mercoledì 23 marzo 2011

L’ OPERAZIONE LIBIA E LA BATTAGLIA PER IL PETROLIO (PARTE SECONDA)
- sotto la prima parte-
DI MICHEL CHOSSUDOVSKY


Le implicazioni geopolitiche ed economiche di un intervento militare USA-NATO contro la Libia sono di vasta portata.

La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti.

L'“Operazione Libia” fa parte della più ampia agenda militare in Medio Oriente e Asia centrale, che consiste nel detenere il controllo e la proprietà aziendale di oltre il 60% delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale, compresi gli oleogasdotti.

“I paesi musulmani tra cui Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Libia, Egitto, Nigeria, Algeria, Kazakhstan, Azerbaijan, Malaysia, Indonesia, Brunei, possiedono tra il 66,2 e 75,9 per cento delle riserve petrolifere totali, a seconda della fonte e della metodologia della stima” (Si veda Michel Chossudovsky, La “demonizzazione” dei musulmani e la battaglia per il petrolio, Global Research, 4 gennaio 2007. Trad.italiana).


Con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate, (10 volte quelle dell’Egitto), la Libia è la più grande economia petrolifera del continente africano, seguita da Nigeria e Algeria (Oil and Gas Journal). Al contrario, le riserve accertate di petrolio degli Stati Uniti sono dell’ordine dei 20,6 miliardi di barili (dicembre 2008) secondo la Energy Information Administration. (US Crude Oil, Natural Gas, and Natural Gas Liquids Reserves)

Nota

Le più recenti stime pongono le riserve di petrolio della Libia a 60 miliardi di barili. Le sue riserve di gas a 1.500 miliardi di m3. La sua produzione è tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della propria capacità produttiva. Il suo obiettivo a più lungo termine è di tre milioni di b/g ed una produzione di gas di 2.600 milioni di piedi cubi al giorno, secondo i dati della National Oil Corporation (NOC).

La BP Statistical Energy Survey (2008) poneva (in alternativa) le riserve accertate di petrolio della Libia a 41.464 milioni di barili alla fine del 2007, che rappresenta il 3,34% delle riserve mondiali comprovate. (Mbendi Oil and Gas in Libya – Overview).

Il petrolio è il “Trofeo” della guerra USA-NATO

Un’invasione della Libia servirebbe gli interessi delle imprese stesse, come l’invasione e l’occupazione dell’Iraq del 2003. L’obiettivo di fondo è quello di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, la privatizzazione dell’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere dalla Libia alle mani straniere.

La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del mondo. (The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies. – Libyaonline.com)

La pianificata invasione della Libia è già in corso nell’ambito della più ampia “battaglia per il petrolio”. Quasi l’80% delle riserve di petrolio della Libia si trovano nel bacino del Golfo dalla Sirte, nella Libia orientale.

La Libia è un premio economico. “La guerra fa bene agli affari”. Il petrolio è il trofeo di una guerra USA-NATO.

Wall Street, i giganti petroliferi anglo-statunitensi, i produttori di armi USA-UE, sarebbero i beneficiari occulti di una campagna militare condotta da USA e NATO contro la Libia.

Il petrolio libico è una manna per i giganti petroliferi anglo-statunitensi. Mentre il valore di mercato del petrolio greggio è attualmente ben al di sopra dei 100 dollari al barile, il costo del petrolio libico è estremamente basso, a partire da 1,00 dollaro al barile (secondo una stima). Un esperto del mercato petrolifero ha commentato, un po’ cripticamente:

“A 110 dollari sul mercato mondiale, la semplice matematica dà alla Libia un margine di profitto pari a 109 dollari” (Libya Oil, Libya Oil One Country’s $109 Profit on $110 Oil, EnergyandCapital.com, 12 Marzo 2008)

Gli interessi petroliferi stranieri in Libia


Le compagnie petrolifere straniere che operavano prima dell’insurrezione in Libia erano la francese Total, l’ENI dell’Italia, la China National Petroleum Corp (CNPC), British Petroleum, il consorzio petrolifero spagnolo REPSOL, ExxonMobil, Chevron, Occidental Petroleum, Hess, Conoco Phillips.

Attenzione, la Cina gioca un ruolo centrale nel settore petrolifero libico. La China National Petroleum Corp (CNPC) ha avuto fino al suo rimpatrio, una forza lavoro in Libia di 30.000 cinesi. British Petroleum (BP) invece aveva una forza lavoro di 40 britannici che sono stati rimpatriati.

L’undici per cento (11%) delle esportazioni di petrolio libico viene incanalato verso la Cina. Mentre non ci sono dati sulla dimensione e l’importanza della produzione e delle attività di esplorazione della CNPC, vi sono indicazioni che siano notevoli.

Più in generale, la presenza della Cina in Africa del Nord è considerata da Washington costituire un’intrusione. Dal punto di vista geopolitico, la Cina è in sovrapposizione. La campagna militare contro la Libia è finalizzata a escludere la Cina dal Nord Africa.

Altrettanto importante è il ruolo dell’Italia. ENI, il consorzio petrolifero italiano, estrae 244 mila barili di gas e petrolio, che rappresentano quasi il 25% delle esportazioni totali della Libia (Sky News: Foreign oil firms halt Libyan operations, 23 febbraio 2011).

Tra le aziende statunitensi in Libia, Chevron e Occidental Petroleum (Oxy) hanno deciso, appena 6 mesi fa (ottobre 2010), di non rinnovare le loro licenze di esplorazione petrolifere e gasifere in Libia. Sapevano già in anticipo dell’insurrezione? (Why are Chevron and Oxy leaving Libya?: Voice of Russia, 6 ottobre 2010). Al contrario, nel novembre del 2010, la compagnia petrolifera della Germania, RW DIA E aveva firmato un accordo pluriennale di vasta portata con la National Oil Corporation (NOC) della Libia, che coinvolgeva la produzione e condivisione delle esplorazioni. (AfricaNews – Libya: German oil firm signs prospecting deal – The AfricaNews).

La posta finanziaria in gioco, così come “bottino di guerra”, sono estremamente alti. L’operazione militare è intenta a smontare gli istituti finanziari della Libia, nonché a confiscare miliardi di dollari di attività finanziarie libiche, depositati nelle banche occidentali.

Va sottolineato che le capacità militari della Libia, compreso il sistema di difesa aerea, sono deboli.

Ridisegnare la mappa dell’Africa


La Libia ha le maggiori riserve di petrolio in Africa. L’obiettivo dell’ingerenza USA-NATO è strategico: consiste nel vero e proprio furto, rubare la ricchezza petrolifera della nazione, sotto le mentite spoglie di un intervento umanitario.

Questa operazione militare è intenta a stabilire l’egemonia statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata da Francia e in misura minore, da Italia e Spagna.

Per quanto riguarda la Tunisia, il Marocco e l’Algeria, il disegno di Washington è quello di indebolire i legami politici di questi paesi verso la Francia, e spingere ad l’installazione nuovi regimi politici che hanno un rapporto stretto con gli Stati Uniti. Questo indebolimento della Francia come parte di un disegno imperiale degli Stati Uniti, fa parte di un processo storico che risale alle guerre in Indocina.

L’intervento USA-NATO, indirizzato pure a escludere la Cina dalla regione e a mettere fuori gioco la cinese National Petroleum Corp (CNPC), porta alla fine alla creazione di un regime fantoccio filo-Stati Uniti. I giganti del petrolio anglo-statunitensi, tra cui British Petroleum, che hanno firmato un contratto di esplorazione nel 2007 con il governo di Gheddafi, sono tra i potenziali “beneficiari” della proposta operazione militare USA-NATO.

Più in generale, ciò che è in gioco è il ridisegno della mappa dell’Africa, un processo di ridistribuzione neo-coloniale, la demolizione della demarcazione delle Conferenza di Berlino del 1884, la conquista dell’Africa da parte degli Stati Uniti in alleanza con la Gran Bretagna, in una operazione congiunta USA-NATO.

Libia: Porta strategica sahariana sull’Africa centrale


La Libia confina con molti paesi che sono nella sfera di influenza francese, tra cui Algeria, Tunisia, Niger e Ciad.

Il Ciad è potenzialmente una ricca economia petrolifera. ExxonMobil e Chevron hanno interessi nel sud del Ciad, tra cui un progetto di gasdotto. Il Ciad meridionale è una porta sulla regione sudanese del Darfur. La Cina ha interessi petroliferi in Ciad e Sudan. La China National Petroleum Corp (CNPC) ha firmato un accordo pluriennale con il governo del Ciad nel 2007.

Il Niger è strategico per gli Stati Uniti nell’ottica delle sue ingenti riserve di uranio. Attualmente, la Francia domina il settore dell’uranio in Niger attraverso il gruppo francese nucleare Areva, precedentemente noto come Cogema. La Cina ha anche una partecipazione nel settore industriale dell’uranio del Niger.

Più in generale, il confine meridionale della Libia è strategico per gli Stati Uniti, nel loro tentativo di estendere la propria sfera di influenza nell’Africa francofona, un vasto territorio che si estende dal Nord Africa all’Africa centrale e occidentale. Storicamente questa regione era parte della Francia e dell’impero coloniale del Belgio, i cui confini sono stati stabiliti alla Conferenza di Berlino del 1884.

Fonte www.hobotraveler.com

Gli Stati Uniti svolsero un ruolo passivo nella Conferenza di Berlino del 1884. Questa nuova spartizione, nel 21° secolo, del continente africano, basata sul controllo di petrolio, gas naturale e minerali strategici (cobalto, uranio, cromo, manganese, platino e uranio) è ampiamente favorevole ai dominanti interessi aziendali anglo-statunitensi.

L’interferenza degli Stati Uniti in Africa del Nord ridefinisce la geopolitica di un’intera regione. Ciò mina la Cina e mette in ombra l’influenza dell’Unione europea.

Questa nuova spartizione dell’Africa non solo indebolisce il ruolo delle ex potenze coloniali (tra cui Francia e Italia) nel Nord Africa, è anche parte di un più ampio processo di emarginazione e indebolimento della Francia (e Belgio) su gran parte del continente africano.

Regimi fantoccio filo-Stati Uniti sono stati installati in diversi paesi africani, i quali storicamente erano nella sfera d’influenza della Francia (e del Belgio), comprese le Repubbliche del Congo e del Ruanda. Diversi paesi dell’Africa occidentale nella sfera francese (tra cui la Costa d’Avorio) sono candidati a diventare Stati filo-statunitensi.

L’Unione europea è fortemente dipendente dal flusso di petrolio libico. L’85% del suo petrolio viene venduto ai paesi europei. Nel caso di una guerra con la Libia, le forniture di petrolio all’Europa occidentale potrebbero essere interrotte, interessando in gran parte Italia, Francia e Germania, che sono fortemente dipendenti dal petrolio libico. Le implicazioni di queste interruzioni sono di vasta portata. Hanno anche un’influenza diretta sul rapporto tra Stati Uniti e l’Unione europea.

Considerazioni conclusive

I media mainstream, attraverso la disinformazione di massa, sono complici nel giustificare un ordine del giorno militare che, se attuato, avrebbe conseguenze devastanti non solo per il popolo libico: l’impatto sociale ed economico sarebbe sentito in tutto il mondo.

Ci sono attualmente tre distinti teatri di guerra nella più ampia regione del Medio Oriente e dell’Asia Centrale: Palestina, Afghanistan, Iraq. Nel caso di un attacco contro la Libia, un quarto teatro di guerra sarebbe aperto in Nord Africa, con il rischio di un’escalation militare.

L’opinione pubblica deve tener conto del programma nascosto dietro questo presunto impegno umanitario, annunciato dai capi di Stato e di governo dei paesi della NATO come una “guerra giusta”. La teoria della guerra giusta, in entrambe le sue versioni, classica e contemporanea, sostiene la guerra come “operazione umanitaria”. Chiede un intervento militare per motivi etici e morali contro gli “stati canaglia” e i “terroristi islamici“. La teoria della guerra giusta oggi demonizza il regime di Gheddafi.

I capi di Stato e di governo dei paesi della NATO sono gli architetti della guerra e della distruzione in Iraq e in Afghanistan. In una logica totalmente distorta, sono spacciate come la voce della ragione, come rappresentanti della “comunità internazionale”.

La realtà è capovolta. Un intervento umanitario è lanciato dai criminali di guerra al comando, che sono i guardiani della teoria della guerra giusta.

Abu Ghraib, Guantanamo, le vittime civili in Pakistan, in seguito agli attacchi dei droni USA su città e villaggi, ordinati dal presidente Obama, non sono notizie da prima pagina, né lo sono i 2 milioni di morti civili in Iraq. Non esiste una cosa come la “guerra giusta“.

La storia dell’imperialismo degli Stati Uniti dovrebbe essere chiara. La relazione del 2000 del Progetto del Nuovo Secolo Americano intitolato “Rebuilding America’s Defense”, prevede l’attuazione di una lunga guerra, una guerra di conquista. Uno dei componenti principali di questa agenda militare è: “Combattere e vincere in modo decisivo in diversi teatri di guerra contemporaneamente”.

L’Operazione Libia è parte di questo processo. Si tratta di un altro teatro nella logica del Pentagono dei “teatri di guerra simultanei”.

Il documento PNAC rispecchia fedelmente l’evoluzione della dottrina militare degli Stati Uniti dal 2001. Gli Stati Uniti pianificano di essere coinvolti contemporaneamente in diversi teatri di guerra in diverse regioni del mondo.


Mentre proteggere gli USA, vale a dire la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti d’America, è accolto come un obiettivo, il rapporto PNAC spiega perché questi diversi teatri di guerra sono necessari. La motivazione umanitaria non è menzionata.

Qual è lo scopo della tabella di marcia militare degli USA?

La Libia è presa di mira in quanto è uno dei tanti altri paesi al di fuori della sfera d’influenza degli USA, che non sono conformi alle richieste degli Stati Uniti. La Libia è un paese che è stato selezionato come parte di una “road map” militare, che consiste nel “teatri di guerre multipli simultanei“. Nelle parole dell’ex comandante della NATO, Wesley Clark:

“Nel Pentagono, nel novembre 2001, uno dei più alti ufficiali ebbe il tempo per una chiacchierata. Sì, eravamo ancora in pista per andare contro l’Iraq, ha detto. Ma c’era di più. Questo è stato oggetto di discussione nell’ambito della pianificazione di una campagna quinquennale, ha detto, e vi rientra un totale di sette paesi, a partire dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan…” (Wesley Clark, Winning Modern Wars, p. 130).
Versione originale:

Michel Chossudovsky
Cp Eurasia

INSURREZIONE E INTERVENTO MILITARE: ACCORDO USA-NATO SUL TENTATO COLPO DI STATO ? (PARTE PRIMA)

DI MICHEL CHOSSUDOVSKY

Gli Stati Uniti e la NATO stanno sostenendo un’insurrezione armata in Libia orientale, al fine di giustificare un “intervento umanitario”. Questo non è un movimento di protesta non violento, come in Egitto e Tunisia.
Le condizioni in Libia sono profondamente diverse. L’insurrezione armata in Libia orientale è direttamente supportata da potenze straniere. L’insurrezione a Bengasi ha subito issato la bandiera rossa, nera e verde con la mezzaluna e la stella: la bandiera della monarchia di re Idris, che simboleggiava il dominio delle ex potenze coloniali. (Cfr. Manlio Dinucci, Libia-Quando la memoria storica è cancellata, Global Research, 28 Febbraio 2011)

I consiglieri militari e le forze speciali USA e NATO sono già sul terreno. L’operazione è stata pianificata per farla coincidere con il movimento di protesta nei paesi arabi vicini. L’opinione pubblica è stata indotta a credere che il movimento di protesta si sia diffuso spontaneamente dalla Tunisia e dall’Egitto verso la Libia. L’amministrazione Obama, in consultazione con i suoi alleati, assiste una ribellione armata, cioè un tentativo di colpo di Stato:

“L’amministrazione Obama è pronta ad offrire qualsiasi tipo di assistenza a cittadini libici che cercano di cacciare Muammar Gheddafi”, ha detto la segretaria di Stato Hillary Clinton [27 Febbraio] “abbiamo raggiunto diversi libici che stanno tentando di organizzarsi in Oriente mentre inoltre la rivoluzione si sposta verso ovest”, ha detto Clinton. “Penso che sia troppo presto per dire come andrà a finire, ma abbiamo intenzione di essere pronti e preparati ad offrire qualsiasi tipo di assistenza che chiunque voglia ricevere dagli Stati Uniti.” Attualmente si sta formando un governo provvisorio nella parte orientale del paese, dove la ribellione è iniziata a metà mese.

Gli Stati Uniti, ha detto Clinton, minacciano ulteriori misure contro il governo di Gheddafi, ma non ha detto dove o quando potrebbero essere annunciate. Gli Stati Uniti dovrebbero “riconoscere un governo provvisorio, che stanno cercando di impostare...” [McCain]

Lieberman ha parlato in termini analoghi, sollecitando “un sostegno tangibile, (una) no-fly zone, il riconoscimento del governo rivoluzionario, il governo dei cittadini e sostenerli sia con l’assistenza umanitaria sia, io vorrei, fornendogli armi“.

(Clinton: US ready to aid to Libyan opposition - Associated Press, 27 febbraio 2011)

L’invasione pianificata


Un intervento militare è oggi contemplato dalle forze USA e della NATO, nel quadro di un “mandato umanitario”.

“Gli Stati Uniti stanno muovendo forze aero-navali nella regione” per “preparare una gamma completa di opzioni” nel confronto con la Libia: ha detto il portavoce del Pentagono, il colonnello dei Marines Dave Lapan [Marzo 1]. Ha poi detto che “E’ stato il presidente Obama che ha chiesto ai militari di prepararsi a queste opzioni”, perché la situazione in Libia peggiora.” (Manlio Dinucci, Preparativi per l’”Operazione Libia”: Il Pentagono “riposiziona” le sue forze aeronavali…, Global Research, 3 marzo 2011)

Il vero obiettivo dell’”Operazione Libia” non è quello di stabilire la democrazia, ma di prendere possesso delle riserve di petrolio della Libia, destabilizzare la National Oil Corporation (NOC) e, infine, la privatizzazione dell’industria petrolifera del paese, vale a dire trasferire il controllo e la proprietà delle ricchezze petrolifere della Libia nelle mani straniere. La National Oil Corporation (NOC) è classificata tra le prime 25 compagnie petrolifere del Mondo. (The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies. – Libyaonline.com)

La Libia è tra le più grandi economie petrolifere del mondo, con circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti (per ulteriori dettagli vedere la Parte II del presente articolo, “Operazione Libia” e la battaglia per il petrolio).

La pianificata invasione della Libia è già in corso nell’ambito della più ampia “battaglia per il petrolio“. Quasi l’80 per cento delle riserve di petrolio della Libia si trova nel bacino del Golfo della Sirte, nella Libia orientale.

Le ipotesi strategiche dietro l’”Operazione Libia” ricordano i precedenti impegni militari USA-NATO in Jugoslavia e in Iraq.

In Jugoslavia, le forze USA-NATO innescarono una guerra civile. L’obiettivo era quello di creare divisioni politiche ed etniche, che alla fine hanno portato alla dissoluzione di un intero paese. Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso il finanziamento occulto e la formazione di eserciti armati paramilitari, prima in Bosnia (l’esercito bosniaco musulmano, 1991-95) e poi in Kosovo (Kosovo Liberation Army (UCK), 1998-1999). Sia in Kosovo che in Bosnia, la disinformazione dei media (comprese menzogne e invenzioni) è stata utilizzata a sostegno delle rivendicazioni di Stati Uniti ed Unione Europea, secondo cui il governo di Belgrado aveva commesso atrocità, con ciò giustificando un intervento militare per motivi umanitari.

Ironia della sorte, l’”Operazione Jugoslavia” è ora sulla bocca dei responsabili della politica estera degli Stati Uniti: il senatore Lieberman ha paragonato la situazione in Libia agli eventi nei Balcani negli anni ’90, quando disse che gli USA “intervennero per fermare un genocidio contro i bosniaci. E la prima cosa che abbiamo fatto è stata quello di fornir loro le armi per difendersi. Questo è ciò che penso si debba fare in Libia” (Clinton: US ready to aid to Libyan opposition – Associated Press, 27 febbraio 2011)

Lo scenario strategico sarebbe quello di sostenere la formazione e il riconoscimento di un governo ad interim nella provincia secessionista, al fine di spezzare il paese. Questa opzione è già in corso. L’invasione della Libia è già cominciata.

“Centinaia di consiglieri militari statunitensi, francesi e britannici sono arrivati in Cirenaica, la provincia orientale separatista della Libia [...]. I consiglieri, tra cui ufficiali dei servizi segreti, sono sbarcati da navi da guerra e da motovedette lanciamissili, nelle città costiere di Bengasi e Tobruk” (DEBKAfile, US military advisers in Cyrenaica, 25 febbraio 2011) Le forze speciali statunitensi e alleate sono sul terreno, in Libia orientale, fornendo sostegno segreto ai ribelli. Ciò è diventato evidente allorché dei commando inglesi delle forze speciali (SAS) sono stati arrestati nella regione di Bengasi. Agivano come consiglieri militari delle forze di opposizione:

“Otto commando delle forze speciali britanniche, in missione segreta per mettere dei diplomatici britannici in contatto con gli avversari principali del Col Muammar Gheddafi in Libia, sono finiti umiliati, dopo essere stati detenuti dalle forze ribelli nella parte orientale della Libia, riportava oggi The Sunday Times. Gli uomini, armati, ma in abiti civili, hanno sostenuto che erano lì per controllare se l’opposizione aveva bisogno di aiuto e offrirglielo” (Top UK commandos captured by rebel forces in Libya: Report, Indian Express, 6 marzo 2011)

Le forze SAS sono state arrestate mentre scortavano una “rappresentanza diplomatica” britannica, che era entrata illegalmente nel paese (senza dubbio da una nave da guerra britannica) per discussioni con i leader della ribellione. Il Foreign Office britannico ha riconosciuto che “un piccolo team di diplomatici britannici [era] stato inviato nella Libia orientale per avviare contatti con l’opposizione in rivolta“. (UK diplomatic team leaves Libya – World – CBC News, 6 marzo 2011).

Ironia della sorte, non solo le relazioni confermano l’intervento militare occidentale (tra cui alcune centinaia di forze speciali), ma anche riconoscono che la ribellione era fermamente contraria alla presenza illegale di truppe straniere sul suolo libico:

“L’intervento delle SAS ha fatto arrabbiare alcuni esponenti dell’opposizione libica, i quali hanno ordinato ai soldati di rinchiuderli in una base militare. Gli oppositori di Gheddafi temono che possa usare le prove dell’interferenza militare occidentale per avere il sostegno patriottico al suo regime“. (Reuters, 6 marzo 2011)


Il “diplomatico” britannico catturato con sette soldati delle forze speciali, era un membro dell’Intelligence inglese, un agente dell’MI6 in “missione segreta”. (The Sun, 7 marzo 2011)

Come confermato dalle dichiarazioni della NATO e degli Stati Uniti, sono state fornite armi alle forze di opposizione. Ci sono indizi, anche se finora nessuna prova evidente, che sono state consegnate armi agli insorti, già prima della repressione dei ribelli. Con ogni probabilità, i consiglieri militari e dell’intelligence USA-NATO erano presenti sul terreno, anche prima dell’insurrezione. Questo è stato il modello applicato in Kosovo: le forze speciali sostennero e addestrarono l”esercito di liberazione del Kosovo (UCK) nei mesi precedenti la campagna di bombardamenti e l’invasione della Jugoslavia del 1999.

Mentre si svolgono gli eventi, tuttavia, le forze del governo libiche hanno ripreso il controllo delle posizioni che erano state prese dai ribelli:

“La grande forza offensiva pro-Gheddafi lanciata [il 4 marzo] per strappare ai ribelli il controllo delle più importanti città e dei centri petroliferi della Libia, ha portato [il 5 marzo] alla riconquista della città chiave di Zawiya e della maggior parte delle città petrolifere del Golfo della Sirte. A Washington e a Londra, i discorsi per un intervento militare a fianco dell’opposizione libica, sono stati silenziati dalla consapevolezza che l’intelligence su entrambi i lati del conflitto libico, è troppo imprecisa, per servire come base del processo decisionale” (Debkafile, Qaddafi pushes rebels back. Obama names Libya intel panel, 5 marzo 2011)

Il movimento di opposizione è fortemente diviso sulla questione di un intervento straniero. La divisione è tra il movimento popolare, da un lato, e i “leader” dell’insurrezione armata supportati dagli Stati Uniti, che favoriscono l’intervento militare straniero su “basi umanitarie“. La maggioranza della popolazione libica, sia i sostenitori sia gli oppositori del regime, sono fermamente contrari a qualsiasi forma di intervento esterno.

Disinformazione dei Media

I grandi obiettivi strategici alla base della proposta invasione non sono menzionati dai media. A seguito della campagna ingannevole dei media, in cui le notizie sono state letteralmente fabbricate, senza riferire su quanto stava realmente accadendo sul terreno, un vasto settore dell’opinione pubblica internazionale ha accordato il suo convinto sostegno ad interventi stranieri, per motivi umanitari.

L’invasione è sul tavolo del Pentagono. E’ previsto che verrà effettuata indipendentemente dalle richieste del popolo della Libia, tra cui gli oppositori del regime, i quali hanno espresso la loro avversione all’intervento militare straniero in deroga alla sovranità della nazione.

Schieramento delle forze aeronavali

Se questo intervento militare si realizzasse, sfocerebbe in una guerra totale, una guerra lampo, che implicherebbe il bombardamento di obiettivi militari e civili. A tal proposito, il generale James Mattis, comandante del Comando Centrale Usa (USCENTCOM), ha lasciato intendere che la creazione di una “no fly zone” includerebbe de facto una campagna di bombardamento, puntando tra l’altro alla difesa aerea della Libia:

‘Sarebbe una operazione militare – non sarebbe giusto dire alla gente che si tratta di non far volare degli aeroplani.’ ‘Si dovrebbe eliminare la difesa aerea, al fine di istituire una no-fly zone, quindi non facciamoci illusioni’ (US general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya, Mail Online, 5 marzo 2011).

Una massiccia potenza navale USA e alleata ha preso posizione lungo le coste libiche. Il Pentagono sta muovendo le sue navi da guerra nel Mediterraneo. La portaerei USS Enterprise aveva attraversato il Canale di Suez pochi giorni dopo l’insurrezione (Enterprise.navy.mil).

Le navi da assalto anfibio statunitensi, USS Ponce e USS Kearsarge, sono state dispiegate nel Mediterraneo. 400 marines statunitensi sono stati inviati sull’isola greca di Creta “prima del loro impiego sulle navi da guerra al largo della Libia” (“Operation Libya”: US Marines on Crete for Libyan deployment, Times of Malta, 3 marzo 2011).

Nel frattempo Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada e Italia sono in procinto di schierare navi da guerra lungo le coste libiche. La Germania ha dispiegato tre navi da guerra con il pretesto di assistere l’evacuazione dei profughi al confine libico-tunisino. “La Francia ha deciso di inviare la Mistral, la sua portaelicotteri che, secondo il Ministero della Difesa, contribuirà alla evacuazione di migliaia di egiziani” (Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean, Agenzia Giornalistica Italia, 3 marzo 2011)

Il Canada ha inviato (2 marzo) la Fregata HMCS Charlottetown. Nel frattempo, la 17.ma US Air Force, denominata US Air Force Africa e dislocata nella Air Force Base di Ramstein in Germania, assiste l’evacuazione dei rifugiati. Le strutture dell’aviazione USA-NATO in Gran Bretagna, Italia, Francia e Medio Oriente sono in standby.

Michel Chossudovsky
9.03.2011
Cp Eurasia

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