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venerdì 29 maggio 2015

La tecnotirannide della NSA: una nazione sotto sorveglianza

La tecnotirannide della NSA: una nazione sotto sorveglianza

di John W. Whitehead

Ormai abbiamo una quarta branca del governo. Come documento nel mio nuovo libro “Battlefield America: The War on the American People” (Campo di battaglia America: la guerra al popolo americano), questa quarta branca è venuta in essere senza alcun mandato elettorale o referendum costituzionale, eppure possiede superpoteri molto al di sopra di qualsiasi altra agenzia governativa tranne l’esercito. E’ onniscente, onnivedente e onnipotente. Opera al di fuori della portata del presidente, del Congresso e dei tribunali, e marcia di pari passo con l’elite delle compagnie che comandano davvero a Washington.

Potremmo chiamare questa nuova branca Sorveglianza, ma io preferisco “tecnotirannide”, termine coniato dal giornalista investigativo James Bamford per indicare un’era di tirannide tecnologica resa possibile dai segreti, le menzogne, le spie e i legami aziendali del governo.

Attenti a ciò che vedete, leggete, scrivete, a dove andate e con chi parlate, perché verrà tutto registrato, archiviato e alla fine usato contro di voi, nel luogo e nel momento scelti dal governo. La riservatezza è morta.
Lo stato di polizia sta per passare la staffetta a quello di sorveglianza.
Dopo aver già trasformato la polizia locale in un’estensione dell’esercito, il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, il Dipartimento di Giustizia e l’FBI si stanno preparando per trasformare i poliziotti-soldato del paese in tecno-guerrieri completi di scanner dell’iride e del corpo, dispositivi radar Doppler agli infrarossi, programmi di ricognizione facciale, lettori di targa, dispositivi Stingray per i cellulari e tanto altro ancora.
Questo sta per diventare il nuovo volto della sorveglianza in America.

La National Security Agency è stata la distrazione perfetta per distoglierci dalla più vasta campagna tecnologica del governo che ci renderà impotenti di fronte ai suoi occhi indiscreti. Di fatto molto tempo prima che la NSA diventasse l’agenzia che amavamo odiare, il Dipartimento di Giustizia, l’FBI e la Drug Enforcement Admnistration stavano portando avanti la propria segreta sorveglianza di massa sulla popolazione ignara.
Praticamente ogni branca del governo, dal Servizio Postale al Dipartimento del Tesoro e tutti quelli in mezzo, ha ora il proprio settore di sorveglianza autorizzato a spiare il popolo americano. Poi ci sono i centri di fusione e antiterrorismo che raccolgono tutti i dati dalle spie governative più piccole (polizia, ufficiali sanitari, trasporti ecc) e li rendono accessibili a chi è al potere. Senza ovviamente parlare della complicità delle compagnie, che ci comprano e vendono dalla culla alla bara finché non abbiamo più dati da fornire.

Il dibattito infuocato sul destino dei programmi di sorveglianza interna, palesemente incostituzionali, illegali e continui, è solo rumore, ciò che Shakespeare definiva “suono e furia, con nessun significato”.Perché non significa nulla: le leggi, le rivelazioni, le task force e gli ostruzionisti. Il governo non sta rinunciando né cedendo. Ha smesso di darci retta. Ha smesso da molto tempo di prendere ordini da “noi popolo”.
Se non ve ne siete ancora accorti, niente di tutto questo (le simulazioni militari, la sorveglianza, la polizia militarizzata, le perquisizioni, le palpatine casuali, perfino le telecamere indossate dalla polizia) è per combattere il terrorismo. E’ tutto per controllare la popolazione. Nonostante il fatto che l’attività di spionaggio si sia dimostrata inefficace nel rilevare, figuriamoci fermare, qualsiasi effettivo attacco terroristico, la NSA continua ad operare largamente in segreto, portando avanti sorveglianza di massa senza mandato su centinaia di milioni di telefonate, email, sms e simili, aldilà del controllo del Congresso e dei contribuenti, costretti a finanziare il suo bilancio multimiliardario per le operazioni segrete.

Leggi come il Patriot Act servono solo a legittimare le azioni di un’agenzia segreta gestita da un governo ombra. Perfino il proposto e alla fine sconfitto Freedom Act, che si proponeva di limitare la portata del programma di sorveglianza telefonica della NSA, almeno sulla carta, dispondendo che l’agenzia necessitasse di un mandato prima di sorvegliare i cittadini americani e proibendo la conservazione di qualsiasi dato raccolto sugli americani, ammontava a poco più che una tigre di carta: in apparenza minacciosa, ma priva di morso reale.
La questione di come fare con la NSA, un’agenzia che opera al di fuori del sistema di controlli e contrappesi stabiliti dalla costituzione, è un argomento divisivo che polarizza perfino quanti si sono opposti alla sorveglianza senza mandato della NSA fin dall’inizio, costringendoci tutti, cinici, idealisti, politici e realisti, a vedercela con una “soluzione” politica profondamente dubbia e insoddisfacente a un problema che si situa aldilà della portata degli elettori e dei politici: come confidare che un governo che mente, bara, ruba, aggira la legge e poi si auto-assolve, in effetti ubbidisca alla legge?

Dalla sua nascita ufficiale nel 1952, quando il presidente Harry S. Truman emanò un ordine esecutivo segreto istituendo la NSA quale centro delle attività di intelligence estera del governo, l’agenzia ha operato nell’ombra, senza responsabilità di fronte al Congresso pur usufruendo dei dollari del contribuente per finanziare le sue operazioni segrete. Fu solo quando nel 1969 l’agenzia giunse a impiegare 90.000 impiegati, facendone la più grande agenzia di intelligence del mondo, con un notevole spazio occupato fuori Washington, che diventò più difficile negarne l’esistenza.
In seguito al Watergate del 1975 il Senato tenne incontri sotto il Comitato Church per stabilire esattamente in quale tipo di attività illegali l’apparato di intelligence americano fosse impegnato sotto la direzione del presidente Nixon, e come impedire future violazioni della legge. Era la prima volta che la NSA veniva esposta allo scrutinio pubblico fin dalla sua creazione. L’investigazione rivelò un’operazione sofisticata, i cui programmi di sorveglianza si curavano ben poco della costituzione. Per esempio, sotto il Progetto Shamrock la NSA spiava i telegrammi da e per gli USA, così come la corrispondenza dei cittadini americani. Inoltre, come riporta il Saturday Evening:
“Sotto il Progetto Minaret la NSA monitorava le comunicazioni dei leader dei diritti civili e di quanti si opponevano alla guerra in Vietnam, compresi Martin Luther King Jr, Mohammad Ali, Jane Fonda e due senatori statunitensi. La NSA aveva lanciato questo programma nel 1967 per monitorare sospetti terroristi e trafficanti di droga, ma i presidenti successivi lo usarono per sorvegliare qualsiasi dissidente politico.”

Il senatore Frank Church (democratico dell’Idaho), che servì come presidente del comitato d’Intelligence che investigò la NSA, capiva benissimo i pericoli intrinseci nel permettere al governo di oltrepassare la sua autorità in nome della sicurezza nazionale. Church riconobbe che tali poteri di sorveglianza “potevano essere rivolti contro il popolo americano in qualsiasi momento, e nessun americano avrebbe avuto più alcuna riservatezza, tanta era la capacità di monitorare tutto: conversazioni telefoniche, telegrammi, non importa. Non ci sarebbe stato alcun posto per nascondersi.”

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Constatando che la NSA avrebbe potuto rendere un dittatore capace “di imporre la totale tirannide” a un popolo americano completamente indifeso, Church dichiarò che non voleva “mai vedere questo paese attraversare il ponte” della protezione costituzionale, della supervisione parlamentare e della richiesta di riservatezza da parte del popolo. Egli dichiarò che “noi”, ovvero sia il Congresso che gli elettori, “dobbiamo fare in modo che questa agenzia e tutte le agenzie che possiedono questa tecnologia operino all’interno del diritto e sotto adeguata supervisione, affinché non oltrepassino mai quell’abisso. Quello è un abisso dal quale non c’è ritorno.”
Il risultato fu l’approvazione del “Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA) e la creazione del Tribunale FISA, che avrebbe dovuto supervisionare il modo in cui le informazioni d’intelligence venivano raccolte e archiviate. La legge prevede che la NSA ottenga l’autorizzazione del Tribunale FISA, un tribunale segreto di sorveglianza, prima di poter effettuare la sorveglianza dei cittadini americani. Arriviamo ai nostri giorni e la cosiddetta soluzione al problema posto dagli enti governativi che effettuano sorveglianza ingiustificata e illegale, ovvero il Tribunale FISA, è diventato inconsapevolmente ciò che permette tali attività, approvando quasi ogni richiesta gli venga sottoposta.

Gli attacchi dell’11 settembre sono serviti come spartiacque nella storia della nostra nazione, inaugurando un’era in cui attività governative immorali e/o illegali come la sorveglianza, la tortura, le perquisizioni corporali, le incursioni delle squadre d’assalto vengono sancite come parte dell’impegno a mantenerci “sicuri”.
In seguito all’11 settembre, George W. Bush autorizzò segretamente la NSA a condurre sorveglianza senza mandato sulle telefonate ed email degli americani. Tale programma di intercettazioni venne riportato come concluso nel 2007, in seguito al resoconto del New York Times che aveva provocato l’indignazione generale.
Con Barack Obama nulla cambiò. Di fatto le violazioni peggiorarono, in quanto la NSA venne autorizzata a raccogliere segretamente i dati telefonici e internet di milioni di americani e anche di governi stranieri.
Solo dal 2013, con le rivelazioni di Edward Snowden, gli americani hanno compreso appieno fino a che punto erano stati ancora una volta traditi.

Ciò che appare chiaro da questa breve storia della NSA è che la NSA non si può riformare. Finché al governo sarà permesso beffarsi della legge, che sia essa la costituzione, il FISA Act o qualsiasi altra norma intesa a limitare il suo potere e restringere le sue attività, e finché gli sarà permesso di operare a porte chiuse, affidandosi a tribunali segreti, bilanci segreti e interpretazioni segrete delle leggi, non ci sarà alcuna riforma.
Presidenti, politici e sentenze sono andati e venuti nel corso dei 60 anni di storia della NSA, ma nessuno di loro ha ottenuto granché per porre fine alla “tecnotirannide” della NSA. La bestia è diventata più grande delle sue catene. Non si farà imprigionare.

La crescente tensione che si vede e si sente nel paese è una tensione tra quanti esercitano il potere per conto del governo (presidente, Congresso, tribunali, esercito, polizia militarizzata, tecnocrati, i burocrati non eletti e senza volto che ubbidiscono ciecamente ed eseguono le direttive del governo, non importa quanto immorali o ingiuste, e le compagnie) e quanti nella popolazione si stanno alla fine rendendo conto delle crescenti ingiustizie, della corruzione che imperversa e delle tirannie senza fine che stanno trasformando il nostro paese in uno stato di polizia tecnocratico.

Ad ogni svolta siamo stati danneggiati, nella nostra ricerca di trasparenza, responsabilità e democrazia rappresentativa, da una cultura di segretezza dell’establishment: agenzie segrete, esperimenti segreti, basi militari segrete, sorveglianza segreta, bilanci segreti e sentenze segrete, tutti esistenti aldilà della nostra portata, operanti al di fuori della nostra conoscenza e non responsabili di fronte a “noi popolo”.
Quello che non siamo riusciti a capire davvero è che la NSA è solo una piccola parte dei un oscuro governo permanente costituito da burocrati non eletti che marciano di pari passo alle compagnie guidate dal profitto, quelle che di fatto governano Washington, e lavorano per tenerci sotto sorveglianza e, perciò, sotto controllo. Per esempio, Google lavora apertamente con la NSA, Amazon ha costruito un enorme database di intelligence per la CIA, da 600 milioni di dollari, e l’industria delle telecomunicazioni sta ottenendo grossi profitti proprio spiandoci per il governo.

In altre parole, l’America delle compagnie sta ottenendo abbondanti profitti lavorando come complice del governo nei suoi sforzi di sorveglianza interna. Guarda caso, come di recente rivelato dall’Intercept, molti dei più vocali difensori della NSA hanno legami finanziari con gli appaltatori della NSA.
Perciò, se questo regime segreto non solo esiste ma prospera, è perché lo abbiamo permesso con la nostra ignoranza, apatia e ingenua fiducia in politici che prendono ordini dall’America delle compagnie anziché dalla costituzione.
Se questo governo ombra persiste, è perché dobbiamo ancora scandalizzarci abbastanza da reagire alle sue prese di potere e mettere fine alle sue tattiche autoritarie.
E se questa burocrazia non eletta riuscirà a calpestare le nostre ultime vestigia di riservatezza e libertà, sarà perché ci saremmo scioccamente lasciati convincere che la politica conta, che votare fa la differenza, che i politici in effetti rappresentano i cittadini, che i tribunali hanno a cuore la giustizia e che tutto viene fatto nel nostro interesse.

In realtà, come avverte il politologo Michael J. Glennon, potete votare chi volete, ma le persone che eleggete non sono quelli che prendono davvero le decisioni. “Il popolo americano si illude… che le istituzioni che fanno da facciata decidano davvero la politica di sicurezza nazionale,” affermò Glennon. “Credono che quando votano per un presidente o membro del Congresso o quando riescono a portare un caso in tribunale, quella politica cambierà. Ma… in materia di sicurezza nazionale la politica è fatta da istituzioni nascoste.”

In altre parole, non importa chi occupa la Casa Bianca: il governo segreto con le sue agenzie segrete, i suoi bilanci e programmi segreti non cambierà. Semplicemente continuerà a operare nel segreto finché qualche talpa verrà fuori e per un po’ solleverà il velo e noi di dovere (e per poco) reciteremo la parte di pubblico scandalizzato, pretendendo responsabilità e sbattendo le nostre gabbie, portando però ben poche riforme vere.
Quindi la lezione della NSA e della sua vasta rete di partner per lo spionaggio interno è semplicemente questa: una volta che permettete al governo di cominciare a violare la legge, per quanto giustificabile ne appaia il motivo, rinunciate al contratto tra voi e il governo, quello che stabilisce che il governo lavora per voi e ubbidisce a voi, i cittadini, i datori di lavoro, i padroni.

Una volta che il governo di Washington comincia a operare al di fuori della legge, senza rispondere a nessuno ma solo a se stesso, non c’è modo per farlo tornare al suo posto, tranne una rivoluzione. E per “rivoluzione” intendo l’eliminazione dell’intera struttura, perché la corruzione e l’illegalità sono diventate pervasive.


Traduzione: Anacronista

mercoledì 6 maggio 2015

L’USURA OCCULTA DELLE GARANZIE DI STATO

vedi anche Dal bail-out al bail-in, di Federico Zamboni

Il Fondo di Garanzia, i Confidi e le commissioni d’oro.

Può un governo legalizzare frodi e usura, può trasferire dalle banche ai risparmiatori e crediti deteriorati verso le imprese in difficoltà, consentendo l’applicazione di tassi e commissioni da strozzini?

Le imprese in difficoltà, anche strutturali, dovute a inefficienza, sovrindebitamento o ad altra causa, non riescono a finanziarsi sul mercato in modo normale. Oggi, notoriamente, vi sono innumerevoli piccole e medie imprese in queste condizioni, non più vitali, avviate al fallimento o comunque alla chiusura. Dall’altra parte, le banche sono gravate da molti crediti deteriorati, incagliati, in sofferenza, verso queste imprese. Buona parte dei crediti deteriorati, che superano i 360 miliardi e sono in costante aumento, non sono ancora dichiarati nei bilanci delle banche, perché farlo avrebbe gravi conseguenze sul rating e sulla capacità operativa delle banche medesime.

La legge 662 del 1996, art. 2, comma 100, lettera a), ha istituito il fondo centrale di garanzia, a carico dello Stato, a beneficio delle piccole e medie imprese, per agevolarle nell’ottenimento di credito bancario mediante il rilascio di garanzie dello Stato in favore delle banche, in modo che queste accettino di prestare i soldi a tali imprese sebbene in difficoltà, sapendo che, se queste non pagheranno, pagherà lo Stato. La garanzia pubblica può essere diretta, cioè a beneficio della banca; oppure indiretta, a beneficio di un consorzio di garanzia privato, come i noti confidi e organismi di garanzia regionale; questi enti a loro volta garantiscono la barca erogatrice del prestito. Nel primo caso, ossia la garanzia diretta, lo Stato garantisce fino al 90% dell’operazione finanziaria, mentre nel secondo caso controgarantisce fino al 90% della garanzia. Ciascun organismo di garanzia può garantire finanziamenti fino a 25-30 volte i propri depositi liquidi in banca (ma chi controlla il valore effettivo di tali depositi e il rispetto della soglia di 30 volte?), quindi il Fondo di Garanzia statale è molto esposto e, in caso di insolvenza diffusa dei soggetti garantiti o controgarantiti, sarebbe necessario rifinanziarlo, eventualmente con una tassa straordinaria.

Orbene, state a sentire che cosa ha fatto il governo Renzi a favore dei banchieri e a spese dei conti pubblici.

Il Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ha emanato il decreto numero 176 del 2014, che, fra le altre cose, dispone un alleggerimento, cioè un allargamento dei criteri per la concessione di garanzie e contro garanzie in favore delle suddette imprese. Sostanzialmente, adesso lo Stato presta garanzia anche per quelle che prima erano giudicate troppo malandate per essere garantite – praticamente, si espone (cioè espone i contribuenti) anche verso le aziende già moribonde.

La garanzia viene prestata quasi gratuitamente: ossia lo Stato, è a dire noi, rischia, senza ricevere in cambio alcunché. Quando si tratta di micro finanziamenti fino a € 35.000, il fondo pubblico di garanzia non può eseguire alcuna valutazione di merito di credito, e deve lasciare che a farla siano le banche che esso garantirà, anche se dette banche sono palesemente in conflitto di interesse con il fondo pubblico, come apparirà evidente nel proseguimento. In più, non può chiedere alcun compenso per la garanzia che presta.

In concreto, avendo sotto gli occhi alcuni casi specifici, vedo che il taeg applicato a questi prestiti e circa il 9,30%, le commissioni trattenute dalla banca erogante sono circa l’1,25%, le commissioni prelevate dall’organismo di garanzia controgarantito dallo Stato sono del 13% circa; Sicché, considerato il moltiplicatore suddetto di 30, un consorzio fidi può incassare di commissioni fino al 390% della sua liquidità depositata! E’ un caso che questi organismi possano essere costituiti anche dalle banche stesse?

Con i tassi e le commissioni suddette, un prestito quinquennale di € 500.000 nominali, come quello che ho sotto gli occhi mentre scrivo, si riduce a 443.250 dopo le commissioni della banca, e a 384.541,45 dopo le commissioni del consorzio di garanzia privato. Ma allora è chiaro che, allora, il tasso del 9,30 % annuo è un’illusione, perché non considera anche le commissioni del consorzio di garanzia privato e non è calcolato sulla somma effettivamente prestata; altrimenti, temo che la soglia dell’usura sarebbe facilmente superata. Ma in ogni caso, dal punto di vista monetario, non è usura far pagare alle imprese il 12% di interesse e commissioni (art. 644 CP) quando la BCE presta praticamente a tasso zero alle banche? e quando le imprese tedesche lo pagano il 2%?

È chiaro insomma qual è il risultato di tutto ciò:

Primo: lo Stato offre alle banche una garanzia diretta o indiretta con cui le banche possono chiudere le loro disposizioni attuali con clienti in difficoltà e trasferirle sullo Stato stesso, cioè sui contribuenti. Cioè le banche erogano il prestito garantito dallo Stato ai loro clienti-debitori, in modo che questi estinguano i debiti preesistenti verso la banca, che non sono garantiti dallo Stato. In tal modo, le perdite sui crediti deteriorati è trasferita dalle banche ai contribuenti: una generosa regalia del governo ai banchieri.

Secondo: lo Stato consente, sempre a carico dei contribuenti, a enti di garanzia privati, che in teoria non hanno fine di lucro, di incassare laute provvigioni dalle tasche di imprese in difficoltà che chiedono la loro garanzia. Ma allora perché lo Stato, attraverso le sue banche, non eroga direttamente le garanzie facendosele pagare ad una commissione ragionevole, diciamo il 5%, anziché addossare sui contribuenti tutto il rischio e lasciare agli organismi di garanzia privata e alle banche tutti i profitti? O perché non eroga direttamente i prestiti attraverso le proprie banche, invece di lasciare che siano le banche private a incassare gli interessi trasferendo il rischio allo Stato? Bisognerebbe controllare che uomini politici o partiti politici hanno interessenze nei predetti organismi di garanzia, oltre che nelle banche beneficiarie delle predette regalie. E se questi organismi paghino le tasse sugli utili che realizzano.

Terzo: i titolari delle imprese in difficoltà, spesso già spacciate, che si vedono offrire soldi a tassi usurari o comunque molto elevati, sapendo di non poter sostenere quei tassi, sono indotti a farsi prestare i soldi e a tenerseli, così almeno falliscono con qualcosa in tasca per il futuro. O anche li usano per chiudere le posizioni che hanno garantito personalmente, così salvano la casa ipotecata. Lo possono fare, perché non è previsto alcun vincolo/controllo di impiego delle somme ottenute a prestito con le suddette garanzie. Pensate a quell’imprenditore, già in difficoltà finanziarie, che ha ricevuto € 384.500 effettivi e deve pagarne 500.000 oltre agli interessi del 9,30% su 500.000. Non vi pare tutto assurdo? Che senso ha prestare soldi a tassi superiori a strozzo a un imprenditore che ha già l’acqua alla gola, se non aiutare le banche e lucrare interessi e commissioni ai danni dello Stato?

In questa fase iniziale, per effetto del suddetto decreto del 2014, stiamo avendo un’ondata di concessioni di crediti nel modo suddetto a imprese non sane, non vitali. Licenziamenti e chiusure di attività sono rinviati, e questo contribuisce a nascondere il malandare economico, a beneficio dell’immagine del governo. Ma nel giro di pochi anni gran parte di queste imprese chiuderà o fallirà, e le garanzie e controgaranzie dello Stato saranno escusse dalle banche. E allora si dovrà fare una manovra fiscale per chiudere il buco.

Già ora diversi consorzi di garanzia non rispondono più alle lettere degli avvocati che li interpellano per imprenditori da loro garantiti e divenuti insolventi. E ricordate che il moltiplicatore di queste garanzie è 25-30, e che attualmente nessuno sembra che controlli il rispetto di questo tetto. Quindi, dopo una puntata iniziale di apparente miglioramento per imprese e banche, il cui assorbimento patrimoniale sarà ridotto per grazia delle ricevute garanzie (quindi le banche potranno, anzi già possono, prestare di più). avverrà che le imprese garantite incominceranno a saltare, e la bomba, se non disinnescata per tempo, potrebbe produrre danni di dimensioni notevoli.

Sarebbe pertanto ora che si accendessero le luci su questa realtà semi-nascosta, che si riformasse questo tipo di intervento pubblico, che venisse istituito un centro di monitoraggio dell’andamento delle imprese che hanno ricevuto le garanzie in questione e del rispetto dei tetti di garanzia, e che la Corte dei Conti, Bankitalia, le competenti commissioni parlamentari, Codacons, Adiconsum, Adusbef, Federcontribuenti e altre associazioni si dessero da fare per prevenire un disastro finanziario annunciato.

venerdì 1 maggio 2015

ORA SI SCOPRE CHE LO STATO PAGA 3 MILIARDI L’ANNO DAL 2011 A BANCHIERI GANGSTER PER COLPA DI DERIVATI SBAGLIATI


Gli “antagonisti” non incendiano le sedi delle banche, più facile contro le biblioteche. Al massimo, per lo show acchiappacitrulli, tirano due uova contro le vetrine delle banche. Sia mai causassero danni, a loro stanno attenti, tanto basta poco per mantenere le apparenze.





ORA SI SCOPRE CHE LO STATO PAGA 3 MILIARDI L’ANNO DAL 2011 A BANCHIERI GANGSTER PER COLPA DI DERIVATI SBAGLIATI
aprile 29 2015
Tre miliardi di euro l’anno pagati alle banche di affari, non destano nessun allarme? Chi ha sbagliato a stipulare contratti capestro sulla pelle del Paese, degli esodati e dei giovani senza futuro per favorire le banche di affari – che col sistema collaudato di porte girevoli con il ministero dell’Economia, hanno ricambiato i favori – ed ingrassare i banchieri, deve andare a casa ripagando i danni e qualora non avesse tale sensibilità, deve essere immediatamente dimissionato dal capo del Governo”.
E’ quanto affermano Elio Lannutti presiente di Adusbef e Rosario Trefiletti presidente di Federconsumatori. “E’ intollerabile parlare di 3 miliardi di euro l’anno sottratti alla fiscalità generale, come ha fatto oggi la responsabile del debito pubblico Maria Cannata in una intervista, come fossero bruscolini.
Si tratta – ha testualmente affermato in una intervista – di un costo di 3 miliardi circa l’ anno, cioè del 3,5 – 3,7% del costo complessivo della gestione del debito che è di circa 80 miliardi l’anno, ma ci rendiamo conto del danno? Ed è una spesa già prevista nelle proiezioni del Def!. Non ci sono allarmi da assecondare, non ci saranno né buchi né sorprese, ha detto! Come se 3 miliardi di euro l’anno buttati così fossero quattro monetine.
Ed è scandaloso – evidenziano Lannutti e Trefiletti – che tali piccoli ed inamovibili oligarchi incollati alle poltrone possano tenere all’oscuro il Parlamento, che approva i pubblici bilanci con legittimi sospetti di falsità, sulla genesi dei contratti con banche e banchieri ‘amici’, costati nel quadriennio 2011-2014 ben 15,3 miliardi di euro (mentre altri Paesi come Francia, Belgio ed Irlanda, dai derivati hanno guadagnato almeno 5 miliardi di euro), negando la necessaria trasparenza ai rappresentanti del popolo italiano e dei cittadini consumatori, per presunte ‘informazioni sensibili volte ad evitare la speculazione sui nostri titoli’, senza invocare un segreto di Stato”.
Ora, Adusbef e Federconsumatori in una lettera indirizzata al Capo del Governo, chiedono “di conoscere i dirigenti del Tesoro che si sono assunti la responsabilità di stipulare contratti capestro con le banche di affari per 160 miliardi di euro, in controtendenza con le tutte stime ed analoghe concordanti previsioni economiche sulla discesa dei tassi, con perdite potenziali (mark-to-market) negativo per almeno 42 miliardi di euro, quali convenienze abbia avuto il Paese da tali scelte dannose e scellerate”, chiedendo “l’adozione di misure urgenti verso tutti quei responsabili, che non possono continuare a farla franca, dopo aver prodotto danni enormi all’erario ed ai tartassati consumatori- contribuenti”.I consumatori e le famiglie strangolati dalla crisi sistemica prodotta dai banchieri, vessati e perseguitati dal fisco e da una pressione fiscale insostenibile, oltre a pretendere che i pubblici dirigenti che sbagliano vengano cacciati, oltre al diritto sacrosanto ad essere informati, invocano la necessaria trasparenza su contratti capestro stipulati con le banche di affari per pagare i lauti pasti dei banchieri, la cui segretezza propria delle cosche e delle attività criminali, confligge con il dovere di conoscenza e legalità” concludono Lannutti e Trefiletti.
Fonte: ilnord.it
Tratto da: www.stopeuro.org


Italicum, il Pd+Pdl regnanti a vita


Risvegliarsi nel Manciukuò
Dove sono i Girotondi, la Guzzanti, Mascia & Il Popolo Viola, la Società Civile, le Agende Rosse, i sindacati, i partiggiani, la vera sinistra che "mailpiddìnonèlasinistra", quelli con il bellaciao sempre armato nel gargarozzo, Paolo Flores "Micromegaloman" D'Arcais, Travaglio e il vero giornalismo d'assalto che non ne perdonò mezza a Berlusconi; gli antagonisti, quelle merde degli intellettuali, le bagasce dell'informazione, gli elettori per appartenenza, quelli che moriranno di sinistra dopo essere morti di fame, la parte sana della società, i magistrati del "resistereresistereresistere", la PIAZZA e lo strakitemmuorto?
 Tranquilli, sono nelle mani dei minorati della minoranza: i Bersani, Cuperlo, Civati, Speranza, Bindi ed eventuali. Ovvero... CONTINUA QUI

SE LO FA IL PD TUTTO OK, gli “antagonisti” preferiscono bruciare librerie e contestare la Lega.
Non perché non si possa contestare la Lega, è strano che agli”antagonisti” non infastidisca nemmeno un provvedimento del terzo governo non eletto. Che siano il “braccio armato” del Pd?!?!Contro il Job Act? Niente, contro la legge Fornero? Niente. Contro l’Italicum? Men che mai. Contro Mafia Capitale? Guai, è solo solidarietà ai migranti mica business

Riforme autoritarie: "che facciamo aspettiamo i carri armati?"
 Marco TRAVAGLIO spiega in breve la dittatura che la casta si prepara ad instaurare con le modifiche alla Costituzione

ma non era voto di scambio? Ah solo se lo fanno quelli del Pdl. il Pd al massimo fa "scouting"

Pd, le accuse della minoranza dem: "Ci offrono poltrone per votare l'Italicum"
I "premi" promessi sono tanti ma quello che fa più gola è il posto da capolista bloccato alle prossime elezioni
Mario Valenza  - Mar, 28/04/2015 - 15:30
Solo un anno fa diceva: "Le leggi non si fanno a colpi di maggioranza". Salvo poi cambiare idea e porre la fiducia proprio per evitare qualche amara sorpresa in Aula. Ma le promesse del premier non finiscono qua. Per evitare l'implosione del Pd sulla legge elettorale, adesso, secondo quanto raccontano alcuni esponenti della minoranza dem a il Giorno, il premier avrebbe promesso poltrone di lusso a chi appoggia la riforma della legge elettorale e promette di dissociarsi dalla linea della minoranza. I "premi" promessi sono tanti ma quello che fa più gola è il posto da capolista bloccato alle prossime elezioni proprio con l'Italicum. Insomma pur di far approvare la legge elettorale il premier è pronto a comprare il voto dei ribelli del Pd. Come avrebbero riferito alcuni dem al il Giorno, tra le offerte nel mercato renziano ci sono anche le poltrone per le nuove presidenze delle commissioni e anche qualche posto da viceministro e sottosegretario. E così a quanto pare è scattata la corsa alla poltrona da parte di Area Riformista e da parte die bersaniani.
Il voto segreto avrebbe favorito questi patti segreti perché permetteva all'Italicum di andare avanti e di tenere celati i nomi di chi, accettando l'offerta renziana, avrebbe mollato Bersani. Secondo alcuni della minoranza dem, l'uomo chiave delle trattive sarebbe Luca Lorri. Tra chi sarebbe tentato dalle offerte renziane, come riporta il Giorno, ci sarebbero Nico Stumpo ed Elena Carnevali. Ma anche Dario Ginefra, Giuseppe Lauricella, Enzo Lattuca, Enzo Amendola e Micaela Campana.

Se a stravolgere la costituzione è la parte sana del paese, E’ GIUSTO. Le agendine rosse e la società civile che dice? Silenzio, si vede chi è a libro paga

UN PARLAMENTO ILLEGITTIMO MODIFICA LE REGOLE DEL GIOCO. DI CHI LE COLPE?
aprile 29 2015
Come purtroppo sappiamo il Governo Renzi, senza il consenso delle opposizioni ed addirittura senza il consenso di una parte importante del proprio partito, prosegue nello stravolgimento delle regole del gioco della Repubblica Italiana con un’ampia riforma Costituzionale e l’approvazione di una nuova legge elettorale che ripresenta, sostanzialmente immutate, le criticità del porcellum dato che nega un voto eguale, personale, libero e diretto.
In tutto questo paiono assolutamente evidenti le responsabilità della Corte Costituzionale. L’anno scorso uno dei temi più dibattuti è stato quello relativo alle conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 che ha dichiarato l’illegittimità della Legge elettorale che ha formato l’attuale Parlamento. Tuttavia è proprio tale sentenza a consentire quanto avviene oggi a causa di motivazioni illogiche, contraddittorie ed in gran parte esorbitanti dei limiti del potere conferito alla Corte stessa. Con detta sentenza si era sostanzialmente scoperta l’acqua calda, ovvero che il cd. “porcellum” era ed è costituzionalmente illegittimo e ciò sia in riferimento al premio di maggioranza che alla mancata possibilità per l’elettore di esercitare la propria preferenza in ordine ad uno specifico candidato. Sul punto la Corte Costituzionale nella parte motiva della pronunzia, dopo aver dichiarato l’incostituzionalità, si è purtroppo anche così espressa: “È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere.
Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).
Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.
Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.
Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)”.
Dunque di cosa stiamo dibattendo? La Corte chiaramente ha affermato che la composizione attuale dei due rami del Parlamento costituisce situazione giuridica esaurita e che dunque la legittimazione a legiferare delle Camere ad oggi permane. Tuttavia la situazione è ben diversa rispetto a quanto prospettato nella citata sentenza che risulta affetta da gravi errori sia sotto il profilo logico che giuridico. La Corte Costituzionale ha sbagliato clamorosamente mettendo in dubbio addirittura il suo ruolo di garanzia della democrazia. Per i giuristi è venuto il momento di smettere di voltarsi dall’altra parte e dire le cose come stanno, le conseguenze infatti sono troppo gravi. Ma andiamo con ordine.
In primo luogo occorre chiedersi quali siano i poteri della Corte Costituzionale e se conseguentemente la stessa avesse o meno la possibilità di pronunciarsi, con gli effetti propri del giudicato, su qualcosa di diverso dalla mera declaratoria di incostituzionalità della norma oggetto del suo esame o di quelle consequenziali ad essa. Effettivamente vi sono solidi argomenti giuridici per ritenere che la pronunzia in merito all’attuale legittimazione del Parlamento sia, oltre che palesemente errata, anche assolutamente incidentale e dunque non vincolante nel nostro ordinamento e ciò in quanto la determinazione degli effetti dell’incostituzionalità di una norma non rientra affatto nei poteri che la Costituzione conferisce ai sensi dell’art. 134 alla Corte stessa. In claris non fit interpretatio.
A fondamento della propria presa di posizione circa la piena legittimazione dell’attuale Parlamento la Corte Costituzionale richiama due norme di legge. Tuttavia proprio menzionando tali norme la Corte finisce per evidenziare compiutamente gli evidenti vizi del proprio ragionamento. Le norme richiamate infatti codificano gli effetti della declaratoria d’incostituzionalità sancendone la piena retroattività. Esaminiamo pertanto le due norme richiamate dalla Corte Costituzionale:
-L’art. 136 Cost., a piena conferma il ragionamento dello scrivente, dispone: “Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Dunque è la Costituzione a determinare quali siano gli effetti della declaratoria d’incostituzionalità e non la Corte Costituzionale. Secondo la Costituzione la norma dichiarata incostituzionale non viene abrogata ma perde efficacia nell’ordinamento. La perdita di efficacia è qualcosa di ben più profondo di una semplice abrogazione di norma in quanto presuppone la retroattività degli effetti della pronuncia della Corte. Di palmare evidenza che se un Parlamento illegittimo nella sua composizione continua tranquillamente a legiferare gli effetti della norma dichiarata incostituzionale permangono vivi più che mai nell’ordinamento, anzi in verità più il Parlamento legifera e più gli effetti della legge dichiarata incostituzionale si diffondono e si moltiplicano! Se poi il Parlamento da il via ad un ampia revisione Costituzionale, volta peraltro a cancellare la sovranità e l’indipendenza del paese, siamo davvero difronte ad un atto sostanzialmente eversivo che la Corte non ha saputo fermare sul nascere.
D’altro canto una situazione giuridica può dirsi logicamente esaurita unicamente laddove non continui a determinare nuovi effetti (conseguenze) nell’ordinamento. 

Ad ulteriore conferma dell’assoluta erroneità del ragionamento della Corte Costituzionale basta anche solo rammentare che la Costituzione prevede un meccanismo atto ad assicurare la continuità dello Stato laddove dispone, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti “finché non siano riunite le nuove Camere” (art. 61 Cost.). Pertanto non corrisponde al vero neppure l’ulteriore esternazione che si legge in sentenza ovvero che la perdita di poteri in capo al Parlamento avrebbe creato pregiudizio al corretto funzionamento delle istituzioni democratiche. Casomai il pregiudizio sussiste laddove si consente ad un Parlamento illegittimo di proseguire nella sua attività.
-l’art. 30 Legge n. 87/1953, ad ulteriore conferma delle tesi dello scrivente, recita: “La sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, entro due giorni dal suo deposito in Cancelleria, è trasmessa, di ufficio, al Ministro di grazia e giustizia od al Presidente della Giunta regionale affinché si proceda immediatamente e, comunque, non oltre il decimo giorno, alla pubblicazione del dispositivo della decisione nelle medesime forme stabilite per la pubblicazione dell’atto dichiarato costituzionalmente illegittimo. La sentenza, entro due giorni dalla data del deposito viene, altresì, comunicata alle Camere e ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario adottino i provvedimenti di loro competenza. Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”. Dunque anche la seconda delle norme richiamate dalla Corte Costituzionale a sostegno delle proprie tesi in realtà non limita affatto la retroattività degli effetti della pronuncia d’incostituzionalità di una legge in riferimento ai soli rapporti giuridici tuttora pendenti. Ciò che afferma la Corte Costituzionale non ha riscontro normativo e soprattutto, come già detto, esula completamente dai poteri che la Costituzione le conferisce. L’apodittico assunto della Corte circa la non retroattività degli effetti della propria pronuncia dunque non può avere gli effetti propri del giudicato.
Peraltro, ed è appena il caso di sottolinearlo, ai sensi dell’art. 1 Cost. “La sovranità appartiene al popolo”. Non si riesce ad immaginare nulla che possa contravvenire maggiormente a tale fondamentale precetto (non a caso espresso nell’articolo uno) di un Parlamento che continui a legiferare nonostante la sua elezione sia avvenuta in violazione del rispetto della sovranità popolare. Come può la Corte Costituzionale definire tale stato di cose una situazione giuridica “esaurita”? Molto semplicemente non può.
Altrettanto infondato è ritenere che la nomina a parlamentare sia un fatto giuridico esaurito anche in riferimento all’art. 66 Cost. che infatti dispone: “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di illegittimità e di incompatibilità”. Ergo se la nomina di un Parlamentare diventa illegittima anche successivamente al voto può comunque essere travolta con buona pace dell’assurdità di ritenere fatto esaurito la nomina di un Parlamento. Le leggi precedenti alla sentenza della Corte sono sicuramente legittime, quelle successive invece, tra cui anche l’ampia riforma istituzionale, sono sic et simpliciter un fatto illecito al limite del reato di usurpazione del potere politico punito ex art. 287 c.p.
Ma a livello pratico tutto ciò cosa comporta? Comporta la morte dello Stato di diritto e l’apertura di una fase di assoluta incertezza degli equilibri istituzionali del paese. Infatti innegabilmente ancora oggi è possibile sostenere in giudizio che qualsivoglia legge emessa dal Parlamento successivamente alla pubblicazione della sentenza n. 1/2014 sia costituzionalmente illegittima. Solo laddove tale questione arrivasse nuovamente sul tavolo della Corte Costituzionale sarebbe possibile per la stessa pronunziare sentenza avente efficacia di giudicato sul punto (augurandoci che questa volta la Corte faccia diritto anziché politica), circostanza che non si è verificata con la sentenza di cui si discute in cui oggetto del contendere era unicamente la legge elettorale. Pertanto ad oggi ogni nuova legge emanata dal Parlamento è potenzialmente passibile di essere dichiarata illegittima dalla stessa Corte Costituzionale che del tutto legittimamente potrebbe (anzi dovrebbe) mutare l’orientamento espresso in via unicamente incidentale nella sentenza di cui si dibatte e magari scusarsi con il popolo italiano per avere omesso di svolgere correttamente i suoi compiti istituzionali.
Costituzionalmente parlando vi è anche un altro organo istituzionale che ha il potere, anzi il dovere, di porre fine a questa situazione di potenziale cortocircuito dovuta dall’apertura di una fase di grave incertezza del diritto che potrebbe esplicitarsi anche tra molti anni con conseguenze catastrofiche: trattasi del Presidente della Repubblica, unico soggetto giuridico che può sciogliere le Camere. Ma prima l’indecorso Napolitano ed oggi Mattarella, in cui comunque nutro ancora qualche flebile speranza, hanno latitato.