sabato 20 aprile 2013


Sabato 20 Aprile 2013

Mezza Italia non aspettava altro che queste parole al miele, pronunciate ieri dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia. Tana libera tutti e decreto cestinato.
Il decreto sul nuovo redditometro è illegittimo e quindi deve essere disapplicato. Ad affermarlo è la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, seconda sezione (Presidente e relatore Crotti), con la sentenza n. 74.02.13 depositata ieri.
I giudici emiliani hanno così disapplicato il provvedimento con cui è stato definito il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva (Dm 65648 del 24 dicembre 2012).
In realtà, questa innovativa pronuncia fa seguito ad un'altra (sentenza Ctp Reggio Emilia n. 172/01/ 2012), con cui la stessa sezione aveva avuto modo di precisare che, se più favorevole al contribuente, il nuovo redditometro trovava applicazione anche prima del periodo di imposta 2009, così come già avviene per gli studi di settore più evoluti.
La controversia trae origine dall'impugnazione di due avvisi di accertamento emessi per gli anni di imposta 2007 e 2008 sulla base del vecchio redditometro. La Ctp ha innanzitutto precisato che la revisione dell'accertamento sintetico, operata con il Dl 78/2010, rappresenta un intervento di natura procedimentale e non sostanziale dal momento che non introduce nuove fattispecie impositive. Ne consegue, dunque, che il contribuente può sostenere l'applicazione retroattiva delle nuove disposizioni, se più favorevoli, anche per le annualità precedenti al 2009.
Ma i giudici emiliani vanno oltre. Recependo, infatti, in pieno l'ordinanza del Tribunale di Napoli (Sezione civile distaccata di Pozzuoli) del 21 febbraio 2013, ritengono illegittimo e radicalmente nullo il decreto ministeriale del 24 dicembre scorso.
Ciò perché il nuovo redditometro sarebbe stato emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria.
Il decreto, infatti, prende in considerazione le spese medie delle famiglie, così come stimate dal l'Istat, anche se invece la norma che disciplina l'accertamento sintetico (articolo 38 del Dpr 600/73) fa riferimento al singolo contribuente.
Inoltre il provvedimento, prevedendo la raccolta di tutte le spese effettuate (tra cui anche quelle farmaceutiche e per eventuali iscrizioni ad associazioni culturali) priva il contribuente del diritto ad avere una vita privata, in violazione di quanto sancito dalla Costituzione (articoli 2 e 13) e dalla Carta dei diritti fondamentali della Ue (articoli 1, 7 e 8). Infine, il Dm viola il diritto alla difesa (articolo 24 della Costituzione e articolo 38 del Dpr 600/73) in quanto rende impossibile fornire la prova di aver speso di meno rispetto a quanto risulta dalle medie Istat. Infatti, pur volendo prevedere una "grottesca" conservazione di tutti gli scontrini e un'altrettanto grottesca analitica contabilità domestica da parte del contribuente, è chiaro che tale documentazione non dimostrerebbe che non è stata sopportata una spesa maggiore (almeno pari a quella desumibile dalle medie Istat).
Si giunge così, secondo i giudici emiliani, all'irragionevole ricostruzione di spese artificialmente imposte dal Ministero delle Finanze che ha emanato il Decreto.
Viene infine dato risalto anche alla superficialità, ai fini dell'attribuzione del reddito presunto, della localizzazione territoriale del contribuente e del proprio nucleo familiare, atteso che non vi è alcuna precisa differenziazione tra la grande metropoli ed il piccolo centro.
LEGGI DALLA FONTE ORIGINALE – Rosanna Acierno su IlSole24Ore.com

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