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venerdì 12 ottobre 2012

Hollande a caccia di nemici



In un’apparizione al Palazzo dell’Eliseo con alcuni leader della comunità ebraica francese, nella giornata di domenica il presidente François Hollande ha annunciato la prossima introduzione di misure più severe in materia di anti-terrorismo. La promessa è giunta il giorno dopo una serie di operazioni condotte dalla polizia transalpina in tutto il paese per smantellare una presunta rete di estremisti islamici e, soprattutto, mentre stanno aumentando le tensioni sociali prodotte dalla crisi economica in corso e dalla risposta ad essa decisa dal governo socialista.
Nel tentativo di distogliere l’opinione pubblica dai reali problemi del paese
e dal mancato rispetto degli impegni elettorali da parte del suo governo, Hollande si è dato da fare per ingigantire il problema del fanatismo religioso in Francia, affermando che “lo Stato non scenderà a compromessi nel combattere il razzismo e l’anti-semitismo”, minacciando che “nulla sarà tollerato” in questo ambito.
La ferma condanna del razzismo e di ogni forma di discriminazione su base etnica o religiosa appare quanto meno ipocrita da parte di un presidente e di un partito come quello socialista che, da un lato, hanno sostanzialmente condiviso la legge profondamente anti-democratica del 2010 che vieta il burqa e altri indumenti religiosi che nascondo il viso e, dall’altro, hanno seguito l’esempio di Nicolas Sarkozy nell’implementazione di politiche persecutorie nei confronti dei Rom.
A fornire al governo di Parigi il più recente pretesto per provare a mettere in atto nuove misure di polizia sono stati alcuni episodi registrati negli ultimi giorni, nei quali sono state prese di mira sinagoghe ed esponenti della comunità ebraica in città come Lione o nelle aree periferiche della capitale.
Un giro di vite in materia di anti-terrorismo era peraltro già stato deciso e sfruttato politicamente la scorsa primavera dall’allora presidente Sarkozy a poche settimane dalle elezioni che lo avrebbero deposto. A Marzo, infatti, la minaccia del terrorismo sulla Francia venne improvvisamente rispolverata dai media e dai politici dopo che un attentato a Tolosa presso una scuola ebraica fece sette vittime.
Le forze di sicurezza francesi misero successivamente sotto assedio l’abitazione del presunto responsabile, Mohamed Merah, un 23enne di origine algerina ben noto alla polizia che aveva soggiornato in Pakistan e in Afghanistan, uccidendolo sommariamente dopo uno scontro a fuoco. L’episodio venne seguito da un’ondata di arresti nella comunità musulmana in Francia e subito sfruttato dalla retorica dell’establishment politico d’oltralpe in un periodo di crisi economica e con le elezioni alle porte.
Dopo l’ingresso all’Eliseo, dunque, Hollande non solo si è discostato ben poco dal suo predecessore nella politica economica, facendo pagare alle classi più in difficoltà la crisi del debito, e in quella estera, appoggiando un intervento esterno per rovesciare il regime di Assad in Siria, ma anche sul fronte domestico dimostra di seguire il percorso tracciato da Sarkozy.
Così, nel fine settimana il presidente socialista ha annunciato la presentazione da parte del suo governo di un disegno di legge anti-terrorismo in Parlamento che, tra l’altro, consentirà alla polizia di arrestare coloro che sono sospettati di essere coinvolti in attività terroristiche anche al di fuori dei confini francesi o che hanno ricevuto addestramento all’estero. Inoltre, la proposta dell’esecutivo permetterà alle forze di polizia di avere accesso alle e-mail e ai dati relativi al traffico web dei sospettati, mentre verranno intensificate le misure di protezione e di sorveglianza dei luoghi di preghiera.
Nella giornata di sabato, intanto, la polizia francese ha dato prova della propria efficienza anche senza i provvedimenti che saranno a breve all’esame del parlamento. Tra Strasburgo e la Costa Azzurra sono state arrestate decine di persone sospettate di far parte di una rete di estremisti islamici e, nel corso di uno dei blitz, la polizia ha ucciso un 33enne che sarebbe coinvolto nell’attentato contro un negozio ebraico avvenuto lo scorso settembre a Sarcelles, un sobborgo di Parigi.
Con la maggioranza della popolazione transalpina che vede le proprie condizioni di vita seriamente minacciate dal governo, dalle istituzioni europee e dagli ambienti finanziari internazionali, il ministro degli Interni di Parigi, Manuel Valls, anticipando l’intervento di Hollande, in un’intervista rilasciata sabato scorso alla rete televisiva TF1 ha nondimeno messo in guardia i francesi dalla minaccia terroristica che graverebbe sul loro paese.
Dai vertici dello Stato, misure di polizia e toni catastrofisti che prefigurano un assedio da parte di estremisti islamici vengono così utilizzati sia per contenere il malcontento diffuso, cercando di dirottarlo su minacce in gran parte fabbricate o ingigantite, sia per creare strumenti legali che facilitino il controllo del dissenso interno e dello scontro sociale già in atto e che si intensificherà ancora di più con l’aggravarsi della crisi economica.
Tutto ciò in uno scenario nel quale si prospettano migliaia di ulteriori licenziamenti nelle principali aziende francesi, nonché nuove pesanti misure di austerity e di smantellamento delle protezioni sociali e dei diritti dei lavoratori che hanno già dato vita nei giorni scorsi a massicce manifestazioni di protesta a Parigi e in altre città della Francia.
di Michele Paris- Altre notizie

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Perché no, vista l'alta considerazione che l'Occidente mostra per questa petrolmonarchia considerata faro della democrazia e dei diritti umani...

L’Arabia Saudita invia detenuti a combattere in Siria

Abna 8/10/2012
Una fonte ufficiale del movimento arabo di resistenza segreto – HASM – ha osservato di recente che, anche se il regime degli al-Saud afferma ufficialmente di non gradire l’idea di giovani sauditi che vanno a combattere la Jihad in Siria, ha segretamente inviato dei giovani detenuti a fare proprio questo.
La fonte ha spiegato che le autorità saudite costringono i giovani detenuti sauditi ad andare in Siria a prendere parte ad un conflitto che non hanno capito, mentre le loro famiglie sono in attesa del loro ritorno a casa, credendo che si trovino in una prigione saudita su suolo saudita. La fonte ha aggiunto che, anche se l’Arabia Saudita si è attentamente assicurata che tutti i prigionieri entrino in Siria senza documenti di identificazione o evidenti collegamenti con il regno, le notizie di un tale complotto cominciano a circolare.
Dall’infiltrazione dalla Turchia alla Siria, ai detenuti viene impedito di entrare in contatto con le loro famiglie e spesso muoiono senza che le loro famiglie lo vengano mai a sapere. Mentre le violenze continuano in Siria, il numero dei morti aumenta. L’Arabia Saudita, ha detto la fonte, si rifiuta anche di garantire che i suoi morti siano rimpatriati per una degna sepoltura, mentre cerca di coprire i propri crimini.
A seconda delle circostanze lo Stato sosterrà che i detenuti sono stati uccisi mentre cercavano di scappare, o che erano fuggiti, o semplicemente che i documenti non fanno alcuna menzione di queste persone. La fonte ha sottolineato che solo se i detenuti-combattenti tornano in vivi in Arabia Saudita e dicono a tutti ciò che gli è stato fatto passare dal regime, le persone nel regno sapranno la verità. Ha aggiunto che spesso i resti dei morti vengono bruciati, per non lasciare alcuna traccia della loro esistenza e presenza sul terreno siriano.
Stato e potenza


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