martedì 7 maggio 2013


Hans Magnus Enzensberger: Il totalitarismo ‘soft’ di Bruxelles
Giampiero Marano on May 3, 2013 —
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Nato in Baviera nel 1929, Enzensberger è uno dei più noti scrittori e poeti tedeschi contemporanei. I brani che seguono sono tratti dal Mostro buono di Bruxelles, ovvero l'Europa sotto tutela, uscito qualche mese fa presso Einaudi.
L'esecutivo dell'Unione, che per di più detiene il diritto esclusivo di iniziativa legislativa in quasi tutti i settori e, in quanto 'custode dei Trattati', vigila sull'osservanza della legislazione europea da parte degli stati membri, è formato non da ministri ma da commissari. C'è da ritenere che gli inventori di questo concetto non abbiano rilevato le associazioni che in Europa sono a esso ricollegabili. A parte il fatto che in non pochi paesi si intende con esso un poliziotto che svolge indagini,
si tratta della denominazione di una carica politicamente molto compromessa. In Unione Sovietica, fra il 1917 e il 1946, esistevano i Commissari del popolo; nell'Armata Rossa i Commissari politici garantivano il rispetto della linea del partito; in Germania, dal 1871 al 1945, ai Commissari del Reich vennero attribuiti grandi poteri, e dopo l'aggressione all'Unione Sovietica, dal 1941 al 1944, i Commissari del Reich ebbero il comando della Germania orientale e dell'Ucraina. (pp. 12-13)
I nostri rappresentanti a Bruxelles sono poco amati. Dal Consiglio alla Commissione, dalla Corte di giustizia all'ultimo assistente nella fascia più bassa, la loro considerazione lascia molto a desiderare (…) Perché la maggior parte dei coabitanti del continente fa di tutto per rendere la vita difficile ai suoi amministratori di fiducia? (…) Con pignoleria vengono elencati i privilegi e le agevolazioni di cui godono. I direttori generali delle fasce di stipendio più alte percepisono, si dice, una retribuzione che è quasi doppia di quella di analoghi funzionari in Germania. Il 10 per cento dei loro introiti è esentasse, così come gli eventuali rimborsi forfettari di viaggio, i contributi per la casa, i figli e la loro istruzione. Chi non lavora nel proprio paese riceve il 16 per cento di maggiorazione per l'estero. Anche i trattamenti pensionistici sono degni di nota. Un normale funzionario lascia il servizio a 63 anni al massimo, però può accedere al prepensionamento già a 55. Da una persona interna alla Commissione si è appreso che a questi privilegiati le cose vanno bene al punto che è già capitato di 'doverli costringere con la forza a lasciare Bruxelles'. (pp. 16-17)
Pur con tutto l'instancabile immischiarsi nella nostra vita quotidiana, un unico campo non è ancora stato dissodato. Ed è la cultura. L'Unione non ci ha mai tenuto molto. Dà fastidio se non altro per il fatto di essere difficilmente omologabile (…) Una sola occhiata al budget che l'Unione mette a disposizione per questo scopo è sufficiente per comprendere quale sia il problema. Detto bilancio ammonta a cinquantaquattro milioni di euro, e quindi rientra in una percentuale bassa; più precisamente, esso significa circa undici centesimi l'anno per ogni cittadino dell'Unione. In termini di confronto: per spese destinate alla cultura, la sola municipalità di Monaco di Baviera si concede centosessantuno milioni di euro. (p. 25)
E' deplorevole che la maggioranza degli etnologi preferisca recarsi in Papua-Nuova Guinea piuttosto che a Bruxelles; perché lì gli si rivelerebbe un filone di ricerca molto particolare. Già a prima vista è evidente che chi è riuscito a entrare in quelle sfere si considera parte di una élite sovranazionale. Questi funzionari rappresentano la ragion di stato di uno stato che non esiste affatto. Collocati al di sopra dell'orizzonte campanilista dei paesi membri, essi si sentono chiamati a tutelare un interesse generale superiore (…) Nell'esprit de corps dei funzionari dell'Unione rientra non solo l'agile padronanza di regole non scritte e di gerghi, ma anche una nuova variante di internazionalismo. Qui un legame troppo stretto con il paese d'origine è considerato disdicevole. Si è poliglotti e si tiene molto al fatto che il proprio staff venga reclutato dal massimo numero di paesi membri (…) Le inevitabili conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Con la distanza crescono isolamento e autoreferenzialità. Ciò significa pure che le decisioni prese qui sono sempre più difficili da comunicare a chi sta fuori. Ai solerti rei convinti di Bruxelles non si fa torto pensando che l'umiltà non rientri tra le loro doti. (pp. 42-44).
La questione europea ha preso slancio con l'inizio della Guerra fredda. Il segnale di partenza l'ha dato nel 1946 Winston Churchill con il famoso discorso di Fulton, quando non solo coniò l'espressione 'cortina di ferro', ma postulò anche una nuova Europa unita. Naturalmente si riferiva anzitutto ai tedeschi, cosa sorprendente, se non altro perché non esisteva altro popolo che, a parte gli indiani, fosse a Churchill più inviso di quello (…) Con il suo tentativo pensava naturalmente non tanto al bene dei tedeschi, quanto alla minaccia sovietica (…) Nel maggio del 1948 [Churchill] incaricò il genero Duncan-Sandys di organizzare nella capitale olandese una memorabile manifestazione, oggi del tutto dimenticata: il Congresso dell'Aia per l'Unificazione dell'Europa. In quell'incontro lo stesso Churchill assunse la presidenza e tenne il discorso inaugurale (…) Dietro non ci stava nessun governo, e ancora oggi non è affatto chiaro chi abbia finanziato l'operazione. I teorici della cospirazione sospettano che i servizi segreti americani ci avessero messo lo zampino. (pp. 46-48)
Il Parlamento europeo può prendere decisioni sul budget solo in accordo con il Consiglio europeo. Un solo rappresentante del Consiglio può bloccare le decisioni del Parlamento in materia di bilancio. In questo modo la regola classica che recita No taxation without representation perde ogni valore. Per la prima volta nel 1979 il Parlamento è stato eletto direttamente. Da allora la partecipazione alle elezioni è sempre calata; l'ultima volta si è fermata al 43 per cento (…) L'impressione è che l'apatia degli elettori dell'Unione non preoccupi troppo i responsabili, che guardano impassibili alla loro base di legittimazione. Non è peregrina la supposizione che ciò vada loro a genio; per ogni esecutivo consapevole del proprio potere la passività dei cittadini è infatti una condizione paradisiaca. (pp. 70-71)
Non solo al loro interno le istituzioni europee dimostrano di soffrire di una megalomania che non conosce confini. La loro sfrenata spinta ad ampliarsi è notoria. Paesi che si fanno beffe di ogni criterio di adesione vengono integrati contro le regole e senza tante storie. Ogni volta i nostri piccoli geopolitici anelano ad ampliare sempre più la loro Europa (…) In ogni caso l'Unione europea può vantare una forma di potere che nella Storia non ha esempi. La sua originalità consiste nel fatto di realizzarsi senza fare uso di violenza. Si muove in punta di piedi. Si comporta in modo spietatamente umanitario. Vuole solo il nostro bene (…) Non tiene assolutamente conto del fatto che noi stessi sappiamo ciò che è bene per noi; ai suoi occhi siamo per questo troppo impotenti e immaturi. Perciò abbiamo bisogno di essere assistiti e rieducati a fondo. (pp. 75-78)
L'Europa ha già superato ben altri tentativi di uniformare il continente. Tutti avevano in comune la hybris e nessuno di loro era destinato a un successo duraturo. Neppure la versione non violenta di un progetto simile può avere una prognosi favorevole. Tutti gli imperi della Storia hanno goduto soltanto di un limitato periodo di crescita esponenziale, finché sono naufragati per l'eccessiva espansione o per le contraddizioni interne. (p. 84)
Written by: Giampiero Marano on May 3, 2013.

Riguardo allo zampino dei servizi segreti americani leggere TUTTE LE STRADE PORTANO A “WASHINGTON” (ALTRO CHE MERKOZY) Analizzando l'origine degli "Stati Uniti d'Europa" ben si comprende come l'astio sia gettato addosso alla Germania se tale progetto non segue le tappe programmate come previsto dai padroni per causa di tale nazione.

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