martedì 29 marzo 2011

Un buon articolo dal quale si evince la genesi della disinformazione che ubbidendo ad un ordine "superiore" spara sul nuovo target.
Si consiglia di leggere questo post su Diritti Globali, hanno già preparato il copione (tanto è un copia-incolla delle varie colorate) ed il 26 marzo già avevano chiari gli accadimenti anche se ai "giornalisti era impedito l'accesso)..No comment 
I sostenitori dei diritti globali non ritengono forse degni di diritti gli stessi MILIONI DI PERSONE - vedi video - che manifestano in favore di Assad (saranno diversamente aventi diritto)?
Barbara


Latakia è una grande città portuale della Siria che si affaccia sul Mediterraneo. Da lì viene il clan degli Assad, che da quarant'anni governa il paese, prima col capostipite Hafez, "il leone di Damasco", ed ora, dal 2000, con suo figlio Bashar. Latakia è anche la culla degli Alauiti, una minoranza confessionale islamica da cui provengono praticamente tutti i comandanti delle Forze armate siriane. Hanno destato dunque non poco clamore le notizie di questi giorni che indicavano in Latakia, la roccaforte degli Assad e degli Alauiti, come uno degli epicentri delle proteste anti-regime che stanno scuotendo paese. L'onda lunga della ribellione nel mondo arabo ha investito anche la Siria.

I primi moti sono avvenuti a Daraa, un centro agricolo nell'estremo sud, al confine con la Giordania. Da lì le proteste, dopo aver infranto il "muro del terrore", si sarebbero propagate ben presto a tutto il resto della nazione, coinvolgendo le maggiori città. Questo almeno secondo i servizi dei telegiornali italiani e della maggiore stampa nostrana, che nella migliore delle ipotesi riportano sostanzialmente le notizie delle agenzie internazionali o le corrispondenze di Al-Jazeera, in altri casi fanno da cassa di risonanza a voci incontrollabili.

Un esempio. «Gli scontri più duri di ieri sono stati però a Latakia, sulla costa, la città-porto vicina alle montagne Alauite. "Le Guardie repubblicane, i loro sgherri e i cecchini, al comando del cugino di Bashar, Nmer, hanno attaccato cinque quartieri sunniti, ucciso venti persone - dice un attivista che non vuole essere citato - Il loro piano è creare tensioni confessionali e provocare un attacco sunnita contro gli Alauiti che sarebbe un'ottima scusa per nuove repressioni. Si dice poi che il regime stia preparando un attentato da attribuire ai rivoltosi". In serata, fonti indipendenti segnalavano l'arrivo dell'esercito a circondare e poi entrare a Latakia» (Cecilia Zecchinelli, "Siria, assalto ai palazzi del potere - L'esercito dispiegato nelle città", Corriere della Sera, 27 marzo 2011).

L'agenzia di stampa ufficiale siriana, SANA, riporta le stesse notizie con un'ottica completamente diversa, anzi, opposta. «Una fonte ufficiale ha dichiarato che le aggressioni innescate da elementi armati contro i cittadini e i quartieri della città di Latakia, durante questi ultimi due giorni, hanno provocato dieci vittime tra le forze di sicurezza e la gente, e la morte di due elementi armati che avevano percorso le strade e occupato i tetti di alcuni edifici. La fonte riferisce ancora che circa duecento persone, in gran parte membri delle forze armate, sono rimaste ferite, sottolineando che gli elementi armati hanno aggredito installazioni e luoghi pubblici, stazioni di servizio e negozi, preso d'assalto alcune abitazioni e terrorizzato la cittadinanza. Gli elementi armati hanno inoltre attaccato l'ospedale nazionale, le ambulanze, e aggredito il personale medico che si trovava a bordo» (Raghda Bittar, "Dieci martiri tra forze di sicurezza e cittadini, bilancio dell'aggressione di elementi armati contro Latakia", SANA, 27 marzo 2011).

A qualunque delle due versioni si voglia prestare maggiormente fede, una cosa è certa. A Latakia non è accaduto nulla che assomigli a manifestazioni e proteste della cittadinanza contro il regime, nulla a che vedere con il vento della democrazia che secondo i media nostrani sta invadendo anche la Siria. Si è trattato con tutta chiarezza di un episodio di classica strategia della tensione. Resta solo da comprendere chi ha sparato contro chi, e perché, con quali profonde motivazioni politiche.

Secondo i dissidenti è il regime che agisce per provocare una reazione su cui scatenare la repressione; secondo il governo, come rilanciato dalla portavoce del presidente Assad, la signora Bouthayna Chaabane, si tratta di infiltrazioni "dall'esterno" che tentano di sabotare la convivenza tra le componenti confessionali/tribali e provocarne la fitna, la divisione.

Un'altra cosa è certa. Finché i corrispondenti dei nostri media non si troveranno sul posto per verificare le notizie, o quantomeno sentire gli umori e le sensazioni della popolazione, non sarà facile per loro riportare una versione che non sia stereotipata, addomesticata, nel solco della vulgata dominante. Basti pensare che le prime corrispondenze dei telegiornali Rai sono state realizzate - si noti bene: da Gerusalemme - da Claudio Pagliara (il giornalista che impugna il microfono come un Uzi) e dal valente Marc Innaro, ma da Il Cairo.

Si fossero trovati in Siria, forse avrebbero potuto dare conto delle interviste trasmesse dalla tv siriana agli agenti feriti sui loro letti di ospedale e che ricostruivano gli attacchi, o chiedere di intervistare i responsabili dei nosocomi di Lakatia che hanno dichiarato aver ricoverato rispettivamente, 150 feriti (Ospedale nazionale), di cui in maggioranza agenti, e 60 feriti (Ospedale universitario), di cui 50 appartenenti alle forze di sicurezza. Dati gonfiati? Molto probabile. Ma non lo si può certo sostenere da Gerusalemme (la fonte dei dati è sempre l'agenzia SANA del 26 marzo).

Altri esempi. Ancora Cecilia Zecchinelli sul Corriere. «Ovunque la rabbia contro la dittatura è esplosa come mai era accaduto da anni. Impossibile il conto dei morti in un Paese blindato da una collaudata censura, ma le testimonianze che filtrano ne segnalano decine, moltissimi i feriti, tanti gli arresti. Tutti tra la popolazione civile. [...] Cambiare un regime non è cosa da poco. Ma è vero che se ieri sono successe cose mai viste - l'aver dato alle fiamme la statua di bronzo di Hafez nel centro di Deraa o l'attacco delle forze speciali contro i manifestanti dentro la sala della preghiera nella storica moschea degli Omaiadi nella capitale - è anche un fatto che per la prima volta il mondo preme adesso esplicitamente su Damasco perché conceda democrazia» (Cecilia Zecchinelli, "Siria, spari sulla folla in numerose città - I morti sono decine", Corriere della Sera, 26 marzo 2011).
Di converso, la collega Antonella Appiano, tra i pochi giornalisti italiani che, a quanto ne sappiamo, si trovi effettivamente a Damasco, riferisce, quanto meno nella capitale in questi giorni, di un clima piuttosto diverso (maggiori info su www.conbagaglioleggero.com).

Tra i blog e le note su facebook possiamo leggere: "Sentita l'insalata mista delle informazioni sulle tv italiane, vorrei ribadire che qui ogni informazione è venduta in doppia versione. [...] Quanto a Damasco ho assistito solo alla coda di una manifestazione (mi hanno detto circa 200 dimostranti) dispersa dalle forze di polizia ma senza spari. Almeno quando sono arrivata io. [...] A Damasco si respira un'aria tranquilla. Ieri, weekend, sole splendido, quanti ragazzi a spasso, mano nella mano, quante risate e musica... e allegria".

Simone Santini
Clarissa

2 commenti:

  1. Nulla che mi sorprenda.
    Il mondo arabo è nel mirino dell'Occidente che vuole appropriarsi di posizione strategiche, di risorse e del sistema bancario islamico.
    La strategia della guerra a viso aperto è fallita poiché rende incontrollabile il territorio - vedi Irak e Afghanistan -, per cui ora provano con una tecnica più furba e sottile.

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  2. già ma anche quella ormai è stata smascherata, speriamo si sollevi il mondo stavolta contro questi abominevoli assassini che dovremmo considerare dei "salvatori" di tutti
    Ciau
    Barbara

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