Il controllo politico su Hollywood.
Di John Kleeves, l’introduzione.
Di John Kleeves, l’introduzione.
“Staccate da un muro un manifesto pubblicitario, portatelo da un
critico d’arte e chiedetegli che cos’è quell’oggetto. Cosa pensereste se
costui lo prendesse per una stampa come un’altra e si perdesse in
lunghe e dotte descrizioni sul formato del foglio, la grammatura della
carta, la scelta dei colori, le scene rappresentate, lo stile, la
“scuola” e così via, e mancasse di notare: È una stampa pubblicitaria?
Pensereste che forse è un grande intenditore d’arte ma che sicuramente
non sa dove vive.
Ebbene esattamente questo è l’atteggiamento dei nostri critici cinematografici di fronte ai prodotti della filmografia statunitense, per antonomasia Hollywood. Pensano che sia una filmografia come un’altra, come una qualunque filmografia Occidentale, o almeno come una qualunque filmografia espressa da un paese a governo parlamentare e ad economia di mercato. Pensano che i film di Hollywood siano il frutto di artisti o artigiani – i registi – liberi di esprimere la loro visione delle cose e il loro talento, solo condizionati dall’esigenza dei loro finanziatori – le Case di
Ebbene esattamente questo è l’atteggiamento dei nostri critici cinematografici di fronte ai prodotti della filmografia statunitense, per antonomasia Hollywood. Pensano che sia una filmografia come un’altra, come una qualunque filmografia Occidentale, o almeno come una qualunque filmografia espressa da un paese a governo parlamentare e ad economia di mercato. Pensano che i film di Hollywood siano il frutto di artisti o artigiani – i registi – liberi di esprimere la loro visione delle cose e il loro talento, solo condizionati dall’esigenza dei loro finanziatori – le Case di
produzione – che il lavoro fatto sia
commercialmente valido, che “si venda”. Pensano cioè che l’unico vincolo
cui deve sottostare Hollywood è la redditività commerciale. Invece
mentre ciò è vero per la generalità dei paesi Occidentali non così è per
gli Stati Uniti. Qui la produzione filmica oltre che alla redditività
commerciale deve sottostare anche ad un’altra esigenza: fare propaganda
per il Paese, nei termini e con le modalità stabilite dal governo. In
parole povere Hollywood è controllata dal governo centrale di Washington
ed esprime ciò che né più né meno si chiama una filmografia di Stato.
La situazione è del tutto analoga a quella che si verifica nei paesi
totalitari classici, con la sola benché notevole differenza che mentre
in questi ultimi la filmografia è completamente finanziata dal governo,
che si accolla utili e perdite relative, negli Stati Uniti la medesima
si deve autofinanziare: i suoi prodotti devono sia avere la desiderata
valenza propagandistica che essere commercialmente validi.
Così i nostri critici parlano e riparlano dei film americani, e li
esaminano da ogni punto di vista, da ogni angolatura possibile, e fanno
certamente un grande sfoggio di erudizione e di competenza artistica, ma
mancano di notare la cosa più importante: questi film sono il prodotto
di una filmografia di Stato. Ciò non toglie che i medesimi non possano
essere valutati anche dal punto di vista artistico. Il film La corazzata Potemkin
di Sergej Ejzenstejn era certamente il prodotto di una filmografia di
Stato, e niente di meno che di quella dell’URSS di Stalin, ma ciò non
impedì che risultasse un capolavoro filmico. È esattamente come nel caso
dei manifesti pubblicitari: queste opere possono anche risultare
artisticamente valide, ma rimangono dei manifesti pubblicitari, prodotti
per certi scopi e con certi criteri ben definiti e in genere estranei
al loro autore materiale. Ciò il pubblico ha il diritto di saperlo.
Mi rendo conto che quanto appena detto giunge nuovo al lettore, e gli
pare forse stupefacente: nei più o meno tanti anni della sua vita
probabilmente mai aveva sentito tale cosa sulla cara, vecchia, familiare
Hollywood. Ma ciò sarà dimostrato con abbondanza nel prosieguo di
questo libro. Ho iniziato puntando il dito sui critici cinematografici
perché sarebbe stato proprio il loro mestiere individuare tale status di
Hollywood: relazionando su un manifesto pubblicitario possono
entusiasmarsi o disgustarsi quanto vogliono sui suoi contenuti ma la
prima cosa che devono dire è che si tratta di un manifesto
pubblicitario.
Il problema però è più generale, come oramai si comincia a intuire. I
nostri critici cinematografici hanno potuto compiere questo clamoroso
errore di valutazione perché tutta la nostra società – la società
Occidentale – aveva compiuto a monte un errore di prospettiva ancora più
grande. Mi riferisco naturalmente agli Stati Uniti, la matrice di
Hollywood. La nostra società li ritiene un normale paese “Occidentale” e
così diventa logico assegnare lo stesso status alla sua filmografia.
Invece gli Stati Uniti non sono davvero un “normale paese Occidentale”.
Come è stato possibile un errore così grande e così generalizzato? Non è
un mistero extraterrestre, non è una questione metafisica. Prima del
1945 l’Occidente europeo aveva una nozione se non esatta almeno
abbastanza approssimata della realtà statunitense. Si parlava infatti al
riguardo di una “plutocrazia”, termine abbastanza aderente ma appunto
dimenticato. Dopo quella data, e cioè dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale, gli Stati Uniti per dei precisi motivi che vedremo iniziarono e
continuarono a diffondere nel mondo una propaganda politica e culturale
di intensità e dimensioni cosi’ colossali da risultare difficili da
credere, ma in verità perfettamente adeguati alle loro dimensioni
(all’epoca rappresentavano più della metà del Prodotto Interno Lordo
mondiale; ora ne rappresentano un quarto). Tale propaganda, in cui la
para-statalizzata Hollywood veniva a giocare un ruolo sempre maggiore,
aveva molti scopi ma il principale alla fin fine era proprio quello di
camuffare la realtà statunitense, di farla passare per qualcosa che non
era. Così col tempo le impressioni del periodo precedente si offuscavano
sempre più e venivano sostituite dalle nuove, proposte dalla propaganda
statunitense, mentre mano a mano nascevano nuove generazioni. Di qui
l’errore.
Una situazione un po’ complicata dunque: non riusciamo a riconoscere la
reale natura di Hollywood perché non riconosciamo la reale natura del
suo paese produttore, e ciò per azione in gran parte della medesima
Hollywood. Ma è il problema che si incontra ogni volta che si affronta
un aspetto della realtà americana: non lo si può trattare
indipendentemente da tutto il resto perché tale realtà è un sistema
chiuso, autosufficiente e altamente interdipendente, e in più diverso da
ogni altro. In effetti, e come già detto, gli Stati Uniti non sono un
“normale paese Occidentale, “essi sono in verità una civilizzazione a sé
stante, e che con l’Occidente ha ben poco a che vedere benché da questo
sia derivata. Perciò, il punto di partenza per spiegare Hollywood
sarebbe un’esposizione finalmente corretta della realtà americana in
toto, nelle sue componenti di storia e attualità e bonificata dei luoghi
comuni, delle falsificazioni e degli equivoci portati da mezzo secolo
di inquinamento propagandistico statunitense. Ciò è stato da me fatto
nel libro Un Paese pericoloso. Storia non romanzata degli Stati Uniti d’America (Edizioni Barbarossa, Milano, 1999),
che non è naturalmente possibile riprodurre qui. Eseguirò allora nella
Premessa una stringatissima sintesi del medesimo, rimandando sin d’ora i
più allibiti od increduli al medesimo per ogni possibile ed esauriente
conferma. Quindi passerò allo scopo proprio del presente lavoro, e cioè a
dimostrare come Hollywood esprima una filmografia di Stato. Hollywood
non è nata in questa maniera; vi è stata progressivamente ridotta e ciò
che sarà fatto sarà sostanzialmente di esporre la storia di tale
asservimento, ed i suoi effetti. In questa storia spicca un periodo
nodale: quello che va dal 1947, l’anno in cui iniziarono le inchieste su
Hollywood dell’HUAC (House Committee on Un-American Activities), al
1953, l’anno in cui venne creata l’USIA (United States Information Agency).
Tale periodo opera uno spartiacque nella storia dell’asservimento di
Hollywood, e così l’esposizione sarà divisa in tre capitoli; nel primo
sarà esaminata la filmografia americana dalle origini al 1947, nel
secondo saranno esposte le motivazioni politiche e le metodologie
giudiziarie che travolsero Hollywood dal 1947 al 1953, e nel terzo sarà
considerata la filmografia americana che ne risultò, che è quella ancora
stabile al giorno d’oggi.”
Il testo integrale è liberamente scaricabile qui, con password: StefanoAnelli.
BYE BYE UNCLE SAM
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