mercoledì 3 novembre 2010

Quasi 23.000 dollari al mese. Per non fare niente. A tanto ammonta la retribuzione dei parlamentari iracheni, che fino a oggi in Parlamento hanno messo piede una sola volta (dalle elezioni legislative del 7 marzo scorso), per una ventina di minuti. Ma che continuano a percepire stipendi e indennità varie come se niente fosse – e a oggi si sono messi in tasca ben 90.000 dollari.

Il risentimento degli iracheni nei confronti di quelli che dovrebbero essere i loro rappresentanti eletti aumenta di giorno in giorno: la gente comune deve arrabattarsi per tirare avanti, per di più praticamente senza servizi (luce e acqua continuano a scarseggiare), mentre molti deputati si danno alla bella vita. Alloggiando nei migliori hotel di Baghdad – quando non addirittura stando fuori dall’Iraq. In Giordania, ad esempio.

Un impiegato statale, per fare il confronto, guadagna circa 600 dollari al mese, laddove un parlamentare ne prende 22.500.

Del malcontento degli iracheni si è fatta interprete la leadership religiosa sciita. Da sempre attenta al sentimento popolare, ha ammonito i politici che la situazione non può continuare.

Ahmed al Safi, un collaboratore del Grande Ayatollah Ali al Sistani, la più influente autorità religiosa fra gli sciiti iracheni, nel sermone del Venerdì è arrivato a chiedere ai deputati di ridursi I compensi. Una richiesta “ragionevole”, l’ha definita – e “una questione molto importante”.

Il nuovo parlamento iracheno, uscito dalle elezioni del 7 marzo scorso, si è riunito finora una sola volta – il 14 giugno: una seduta inaugurale poco più che simbolica, durata meno di 20 minuti. Dopo, la seduta è stata lasciata “aperta”, in quando le maggiori forze politiche non sono ancora riuscite a mettersi d’accordo sulla spartizione delle tre massime cariche dello Stato: presidenza della Repubblica, del Parlamento, e posto di Primo Ministro.

Una situazione che tuttavia dovrebbe finire, dopo il pronunciamento della Corte Suprema Federale, che l’ha definita “incostituzionale”, e ha ordinato all’Assemblea di riprendere le sedute, ed eleggere l’organo di presidenza (presidente e due vice).

Una pacchia
E però i deputati continuano a ricevere lo stipendio: una pacchia.

"La politica irachena è diventata un business", commenta Wael Abdul-Latif, politico sciita indipendente (e magistrato) di Bassora, che è stato anche parlamentare. "Molti dei deputati non si sarebbero neanche presi il disturbo di presentarsi alle elezioni” se i compensi non fossero stati così alti, aggiunge.

Fra la gente l’irritazione è palpabile.

"Invece di lavorare sodo e fare un buon lavoro, si stanno godendo una vacanza pagata", dice Jalal Mohammed, impiegato in pensione di Bassora. "Penso che i membri del Parlamento dovrebbero venire pagati solo se fanno qualcosa di utile per il loro Paese”.

Ma pagati lo sono – e bene.

Lo stipendio base mensile di un deputato iracheno è di 10.000 dollari (4.500 in meno rispetto a un membro del Congresso Usa). Poi c’è un’indennità di 12.500 dollari, per l’alloggio e la sicurezza. Così si arriva a 22.500 dollari al mese.

Quanto alle tasse, i parlamentari pagano solo il 6% sul loro salario base di 10.000 dollari. Possono stare gratis all’Hotel Rashid di Baghdad, all’interno della Green Zone, anche se il Parlamento non è in seduta. Se poi viaggiano, all’estero ma anche dentro l’Iraq, ricevono un’indennità di missione di 600 dollari al giorno.

Finita la legislatura, continuano a percepire l’80% del loro compenso tutti i mesi – a vita. E per 8 anni possono tenersi il passaporto diplomatico - quello personale e spesso anche dei propri familiari.

Un insegnante di scuola superiore o un medico che lavora in una ospedale pubblico guadagnano circa 650 dollari al mese. A Baghdad, un tassista, se gli va bene, in un mese può arrivare a fare 700 dollari. Nell’amministrazione pubblica, raramente un impiegato di medio livello prende più di 600 dollari.

I rischi del mestiere

Dal canto loro, i parlamentari iracheni giustificano i compensi che ricevono con i rischi che corrono facendo politica.

"Siamo esposti a incidenti violenti nelle nostre case, per strada, e persino in Parlamento”, dice lo sceicco Haydar al-Jorani, un deputato di Bassora eletto nelle liste dell’Alleanza per lo Stato di Diritto, la coalizione del premier (uscente) Nuri al Maliki. E spiega che gli spostamenti in giro per il Paese, nonché i frequenti viaggi all’estero, costano – come i ricevimenti e le feste che i parlamentari devono organizzare.

Ma non tutti in Iraq sono d’accordo.

Secondo alcuni, il forte divario fra la retribuzione dei deputi e quella della gente comune alimenta la corruzione.

Ne è convinto il giudice Rahim Hassan al-Uqaili, presidente della Commissione di Integrità, l’organismo indipendente che dovrebbe combatterla. Che definisce “corruzione legalizzata” il fatto che siano i parlamentari stessi a stabilire il proprio compenso, dato che manca una legge a riguardo.

Aliya Nusayef, una deputata che fa parte della Commissione anti-corruzione, dice che nella passata legislatura lei e un gruppo di deputati avevano cercato varie volte di far approvare una legge che riducesse i compensi e le indennità dei parlamentari. Il risultato: la resistenza è stata talmente forte, che non solo il provvedimento non è passato, ma coloro che l’avevano appoggiato hanno ricevuto minacce di morte.



Arianna Editrice

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