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venerdì 2 settembre 2011

Libia: solo alcuni aggiornamenti sui mercenari della stampa occidentale e STRAGI "democratiche"

Splendido articolo di Fulvio Grimaldi, un vero giornalista!!!!!!
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Vedere le foto che sono prove schiaccianti, prove che né l'Onu né i nostri giornalisti "vedono"


Barbara

Dulce et decorum est pro patria mori  (detto latino)
Patria o muerte, venceremos!  (detto cubano)
El pueblo unido jamas serà vencido (detto umano)

Pregiudizio, nel senso che la codardia e depravazione dei giornalisti sono arrivati al sublime di farli convinti delle menzogne con cui pre-giudicano le parti in conflitto e con cui di conseguenza pregiudicano la capacità del pubblico di giudicare correttamente. Pregiudicano il pre-giudizio, il giudizio, il post-giudizio degli altri. Sono colpevoli di truffa, raggiro, inganno, estorsione. Fanno da palo a asasassini e ladri. Il “pre” gli viene direttamente in tasca con la busta paga. L’orgoglio è mio e di tutti noi che ci muoviamo nella luce dell’orgoglio con cui i soldati, volontari, popolo della Libia hanno resistito e continuano e continueranno a battersi contro i necrofori del mondo. Amnesty International e Human Rights Watch (George Soros), queste vivandiere dei lanzichenecchi, prima corredano il colpo di Stato e i pogrom di Bengasi con facezie su efferatezze gheddafiane, poi si sciacquano le fauci imbellettate di rosa-Ghandi pigolando, a evidenze emerse al bagliore della verità, qualche smentita. Che, come tutte, lascia il tempo che trova. Anche perché viene tosto liquefatta dal fosforo che questa corte dei miracoli umanitari lancia sulla Siria, dove si è arrivati  a trasformare un’aggressione mercenaria contro l’ultimo ostacolo alla desertificazione imperialista della regione, effettuata dagli stessi soggetti che operano in Libia (Nato-Sauditi-Israele-Fratelli Musulmani-Al QaidaCia), in rivoluzione per una democrazia che questi rivoluzionari non hanno idea di che cazzo sia, che non si sognano di volere e che, comunque, ha la stessa consistenza  delle affermazioni di Berlusconi, Obama e affini di tutta la “comunità internazionale”.

Ma Amnesty, non per questo accanimento guerrafondaio (chiede all’ONU, all’ONU!, di “intervenire”) tralascia alcun’altra occasione per turibolare i sacerdoti dell’Impero. Ultima: la denuncia di “stragi operate da aerei sudanesi su

aree controllate dall’ opposizione”. Quali sono? La Nubia e il Kordofan, due pezzi di Sudan, ricchi di risorse, ancora da strappare allo Stato unitario, già mutilato dagli atlantici, da Israele e dal Vaticano, del suo Sud petrolifero (dove tra l’altro i liberati democratici si stanno sterminando fra di loro per chi becca più guiderdone da petrolio) e con il Darfur, dove da tempo i soliti mercenari Nato fanno casino per propiziare lo smembramento. E’ tutta l’Africa da tornare a schiavizzare e queste ONG, gloriose di nastrini delle campagne condotte a fianco dei diritti umani, come “innervati” militarmente dalla nostra civiltà, suonano le trombe dell’attacco.  

Quanto ai giornalisti, invece, nella cloaca in cui trascorrono, trascinati al fondo dal piombo dei loro proiettili di carta (piombo di stampa, uscito dalla stessa fabbrica di quello da carneficine), in questi giorni ho visto mulinare con particolare vigore tre protagonisti dei tre media  qualificati di sinistra, o di centrosinistra: Bernardo Valli (Repubblica), decano venerando della categoria italiana, signore di Parigi (la Rossanda infetta a largo raggio), già al mio fianco nella Baghdad 2003 a raccontare festosi vaticini sulla democrazia in arrivo; Lucia Goracci (TG3), scollacciata esibizionista di sé e della catarsi democratica in atto in Libia a opera di gagliardi liberatori; l’ineguagliabile Stefano Liberti (il manifesto) che, seppure privo dello specifico professionale, imperversa  sul proscenio del giornale “comunista”, colorando le veline dei servizi con spigolature su “giovani rivoluzionari” descritti alla Dolce e Gabbana. Un ventilatore del fango a tre pale a cui si è aggiunto ieri, sempre sul bollettino “comunista” degli assalti umanitari, uno che giornalista è, ma anche molto di più. Samir Amin è una vita che ci incanta con le sue raffinate analisi sull’imperialismo. Grande teorico marxista, ieri ha sbattuto la faccia sullo specchio deformante della pre-sunzione, del famigerato pre-giudizio. Un arabo che per troppo tempo ha vissuto intrecciato alle ginocrate e ai fuffaroli eurocentrici dello pseudomarxismo. La vena trotzkista, del solito trozkismo invertito, visto che Trotzky si schierava con il despota brasiliano contro l’imperialismo britannico (avevo pensato che si trattasse di Marx. Grazie per la correzione), lo ha promosso al vertice dell’allegra brigata dei né-né. Alla Nato non gliene frega niente della democrazia, punta a petrolio e acqua e liberismo di rapina. Bene, bravo, bis. Il Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi è ambiguo e inquietante. Va beh, non esageriamo… Sed venenum stat in capite e cola dalla prima pagina, editoriale d’apertura, che Samir Amin riesce a esibire, non le vaporose ovvietà di cui sopra, ma l’arrosto vero: Gheddafi sempre un buffone, i suoi discorsi privi di agganci alla realtà, ha scelto il liberalismo per compiacere gli occidentali (la NEP era più liberale, Samir!), ha peggiorato le difficoltà sociali della maggioranza dei libici (e meno male che nel 2010 l’ONU ha riconosciuto alla Libia il più alto livello di giustizia sociale e di welfare di tutta l’Africa), la famiglia del leader e la clientela di regime hanno confiscato la rendita petrolifera (dal 2010 questa rendita viene direttamente versata sui conti correnti della popolazione). Samir Amin, da luce nelle tenebre a tenebra etica e psicologica nella luce della realtà. Si finisce male a manipolare Marx e Trotzky secondo le proprie ubbie e utilità. Una vecchiaia, quella dell’amico di Franz Fanon, finita nell’ignominia del nè-nè. Da vecchi si inciampa, ma nella contraddizione principale poi!

Al Jazira nel bidone

Il mostro a tre teste dell’informazione sinistra ci stende davanti un prato fiorito su cui danzano, sorridono e si amano giovani rivoluzionari e popolo liberato alla democrazia. Il professionalmente decrepito Valli non vede che letizia e sorrisi spargersi per i viali e le piazze e si commuove. Si sa, i vegliardi si commuovono a vedersi celebrati come larussiani portatori di giubilo. L’ineguagliabile Liberti scende rapinosamente dai monti insieme ai mitici berberi (cari ai colonialisti alla Sarkozy e alla Sgrena poiché, minoranza reazionaria, dall’Algeria al resto del Maghreb hanno sempre collaborato con invasori e occupanti) e per i dirupi è tutta una colata di ovazioni per i liberatori di villaggio dopo villaggio. Poco conta che giornalisti anglosassoni, un po’ meno portinai minchioni della Nato, e satelliti spia hanno accompagnato la discesa di questi lanzichenecchi, su cui aerei francesi hanno scaricato il più moderno armamento da strage, e del loro eurosoccorso alpino, percorrendo villaggio dopo villaggio svuotato dalla popolazione in fuga davanti ai “liberatori”, saccheggiato, bruciato, con i superstiti sgozzati. Lo stesso Grand Guignol cui Liberti aveva plaudito, trasformandolo in favola di Bambi, da Bengasi a Misurata. Un trombettiere di tutti i macelli, dalla Libia al Sudan, da quelli contro  migranti neri, per i quali tanto si accalora quando sui barconi, a quelli vaticinati per l’Eritrea. Arrivato tutto giulivo nella "Tripoli liberata" sotto le insegne di Nato e re Idris, ci ha rassicurato tutti garantendo che i "giovani rivoluzionari assicurano la sicurezza in tutta la città". Questo, mentre era all'apice la mattanza di neri e di bianchi che non inneggiassero ai vessilli del colonialismo. Con tre giorni di ritardo rispetto a tutta la stampa internazionale, per quanto embedded, questo personaggio inverecondo ha ripiegato su una notarella piagnucolosa sui rischi che corrono i libici neri (secondo lui tutti subsahariani) per opera dio chi li prende - dice lui - per meercenari. Africom, prossimamente in Libia, non potrebbe avere aiutante di campo migliore. Chissà come si saranno dati di gomito, sghignazzando sull’arte di volgere in sardine gli squali, questi tre con i quattro "rapiti" di Corriere, Stampa e Avvenire, sequestrati, detti sequestrati da tutti e dettisi essi stessi sulle prime sequestrati dai teppisti armati delle bande bengasiane e poi liberati dai gheddafiani, che poi, tornati a riflettere e a obbedire, invertono l’ordine dei fattori e rovesciano il risultato.

Contro questi professionisti della disinformazione, i Gianni e Pinotto della Federazione Nazionale della Stampa,  Natale presidente, Siddi segretario, hanno tempestivamente emanato una fatwa che li bandisce come bugiardoni, fedifraghi rispetto alla deontologia, propalatori di notizie false e tendenziose,  colpevoli di apologia di reato e di istigazione a delinquere. La giustizia penale e civile se ne è fatta allertare. Il Parlamento, sotto spinta di Nichi Vendola, Fiamma Nirenstein, Roberto Saviano, Magdi Allam e Walter Veltroni, e con la benedizione Urbi et Orbi della papessa Rossanda, ha istituito una commissione d’inchiesta presieduta da Scilipoti e Furio Colombo. L’Ordine dei giornalisti, dal canto suo, li ha radiati. Ma solo vita natural durante. Del restante si occuperà la Storia. Come, non ne sapevate niente?
Sorrisi da Tripoli

Devono essere davvero sorrisi di misura oceanica e pareti di fiori per tutta la città, se a Tripoli questi occhiuti inviati non hanno potuto vedere quando certamente avrebbero riferito e denunciato se solo avessero visto: la prigione di Abu Salim – chiamata astutamente “Guantanamo libica” da Liberti, perché lì una rivolta di insorti alqaidiani, preludio a un colpo di Stato Nato e all’ennesimo tentativo di assassinio di Gheddafi, fu soffocata dal governo nel 1996 – che viene svuotata di 4000 (?) golpisti al soldo del nemico, mentre altri 50mila (bum!) “prigionieri politici” vengono inventati e definiti “scomparsi”; la caccia all’uomo nero, libico o lavoratore migrante, da torturare, ammazzare, squartare, come a Bengasi e Misurata; le abitazioni e gli esercizi commerciali saccheggiati, i quartieri di coloro che avevano avuto una casa dallo Stato assaliti e i difensori rasi al suolo dagli Apache e finiti dai mercenari; le donne stuprate, stavolta sul serio; gli ospedali di quei quartieri assaltati e i degenti uccisi e dati alle fiamme; quei corpi carbonizzati li avrebbero accesi i gheddafiani, proprio prima di essere soprafatti (un corpo umano, quasi tutto d’acqua, non prende fuoco e non si consuma se non a fatica e dopo molte ore). Lo dicono i “giovani rivoluzionari” e lo ripetono, ca va sans dire, i bravi giornalisti.

Non hanno visto le strade lastricate di morti ammazzati, di cui nessuno si cura perché è gente del “dittatore”, del “cane pazzo”, del “buffone” (questa è di Samir Amin e non vorrei che lo sentisse qualche libico vero). Come a Bengasi nessuno di loro si era accorto del furto del patrimonio archeologico libico per mano dei sicari di Bengasi (replay di quello operato da mercenari e collezionisti Usa in Iraq), qui nessuno ha notato le turbe di terroristi, col vessillo del più corrotto e servo dei re africani e arabi, invadere, depredare e ottusamente distruggere il Museo Nazionale di Tripoli (replay di quello di Baghdad: cancellare storia e identità). E nemmeno hanno udito il rintocco disperato delle campane della cattedrale cattolica greco-ortodossa di Tripoli, mentre la marmaglia mercenaria rubava, rovinava, imbrattava il tempio di una religione che, come tutte le altre con Gheddafi, ha goduto di benefici, tutela, amicizia, rispetto. Vedremo ora, con in città quelli che sono andati uccidendo cristiani e demolendo chiese da un angolo all’altro del mondo musulmano, che hanno qui per comandante un emiro un po’ Al Qaida e un po’ Cia, che, in cambio delle lezioni di killeraggio ottenute dal Mossad, già annunciano che riconosceranno Israele. 

Non vedono che, mentre i lanzichenecchi e i loro ufficiali europei si abbeverano alle cisterne portate dalla Flotta Nato, a 1 milione e mezzo di persone rintanate nelle loro case, perché se vanno a comprarsi una gazzosa gli sparano, non hanno di che bere, lavarsi, cucinare, vivere e negli ospedali qualche malamente scampato alle 50mila vittime inventate dal fantoccio Jalil, dunque vittima vera, crepa perché il black out da bombe gli ha spento tutto. E gli va pure bene che sfugge a chi arrivando gli getta addosso un po’ di benzina e un cerino.  I cacamissili non si erano lasciati sfuggire l’occasione umanitaria di fare a pezzi “l’ottava meraviglia del mondo”, il grandioso sistema idrico realizzato da Gheddafi che dava acqua potabile al 75% della sua popolazione, nonché l’intera rete dei rifornimenti energetici, elettricità e carburante. Salvare i civili, oggi come ieri e come domani, dato che la minaccia di Gheddafi è sempre là, per i libici e per il mondo (ricordate Tony Blair: “In 45 minuti Saddam potrà colpirci a Londra”?), da affrontare con altri missili e bombe e, domani, con le forze Nato, dette “caschi blù”, a garantire la sicurezza dei gestori  del welfare e dei beni comuni libici: Exxon, Total, Suez e Halliburton e dei nuovi padri costituenti alla saudita.

Nella mia esperienza libica ho notato una curiosa coincidenza. Tutte le atrocità – mercenari, stupri, massacri, bambini soldato, prigionieri carbonizzati, esecuzioni a freddo – dai bengasiani attribuiti a Gheddafi e ai gheddafiani, con il concorso entusiasta di tutta la stampa, le si sono scoperte essere metodi operativi delle bande mercenarie. Un colossale transfert. Ce ne sono prove in abbondanza, perfino nel mio docufilm, spesso dovute a brandelli di coscienza di giornalisti anglosassoni, più spesso all’informazione del Sud del mondo, più spesso ancora ai filmati realizzati col cellulare da temerari patrioti infiltrati tra i carnefici a Bengasi e Misurata. Del resto, trattasi di “regole d’ingaggio” disposte dall’Impero per sé e i suoi ascari in tutte le colonizzazioni. Serve a prolungare il conflitto interno al paese soggiogato, realizzando la famigerata strategia, elaborata in Israele nel 1982, di frantumare ogni Stato da debellare in minuti e inoffensivi frammenti etnico-confessionali-tribali, in perpetuo attrito tra loro.  

Quando non si vede, non si dice, non si sente neanche. Sirte non è lontana. Della stragrande maggioranza del territorio che ai mercenari sfugge tuttora, a Gheddafi è stato assegnato solo un piccolo lembo: Sirte. Sirte, covo di gheddafiani e, forse, di Gheddafi, che non si arrende alla faccia degli ultimi tre giorni di barbarie Nato, con 81 incursioni d’attacco che hanno polverizzato quanto restava della città natale del leader. La cianfrusaglia monarco-islamista-liberista che la assedia aveva proclamato una tregua e un ultimatum: resa  entro venerdì. In effetti la tregua era il tempo occorrente alla Nato per spianare la strada agli attaccanti e l’ultimatum, si sa, vale quanto gli annunci di democrazia in Libia. Le urla di Sirte non faccio a fatica a udirle io, sulle colline laziali. Ma Valli, Goracci, Liberti e tutto il cucuzzaro dei pifferai da coro, assordati dal tripudio del popolo libico per la liberazione del tiranno e dal clangore dei dobloni che dalle tasche del popolo libico precipitano – vedi vertice dei licantropi Nato a Parigi – nelle banche della superiore civiltà che li stipendia, non odono. Accantonati gli uggiolii di Amnesty relative ad alcune falsità attribuite a Gheddafi, ravanano addirittura in quei rifiuti e li riciclano. Pietro Dal Re, sempre sul sionista Repubblica, è arrivato a rilanciare le “amazzoni stuprate da Gheddafi e figli” sulla base dei deliri di tale Siham Sergewa, olgettina di Bengasi che si era inventata 60mila donne che le avrebbero rinviato, compilati, i questionari circa gli stupri subiti dai gheddafiani, con 259 conferme. Spariti i questionari, le conferme, gli indirizzi delle donne e l’inviata ONU, sfuggita al controllo di Ban Ki Moon, attesta di non aver trovato alcuna prova di stupri da parte delle truppe lealiste.

Orgoglio

Dal nadir della decenza professionale allo zenit dell’orgoglio. Noi che abbiamo il privilegio storico ed etico di stare dalla parte degli aggrediti, diffamati, perseguitati, giusti, nella depressione nera in cui ci hanno sprofondato gli infami della “sinistra”, abbiamo visto lanciarci una cima per la quale tornare ad arrampicarci verso la luce della fiducia nell’umanità. E’ l’orgoglio di un esercito, di soldati, volontari, popolo comune, che ha prodotto l’eroismo di una resistenza da ricordare quanto quella di Omar al Mukhtar contro i predatori italiani. Gli struzzi e i ratti non vedono, ma sono questi eroi che ci hanno dimostrato chi è il “tiranno”, chi è la “democrazia”, chi è la “libertà”. Se una forza coloniale che lancia per sei mesi decine di migliaia di missili e bombe e scatena un’orda di belve e di incoscienti, o un governo, privato con una violenza immane di ogni difesa, ma legittimato e difeso dal consenso del suo popolo. Se coloro che andranno a svuotare casse e risorse dello Stato, a svendere alla maniera di Draghi-Amato-Berlusconi quanto appartiene al popolo, a imporre oscurantismi e mordacchie al libero corpo e al libero pensiero, o piuttosto coloro che hanno tratto quel popolo dall’abiezione coloniale, che gli hanno dato benessere e dignità, che hanno proposto un’alternativa continentale all’economia predatrice dei globalizzatori, che hanno ospitato alla pari milioni di migranti, evitandogli i barconi, i nostri lager e sevizie fisiche e legali, e le stragi in mare cui ora li destinano gli alleati di Maroni. Se chi invade, bombarda, brucia, trucida sotto vessilli a suo tempo imposti dal padrone britannico, per il gusto patologico che ha il fanatico e lo sprovveduto per la sopraffazione, sotto la copertura e con il salario di sangue dei 27 tra i paesi più canaglia, più potenti ed armati del mondo, o invece chi a tale uragano oppone quanto gli è rimasto: se stesso, la sua dignità, l’amore per il proprio paese, la fedeltà al leader costruttore della nazione, della sua prosperità e della sua indipendenza.

La Nato sarà stata capace di annientare case, infrastrutture, famiglie, ospedali, scuole, ma non è riuscita a dare rispettabilità alle torme inette, se non per cavar sangue, fatte passare per “giovani rivoluzionari”. Quella rispettabilità guadagnata dai combattenti della resistenza e della verità, che oggi onora l’umanità, ne giustifica l’orgoglio e che presto o tardi sfonderà su libri di storia pubblicati fuori dall’angusta cosca della “comunità internazionale”. Per oltre cinque mesi  le forze armate, praticamente disarmate, di un debolissimo paese di sei milioni hanno sfidato i sistemi d’arma più avanzati del pianeta, su un terreno senza copertura, contro un nemico capace di uccidere qualsiasi cosa potesse essere vista dal cielo, o da una consolle in Nevada. Giorno e notte gli occhi della macchina da guerra euroamericana puntavano dallo spazio, oltreché sui civili nei centri abitati, sui soldati libici da incenerire. A dispetto di questo, a dispetto del terrore che i mercenari intendevano istillare a forza di prigionieri bruciati vivi, le forze armate libiche hanno mantenuto le loro posizioni, l’integrità dei reparti, l’onore personale e collettivo. Ricordano, a perpetua vergogna di Rossana Rossanda e del suo compare Ingrao, l’eroismo dei combattenti repubblicani sotto assalto nazifascista in Spagna. Erano giovani e forti / e sono morti.

Fulvio Grimaldi
 
 

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