di Antonietta Gatti
Oggi commemoriamo una data storica: 22 gennaio 2010, la chiusura e la sepoltura del microscopio comprato con la sottoscrizione lanciata a suo tempo da Beppe Grillo per lo studio delle nanopatologie.
Sì, il microscopio è morto e sepolto perché dopo dieci mesi esatti dal suo trasferimento all’Università di Urbino nessuno l’ha più visto. E’ un desaparecido. I sottoscrittori che hanno chiesto di vederlo ad Urbino se ne sono dovuti tornare a casa delusi. Il microscopio, se c’è ancora, non te lo fanno vedere. E’ off limits. Alla faccia della trasparenza e alla faccia di quel “sottoutilizzo” da parte nostra sbandierato pur senza una sola prova per dare una maschera di onestà ad un misfatto. Se quel microscopio c’è ancora, soprattutto non serve per fare ricerca, perché non fare ricerca è diventato il suo compito.
Ma ciò che è più divertente, se qualcosa di divertente esiste in questa piccola storia ignobile, è che la clausola inserita nella “donazione” che recitava “i dott. Gatti e Montanari hanno diritto di lavorare con il microscopio almeno un giorno alla settimana“ si è rivelata solo un insieme di parole che non vogliono dire niente, uno specchietto per le allodole, un dito di nano dietro cui nascondere un gigante.
I fatti sono che, da quando il 22 gennaio l’apparecchio ci è stato sottratto, non ci si è mai dato neanche un minuto di utilizzo del microscopio, così come non c’è mai stata l’intenzione di far continuare le ricerche di nanopatologie. Anzi: queste devono, devono, rimanere imbavagliate.
L’avvocatessa Bortolani , la” donatrice”, colei che si è vista intestare la proprietà del microscopio comprato con l’obolo dei cittadini per uno scopo ben preciso e dichiarato, colei che ha cancellato con un colpo di mano coloro che alla raccolta fondi avevano partecipato, non è inserita in alcun ordine degli avvocati, ma i trucchi del mestiere li conosce. Scartoffie alla mano, ha deciso da sola che noi non dovevamo continuare la ricerca. Si è inventata un’approvazione teorica da parte di Beppe Grillo ricevuta tramite la sua prima compagna, e via, allora, a “donare” un microscopio da 378.000€ come se fosse davvero suo, e quel davvero sta per l’avverbio moralmente.
La domanda è: perché il microscopio è stato fatto sparire ? Una risposta razionale o, almeno, sostenibile, non è mai arrivata. Qualsiasi tentativo di contatto con i vertici di Urbino è fallito. Quelli non rispondono mai, sistematicamente, cocciutamente, alle nostre richieste di lavorare con il microscopio. Sappiamo che è stato acceso per controllare che fosse “vivo”, ma sappiamo anche che non è mai stato messo in funzione né sappiamo quali siano le ricerche che dovrebbero essere svolte, nelle intenzioni dell’Università, se intenzioni esistono, con quell’apparecchio. Certo, in dieci lunghissimi mesi non è stato messo in piedi nulla che richiedesse l’uso di quell’apparecchio di cui, di fatto, nessuno sa che fare. Che cosa si nasconde dietro questa vicenda così apparentemente inspiegabile?
Affermo che l’avvocatessa Bortolani non ha capito la portata della sua azione scellerata. Le concedo questo: non ha capito.
Fintanto che abbiamo avuto il microscopio abbiamo analizzato i tessuti patologici di soldati (vedi anche Striscia la Notizia del 20-11-2010), di bambini sfortunati, di bambini che non ce l’hanno fatta a nascere. Siamo riusciti a vedere e a dimostrare l’esposizione che questi hanno subito e a dimostrarne la responsabilità nell’instaurarsi della patologia. Sto parlando di polveri ambientali ingerite o inalate che sono tossiche e sono capaci di uccidere.
Esiste una legge europea (ma ne esiste una anche in America e altrove) che limita la concentrazione in atmosfera delle polveri di dimensione fino a 10 micron, ma ogni anno il valore massimo consentito lo superiamo a ripetizione. Valore al di sopra del quale anche la legge dice che ci si ammala. Noi non le vediamo ad occhio nudo, quelle polveri, ma giorno dopo giorno le respiriamo o le mangiamo con il cibo inquinato, queste si accumulano nel nostro corpo e quando si raggiunge il limite tollerabile dal nostro organismo, un limite diverso per ognuno di noi, ci si ammala ed i farmaci non servono a distruggerle o ad eliminarle. Polveri più piccole di 10 micron, anche molto più piccole, nanoparticelle prodotte da attività industriali che coinvolgono combustioni di materia a temperature sempre più elevate hanno già invaso le nostre città ed il nostro ambiente in generale, fino ai boschi e alle montagne. Motori a scoppio, inceneritori, cementifici, fonderie, centrali termoelettriche emettono polveri anche di dimensioni ridottissime, e più è piccola la polvere, più facile è la sua penetrazione nell’organismo, fino al nucleo delle cellule. Non solo: sono già in commercio prodotti di uso comune che contengono nanoparticelle di ossido di cerio, di ossido di titanio, allumina, zirconia, argento che alla fine della loro vita vengono inceneriti . Quindi abbiamo già ora nell’ambiente anche residui di prodotti nano tecnologici. A questo inquinamento l’ambiente sta reagendo malamente e già si possono osservare animali malformati così come frutta e verdura. Naturalmente l’Uomo non ha alcuna posizione di privilegio e, in fondo, tra un fiore, un essere unicellulare, una pecora e noi la Natura non fa differenza.
La Bortolani, forse senza capire, ha deciso che non si deve sapere tutto questo. Ha deciso che non occorre poi mettere in atto forme di prevenzione, oggi le sole che ci possano salvaguardare. Ha deciso che da noi, in Italia, si debba morire senza sapere. Non solo: ha impedito che, sapendo, si potesse pensare di arrivare ad una detossificazione di chi è stato esposto. Farlo può essere possibile e, per questo, forse si potrebbe modificare una macchina che mi è stata regalata per questo scopo. Però io quella macchina non posso sottoporla alle prove del caso perché non posso controllarne la validità, l’efficacia ed i limiti. Senza microscopio non posso valutare se lo strumento riesce a strappare le nanoparticelle dagli organi dove stanno intrappolate o dal sangue dove entrano come primo passaggio dopo l’inalazione o l’ingestione. Io so, ed è cosa del tutto logica, che un’ eliminazione anche parziale di queste polveri dal corpo può migliorare le condizione del paziente. Purtroppo questa idea non può essere perseguita perché una donna, una donna che non ha avuto la fortuna terribile di avere un figlio e, dunque, non può capire che cosa questo significhi davvero, ha deciso che chi è ammalato debba morire senza nemmeno la soddisfazione di sapere.
Ora quella persona potrà inventare tutte le scuse di questo mondo, nascondersi dietro bugie e silenzi, denunciarmi per diffamazione come se ciò che dico non fosse vero fino all’ultima virgola e sperare in una giustizia distratta, ma non so chi sarà disposto a perdonarla dopo che la malattia o il dolore di avere perso qualcuno in un certo modo avrà scritto il suo diario sulla pelle.
Antonietta Gatti
Stefano Montanari
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