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sabato 31 gennaio 2015

In contiguità con la trattativa stato mafia

Partendo dall'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia finita con la cancellazione delle registrazioni disposta dai togati non appena è spuntato il nome di Napolitano, spunta anche fuori tal Mattarella. Ma che strano, piace pure a Salvatore Borsellino, che di mafia ne sa qualcosa avendo perso il fratello Paolo.
Non che sia un nome di "rottura", tutt'altro. Infatti, sotto l'egida di questo personaggio si è ritrovato l'amore a sinistra. Per Mattarella son tutti pazzi, dall'"antagonista" SEL alle correnti ribelli del Pd.
Basta usare l'icona di un parente morto per la lotta alla mafia per ascrivere a lui gli stessi meriti. Però gli altri son vivi e sappiamo cosa vuol dire......

Ovviamente tale scelta è stata fatta passare come "superamento" del patto del Nazzareno, grande battaglia di civiltà e democrazia che risolleverà i destini di milioni di famiglie italiane ridotte in miseria....a leggere certa stampa è quanto si evince.

Poco importa se questo signore diede nome alla riforma che cancellò il proporzionale, si sa, oggi giorno pensare di concedere più voce al popolo, più rappresentanza ad esso viene considerato un abominio. Tant'è che abbiamo il terzo governo consecutivo non eletto e lo consideriamo sommo atto di responsabilità.

Ma il consenso è stato bipartisan, con una sponsorizzazione come quella di Mario Draghi l'ordine non poteva essere rifiutato o contestato.
Non può non piacere all'impero atlantico, dato che il Mattarella in qualità di Ministro della Difesa del governo Amato  dette il via ai bombardamenti sulla ex Jugoslavia.
Così come certo non poteva essere votato Imposimato, unico a denunciare il Bilderberg quale mandande di ogni strage commessa sul territorio italiano,  che ha osato denunciare all'Aja gli Usa per l'11/9, unico a rendere pubblico in modo dettagliato il malaffare che si cela dietro al sistema Tav Italia che funziona da bancomat per i partiti. Una classe di conniventi, corrotti e servi non avrebbe mai potuto convergere su Imposimato. Siamo in democrazia, ed è questo il suo prezzo, il suo valore.

Riporto un articolo di Dagospia che, raccogliendo altri pezzi, delinea un profilo del loro presidente della Repubblica fresco di conferma Mattarella.
Sotto, link ad altri articoli interessanti a riguardo che la stampa si è ben premurata di non approfondire.

Mattarella e i "modesti regalini" dal "ministro dei lavori" di Totò Riina


MATTARELLA: FIRME FALSE PER CANDIDARLO A BOLZANO NEL 2001


IL PRESIDENTE DI RENZI? E’COSI’ VICINO AGLI ITALIANI, DA AVERLI PUGNALATI ALLE SPALLE





30 gen 2015 11:16


1. “SPECCHIATO” E “SCHIENA DRITTA”, MA ANCHE IL CARO MATTARELLA TIENE FAMIGLIA. E SOPRATTUTTO UN FRATELLO CHE ERA IN AFFARI CON ENRICO NICOLETTI, BOSS DELLA MAGLIANA - 2. L’AVVOCATO ANTONINO, O EX AVVOCATO, VISTO CHE SECONDO ALCUNI DOCUMENTI SAREBBE STATO CANCELLATO DALL’ORDINE, HA AVUTO PIÙ VOLTE A CHE FARE CON LA GIUSTIZIA - 3. TRA GLI ANNI ’80 E ‘90 SI INDEBITÒ PESANTEMENTE CON NICOLETTI, MA FU ANCHE CURATORE DEL SUO FALLIMENTO. FINO A ESSERE ACCUSATO DI AVER RICICLATO SOLDI SPORCHI INVESTENDOLI IN GROSSI ALBERGHI A CORTINA (FU ARCHIVIATO PER MANCANZA DI PROVE) - 4. IL FRATELLO PIERSANTI, POI VITTIMA DELLA MAFIA, FU COLUI CHE FECE ELEGGERE VITO CIANCIMINO SINDACO DI PALERMO. E IL PADRE, BERNARDO, SEMPRE NOTABILE DC SICILIANO, FU DENUNCIATO COME AMICO DEI MAFIOSI DA DANILO DOLCI E DALLA SINISTRA SICILIANA

1. LE OMBRE DEL PICCOLO SCALFARO - SAN SERGIO FINÌ NEI GUAI PER FINANZIAMENTO ILLECITO. E IL FRATELLO...

Tommaso Montesano per “Libero Quotidiano”

«Con la schiena dritta». Eccola la formula più usata, dai sostenitori della sua candidatura al Quirinale, per descrivere Sergio Mattarella. «Un politico per bene», twitta il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un ex popolare con un rigore morale, a leggere i ritratti comparsi sui giornali, La Repubblica in primis, da fare invidia a Oscar Luigi Scalfaro.

Nelle biografie ufficiali e non, Sergio Mattarella risulta avere un solo fratello: Pier Santi, l’ex presidente della Regione Sicilia assassinato a Palermo da Cosa Nostra il 6 gennaio 1980. In realtà il candidato del centrosinistra al Quirinale di fratello ne ha anche un altro. Si chiama Antonino ed è balzato agli onori delle cronache alla fine degli anni Novanta nell’ambito di un’inchiesta della procura di Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa.

Procedimento poi archiviato nel 1996 per mancanza di prove. Le cronache dell’epoca consentono di ricostruire la vicenda. Secondo l’allora sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Andrea De Gasperis, citato dal Giornale di Sicilia del 18 ottobre 1999, Antonino Mattarella, insieme al commercialista trapanese «Giuseppe Ruggirello, avrebbe convogliato nella perla del Cadore (Cortina d’Ampezzo, ndr) un’ingente massa di soldi sporchi, riconvertendo in multiproprietà alcuni grandi alberghi».

Tra gli indagati ci furono anche Enrico Nicoletti, il «cassiere» della banda della Magliana, Riccardo Lo Faro, legale rappresentante della «Cortina Sport», proprietaria di una delle strutture acquisite (l’hotel Mirage), e un imprenditore di Frosinone, Mario Chiappisi. Indagine chiusa per mancanza di prove sulla presunta provenienza illecita del denaro. A macchiare l’immagine di Sergio, invece, c’è la confessione di aver accettato, alla vigilia delle Politiche del 1992, un contributo elettorale di tre milioni di lire - sotto forma di buoni benzina - dall’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, noto in Sicilia per essere vicino a Cosa Nostra.

Il padre di Pier Santi e Sergio, Bernardo, è stato pure lui in politica. Deputato per cinque legislature, oltre che uno dei leader della Dc siciliana nel Dopoguerra. Un ruolo di primo piano, alla guida della corrente morotea dell’isola, che emerge anche dalla relazione di minoranza che nel 1976 depositò in Parlamento l’allora deputato comunista Pio La Torre, assassinato a Palermo il 30 aprile 1982 per mano di Cosa Nostra. Dal nonno al nipote.

Il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, docente di Diritto amministrativo (all’università di Siena e alla Luiss di Roma), è capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della Pubblica amministrazione guidato da Marianna Madia. Quella Madia che è stata fidanzata con Giulio Napolitano, il figlio dell’ex presidente Giorgio. Forse è anche in nome di questi legami che ieri Napolitano senior ha fatto per la prima volta il suo ingresso nell’Aula di Montecitorio nella nuova veste di senatore a vita.

L’ex capo dello Stato non ha nascosto di tifare per l’elezione di Mattarella: «È persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica, alta sensibilità costituzionale». Un endorsement in piena regola che testimonia l’attivismo di Napolitano per l’ascesa del giudice costituzionale - nominato alla Consulta dal Parlamento proprio sotto la sua presidenza - al Colle. «Io lo conosco bene, da quando era deputato», ripete il presidente emerito in Transatlantico prima di lasciare il Parlamento.

2. IL FRATELLO ANTONINO E QUEGLI AFFARI COL RAS DELLA MAGLIANA

Marco Lillo per “il Fatto Quotidiano”

Un fratello che chiedeva prestiti a Enrico Nicoletti: non è certo un punto a favore della candidatura di Sergio Mattarella la presenza in famiglia di un tipo come l’avvocato Antonino Mattarella, o forse sarebbe meglio dire ex avvocato perché, stando ad alcune pubblicazioni di una decina di ani fa, sarebbe stato cancellato dall’ordine professionale per i suoi traffici.

Le colpe dei fratelli non ricadono sui presidenti in pectore però è giusto conoscere a fondo la storia delle famiglie di provenienza quando si parla di capi di Stato. Sia nella luce, come nel caso del fratello Piersanti, nato nel 1935 e ucciso nel 1980 dalla mafia, sia nell’ombra, come nel caso di Antonino, nato nel 1937, terzo dopo Caterina (del 1934) e prima del piccolo Sergio, classe 1941.

Antonino Mattarella ha fatto affari con quello che è da molti chiamato “Il cassiere della Banda della Magliana” anche se in realtà quella definizione è imprecisa e sta stretta a don Enrico Nicoletti, una realtà criminale, come dimostra la sua condanna definitiva per associazione a delinquere a 3 anni e quella per usura a sei anni, autonoma e soprattutto di livello più alto.

Enrico Nicoletti era in grado di parlare con Giulio Andreotti, faceva affari enormi come la costruzione dell’università di Tor Vergata, si vantava di conoscere Aldo Moro, ha pagato parte del riscatto del sequestro dell’assessore campano dc Ciro Cirillo. Ora si scopre che ha prestato, 23 anni fa, 750 milioni di vecchie lire al fratello di un possibile presidente della Repubblica.

Il Tribunale di Roma nel provvedimento con il quale applica la misura di prevenzione del sequestro del patrimonio di Nicoletti nel 1995 si occupa dei rapporti tra l’avvocato Antonino Mattarella e Nicoletti. Nell’ordinanza scritta dal giudice estensore Guglielmo Muntoni, presidente Franco Testa, si descrive la storia di un palazzo in zona Prenestina comprato da Nicoletti, tramite una società nella quale non figurava, grazie anche alla transazione firmata con il curatore di un fallimento di un costruttore, Antonio Stirpe.

L’affare puzza, secondo i giudici, perché il curatore, Antonino Mattarella era indebitato con lo stesso Nicoletti. Il palazzo si trova in via Argentina Altobelli in zona Prenestina e ora è stato confiscato definitivamente dallo Stato. “Davvero allarmanti sono le vicende attraverso le quali il Nicoletti ha acquistato l’immobile in questione – scrivono i giudici – Nicoletti infatti ha rilevato l’immobile dalla società in pre-fallimento (fallimento dichiarato il 20 luglio 1984) dello Stirpe con atto 9 gennaio 1984; è riuscito ad evitare una azione revocatoria versando una cifra modestissima, lire 150 milioni, rispetto al valore del bene, al fallimento.

La transazione risulta essere stata effettuata tramite il curatore del fallimento Mattarella Antonino, legato al Nicoletti per gli enormi debiti contratti col proposto (dalla documentazione rinvenuta dalla Guardia di finanza di Velletri emerge che il Nicoletti disponeva di titoli emessi dal Mattarella, spesso per centinaia di milioni ciascuno)”.

La legge fallimentare cerca di evitare che i creditori di un imprenditore restino a bocca asciutta. Il curatore dovrebbe evitare che, prima della dichiarazione di fallimento, i beni prendano il volo a prezzo basso. Per questo esistono contro i furbi le cosiddette azioni revocatorie che riportano i beni portati via con questo trucco nel patrimonio del fallimento. Il curatore dovrebbe vigilare e invece, secondo i giudici, l’avvocato Antonino Mattarella aveva fatto un accordo con Nicoletti e il palazzo era finito nella società di don Enrico.

Per questo le carte erano state spedite in Procura ma, prosegue l’ordinanza del sequestro, “una volta che gli atti furono trasmessi dal Tribunale Civile alla Procura della Repubblica per il delitto di bancarotta si rileva che le indagini vennero affidate al Maresciallo P. che risulta tra i soggetti ai quali Nicoletti inviava generosi pacchi natalizi”.

Non era l’unica operazione realizzata dalla società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, la Cofim, con Antonino Mattarella. “In data 23 aprile 1992 risulta il cambio a pronta cassa dell’assegno bancario di lire 200 milioni non trasferibile, tratto sulla Banca del Fucino all’ordine di Mario Chiappni”, che è l’uomo di fiducia di Nicoletti per l’attività di usura. “In data 28 aprile viene versato sul predetto c/c altro assegno di lire 200 milioni sulla Banca del Fucino, tratto questa volta all’odine della Cofim dallo stesso correntista del primo assegno: questo viene richiamato dalla società, a firma dell’Amministratore sig. Enrico Nico-letti. In data 30 aprile 1992 la Banca del Fucino comunica l’avvio al protesto del secondo assegno).”

L’assegno citato – concludono i giudici di Roma – risulta essere stato emesso dal Prof. Antonino Mattarella”.

I giudici riportano le conclusioni del rapporto degli ispettori della Cassa di Risparmio di Rieti, Cariri. “A tal proposito – scrive il Tribunale – viene esemplificativamente indicato il richiamo di un assegno di 550 milioni emesso sempre dal Prof. Mattarella. Si riporta qui di seguito per estratto quanto esposto dall’ispettorato Cariri: ‘In data 15 maggio 1992 (mentre era in corso la presente ispezione), è stato effettuato dalla Succursale il richiamo di un assegno di Lire 550 milioni, tratto sulla Banca del Fucino da Mattarella Antonio, versato in data 4 maggio sul c/c 12554 della Cofim (società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, ndr).

Il richiamo è avvenuto previo versamento sul c/c della Cofim di altro assegno di pari importo tratto dallo stesso Mattarella, essendo il primo insoluto’. La Banca del Fucino ha regolarmente informato la nostra Succursale (il giorno 21 o 22) che anche il secondo assegno, regolato nella stanza di compensazione del 18 maggio, era stato avviato al protesto. (...).

L’assegno di 550.000.000 lire è tornato protestato il 4 giugno e, al termine dell’ispezione, è ancora sospeso in cassa per mancanza della necessaria disponibilità per il riaddebito sul conto della Cofim”. I rapporti tra Nicoletti e Antonino Mattarella risalivano ad almeno 3 anni prima. I giudici riportano un episodio: il 17 luglio del 1989 Nicoletti telefona al suo uomo di fiducia Mario Chiappini mentre sta nell’ufficio di un tal Di Pietro della Cariri. Chiappini prende il telefono e dice al suo boss “che aveva prelevato e fatto il versamento e che era tutto a posto. Doveva sentire solo Mattarella con il quale aveva un appuntamento”.



3. BORDIN LINE
Massimo Bordin per “Il Foglio”

Nel settembre 1970 Vito Ciancimino divenne sindaco di Palermo. Durò pochissimo. Fu il segretario della Dc di allora, Arnaldo Forlani, a imporre da Roma le sue dimissioni. Del resto la maggioranza che lo aveva eletto fu molto risicata. Nella stessa Dc votarono contro gli andreottiani di Lima, la corrente di Alessi e qualche spirito libero, oltre a socialisti e comunisti. I neofascisti si divisero nel segreto dell’urna, a favore votarono repubblicani e socialdemocratici oltre ai Dc fanfaniani, guidati da Gioia, e morotei, guidati dal giovane Piersanti Mattarella che aveva proposto la candidatura di Ciancimino.

E fu proprio Piersanti Mattarella ad essere convocato a Roma da Forlani, segretario nazionale del partito e fanfaniano, eppure convinto che fosse meglio evitare un sindaco del genere. Ciancimino dovette dimettersi e Piersanti Mattarella fu, dieci anni dopo, un coraggioso presidente della regione che pagò con la vita il suo diniego alle pretese di Ciancimino e dei mafiosi.

Il fratello di Piersanti, Sergio, entrò in politica qualche anno dopo l’omicidio di suo fratello, chiamato da De Mita a rappresentare in Sicilia la svolta della Dc e il suo e emendarsi da un passato di contiguità con la mafia, rappresentato anche da Bernardo Mattarella, notabile Dc siciliano, padre di Piersanti, più volte denunciato come amico dei mafiosi da Danilo Dolci, e da tutta la sinistra, negli anni 50 e 60.

Oggi si vuole al Quirinale suo figlio Sergio, persona irreprensibile. Almeno si sappia che, incolpevolmente, rappresenta questa storia, familiare e politica. Molto più tragica e grave di un carrello dell’Ikea o di un processo per truffa.

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