di Davide Pelanda - 23/06/2010
Intervista
ad Angela
Lano a cura
di Davide
Pelanda
«Erano decine e decine di
mostri che, dai canotti, salivano a frotte sulla nve. Sparavano,
urlavano, si sono lanciati contro tutti noi. Abbiamo cercato di
proteggere il capitano, ma i loro taser ci hanno bloccato. Avevano i
volti coperti, le teste protette dai caschi e con questi colpivano le
fronti di chi si avvicinava loro. A bordo abbiamo avuto molti feriti.
I cameraman sono stati aggrediti durante le riprese. In quel momento
hanno sequestrato tutte le telecamere e le macchine fotografiche.
Vedevano sulla Mavi Marmara un immenso fumo, sentivamo le urla e
quegli spari terrificanti, incessanti, mentre gli elicotteri
squarciavano i cieli».
È passato poco meno di un
mese da quando Angela Lano, giornalista piemontese e direttrice
dell’agenzia on-line www.infopal.it,
ci ricordava la sua triste avventura a bordo della Freedom Flotilla,
la flotta pacifista che voleva portare aiuti umanitari e infrangere
l’embargo di Gaza.
Una nave che portava aiuti
umanitari con, a bordo, circa 100 case prefabbricate, depuratori
d'acqua, mattoni, utensili da carpenteria, tende per gli sfollati.
Poco meno di un mese,
dicevamo. Ma Angela, dal suo ufficio dell’agenzia ricavato nella
sua casa di Sant’Ambrogio di Susa, ha ancora negli occhi quelle
terribili immagini di quei giorni. Una memoria nitidissima.
Ora dalla sua agenzia,
Angela e il suo staff di collaboratori continuano ad informare in
maniera pulita, non “embedded”. E per questo hanno subito degli
attacchi violenti: in qualità di direttore e per tutelare le persone
che lavorano con lei, Angela ha deciso di oscurare nel sito l’elenco
nominativo del Comitato di consulenza scientifica, composto da
illustri professori e docenti universitari, nonché giornalisti.
«Sì, soprattutto, due
personaggi del mondo della “solidarietà con la Palestina”,- ci
dice Angela - hanno diffamato l’agenzia di cui sono direttore,
Infopal, e me, accusandoci di essere “antisemiti”. Ovviamente si
tratta di una menzogna e di una manipolazione ai danni del nostro
lavoro».
Ma ora che
sei rientrata in
Italia dopo la brutta avventura nelle prigioni israeliane, ti sei
ripresa bene?
«Sì, mi sono ripresa bene,
anche se sono stata bombardata da interviste e richieste varie. Ho
ricevuto tantissime lettere, sms, messaggi su Facebook, di
solidarietà. Ma, come dicevo, anche qualche attacco e minaccia.»
Come vivi ora qui in
Italia a distanza la tragedia del popolo palestinese? Cosa possiamo
fare noi da qui per aiutarlo?
«Continuo a lavorare a
Infopal, a partecipare a serate e a progetti, e a fare informazione,
perché è proprio di questo che c’è un gran bisogno, poiché i
grandi e i piccoli mainstream del giornalismo italiano sono per lo
più pro-Israele e, quando passano le notizie su ciò che avviene in
Palestina, tendono a manipolare fatti e situazioni».
Ti si può definire
una giornalista "fuori dalle righe", una giornalista
coraggiosa e pacifista? Per il popolo palestinese sei diventata una
sorta di eroina?
«Secondo me fare il
giornalista significa esporsi, andare sul posto, testimoniare i
fatti.
Il fatto che io mi sia
trasformata in “giornalista coraggiosa” la dice lunga sullo stato
del mestiere, in Italia. Gli inviati e i corrispondenti delle grandi
testate, infatti, sono per lo più “embedded”
con gli eserciti, con i governi, con i più forti, insomma. Spesso
comodamente in attesa delle veline dei politici o dei militari di
turno, seduti nelle terrazze dei mega-hotel. Ebbene, questo per me
non è giornalismo…Il mio modello è Tiziano Terzani, tutt’altro
che “embedded”
con i potenti…»
Indubbiamente la
vostra disavventura ha scosso l'opinione pubblica internazionale e da
più parti, infatti, è stato chiesto la fine dell'embargo ai
palestinesi, così come lo ha chiesto anche il papa.
Solo parole o in
questo periodo vedi una svolta? E quale svolta tu auspichi?
«Il papa ha avuto il
coraggio di dire le cose come stanno, ma la Chiesa Romana è tenuta
spesso sotto minaccia di ritorsioni varie da parte del governo
israeliano, dunque non sempre è libera di esprimersi chiaramente.
Comunque, sono sicura che la
Freedom Flotilla e le sue vittime stiano vincendo una battaglia
politica e mediatica: il mondo ora sa di cosa è capace Israele
quando qualcuno lo sfida, sia pure una flottiglia umanitaria che
vuole rompere un ingiusto e illegale assedio a 1,5 milioni di persone
nella Striscia di Gaza. Si può ben immaginare cosa accade
giornalmente ai palestinesi sotto occupazione»
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