lunedì 1 aprile 2013

Seguono altri articoli inchiesta sugli ultimi orrendi fatti commessi dai terroristi finanziati dagli umanitaristi occidentali.
Barbara

Siria: noto oppositore al Mana, triangolo 'forza, soldi, takfirismo' impedisce soluzione crisi
DAMASCO (IRIB) – Uno dei noti oppositori siriani, Heitham al Mana, in una intervista con la rete televisiva al Mayadeen ha ammesso che il triangolo maligno formato da "forza, soldi e takfirismo" impedisce ai siriani la soluzione pacifica del problema del loro paese.
Al Mana, nella sua intervista senza precedenti, ha anche parlato di un alto responsabile del governo francese che starebbe dando aiuti "ingenti" ai terroristi attraverso la frontiera nord del paese. Egli ha spiegato: "Purtroppo oggi numerose personalita' tra gli
oppositori siriani si oppongono alla soluzione pacifica della crisi dato che il proseguimento di questa e' per loro una grande fonte di reddito". Heitham al Mana ha spiegato: "Grazie a questa crisi alcuni di loro hanno ottenuto soldi, borse di studio e opportunita' di lavoro mai avute nella loro vita. Questa gente non e' quindi disposta ad accettare la fine della crisi in Siria".
Egli ha poi messo in guardia riguardo al pericolo dei militanti takfiriti ricordando: "Gli individui armati vengono finanziati piu' di quanto si possa immaginare in Siria. Persino una nazione come lo Yemen che non e' tanto ricca aiuta questi gruppi in Siria. Il nostro grande problema e' che i soldi, il potere ed i takfiriti hanno formato un triangolo vizioso. Con la presenza di questo persino la fine del regime Assad non servirebbe a nulla". Egli ha definito un errore la partecipazione dell'Alleanza Nazionale degli oppositori alla conferenza di Doha ricordando che l'ostilita' tra Doha e Damasco e' divenuta una sorta di rancore "personale" e che non c'entra con le sorti della Siria.

Ribelli fanno strage di studenti all’università di Damasco

Lavrov contesta la decisione presa dalla Lega araba di assegnare alla Coalizione di Doha il seggio della Siria

Matteo Bernabei

È di almeno 13 vittime il bilancio dell’attacco portato ieri dalle milizie ribelli con colpi di mortaio sulla facoltà di architettura di Damasco e sul bar annesso, all’interno del quale si trovavano molti studenti (foto). Decine di giovani sono rimasti feriti a causa dell’attacco sconsiderato sull’ateneo. Non un’azione ma un crimine di guerra, che è stato confermato sia dalle autorità siriane, sia dall’Osservatorio per i diritti umani, organizzazione vicina ai movimenti d’opposizione con sede a Londra. E neppure l’emittente satellitare al Arabiya, che in passato aveva fatto attenta opera di disinformazione sul conflitto in atto da quasi due anni, ha questa volta potuto far finta di non vedere l’azione indiscriminata delle truppe del sedicente Libero esercito siriano, braccio armato dei movimenti dissidenti esteri, costata nuovamente la vita a civili innocenti.
L’attacco è infine stato denunciato anche dal Sindacato nazionale degli studenti, che lo ha definito “un atto di vigliaccheria terrorista”. Eppure, nonostante tutto questo, nonostante le milizie ribelli si siano rese responsabili di un’ennesima strage, nonostante la realtà sia sotto gli occhi di tutti, non una dichiarazione di condanna per quanto accaduto è arrivata dai governi occidentali. Un atteggiamento consueto ormai per i leader europei e statunitensi che, pur sbandierando il vessillo della democrazia per giustificare l’ennesimo golpe, voltano la faccia di fronte i crimini commessi dai propri protetti. Silenzio ben più scontato da parte delle monarchie sunnite del Golfo persico e della Turchia, che fin dall’inizio della crisi hanno sostenuto l’opzione armata per rovesciare il governo di Bashar al Assad. E se questo è il risultato della fornitura illegale di armi fin qui portata avanti da Qatar e Arabia Saudita, con l’aiuto di Ankara e Washigton, il futuro di questa guerra alla luce della decisione della Lega araba, di assecondare l’armamento ufficiale dei ribelli, appare ancora più drammatico del presente.
Un atteggiamento, quello dell’organizzazione panaraba, contro il quale ieri si è espresso il ministro della Difesa russo, Sergei Lavrov, che ha contestato inoltre l’assegnazione del seggio di Damasco alla Coalizione di Doha, piattaforma che riunisce parte delle opposizioni siriane all’estero.
Per il responsabile della diplomazia del Cremlino la decisione presa nel corso dell’ultimo vertice arabo in Qatar, infatti, metterebbe in discussione il mandato dell’inviato speciale delle Nazioni Unite e della stessa Lega, Lakhdar Brahimi, al quale era stato chiesto di trovare una soluzione pacifica e negoziata per la fine del conflitto. Un compito ostacolato proprio dall’atteggiamento dell’Occidente e dei Paesi arabi, che nonostante le intenzioni “democratiche”, hanno sempre agito per favorire il rovesciamento delle attuali istituzioni di Damasco supportando il fronte dissidente, politico e militare, in ogni modo possibile.

29 Marzo 2013 Rinascita

Siria. È scontro anche all’interno delle opposizioni armate

Il leader dimissionario delle opposizioni estere conferma la presenza di centina di miliziani tunisini fra le fila delle truppe dissidenti

Matteo Bernabei

Dalla politica al campo di battaglia, le divisioni interne alle opposizioni siriane si fanno sempre più evidenti. A pochi giorni dalle dimissioni del presidente della Coalizione di Doha, Moaz al Khatib, che ha accusato i suoi colleghi di agire per interessi personali o di Paesi stranieri, un’altra notizia mette in evidenza le frizioni fra le diverse fazioni che compongono il fronte dissidente, questa volta però in ambito “militare”. Il magazine statunitense Time ha, infatti, pubblicato ieri un reportage nel quale mette in evidenza un fenomeno fino ad ora mai riscontrato ufficialmente, ma spesso ipotizzato dagli analisti, e cioè lo scoppio di scontri armati fra i diversi gruppi che compongono il sedicente Libero esercito siriano, braccio armato delle opposizioni estere al governo di Damasco.
La rivista statunitense rivela in particolare combattimenti fra la Brigata Farouq e i miliziani di Jabhat al Nusra, nell’area compresa tra le province di Raqqa, Hasaka e Dayr az Zor. Una diretta conseguenza delle ingerenze internazionali che hanno portato alla formazione di un’accozzaglia di bande armate composte per la maggior parte di mercenari e volontari jihadisti stranieri, che ha dato vita a un conflitto dipinto come una guerra civile ma che, evidentemente, tale non è. Il manifestarsi sempre più frequente di frizioni e di azioni armate incontrollate da parte di questi gruppi, ha costretto nel recente passato gli Stati Uniti a inserire il fronte al Nusra nella lista organizzazioni terroristiche, così da poter avere un capro espiatorio al quale imputare le stragi indiscriminate compiute dalle milizie ribelli. La verità sta però venendo a galla e persino il governo tunisino, preoccupato dal flusso di estremisti che dal Paese si reca in Siria per unirsi alle fila del Les, sta agendo in via ufficiale per fermare la migrazione jihadista. Dopo l’appello della scorsa settimana del premier di Tunisi, ieri anche il ministro della Giustizia dello Stato maghrebino si è rivolto alla popolazione chiedendo a chiunque avesse legami con chi recluta combattenti in Siria di “prendere contatto con le autorità competenti”.
Sulla vicenda è intervenuto, sempre ieri, anche il presidente dimissionario della Coalizione siriana, il quale, nel tentativo di sminuire le affermazioni del governo tunisino, ne ha invece confermato i timori e affermando che la presenza combattenti tunisini nel Paese arabo “ammonta a poche centinaia”. Parole che lasciano intuire come la presenza di mercenari e soldati di altri Paesi sia la normalità per chi afferma, invece, di combattere una guerra civile e di parlare in nome dei cittadini siriani. Quella di ieri per il fronte dissidente è stata la giornata delle brutte notizie. Al reportage del Time e ai timori di Tunisi, si sono infatti affiancate le risposte negative di Usa e Alleanza Atlantica in merito alla richiesta di Khatib di utilizzare le batterie di missili Patriot schierate in Turchia per difendere le aree ribelli. “C’è una volontà internazionale di non far vincere la rivoluzione”, ha commentato il leader dimissionario della Coalizione di Doha, che si è detto “sorpreso” dalla reazione degli alleati. Al Khatib ha evidentemente sopravvalutato il supporto che i Paesi occidentali sono disposti a fornire a una “rivolta” fittizia, che nonostante l’addestramento, la presenza di mercenari e la fornitura illegale di armi, non riesce a ottenere grandi successi in campo militare e neppure a guadagnarsi il rispetto e il supporto della popolazione civile.
In molti evidenziano ormai l’impossibilità di mettere fine alla crisi attraverso una soluzione armata, ma in pochi, almeno in Occidente, tentano strade alternative. Un’opzione valida al conflitto potrebbe essere rappresentata dai cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), i Paesi emergenti, ai quali ieri si è rivolto anche il presidente siriano, Bashar al Assad, chiedendogli di agire per mettere fine alle violenze e favorire la ricerca di una soluzione negoziata e pacifica della crisi. Appello che sarà accolto con ogni probabilità, vista la presenza nel gruppo dei governi di Mosca e Pechino, gli unici che in passato hanno realmente provato a mettere fine al conflitto attraverso la diplomazia.

28 Marzo 2013  Rinascita

Qual è l’equazione della Siria, ora che i suoi nemici hanno usato armi chimiche?, Amin Hoteit

Nella sua ultima intervista al Sunday Times[1], pubblicata il 3 marzo 2013, il presidente siriano Bashar al-Assad ha detto: Tutto ciò che è stato menzionato dai media e dalle retoriche dichiarazioni dei politici sulla questione delle armi chimiche siriane, è speculazione. Non abbiamo mai parlato, e non abbiamo mai discusso, con nessuno delle nostre armi. Ciò di cui il mondo deve preoccuparsi, sono le sostanze chimiche finite nelle mani dei terroristi. Le sequenze video già diffuse mostrano che attualmente testano tali sostanze tossiche sugli animali, e anche che oggi  minacciano il popolo siriano di farlo morire in questo modo! Abbiamo diffuso questo video in altri Paesi. Ecco dove il mondo dovrebbe concentrarsi invece di sprecare sforzi inventandosi titoli elusivi sulle armi chimiche siriane per giustificare un intervento in Siria.”
Non c’è dubbio che i video in questione sono stati visti e la loro autenticità verificata dai servizi competenti di Francia, Spagna e altrove [2]. Vi è il dubbio che la minaccia contro il popolo siriano sia stata spietatamente applicata il 19 marzo [3], a Khan al-Assal nella regione di Aleppo, dove il presidente francese vuole integrare le sue pretese agognate “zone liberate” degli “ammirevoli rivoluzionari“, che fanno il lavoro sporco che invoca e che “normalmente” ignora bellamente. Nessuno dubita delle ragioni per cui il ministro degli Esteri francese vuole “rapidamente armare” la cosiddetta opposizione siriana [4], ovvero che a suo parere non solo “As sad non merita di restare sulla terra” [5], ma neanche i recalcitranti cittadini siriani, civili e fedeli alla loro patria. Nessuno dubita che il Presidente siriano, le autorità siriane, non si siano mai nascoste “rifiutando la realtà” orribile e terrificante dei cittadini siriani, e infamante e nauseante per i cittadini occidentali ingannati dai loro leader bugiardi, rapaci e sciacalli. Senza dubbio perché è oramai chiaro, anche ad alcuni media da tempo disonesti[6], che lo Stato e il popolo siriani devono essere sacrificati sull’altare delle ambizioni egemoniche di certe “grandi” potenze e dei loro mediocri alleati. Ma ora l’uso criminale di armi chimiche, dopo tanti crimini non meno barbari, cambia l’equazione per il popolo e lo Stato siriani? Il Generale Hoteit risponde alla domanda.
[Nota di Mouna Alno-Nakhal].

Alcuni sono stati sorpresi dall’uso di armi chimiche da parte delle bande terroristiche che imperversa no in Siria, suscitando addirittura la reazione di disapprovazione dei governi occidentali, che non si accontentano più di falsare i fatti prima di usarli per propagare ulteriormente la loro aggressività, ma si arrogano il diritto di nominare uno statunitense di origine siriana [un tale Ghassan Hitto, ignoto ai siriani [7] NdT] a capo di un governo dell’opposizione siriana, chiamato “governo ad interim”! Siamo quindi di fronte ad una “escalation pianificata dell’aggressione anti-siriana” e per individuare il livello effettivo di questi eventi, dobbiamo tornare ai fondamenti della questione. Uno di questi aspetti riguarda naturalmente l’identità di coloro che hanno utilizzato le armi chimiche; identità evidente a qualsiasi osservatore disposto a vedere l’ovvio. Il primo è dato dal fatto che il missile a testata chimica, lanciato sul Khan al-Assal nei pressi di Aleppo, ha preso di mira una zona interamente controllata dall’Esercito nazionale siriano, la cui popolazione ha respinto all’unanimità i presunti ribelli armati sia siriani che stranieri, e ha dimostrato il suo supporto costante allo Stato e al suo governo siriano legittimamente eletto. Il secondo è legato al “timing” dell’attacco, avvenuto in un momento critico che svela l’incapacità delle bande di cambiare i rapporti di forza a loro favore, tanto che non possono effettivamente riuscire a controllare nemmeno una parte del Paese, negandone l’accesso alle forze governative, non avendo così alcuna legittimità nonostante tutte le loro armi e la logistica a loro disposizione! Senza dimenticare un ovvio terzo aspetto: che la crisi vissuta dalla famigerata cosiddetta opposizione siriana, divisa dentro e fuori,  uniti solo nella sua “ostilità nei confronti del regime”, per disperdersi immediatamente davanti alla “sete di potere”.
Tutto questo ci permette di dire che i terroristi hanno usato armi chimiche su decisione del Comando Supremo [degli USA], con la collaborazione e la complicità di un triangolo regionale [Qatar, Arabia Saudita, Turchia] e di un binomio europeo [Francia, Gran Bretagna], che quindi non sono che degli esecutori per poter giungere ai seguenti obiettivi:
1. Superare la crisi strutturale e l’incapacità sul terreno subite dalla presunta opposizione siriana e introdurre una nuova arma nella battaglia, per raggiungere l’equilibrio agognato dal “fronte degli aggressori”, come ha detto il ministro degli esteri francese Laurent Fabius, che “non può accettare l’attuale squilibrio” tra uno Stato sovrano e i mercenari asserviti agli stranieri, e che ritiene che la “revoca dell’embargo sulle armi [destinate all'opposizione siriana] sia l’unico modo per giungere a una soluzione politica!” [4]. Ma le regole di guerra hanno sempre insegnato che un avversario, incapace di raggiungere i suoi obiettivi, chiede rin forzi e/o introduce una nuova arma sul campo di battaglia. E questo è proprio il caso dei mercenari, incapaci di controllare la situazione generale nonostante che gli incessanti rinforzi umani siano arrivati a 135.000 uomini armati, ridottisi a 65000 sotto i colpi dell’esercito nazionale siriano e anche dai cambiamenti nella loro situazione, non potendo più ingannare sulle loro vere motivazioni. Bloccati politicamente e militarmente, non gli rimane che usare armi chimiche per mutare la situazione sul campo e recuperare l’equilibrio agognato.
2. Soddisfare i leader della NATO, in particolare della Turchia, inviando un forte messaggio alla Siria dicendole che le loro ripetute minacce di fornire “armi letali” alla cosiddetta opposizione siriana, sono serie e che le autorità siriane farebbero bene a prendere in considerazione e a rivedere i loro calcoli, come affermato da più di un funzionario occidentale… a loro avviso, la Siria dovrebbe rivedere i calcoli che hanno portato alla determinazione del governo siriano e del Presidente al-Assad a non fare affidamento che esclusivamente sulle decisioni del popolo, respingendo i dettami stranieri, dovunque provengano, compresi quelli volti a designare dei leader saltando le urne. Inoltre, la nomina di un cittadino statunitense di origine siriana a primo ministro di un governo fantoccio, è solo un assaggio di ciò che gli occidentali imporrebbero alla Siria se il popolo siriano , così come le sue autorità nazionali e patriottiche, si rifiutassero. Anche in questo caso, gli è rimasto solo l’uso di armi chimiche per fare pressione, intimidire o terrorizzare le autorità siriane affinché rinuncino ai loro principi di governo, sovranità e indipendenza.
3. Permettere ai leader statunitensi di testare concretamente la coesione e la compostezza della leadership siriana, soprattutto mentre la spinge a rispondere a questo crimine commesso dalle bande al loro soldo, commettendo un crimine della stessa natura. In altre parole, spingendo la leadership siriana a contrattaccare con armi chimiche, nel caso in cui non riescano ad accusarla di averlo fatto.  E gli Stati Uniti avranno il pretesto sufficiente per intervenire militarmente sotto la copertura di diversi organismi internazionali e regionali e, infine, di riuscire a “far cadere il regime” che si è opposto ed è ancora in grado di resistere, nonostante il considerevole numero di attaccanti e dell’estrema violenza dell’aggressione; così spingendo la Russia ad avvertire chiaramente che “la sua caduta è impossibile!
La decisione di utilizzare il sarin è stata adottata dalla dirigenza USA due mesi fa, al fine di sfruttarla come pretesto per l’intervento. Gli articoli della CNN sul preteso impiego del gas da parte di Damasco messa alle strette, sono aumentati dall’inizio dell’anno [8] e dimostrano che quest’ultimo argom ento è evaporato come i precedenti, poiché la coerenza siriana sul piano politico e mediatico ha fatto fallire alcuni dei principali obiettivi dei suoi nemici. Anche se i risultati di questo atto criminale hanno avuto gravi conseguenze, tra cui il numero delle vittime in Siria [26 morti, tra cui 16 soldati e 86 feriti, al 20 marzo 2013, nota del traduttore]. Tuttavia, i suoi effetti vanno nella direzione opposta alla volontà degli Stati Uniti. Infatti:
1.  La condanna internazionale di questo attacco chimico dei presunti oppositori per la libertà, ha creato imbarazzo tra i leader occidentali, in particolare rivelando l’ipocrisia dei leader degli Stati Uniti che, dopo aver detto di non sapere se i ribelli o le autorità siriane avessero usato queste armi, si sono impegnati in una fuga in avanti affermando: “non accetteremo che il regime usi armi chimiche“, il che equivale a un’implicita ammissione di averne accettato, incoraggiato e ordinato l’utilizzo da parte dei ribelli! Anche se riteniamo che i leader degli Stati Uniti non abbiano limiti legali, morali o umanitari, tuttavia crediamo che la situazione in cui si sono invischiati potrebbe impedirgli d’invocare l’uso di armi chimiche, chiedendo alla comunità internazionale d’intervenire militarmente in Siria.
2. Per quanto riguarda la cosiddetta opposizione siriana, si può dire che tale crimine supera il semplice imbarazzo e costituisce uno scandalo enorme che, sicuro, la dividerà ancor più di quanto già lo sia, soprattutto quando le vittime sono per lo più donne e bambini, tra cui una ragazza che non poteva non sentire: “Questa è la libertà? Possa Dio impedirla per sempre!“.
3. Rimangono gli “urbani” che ancora si incontrano sotto l’egida della presunta Lega araba e su cui  non mi soffermo, se non per dire che il loro silenzio è un’ammissione di complicità in questo crimine condannabile e riprovevole da parte di qualsiasi persona sana di mente e dotata di un minimo di nobiltà, tutti termini assenti dal loro vocabolario.
Infine, anche se l’uso di armi chimiche da parte del “fronte degli aggressori” guidato dagli Stati Uniti”, è un’escalation della violenza contro la Siria, non è riuscito a fare breccia nella difesa e non ha in nessun modo assicurato l’equilibrio delle forze che gli Stati Uniti cercano disperatamente prima di sedersi al tavolo dei negoziati. Invece, gli Stati Uniti hanno perso delle carte che non saranno compensate certamente dalla nomina di un cittadino statunitense di origine siriana a “capo di un governo provvisorio.” Né lui, né il criminale attacco con armi chimiche, sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi, in quanto non alterano i parametri essenziali dell’equazione su cui poggiano lo Stato siriano e la sua legittimità.

Amin Hoteit 21/03/2013 Articolo originale: al-Tayyar
Articolo tradotto dall’arabo da Mouna Alno-Nakhal per Mondialisation.ca

Note:

Il Dottor Amin Hoteit è un analista politico, esperto di strategia militare ed Generale di brigata in pensione libanese.
Copyright © 2013 Global Research

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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