Non è una novità, ogni qualvolta il capitalismo "affronta" una crisi la risolve con una nuova guerra, magari la prossima avverà prima del vertice europeo del 28-29 giugno nel quale si prenderà atto del fallimento dell'euro. E' da più di un anno che l'Occidente destabilizza la Siria, fornendo paghe ed armi ai ribelli, ora perfino il Corriere riporta di missili anticarro israeliani generosamente offerti ai "combattenti" per la libertà. Si sa, Israele è la più grande democrazia in Occidente, dove oltre 6 mila israeliani riuniti per manifestare contro la brutalità della polizia sono stati trattati come di di consueto avviene nel mondo "libero".
Assad non ha campi profughi nei quali internare dissidenti o altri gruppi etnici e religiosi da sterminare, ogni qual volta prudono le mani ai gerarchi, al contrario di Israele, e giustamente il regno ebraico intende porre rimedio a questa lacuna.
C'è molta simpatia tra i terroristi wahabiti e salafiti e sionisti, vedi Questi arabi sionisteggianti che vogliono liquidare l’Iran, la Siria e l’Hezbollah.
Il veto di Russia e Cina che, memori della Libia, stavolta non hanno nessuna intenzione di concedere il minimo credito ai gendarmi del mondo, ha creato un empasse che ha spinto Mr Kill List Obama a dichiarare che gli Usa interverranno anche senza autorizzazione Onu, tanto non è la prima volta.
Gli Usa hanno pefino richiesto aiuto alla Gran Bretagna per fermare una nave russa diretta in Siria.
Fato vuole che, due giorni fa un caccia turco abbia violato lo spazio aereo siriano e di conseguenza sia stato abbattuto.
I piloti risultano dispersi, anche se era stata diffusa in precedenza la notizia del loro salvataggio sempre da fonti turche, riferisce RT, e l'aereo si trova a 1300 metri di profondità nelle acque siriane, compresa la scatola nera. Inoltre è importante sottolineare che nell'art linkato di RT si parla di DUE AEREI, uno dei quli si è dileguato. Sapeva di aver violato i confini quindi? Avevano ricevuto un avvertimento dalla difesa siriana? E se il caccia
abbattuto, un Phantom fosse stato controllato in remoto come un drone, per far cadere la Siria in una trappola, ben sapendo quanto la Turchia supporti militarmente i terroristi wahabiti e salafiti? Ma nonostante ciò, la Siria ha fatto sapere di non considerare la Turchia nemica.
Comincia l'odioso balletto delle scuse ufficiali,
prima date come ricevute, poi smentite che contribuisce ad alimentare
la tensione. In Italia ancora aspettiamo le scuse per le 81 vittime
civili di Ustica, dall'aviazione americana, israeliana e francese. L'Iran aspetta le scuse per le sue 290 vittime ad opera di un missile americano.
I
gendarmi del mondo ogni tanto commettono "per sbaglio" qualche strage, a
volte si scusano a volte no.Pazienza.Ma con la Siria, tolleranza zero,
tanto da suonare come pretesto.
Le autorità turche confermano che "capita di violare" i confini, dovrebbero anche sapere che trattasi di operazione dalle conseguenze prevedibili e che può essere considerato come atto di guerra.
Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu CONFERMA la violazione dello spazio aereo siriano come riferisce RT, ma lamenta il mancato monito di lasciare lo spazio aereo siriano da parte delle autorità, prima di procedere con l'abbattimento.
Premetto
che non sono un'esperta, ma mi chiedo, se non hanno la scatola nera (si
trova a 1300 metri di profondità nelle acque siriane), se non hanno la
testimonianza dei piloti (ed anche in questo caso, è facile
immaginare la pressione e l'affidabilità di una eventuale loro testimonianza) come
fanno ad asserire che la difesa siriana non abbia dato alcun preavviso?
Supponendo si fosse trattato di un drone, chi risponderebbe qualora gli fosse stato mandato un messaggio di avvertimento?
Si dicono tutti scandalizzati ed inorriditi.
Bene, significa che qualsiasi aereo da guerra non NATO può sorvolare un
paese membro dell'Alleanza Atlantica senza conseguenze? L'abusivo ministro degli esteri italiano Terzi ritiene grave l'abbattimento del caccia, considerando tale aereo da guerra "inoffensivo", come mai non ritenga altrettanto grave lo sconfinamento in territorio siriano non è dato sapere. In compenso approfitta dell'accaduto per accusare le autorità di Damasco di non rispettare il piano di Kofi Annan, occultando di proposito il fatto che Annan, a sua volta ha esplicitamente imputato gli "Amici della Siria" di sabotare il suo piano di pace (vedi articolo in fondo da Rinascita) e di invito al dialogo. Per fine mese Annan aveva in programma una conferenza internazionale in Svizzera per invitare tutta la comunità internazionale a sostenere una soluzione pacifica del conflitto, ma "caso" ha voluto che proprio questo "incidente" richiamasse la stessa comunità internazionale al cospetto della NATO martedì prossimo, tra un paio di giorni quindi. Leggi anche approfondimento da una voce del mainstream come La Stampa.
Oltre alla scusa del mancato avviso di sconfinamento, ora la Turchia sostiene di aver accertato che l'abbattimento sia avvenuto nello spazio aereo internazionale, dettaglio che appunto concede facoltà di appellarsi agli altri membri della Nato. Quindi, la Turchia conferma la violazione dello spazio aereo siriano da parte di un suo caccia, ma ha anche l'ardire di sostenere che tale aereo non aveva intenzioni malevole e che l'aereo stava sorvolando lo spazio internazionale.
Questo "incidente" sembra proprio capitare nel momento più opportuno, default dell'euro, sprofondamento dell'economia Usa, elezioni in Siria dove viene confermato il partito di Assad perfino nelle roccaforti ribelli....
Questo "incidente" sembra proprio capitare nel momento più opportuno, default dell'euro, sprofondamento dell'economia Usa, elezioni in Siria dove viene confermato il partito di Assad perfino nelle roccaforti ribelli....
Alla luce dell'escalation guerrafondaia che si sta verificando, è necessario tenere a mente due articoli. Il primo evidenzia la collaborazione della Turchia con Israele già all'epoca del massacro della Freedom Flotillia, nonostante le "sceneggiate" di dolore per le persone assassinate.
Il secondo porta alla luce un motivo in più per aggredire la Siria, oltre al ben noto "obiettivo Iran" (Brooking's Institute "Which Path to Persia" di Tony Cartalucci - Land destroyer in inglese).
Bacino di levante, una nuova maledizione geo-politica?
Le recenti scoperte di significative, anzi enormi riserve di petrolio e gas nel poco esplorato Mar Mediterraneo, tra Grecia, Turchia, Cipro, Israele, Siria e Libano, indicano che la regione potrebbe diventare letteralmente un “nuovo Golfo Persico” in termini di ricchezza di petrolio e gas. Come per il vecchio Golfo Persico, la scoperta di abbondanti giacimenti di idrocarburi potrebbe anche rappresentare una maledizione geopolitica di dimensioni sconcertanti.
Le recenti scoperte di significative, anzi enormi riserve di petrolio e gas nel poco esplorato Mar Mediterraneo, tra Grecia, Turchia, Cipro, Israele, Siria e Libano, indicano che la regione potrebbe diventare letteralmente un “nuovo Golfo Persico” in termini di ricchezza di petrolio e gas. Come per il vecchio Golfo Persico, la scoperta di abbondanti giacimenti di idrocarburi potrebbe anche rappresentare una maledizione geopolitica di dimensioni sconcertanti.
Annan: “Alcuni Paesi mettono in pericolo la pace in Siria”
Il capo degli osservatori Onu nel Paese arabo dice no
all’incremento e all’armamento dei caschi blu chiesto dall’occidente
Matteo Bernabei
Sono state parole pesanti quelle pronunciate ieri dell’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega araba in Siria, Kofi Annan (foto), nel corso di una conferenza stampa a Ginevra. L’ex segretario generale dell’Onu parlando proprio della crisi che ha colpito il Paese arabo ormai oltre un anno fa, seppur indirettamente non ha infatti risparmiato le critiche agli Stati che compongono il gruppo degli “Amici della Siria”, creato dagli Usa e che agisce parallelamente ma in maniera del tutto differente al Palazzo di Vetro. “Alcuni governi stanno mettendo in pericolo il processo di pace in Siria, rischiando di scatenare una lotta distruttiva nel Paese”, ha dichiarato Annan all’indomani delle rivelazioni del New York Times riguardo alla fornitura di armi ai ribelli siriani da parte di alcuni Paesi della regione e le operazioni segrete della Cia lungo il confine turco. Dichiarazioni, quelle dell’ex numero uno delle Nazioni Unite, dalle quali si evince una grande frustrazione nel vedere il proprio operato sfruttato per coprire ben altri tipi di azioni.
Nell’annunciare poi la volontà di tenere una conferenza sulla crisi in Svizzera per la fine del mese, l’inviato è tornato a parlare della questione della partecipazione dell’Iran a un eventuale incontro internazionale sulla questione. Partecipazione già bocciata dagli Stati Uniti, poiché a loro avviso dietro le azioni del governo di Damasco ci sarebbe la regia occulta di Teheran, sebbene non abbiano alcuna prova a conferma di queste insinuazioni.
“L’Iran deve far parte di quel gruppo di Paesi chiamati a lavorare per una soluzione della crisi in Siria”, ha detto senza mezzi termini Annan, che ha infine rivolto un appello a tutte le parti in causa a fare di più per il raggiungimento di una soluzione pacifica. Appello che come accaduto sempre in questi casi è stato distorto dalla stampa embedded internazionale per farlo apparire come un monito rivolto alle sole autorità di Damasco.
Ma l’inviato di Lega araba e Nazioni Unite non è stato il solo ieri a respingere una richiesta del fronte interventista guidato dagli Stati Uniti. Anche il capo degli osservatori Onu nel Paese arabo, il generale Robert Mood, ha detto no all’incremento del numero dei caschi blu e al loro armamento invece invocato da Washington, Londra e Parigi, per far si che la missione abbia successo. Affinché l’iniziativa di mediazione porti dei risultati basterebbe, infatti, che tutti i Paesi coinvolti si adoperassero seriamente per questo fine senza agire per vie traverse fomentando una guerra fratricida come invece sta facendo la Turchia. Ankara sempre ieri ha fatto sapere di aver perso i contatti con un proprio caccia F-4 mentre questo sorvolava le acque territoriali siriane. Se davvero le intenzioni della comunità internazionale occidentale verso l’iniziativa di pace di Annan fossero sincere, ora qualcuno dovrebbe chiedere alle autorità turche perché mai un loro velivolo si trovasse in territorio siriano e non protestare per suo presunto, e nel caso legittimo, abbattimento da parte delle forze armate di Damasco.
Matteo Bernabei
Sono state parole pesanti quelle pronunciate ieri dell’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega araba in Siria, Kofi Annan (foto), nel corso di una conferenza stampa a Ginevra. L’ex segretario generale dell’Onu parlando proprio della crisi che ha colpito il Paese arabo ormai oltre un anno fa, seppur indirettamente non ha infatti risparmiato le critiche agli Stati che compongono il gruppo degli “Amici della Siria”, creato dagli Usa e che agisce parallelamente ma in maniera del tutto differente al Palazzo di Vetro. “Alcuni governi stanno mettendo in pericolo il processo di pace in Siria, rischiando di scatenare una lotta distruttiva nel Paese”, ha dichiarato Annan all’indomani delle rivelazioni del New York Times riguardo alla fornitura di armi ai ribelli siriani da parte di alcuni Paesi della regione e le operazioni segrete della Cia lungo il confine turco. Dichiarazioni, quelle dell’ex numero uno delle Nazioni Unite, dalle quali si evince una grande frustrazione nel vedere il proprio operato sfruttato per coprire ben altri tipi di azioni.
Nell’annunciare poi la volontà di tenere una conferenza sulla crisi in Svizzera per la fine del mese, l’inviato è tornato a parlare della questione della partecipazione dell’Iran a un eventuale incontro internazionale sulla questione. Partecipazione già bocciata dagli Stati Uniti, poiché a loro avviso dietro le azioni del governo di Damasco ci sarebbe la regia occulta di Teheran, sebbene non abbiano alcuna prova a conferma di queste insinuazioni.
“L’Iran deve far parte di quel gruppo di Paesi chiamati a lavorare per una soluzione della crisi in Siria”, ha detto senza mezzi termini Annan, che ha infine rivolto un appello a tutte le parti in causa a fare di più per il raggiungimento di una soluzione pacifica. Appello che come accaduto sempre in questi casi è stato distorto dalla stampa embedded internazionale per farlo apparire come un monito rivolto alle sole autorità di Damasco.
Ma l’inviato di Lega araba e Nazioni Unite non è stato il solo ieri a respingere una richiesta del fronte interventista guidato dagli Stati Uniti. Anche il capo degli osservatori Onu nel Paese arabo, il generale Robert Mood, ha detto no all’incremento del numero dei caschi blu e al loro armamento invece invocato da Washington, Londra e Parigi, per far si che la missione abbia successo. Affinché l’iniziativa di mediazione porti dei risultati basterebbe, infatti, che tutti i Paesi coinvolti si adoperassero seriamente per questo fine senza agire per vie traverse fomentando una guerra fratricida come invece sta facendo la Turchia. Ankara sempre ieri ha fatto sapere di aver perso i contatti con un proprio caccia F-4 mentre questo sorvolava le acque territoriali siriane. Se davvero le intenzioni della comunità internazionale occidentale verso l’iniziativa di pace di Annan fossero sincere, ora qualcuno dovrebbe chiedere alle autorità turche perché mai un loro velivolo si trovasse in territorio siriano e non protestare per suo presunto, e nel caso legittimo, abbattimento da parte delle forze armate di Damasco.
23 Giugno 2012
La Cia arma i ribelli siriani in Turchia
L’amministrazione statunitense ammette la presenza di bande terroristiche all’interno del Paese arabo
Matteo Bernabei
La Cia sta segretamente operando nel sud della Turchia per stabilire a quale gruppo di ribelli siriani fornire armi ed equipaggiamento per combattere contro le forze armate di Damasco. A rivelarlo è nientedimeno che il New York Times, quotidiano statunitense vicino al presidente Usa Barack Obama fin dalla sua campagna elettorale.
Stando alle informazioni in possesso del giornale della Grande Mela, alcuni agenti si trovano già da qualche settimana lungo il confine fra i due Paesi per assicurarsi che le armi fornite dalla stessa Ankara e dalle monarchie sunnite del Golfo, come Qatar e Arabia Saudita, non finiscano nelle mani delle milizie di al Qaida. Secondo quanto rivelato dalla stessa amministrazione democratica, infatti, sebbene Washington non fornisca direttamente armi ai gruppi paramilitari legati alle opposizioni estere, vi sono Paesi alleati confinanti con la Siria che lo stanno facendo. Si tratta d’importanti rivelazioni che dimostrano come le ingerenze degli Stati stranieri, nella crisi interna al Paese arabo, siano concrete e ben più ampie di quanto i capi di Stato arabi e occidentali non abbiano mai ammesso. Allo stesso tempo la necessità dell’intelligence nordamericana di filtrare il traffico di armi verso le sole milizie illegali da loro riconosciute, conferma la presenza in Siria di formazioni terroristiche. Una presenza da sempre denunciata dal governo di Damasco e volutamente oscurata, invece, dal fronte interventista occidentale guidato da Washington e Parigi. Un’ammissione di tale genere avrebbe infatti rivalutato agli occhi dell’opinione pubblica internazionale la crisi siriana e impedito agli Stati Uniti e ai suoi alleati di raggiungere i propri obiettivi neocoloniali, oltre ovviamente a far crollare la campagna mediatica contro Bashar al Assad. E forse proprio per questo ieri il New York Times ha diffuso la notizia cercando di ribaltarne il significato, facendo intendere cioè che quella Usa non è un’ingerenza che sta alimentando una guerra civile, ma un “limitato sostegno” alle aspirazioni del popolo siriano.
Alla luce di tutto questo forse è il supporto russo alle autorità di Damasco a sembrare limitato. Un supporto che fino ad ora è rimasto strettamente politico e commerciale, al di là di ciò che i governanti occidentali stanno cercando di far credere. Nonostante l’importanza di queste rivelazioni, però, ieri sulle pagine di molti quotidiani internazionali a tenere banco è stata la notizia della diserzione di un pilota dell’esercito di Damasco che ha chiesto e ottenuto asilo politico in Giordania. Un fulgido esempio di insabbiamento mediatico.
22 Giugno 2012
Matteo Bernabei
La Cia sta segretamente operando nel sud della Turchia per stabilire a quale gruppo di ribelli siriani fornire armi ed equipaggiamento per combattere contro le forze armate di Damasco. A rivelarlo è nientedimeno che il New York Times, quotidiano statunitense vicino al presidente Usa Barack Obama fin dalla sua campagna elettorale.
Stando alle informazioni in possesso del giornale della Grande Mela, alcuni agenti si trovano già da qualche settimana lungo il confine fra i due Paesi per assicurarsi che le armi fornite dalla stessa Ankara e dalle monarchie sunnite del Golfo, come Qatar e Arabia Saudita, non finiscano nelle mani delle milizie di al Qaida. Secondo quanto rivelato dalla stessa amministrazione democratica, infatti, sebbene Washington non fornisca direttamente armi ai gruppi paramilitari legati alle opposizioni estere, vi sono Paesi alleati confinanti con la Siria che lo stanno facendo. Si tratta d’importanti rivelazioni che dimostrano come le ingerenze degli Stati stranieri, nella crisi interna al Paese arabo, siano concrete e ben più ampie di quanto i capi di Stato arabi e occidentali non abbiano mai ammesso. Allo stesso tempo la necessità dell’intelligence nordamericana di filtrare il traffico di armi verso le sole milizie illegali da loro riconosciute, conferma la presenza in Siria di formazioni terroristiche. Una presenza da sempre denunciata dal governo di Damasco e volutamente oscurata, invece, dal fronte interventista occidentale guidato da Washington e Parigi. Un’ammissione di tale genere avrebbe infatti rivalutato agli occhi dell’opinione pubblica internazionale la crisi siriana e impedito agli Stati Uniti e ai suoi alleati di raggiungere i propri obiettivi neocoloniali, oltre ovviamente a far crollare la campagna mediatica contro Bashar al Assad. E forse proprio per questo ieri il New York Times ha diffuso la notizia cercando di ribaltarne il significato, facendo intendere cioè che quella Usa non è un’ingerenza che sta alimentando una guerra civile, ma un “limitato sostegno” alle aspirazioni del popolo siriano.
Alla luce di tutto questo forse è il supporto russo alle autorità di Damasco a sembrare limitato. Un supporto che fino ad ora è rimasto strettamente politico e commerciale, al di là di ciò che i governanti occidentali stanno cercando di far credere. Nonostante l’importanza di queste rivelazioni, però, ieri sulle pagine di molti quotidiani internazionali a tenere banco è stata la notizia della diserzione di un pilota dell’esercito di Damasco che ha chiesto e ottenuto asilo politico in Giordania. Un fulgido esempio di insabbiamento mediatico.
22 Giugno 2012
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