovo video dello Stato islamico è stato diffuso in rete. Nel filmato compaiono due ostaggi giapponesi, in tuta arancione, per il cui rilascio gli estremisti chiedono "200 milioni" di dollari al governo di Tokyo. Il video, ripreso in una zona desertica, mostra un uomo vestito di nero con un coltello in mano, il quale afferma che la popolazione del Giappone ha 72 ore per fare pressioni sul governo affinché interrompa il suo "folle" sostegno alla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. "Altrimenti questo coltello diventerà il vostro incubo", dice in inglese l'uomo incappucciato, che poi chiede "200 milioni" in cambio della libertà degli ostaggi, senza specificare la valuta. I sottotitoli in arabo spiegano però che si tratta di dollari. Da Tokyo, un portavoce del ministero degli Esteri ha dichiarato che il governo è "al corrente della situazione". E ha aggiunto: "Al momento non c'è nulla che possiamo dire"
Sull'autenticità delle immagini sta lavorando il Foreign Office britannico. Il combattente ripreso, dal forte accento britannico, sembra essere dall'aspetto e dalla voce il noto 'Jihadi John'. "Siamo a conoscenza del video e ne stiamo studiando i contenuti", ha dichiarato una portavoce del Foreign Office. Jihadi John è già stato protagonista di altri filmati, in cui i prigionieri erano minacciati e poi uccisi. I cooperanti britannici David Haines e Alan Henning e i giornalisti statunitensi Steven Sotloff e James Foley sono stati decapitati nel corso di video simili.

notizia vista sul blog di Luciano Davì

Libere Greta e Vanessa. Tv araba: “Pagato riscatto di 12 milioni di dollari


 Strano, non funziona così per tutti gli altri italiani in indigenza economica che annunciano il suicidio.
Gli italiani indigenti e sul lastico non sono certo un business da difendere, così come finanziare gruppi per il rovesciamento di altri stati


Ma questo è il pensiero moralmente superiore, quello che non discrimina

Manconi (Pd): Se ci sono vite in pericolo è dovere dello Stato pagare

sabato, 17, gennaio, 2015
“Non intendo fare un ragionamento umanitario ma di diritto e di diritto costituzionale: da questo punto di vista è addirittura un dovere dello Stato nei confronti dei cittadini”. Così il senatore del Pd Luigi Manconi, in un’intervista a Repubblica, a proposito del caso di Greta e Vanessa, le due cooperanti rapite in Siria e liberate giovedì, e del pagamento di un riscatto.

“Il fondamento del rapporto tra cittadino e Stato – aggiunge – risiede nella promessa dello Stato di garantire l’integrità fisica e morale del cittadino nei confronti del nemico esterno, in caso di guerra o terrorismo e di quello interno, aggressioni e violenze. Il patto sociale si basa esattamente su questo e lo Stato può pretendere ubbidienza dai cittadini se garantisce la loro incolumità. È questo che da legittimità giuridica e morale allo Stato di diritto. E da questo punto di vista pagare un riscatto è addirittura un dovere per lo Stato”.

Questo poveretto non era italiano? Lo avete lasciato morire di stenti negandogli 350 euro per tornare a casa  Messico: l’ambasciata italiana lascia morire un indigente e spende 6000 euro di lampadine

“Se quei milioni di riscatto – continua Manconi – sono destinati, ed è possibile, ad alimentare i terroristi, pensate a quante conseguenze può provocare a Israele la liberazione dei suoi nemici quando periodicamente, per ottenere il rilascio di uno o due soldati o civili, acconsente all’uscita dalle proprie carceri di centinaia di palestinesi. E tra questi anche di quelli che considera più pericolosi”.


DI PARERE CONTRARIO IL MINISTRO GENTILONI

“Noi siamo contrari al pagamento di riscatti e partecipiamo al contrasto multilaterale al fenomeno dei sequestri di persona a scopo di riscatto”. Sono queste le parole usate dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni che ha parlato alla Camera dei deputati in merito alla liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due giovani cooperanti italiane rapite in Siria nell’estate del 2014.





notizia vista sul Blog di Luciano Davì



Israele, ancora una volta, al servizio del terrore

Con l’attacco sferrato gli scorsi giorni in Siria, Israele ha mostrato le carte svelando ormai, anche ai meno accorti, di essere a tutti gli effetti coinvolta nel conflitto. Crollano di fronte all’evidenza le menzogne di Netanyahu che vogliono lo stato ebraico parte integrante della lotta contro l’IS (e quindi contro gli attentatori di Parigi), rivelando al contrario un’inquietante complicità con i fondamentalisti islamici.

di Federico Capnist - 22 gennaio 2015

E’ la settima volta che Israele compie deliberate azioni di guerra in Siria, la quarta direttamente contro Hezbollah, utilizzando quella sorta d’impunità diplomatica che il mondo concede allo stato ebraico (forse per motivi legati ancora ai sensi di colpa per lo sterminio nazista, forse per rilevanti interessi economici) e che gli permette, ora come sempre, di attaccare cittadini stranieri fuori dai propri confini senza pagarne mai alcuna conseguenza. La settima volta che Israele colpisce non le bande islamiste che formano i ribelli siriani, bensì chi, incessantemente, da anni i fondamentalisti islamici li combatte in una guerra atroce e durissima. Negli attacchi effettuati per mezzo di elicotteri da combattimento di Tsahal contro due macchine nei pressi delle alture del Golan – un’area formalmente siriana ma de facto occupata da Israele ancora dal 1967 – sono morti cinque cittadini libanesi appartenenti ad Hezbollah e sei pasdaran iraniani, fra i quali i due responsabili dei rispettivi movimenti nelle operazioni militari in Siria: Mohammad Issa, luogotenente di Hezbollah, e il generale Mohammad Allahdadi, dei Guardiani della Rivoluzione. Tradotto: Israele ha assassinato alcuni dei maggiori artefici della tenace resistenza dell’esercito siriano contro i fondamentalisti che oggi si chiamano “stato islamico” e che al loro interno annoverano elementi come gli attentatori di Parigi e altre migliaia di macellai provenienti da tutto il mondo a combattere sotto le lugubri insegne dell’IS.

Qualcosa non torna? Decisamente, perche il califfato guidato da al-Baghdadi solo sui giornali e nei proclami di Netanyahu sembra essere un nemico dello stato ebraico. Ma in realtà esso si rivela essere sempre più, se non proprio un formale alleato, almeno un utilissimo complice nel raggiungimento degli obiettivi geopolitici regionali del governo di Gerusalemme. Obiettivi che a loro volta, fatalità, coincidono con i suoi, con quelli degli Stati Uniti e dei loro alleati regionali: la continua espansione di Israele, l’annientamento, appunto, dei temibilissimi Hezbollah, l’indebolimento più in generale dell’asse di resistenza sciita, l’accerchiamento economico e militare dell’Iran, l’abbattimento di Assad in Siria e la nascita di un grande stato fondamentalista e sunnita sponsorizzato dall’Arabia che mantenga lo status quo. Insomma, se si vuol vedere a chi ha giovato l’eliminazione dei libanesi e degli iraniani nel Golan, Israele e il califfato andranno ancora una volta a braccetto. Del resto, guardando ai mille proclami lanciati dal califfato, gli obiettivi sono “Roma” – dal grande impatto sonoro e idealistico ma scarsissimo da quello pratico – e la distruzione degli avversari in seno all’Islam: di Gerusalemme, di riscattare l’orgoglio dei palestinesi soggiogati per decenni da Israele e di liberare più di un milione e mezzo di musulmani sunniti che vivono nel lager a cielo aperto che è Gaza, non vi è traccia alcuna. Curioso, ma tant’è.

E’ la realtà che stride con gli ideali per cui si sarebbe formata la famosa “coalizione anti-IS”, una fantomatica ed ipocrita accozzaglia di Paesi che, per l’appunto, in mesi di guerra non è riuscita a raggiungere nessun risultato degno di nota contro un esercito sì ben armato (e in merito sorvoleremo sul doppiogiochismo di tanti membri di quella coalizione, già precedentemente citati), ma che impallidirebbe di fronte ad una seria risposta militare mostrata in altre occasioni. In primis della rinomata ed efficiente macchina da guerra israeliana, che invece di compiere un’azione che la metterebbe in buona luce agli occhi del mondo dopo tante atrocità commesse, preferisce concentrarsi nell’annientamento quotidiano di inermi civili palestinesi e nell’eliminazione di utili pedine nella lotta contro il terrore, quello vero. Gettando su di essa e su tutta Israele ombre e sospetti da far accapponare la pelle; e lasciando solo Assad e i suoi alleati, in primis gli Hezbollah libanesi, ad occuparsi del gioco sporco contro le milizie fondamentaliste.

Se poi i conti non tornassero, o se a pensar male tornassero anche troppo, è notizia fresca la decisione di Washington di inviare, a partire da marzo, centinaia di soldati con cui addestrare ed affiancare i ribelli siriani nei prossimi anni al fine di estromettere Assad. Una decisione da mesi sul tavolo delle cancellerie occidentali e che sembra voler aggirare le decisioni parlamentari prese in senso contrario; affidandosi a schemi più spicci e meno fastidiosi da spiegare all’opinione pubblica per raggiungere lo scopo. Che, grazie proprio al ruolo di attori quali l’Iran e Hezbollah, da anni si persegue invano per mezzo dell’ennesima guerra per procura, questa volta però sporca più che mai. Anche alla luce di questa rivelazione, è probabile che la saggezza non solo tattico-militare che contraddistingue Hezbollah, porterà il movimento sciita a doversi focalizzare sempre di più sul conflitto in Siria, priorità assoluta per la tenuta dell’asse nella regione. E a posticipare la doverosa reazione all’attentato terroristico compiuto dagli israeliani, che con Netanyahu e la componente ultraortodossa della società, sempre più assetata di sangue, trascinano il loro paese ed i loro cittadini in una catastrofica spirale di violenza.

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martedì 20 gennaio 2015

Via un altro pezzo di libertà e diritti

Mentre la società civile chiamata a raccolta dal PD (ossia il padrone chiama i centri sociali) per protestare contro Casa Pound, la Consulta decreta che  MILIONI di italiani devono dire addio definitivamente alla loro pensione.

In Italia, così come in Occidente l'unica opposizione ammessa è quella addomesticata. L'unica titolata ad andare in piazza e state pur certi che, al di là delle sceneggiate contro l'austerità di cui il regime Monti fu espressione, quando  si tratta di contrastare efficacemente i singoli provvedimenti  imposti da un governo illegittimo non si muoverà foglia. Poi il referendum per l'abrogazione della legge Fornero fu proposto da quelli "cattivi brutti e sporchi" della Lega, anche perché i difensori della classe operaia se ne sono ben guardati dal combattere seriamente, non a suon di sfilatine in centro, gli editti prodotti dai governi della troika, hanno pur sempre il merito di aver "liberato" l'Italia dal nano di Arcore...

E poi l'Europa (che impone questi provvedimenti) piace tanto ai compagni, e contestarla significa essere euroscettici e quindi brutti sporchi e cattivi.

I miei vivi complimenti ai giudici o magistrati della Consulta, che, forti dei loro privilegi e diritti acquisiti, come si confà ad una casta, si arroga il diritto di negarli alle persone di serie B dei ceti inferiori.
I loro lautissimi stipendi e pensioni saranno accreditati come sempre mensilmente lo stesso, sono ricompensati anche per questo, per tutelare il potere. Alla faccia dell'eguaglianza, democrazia e diritti, ancora un volta da un apparato del regime si riceve la conferma che sono tutte balle.

E per finire con le liete notizie dal mondo di Orwell 2015:



Tutto pronto per il Patriot Act europeo?
Paura. Una parola che si insinua nella mente come un germe inarrestabile. Soprattutto quando indotta. Come un tumore che si annida nelle parti più nascoste del corpo, viene alimentato da noi stessi, inconsapevolmente, dalla nostra voglia di chiarezza che porta a credere alla spiegazione più semplice. E poi, d'un tratto, dispiega i suoi effetti. Così è accaduto negli Stati Uniti all'indomani del 11 settembre 2001, così ci sono i primi segni possa accadere anche nella vecchia e "saggia" Europa.

 La pagina più nera in tema di libertà negli USA è stata scritta non con il crollo delle torri gemelle, bensì con l'entrata in vigore del Patriot Act. George W. Bush ci mise poco più di un mese a firmarlo, all'inizio facendolo passare come una legge transitoria e d'emergenza - e di "emergenze" senza fine in Italia abbiamo grande esperienza - e poi di volta in volta prorogata fino a oggi. Vennero rafforzati i poteri e le libertà d'azione di FBI, CIA e NSA, rimosse le restrizioni sul controllo delle conversazioni telefoniche, delle chat, delle e-mail, delle cartelle cliniche, delle transazioni bancarie, sulla segretezza dei colloqui tra detenuti e legali. Addirittura si arrivò a dichiarare legittime le perquisizioni effettuate senza avviso e presenza del diretto interessato e consentire arresti di non meglio definiti "combattenti" sulla base di semplici sospetti. Una legge dichiarata, nella parte in cui prevedeva tabulati telefonici e Internet di sospettati senza mandato della magistratura e notifica agli indagati, incostituzionale - e anche in questo in Italia siamo dei veterani. Il tutto utilizzando una definizione di "atti terroristici" un tantino troppo di libera interpretazione: "atti che appaiono tesi ad influenzare la politica di un governo con l'intimidazione o la coercizione".
Adesso, all'indomani dell'attentato al Charlie Hebdo, si invoca anche in Europa una legge che dia poteri tali agli Stati da far sentire al sicuro i cittadini. Una specie di Patriot Act nostrano, che "almeno" cancelli l'accordo di Schengen.

 A questo punto bisogna fare un passo indietro. L'accordo, datato 1985, coinvolge a oggi 26 Stati: Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, Francia, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Slovenia, Ungheria, Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Germania, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Svezia, Norvegia e Islanda. L'accordo prevede che i confini siano liberamente attraversabili dai cittadini dei Paesi aderenti. Tale norma, e soprattutto il suo allargamento, ha fatto molto parlare. L'ultima volta che è salito all'onore delle cronache è stato quando con l'entrata di Polonia, Romania e Bulgaria (questi ultimi due al momento aderenti ma non ancora membri a tutti gli effetti) si è temuta una immigrazione in massa di cittadini dell'Est che, attratti dal luccichio dei Paesi più ricchi, sarebbero potuti venire a cercare occupazione "rovinando" il mercato del lavoro europeo - o peggio ancora pretendendo paghe all'altezza del loro nuovo Paese ospitante. Che il timore sia proprio questo lo dimostra il continuo rimandare la data dell'effettivo calo delle frontiere rumene e bulgare soprattutto per l'opposizione tedesca. Forse non è un caso che proprio Romania e Bulgaria abbiano il triste primato del più basso costo del lavoro in tutta Europa: tutto sommato è conveniente che rimangano a casa loro e che siano le aziende a delocalizzare, sfruttando la libertà di movimento di capitali a discapito di quella delle persone, questo il ragionamento.
In quest'ottica, forse non è un caso nemmeno che a invocare un cambio di Schengen - per carità, "solo" per proteggerci dal terrorismo - siano quei Paesi che in questi anni hanno visto una forte immigrazione di lavoratori dalle periferie d'Europa, in testa Inghilterra, Francia, Germania (nonostante le ultime "morbide" dichiarazioni in proposito della Merkel). E allo stesso tempo non è un caso che invece l'Italia si sia subito schierata con la libertà di circolazione, per non ritrovarsi tutti gli immigrati che usano il Bel Paese solo come ponte verso il Nord d'Europa rispediti al confine soprattutto ora che il lavoro scarseggia in Italia anche per loro.

 La macchina in ogni caso si è messa in moto. Nelle stanze dei bottoni entro fine mese si incontreranno i ministri degli Esteri e i ministri degli Interni degli Stati membri. Temi caldi saranno le regole di Schengen, la condivisione di informazioni, la circolazione di armi, il controllo di Internet e l'istituzione di una banca dati dei passeggeri aerei.
Chissà che dopo aver sfilato per le vie di Parigi in nome di una libertà di espressione che non gli appartiene più, la folla non sfili a favore dell'annientamento delle libertà civili. Per pura, semplice, inoculata e terroristica paura.

 Sara Santolini 
Il ribelle

sabato 17 gennaio 2015

Padoan, QE e derivati


Intanto il profeta Padoan che, in quanto tecnico, opera per il  bene nel mondo, si augura che questi malvagi stati nazionali non si oppongano o mettano vincoli al salvifico Quantitative Easing (solo la perfida Germania si oppone a questa panacea per tutti i mali).
E' noto infatti che gli stati nazionali si oppongano alle ricette miracolose del FMI e del resto della troika che, visti i risultati, chi può discutere sulla loro efficacia????

Si deve solo obbedire senza fiatare, diciamo "sulla fiducia" dato che a richiesta più dettagliata su conti e vantaggi, il Ministro dell'Economia risponde al Sole24ore:

Padoan: «Serve un Qe senza vincoli, l’Italia centrerà gli obiettivi Ue»
Capisco la soddisfazione, ma in termini numerici che vantaggi ci dà?

Questo è un calcolo che ho chiesto ai miei uffici ma non siamo ancora nelle condizioni di dirlo con certezza. Preferisco parlare con i dati in mano. Comunque l’Europa riconosce e incentiva la nostra strategia fatta di riforme e di investimenti. di Fabrizio Forquet - Il Sole 24 Ore -
Tutta l'intervista qui


Il Ministro dei conti perché non aspetta di avere dati anche prima di emettere sentenze????
I tecnici responsabili.........

Intanto sempre grazie ai tecnici, QUESTI STATI NAZIONALI VANNO BENE QUANDO DEVONO GARANTIRE E STIPULARE OGNI PUTTANATA CHE FANNO CON LE BANCHE
E' per questo che si "deve tornare a crescere", per avere più PIL con il quale garantire i derivati?
Già nel 2012 fa l'ammontare dei derivati era 7 volte il pil mondiale, possiamo immaginarci oggi. Lo chiediamo al ministro Padoan??
E' per questo che serve un QE all'europea??

E PER I DERIVATI DI STATO GARANZIE MILIARDARIE DATE DAL GOVERNO QUASI DI NASCOSTO           
15 gennaio 2015 da Pino Nicotri

[Non intendo certo rinunciare a dire la mia sulla strage di Parigi. Ho però preferito evitare di scriverne a botta calda, sotto la violenta spinta del dolore e dell’orrore priva però di qualche dato in più. Sull’accaduto scriverò prossimamente. Intanto pubblico questo intervento dei nostri due economisti su tutt’altro argomento]



Garanzie miliardarie per i derivati di Stato
Mario Lettieri* Paolo Raimondi** 

 Le polemiche roventi causate dal decreto legge in materia di fisco adottato lo scorso 24 dicembre dal governo hanno indotto Renzi a rinviare il testo al Consiglio dei Ministri del 20 febbraio per trasmetterlo poi alle competenti commissioni parlamentari. Purtroppo le polemiche sul famoso 3% di franchigia dalle sanzioni penali delle evasioni fiscali, rischiano di coprire altri aspetti e provvedimenti della legge di Stabilità che, ignorati dalla grande stampa, potrebbero passare nella più totale indifferenza. In essa “il Tesoro è autorizzato a stipulare accordi di garanzia bilaterale in relazione alle operazioni in strumenti derivati»fatte con le banche”.

 Il governo giustifica tale decisione affermando che trattasi di una facoltà, non di un obbligo. Ma, come è già avvenuto in Irlanda e in Portogallo, lo Stato italiano potrebbe essere chiamato ad accantonare e bloccare somme molto consistenti a garanzia dei suoi derivati su cui le banche potrebbero valersi in caso di rischio default. Si tratta di un vero favore alle banche perché si modifica, sostanzialmente, il contratto a suo tempo sottoscritto. Ciò non avviene per nessun altro accordo bancario.

 Secondo le stime ufficiali del governo, gli strumenti derivati per la gestione del debito pubblico emesso dalla Repubblica Italiana ammontano a circa 161 mld di euro di valore nozionale. In gran parte, sono swap su tassi di interesse accesi per garantirsi contro possibili loro variazioni. Tale cifra non comprende i derivati degli enti locali.

 Secondo l’ultimo bollettino della Banca d’Italia del 6 novembre 2014 il loro valore di mercato, aggiornato al secondo trimestre 2014, è negativo per 34,428 mld . In altre parole, se detti derivati dovessero essere liquidati oggi, lo Stato italiano dovrebbe sborsare oltre 34 mld di euro! Si ricordi che nel 2013 le operazioni in derivati hanno già generato un esborso netto superiore a 3 mld. Nel 2012, invece, la ristrutturazione di un singolo derivato fatto con l’americana Morgan Stanley è costata all’erario ben 2 mld e mezzo di dollari.

 Naturalmente i cantori della «bellezza dei derivati»ci dicono che però tutto è momentaneo e dipende dall’attuale andamento dei tassi di interesse che sono scesi vicino alla zero. Domani potrebbe andare diversamente. Potrebbero ritornare a salire anche se, dicono sedicenti esperti e approssimativi governanti, ciò non è auspicabile in quanto sarebbe deleterio per la creazione del credito e per la stessa ripresa economica.

 È davvero stupefacente constatare che nelle leggi finanziarie Usa e di tutti i paesi Ue, Italia compresa, non vi sia stata una puntuale riflessione sulla pericolosità dei derivati. Eppure la bancarotta del sistema bancario del 2007-8 e le crisi di molti paesi sono state causate proprio dai derivati finanziari altamente speculativi.

È evidente che il debito pubblico non si può risolvere con trucchi contabili e con giochi finanziari. Lo si riduce soltanto attraverso la crescita economica e il taglio drastico delle spese correnti, spesso inutili. L’esposizione creditizia delle Stato non è, di per sé, negativa purché sia finalizzata allo sviluppo e alla creazione di ricchezza reale e di occupazione.

 Non vi è quindi una finanza magica né vi sono derivati che possano rendere comunque roseo il futuro. Purtroppo i derivati vengono sempre presentati come se fossero dei toccasana, un guadagno sicuro, per i sottoscrittori e per le banche. Non è stato e non è così. A rimetterci sono quasi sempre gli stati e gli enti pubblici. Se a perdere sono le banche, allora gli stati intervengono con operazioni di salvataggio a spese di tutti i contribuenti.

 *Sottosegretario all’Economia del governo Prodi ** Economista



ESTRAGGO DALL'OTTIMO ARTICOLO DI SOLLEVAZIONE
TE LO DO IO IL QUANTITATIVEEASING! di Leonardo Mazzei


La prima ipotesi sarebbe quella di imporre ai paesi più deboli (sicuramente Grecia, Cipro, Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda; ma forse anche Francia, Belgio e Slovenia) la creazione di fondi statali da utilizzare per garantire la Bce dalle eventuali perdite derivanti da acquisti sui titoli dei rispettivi debiti nazionali. Una simile ipotesi sarebbe semplicemente impraticabile e del tutto in perdita per alcuni paesi. Ad esempio, secondo un'elaborazione del Sole 24 Ore del 20 dicembre, basata sul valore dei Cds (assicurazioni sul debito), la Grecia dovrebbe mettere preventivamente a garanzia per ogni milione di euro acquistato dalla Bce un valore di 320mila euro. Una cosa insensata, dato che il beneficio che ne trarrebbe in termini di riduzione dello spread sarebbe del tutto irrisorio di fronte al valore di un simile accantonamento.

La seconda ipotesi, nella sostanza gemella della prima, non prevede nuovi fondi dedicati, ma solo perché la funzione di garanzia verrebbe esercitata dalle singole banche centrali nazionali sotto la direzione e la vigilanza della Bce. La decisione finale di Francoforte è attesa per il 22 gennaio, ma al momento è questa l'ipotesi che va per la maggiore.

Ed è un'ipotesi davvero rivelatrice della verità che comincia a manifestarsi, sia pure nel modo tortuoso di cui abbiamo detto all'inizio. Se il QE dovrà prendere forma attraverso acquisti e garanzie delle singole banche centrali, non è questo il segno manifesto della fine dell'unitarietà della politica monetaria dell'attuale Eurozona? Detto in maniera più chiara: non è questo - per quanto possa essere lungo il percorso - l'inizio della fine dell'euro?

Se questo sarà il "QE all'europea", che la stampa economica definisce ormai senza pudore alla "tedesca", avremo che ogni stato risponderà per le sue perdite, pur non essendone neppure direttamente responsabile, dato che la stanza dei bottoni dalla quale partiranno gli ordini sarà solo quella all'interno della torre della Bce. E questa è una cosa senza precedenti. Quando mai si è vista una banca centrale (e dunque uno Stato) divenire titolare di una perdita, senza avere invece alcuna titolarità sulle scelte di acquisto che l'hanno determinata? Ebbene, in Eurolandia è possibile anche questo..."

"registro" il parere favorevole degli scribacchini del Fatto Quotidiano (per la precisione, di lavoce.info ma pubblicandolo sul loro sito...), così come all'indomani della strage al giornale francese Charlie Hebdo non ha mancato di approfittarsene per rilanciare la guerra in Siria contro le vittime  di Assad, perché, ovviamente secondo il FQ in sintesi questi integralisti sono disperati e non sanno come fare per chiedere aiuto contro il "mostro Assad". Insomma, ripetono la propaganda del potere, ovvero degli Usa