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lunedì 22 ottobre 2012

Quanti inutili e costosi disoccupati

youth-unemployment-europe-usI numeri della vergogna, dell'inciviltà, ignorati e alterati perché rivelatori di un fallimento epocale e sistemico, sono i numeri concernenti la disoccupazione. Nonostante i numerosi uffici statistici, dai Centri per l'impiego (presso i quali non è obbligatorio iscriversi) all'Istat, dall'Inps che registra chi non versa contributi all'Ispettorato del lavoro, non si riesce a sapere con esattezza quanti siano gli italiani senza reddito, quanti di loro percepiscano un minimo di sussidio, di quale entità e per quanto tempo ancora ne saranno "beneficiati". Stefano Giusti, Presidente dell'Atdal Over 40 dichiara che soltanto il 29% dei disoccupati usufruisce di un qualche sostegno. Come mai questo dato è celato in maniera tanto omertosa? Temono che la gente possa porsi domande, o peggio, esigere una copertura per tutti i disoccupati? Ecco tre servizi che ovviamente i media mainstream non trasmetteranno mai: Crisi: viaggio tra i disoccupati over 40 che nessuno vuole più. Un esercito di stipendiati negli uffici di cui sopra per censurare questa profonda ingiustizia e discriminazione. Già, eppure sentiamo tanto cianciare di progresso e conquiste sociali che dovrebbero farci ritenere fortunati di non vivere nel medio evo. Ci pensa l'ufficio di statistica europeo a sbatterci in faccia questo numero, indegno per un paese civile. La disoccupazione in Italia è al 34% e come si precisa nell'articolo, non tiene conto della percentuale degli inattivi quasi che non fossero persone che abbiano bisogno di soldi per vivere. Sembra quasi che la parola inattivi suggerisca che in assenza di entrata monetaria, il soggetto si "spenga" come un robot e non abbia più bisogno di nutrirsi, vestirsi né tantomeno di avere un tetto sopra la testa. L'istat divulga una percentuale per i disoccupati intorno al 10% e calcola gli inattivi intorno al 37%. Ben che vada quindi si parla di un 47% della popolazione di cui nessuno si preoccupa e nessuno si chiede come faccia a campare. Degli inattivi si precisa che sono persone che hanno smesso di cercare lavoro e le informazioni si fermano qui. Non si indaga su come sopravvivano, potrebbero "scoprire" una realtà poco edificante. O forse, come Bersani, pensano siano tutti rentiers che non dichiarano le tasse. Questo costosissimo zombie ebbe a dichiare: 

 "E' l'eterna raffigurazione della vergogna dell'evasione fiscale che resta il punto principale per riprendere la strada della crescita". Così Pier Luigi Bersani, a margine della conferenza nazionale del Pd sulla giustizia, ha commentato i dati del ministero dell'Economia, secondo cui la metà dei contribuenti italiani dichiara meno di 15.000 euro annui.Fonte

Eppure, non dovrebbe essere così strano quando il tasso di occupazione si aggira al 56,9%. Poveretto, dovrebbe chiedersi e spiegare agli italiani come mai META' della popolazione non lavori e soprattutto, DI COSA E COME VIVA. Sarebbe troppo gravoso approfondire, meglio soprassedere ed anzi, perché no, meglio lanciare uno spot antievasione che in campagna elettorale può solo far bene.

L' Istat scrive il primo ottobre 2012 che il tasso degli inattivi sale al 36,3%. Strano, esattamente due anni fa l'Istat dichiarava che il tasso degli inattivi era di 37, 9% . Cosa intenda l'Istat con "aumentato" quando la cifra dichiarata nel 2012 è più bassa rispetto a quella divulgata nel 2010 non è chiaro, ma suggerisce il grado di affidabilità e credibilità di quest'ente. Non riporto tutte le altre incongruenze riscontrate, soltanto per non annoiare. Notate come si divertano a scorporare i dati in giovani/anziani, settentrione/meridione. Che differenza fa? Un soggetto senza reddito, che sia giovane o meno, che si trovi al Nord o meno, in una nazione che si definisce civile deve essere tutelato. Punto. In fondo, giocano con la vita degli altri, in questa nazione considerata "settima potenza industriale" nonché civile, democratica e piena di difensori dei diritti umani.

I media e organi sindacali e partitici usano perfino ricorrere alla neolingua orwelliana, parlano di lavoratori inattivi e di  lavoratori disoccupati. Se un soggetto non lavora non è occupato, è dis - occupato ed in Italia, come in Grecia, SENZA REDDITO. Al di là delle belle parole dei politici e sindacalisti che sentiamo ad ogni occasione esprimere tanta solidarietà, proclamare una lotta dura senza paura in nome degli sfruttati e degli ultimi, mentre negli altri paesi europei fu introdotto il reddito minimo di cittadinanza, ben 20 anni fa, in Italia i sindacati hanno trovato il tempo di firmare la legge Biagi senza certo esigere come "compensazione" il reddito minimo di cittadinanza. I media orientavano il pensiero dell'opinione pubblica e tramite le parole dei parassiti politicanti suggerivano quanto fosse inopportuno ed immorale garantire un'entrata di sopravvivenza per chiunque non lavorasse. Sarebbe un atto tanto riprovevole quanto deleterio, perché incoraggerebbe la gente a non lavorare. Concetto riassunto e ribadito dalla banchiera tecnica ministra abusiva al welfare Fornero, secondo la quale se l'italiano percepisse un salario minimo si siederebbe a mangiare spaghetti al pomodoro. 

L'élite, avida, ingorda, parassitaria manda un messaggio ai fortunati popoli europei che percepiscono un reddito di cittadinanza. Sostiene che i neet, linguaggio della neolingua per indicare i disoccupati senza lavoro, rappresentino un costo per l'Europa. E quindi? Che facciamo? Li eliminiamo? Li deportiamo in Cina dove lì lavoro c'è? Notare come i disoccupati, qualificati come neet, abbiano "perso fiducia". No, è il lavoro che hanno perso e di conseguenza il reddito  e la colpa è solo dei vermi parassiti che pontificano ed occupano i posti di comando.

Peccato non si esprimano in questi termini quando debbano salvare le banche. Devo dedurre che i Neet siano "sacrificabili"?  

Ma è chiaro che per una repubblica fondata sul clientelismo e sul voto di scambio risulta estremamente utile e lucroso avere un esercito di affamati che siano disposti ad aderire e votare un clan piuttosto che un altro. Magari in cambio della promessa di una falsa pensione, di un posto alle poste se voti tal politico, o più semplicemente da buona massa mansueta che si dimostra disposta ad accettare paghe da accattonaggio, perché si sà, "è sempre meglio che niente". A parte la gente, le persone e le famiglie senza santi in paradiso ci guadagnano tutti. I politici che possono rivolgere i loro messaggi di "speranza" a questo immenso bacino di disperati, illudendoli che faranno qualcosa per loro (sono decenni ed intanto si smantellano le altre garanzie esistenti con somma complicità), oppure promettendo loro un posto di lavoro in cambio di un voto. Equitalia può pignorare gli averi di chi perde il lavoro non essendo egli più in grado di pagare le tasse necessarie a conservarne la proprietà. I mercati globali trovano un esercito di manovalanza a costo quasi zero da poter sfruttare attraverso il dumping sociale. Così si spiega come mai i numeri sulla disoccupazione in Italia siano fuorvianti e pochissimo "pubblicizzati".

Barbara

La disoccupazione record e quella garanzia a un reddito minimo che non c’è





I numeri, a volte, possono fare paura. Perché a guardarli bene raccontano la società di oggi. E nel caso della disoccupazione la preoccupazione è lecita. Soprattutto per quel che riguarda i giovani. Un nuovo studio di Eurostat racconta quello che sta accadendo nei paesi europei. Il grafico, del The ‘Atlantic, parla chiaro: sempre più ragazzi non hanno un lavoro ed è una condizione in crescita. I dati sono aggiornati ad agosto e presentati solo ora. In Grecia si parla del 55 per cento. La Spagna il 53. Questo vuol dire che ci sono più persone sotto i 25 anni che non hanno lavoro, rispetto a chi ce l’ha. E in Italia? Almeno uno su tre non ha un impiego.


Questi dati, però, non tengono conto delle persone che hanno smesso di cercare lavoro. Con il risultato che le percentuali “reali” rischiano di essere molto più alte. I numeri che arrivano da Atene spaventano anche in Italia. “Queste sono tutte persone che non hanno alcun tipo di garanzia”, spiegano da San Precario, collettivo che da anni si occupa, appunto, di lavoro precario e non solo. Più volte ha proposto soluzioni alternative a quelle dei governi per combattere la crisi. La verità, continuano è che “in Italia i giovani si salvano grazie ai genitori che hanno un lavoro o una pensione”. Il famoso tesoretto che però “si va erodendo”.
E così mentre in tutta Europa esiste “un welfare che tutela anche chi non riesce a trovare lavoro, il nostro Paese e la Grecia sono gli unici che non danno alcuna assicurazione”, aggiunge Alessandro Rozza,  direttivo nazionale di Tilt. Associazione che con Bin e San Precario, ha promosso una proposta di legge: Il Reddito minimo garantito. “E’ una forma di garanzia di continuità di reddito.  In altre parole se rispondi ad alcuni canoni potresti ricevere un assegno di 600 euro al mese”. La cifra è calcolata in base al nucleo famigiliare. “Ma comunque sarebbe esteso a tutti”. Una maniera, sottolinea Rozza, “per tutelare tutta la popolazione che sia precario o appena fuoriuscito dal mondo del lavoro”.  Ma i soldi? Molti docenti universitari hanno preparato studi secondo cui le risorse necessarie si possono recuperare senza grandi sforzi. E, secondo i promotori del progetto: “Così si permette una riattivazione economica. Quando le persone hanno un reddito, spendono”. Per presentare la norma in Parlamento ci vogliono 50mila firme e, grazie a volontari e attivisti, ne sono già state raccolte decine di migliaia.
Questa è una soluzione proposta dal basso. Voi che ne pensate, potrebbe funzionare?

Secondo me, qui Ermani, in questa analisi che sottoscrivo in pieno, spiega come si sia giunti ai numeri sull'occupazione di cui sopra. Siamo una nazione di mafiosi nell'animo. E' stato bene a tutti questo status quo, compresi i moralizzatori per la legalità d'accatto, mentalità che serve a poter distinguere i parià, massa da sfruttare e la massa "degli amici da collocare", da favorire.

Lo scandalo infinito: la politica in una “società malata” di Paolo Ermani




“Il politico non nasce così per caso, è il prodotto di una società malata dove si è perso ogni senso della ragione, del senso civico, dell’altro”. Le riflessioni di Paolo Ermani sugli scandali riguardanti la classe politica italiana e sulla malattia del nostro Paese.



"Si dà colpa ai politici anche perché ci si era illusi o si sperava che delegando tutto a loro in qualche modo noi ce ne lavavamo le mani"
Dopo Mani Pulite sembrava l’avvio di una nuova era, un repulisti che avrebbe come per incanto risolto tutti i problemi e consegnato alla classe politica dei nuovi condottieri immacolati.
Sappiamo bene come è andata a finire, quelli che sono arrivati dopo, fra orge e ladrocini di ogni tipo, hanno fatto impallidire i loro colleghi di inizio anni novanta e che oggi in confronto ci sembrano dei pivellini.
Addirittura l’alfiere di quella stagione, il prode Di Pietro, ha arruolato con sé dei soggetti degni se non peggio di quelli che lui contribuì a stanare in quel periodo. Questo dà la dimensione dell’abisso di marciume a cui siamo arrivati e la valanga di soldi rubati o sprecati dai politici è ancor più scandalosa in un periodo in cui ci martellano che siamo in crisi, che non ci sono soldi e bla, bla…
Le possibilità di comprendere il perché di questa situazione senza fine possono essere varie, c’è chi dice che l’occasione fa l’uomo ladro, c’è chi dice che i politici sono tutti ladri, fatto sta che non si può pensare di liquidare il tutto con le solite analisi da bar dello sport.
C’è qualcosa di più profondo e grave, poiché in ogni ambito della vita sociale italiana si assiste quotidianamente a soprusi e malefatte di ogni tipo, dal disprezzo e distruzione per il proprio ambiente, al menefreghismo per gli altri che non rientrino nella cerchia dei parenti stretti.
In Italia siamo pieni di persone del genere che pensano di essere tanto furbi e credono che fregare tutto e tutti sia una cosa normalissima come respirare, quindi cosa mai ci si potrà aspettare dai politici se non lo stesso atteggiamento amplificato a dismisura?
Lungi dal voler in alcun modo trovare delle giustificazioni, è evidente che il politico non nasce così per caso, è il prodotto di una società malata dove si è perso ogni senso della ragione, del senso civico, dell’altro e per il potere, i soldi, la visibilità, dal più piccolo al più grande, dal pseudo alternativo al berlusconiano, tutti fanno carte false per ottenerli.
Puntare il dito è facile ma lo si dovrebbe fare prima su se stessi e chiedersi se, con le dovute proporzioni, nel proprio piccolo non ci si comporta esattamente come i politici. In fondo prima di diventare tali anche i politici erano persone 'normali'.
Questi politici poi molti li votano e rivotano da sempre e se come dice la voce popolare, sono tutti ladri allora vuol dire che molti sono complici dei ladri.
Illudersi come negli anni novanta che arriveranno altri politici senza macchia e senza paura che cambieranno tutto in meglio, significa non aver compreso che se anche arrivassero davvero questi soggetti e facessero chissà quali emendamenti e leggi bellissime, sarebbero i primi ad essere fatti fuori dal popolo assai arrabbiato per aver dato fine a privilegi, soprusi, accomodamenti in comune/provincia/regione di fratelli, sorelle, mogli, zii, amanti e mariti.
Si dà colpa ai politici anche perché ci si era illusi o si sperava che delegando tutto a loro in qualche modo noi ce ne lavavamo le mani e nonostante li sorprendano con le mani nel sacco piuttosto si continuano a votare perché altrimenti ci si dovrebbe occupare direttamente del proprio destino e non si avrebbe più qualche comodo colpevole su cui inveire.
Ancora una volta il vero e reale cambiamento della società, parte da noi, è una strada lunga a impegnativa ma l’unica che può davvero funzionare, il resto sono solo più o meno comode illusioni.

Il cambiamento


La singolare malattia della Monti-dipendenza di Francesco Mario Agnoli 
Chissà se gli italiani  cominceranno a liberarsi dalla singolare malattia della Monti-dipendenza adesso che con la legge di stabilità  il governo tecnico  ha palesemente “toppato” o, per dirla altrimenti, è stato colto con le mani  nella marmellata per avere fatto ricorso ad uno di quei  mezzucci di cattura  del consenso che sembravano appannaggio esclusivo  di una deteriore  classe politica. Che altro è difatti la mini riduzione dell'Irpef per i due scaglioni  più bassi se non un  tentativo di gettare fumo negli occhi? Il modesto  beneficio, che secondo Monti dovrebbe costituire  la prova della propensione del governo alla riduzione della pressione fiscale non appena se ne affacci la possibilità, è, difatti, accompagnato dall'aumento di un  punto dell'Iva. Un aumento che, secondo i calcoli degli esperti, non solo pareggia, ma supera il beneficio  Irpef anche per i contribuenti che ne usufruiscono e, soprattutto, colpisce senza compensi tutta la vasta area  esente da Irpef per insufficienza del reddito (circa  8 milioni di cittadini, che è corretto definire “poveri”).

   Intendiamoci; la recessione economica non è  colpa di Monti e va attribuita a fattori (la   globalizzazione anzitutto) di molto anteriori alla intronizzazione per mano di Napolitano del governo tecnico. Monti e i suoi ministri hanno soltanto la funzione di fare accettare, se non con gradimento, con rassegnazione, provvedimenti che  avrebbero provocato  ben più dure reazioni  in caso di varo da parte del  governo Berlusconi e, in realtà, di qualunque governo politico (di qui la decisione di non sostituirlo immediatamente con un governo Bersani).

    Questo in realtà l'hanno capito tutti, ma non tutti (anzi pochi) sembrano rendersi conto che  nulla  cambierà in meglio   quando Monti passerà la mano (se pure lo farà) a un politico, perché le cause  della crisi economica    sono tuttora  vigorosamente all'opera.

    Mi auguro di essere cattivo profeta, ma in fondo al tunnel non s'intravede affatto la  luce vagheggiata (o vaneggiata) da Monti, ma una situazione destinata a divenire per lungo o lunghissimo tempo la nuova realtà dell'Italia e dell'Europa: una realtà che fino a pochi anni fa avremmo definito da  “terzo mondo”.  Prendiamo la riforma delle pensioni,  adesso calcolate e liquidate  per rendere il sistema sostenibile sulla base dei contributi  versati, il che già di per sé comporta una netta riduzione degli importi rispetto  al precedente  sistema  retributivo. Non per nulla  già da qualche anno i lavoratori vengono sollecitati a munirsi di forme integrative di previdenza e a tal fine si sono proposte  varie forme  volontarie di fondi-pensione.  Purtroppo è fin d'ora certo che, per effetto della  crisi e della conseguente difficoltà di trovare un lavoro stabile (o, peggio, una qualunque  occupazione remunerata), in particolare le giovani generazioni (ma non solo loro) avranno  pensioni al limite del livello di sopravvivenza, che in nessun modo potranno integrare. Difatti i lunghi periodi di disoccupazione da un lato incidono negativamente  sull'importo dei contributi versati, dall'altro non consentono di destinare parte dei propri  guadagni alla previdenza  alternativa. Insomma il cane si morde la coda e non ci prova  gusto.

   Al momento la situazione sociale è (quasi) sotto controllo non per merito di Monti, che  anzi con il continuo aumento del costo  della vita  gioca  all'amico del giaguaro, ma perché le generazioni da poco approdate alla pensione o sul punto di farlo hanno avuto  la possibilità di risparmiare e possono dare una mano a chi il lavoro  lo sta ancora cercando (e non lo trova o ha rinunciato).

    Tuttavia questi “anziani”  relativamente  fortunati  non dureranno in eterno  e in ogni caso  la loro capacità economica e, quindi, di sostegno  ai giovani, già intaccata da una esorbitante  pressione fiscale, è destinata a diminuire di anno in anno, perché le pensioni, d'oro o di rame che siano, non vengono adeguate  ai reali aumenti del costo della vita.

    L'inevitabile approdo  è una generalizzata carenza di mezzi (vogliamo chiamarla col suo  nome: povertà?), nella quale quasi per tutti diviene essenziale,  in particolare  nei momenti difficili (malattie, vecchiaia ecc.), il ricorso ai servizi pubblici,  invece a loro volta oggetto di provvedimenti incidenti  in negativo sul numero e l'efficienza delle prestazioni (si pensi ai continui tagli alla Sanità).

     Scarse le speranze di un'inversione di tendenza, dal momento che alla recessione economica  si accompagna (l'ha anzi preceduta e si pone come una delle sue cause) la crisi della società civile che, malata di individualismo amorale,  si mostra incapace di reagire e assiste immobile e passiva alla disgregazione di se stessa.

 Arianna Editrice

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