Da tempo ormai nell’agenda politica di un numero crescente di Paesi, incluso il nostro, si va facendo sempre più martellante, se non ossessiva, l’urgenza del riconoscimento del matrimonio delle coppie omosessuali, con tutto il corollario di diritti e di priorità conseguenti, in primis il diritto ad “avere” dei figli.
Il libro “UniSex. La creazione dell’uomo ‘senza identità’” (Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta, Arianna Editrice, Bologna 2014, pp. 120, euro 9,80) entra in profondità nei meandri della questione, inquadrandola sia sotto il profilo politico ed economico, sia sotto quello culturale, antropologico e filosofico.
I poteri forti e le istituzioni sono diventati all’improvviso così filantropi da dare l’esclusività, in un mondo travagliato da problemi ben più drammatici ed urgenti, ad una battaglia infondo periferica in difesa di una minoranza i cui fondamentali diritti nessuno nega? Da dove nasce tanta insistenza, tanta importanza, tanta urgenza? Quale vero interesse, o molteplicità di interessi, muove gli organismi del potere politico ed economico a battersi tanto strenuamente perché alle coppie omosessuali venga riconosciuto il diritto di sposarsi e allevare dei figli?
Ma quali diritti negati?
Il problema non è semplicemente quello di prevenire ed eliminare ogni forma di violenza e di razzismo —a questo già provvede l’articolo 3 della Costituzione che esplicitamente dichiara «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Il vero obiettivo è riconoscere legittimità a qualcosa che semplicemente non esiste e che il comune buonsenso basta a riconoscere come improponibile e inaccettabile. La famiglia è composta, per legge di natura, da un uomo e una donna e solo da quest’unione possono nascere dei figli. Da due persone dello stesso sesso non può nascere nulla. È il diritto naturale a proclamarlo, non certo un’ideologia costruita dall’uomo.
La giustificazione della difesa dei diritti negati è dunque solo un pretesto. E se il fine dichiarato, e giustamente più che legittimo, è quello di evitare ogni forma di razzismo, non si capisce perché per eliminare il razzismo sia anche necessario che gli omosessuali si sposino. Se mai c’è il rischio, con questi presupposti, di creare una nuova minoranza da perseguitare se su questi temi la pensa diversamente. Aveva ragione Gilbert Keith Chesterton quando scriveva che sarebbe venuto il giorno in cui, per chiamare “pietre” le pietre, si sarebbe dovuta sguainare la spada...
La costruzione ideologica
Tra i molti strati sottostanti l’intera questione, il primo è quello dell’ideologia del gender, secondo la quale il nostro sesso non è altro che un prodotto culturale, determinato da stereotipi ormai obsoleti. Non si nasce più con un sesso biologicamente determinato, ma si è liberi nel corso della propria evoluzione di scegliere liberamente il sesso a cui appartenere.
Il padre ufficiale di questa ideologia è lo psichiatra della John Hopkins University, John Money che coniò per primo l’espressione “identità di genere”. A lui si devono anche le prime operazioni di cambio di sesso, o meglio gli “esperimenti” di chirurgia da lui compiuti su bambini nati con qualche anomalia dei tratti sessuali. Una delle sue operazioni più note e devastanti è quella fatta a David/Brenda, il bambino nato maschio e da lui operato dopo qualche mese per un’infezione genitale. L’operazione, per un errore, si trasformò in un cambio di sesso e obbligò i genitori a crescere il piccolo con il nuovo nome di Brenda, trattandolo in tutto come se fosse un bambina. Le conseguenze furono terribili, innescando in David/Brenda un processo di dissociazione psico-fisica che lo condusse al suicidio ancora in giovane età.
Partorita da Money, questa ideologia lentamente è penetrata nel tessuto sociale e nella cultura, registrando un momento particolarmente significativo con la derubricazione dell’omosessualità come malattia dal DSM, il Manuale Diagnostico e Scientifico più utilizzato al mondo. Passo successivo la creazione del termine “omofobia”, una nuova malattia da inserire nel Manuale e da curare con psicofarmaci e percorsi di psicoterapia (specie in America).
I megafoni del gender
A far penetrare in modo capillare nella società l’ideologia del gender da anni ci pensano i media, con film, Serie Tv, divi dello spettacolo, musicisti e cantanti tra i più amati dal pubblico, specie quello giovane. Più i beniamini del piccolo e grande schermo si propongono con i tratti dell’ambiguità, favorevoli a relazioni di ogni genere, omo o bisessuali, rispecchiando anche nell’aspetto fisico il carattere androgino della loro personalità, più hanno presa sull’immaginazione inquieta e malleabile dei giovani.
Sui giornali si dà grande risalto alle loro dichiarazioni, la moda a sua volta diffonde un modello di bellezza femminile sempre più asessuato, sul piccolo schermo nei vari programmi pomeridiani di intrattenimento il bacio sulla bocca tra persone dello stesso sesso viene usato come espediente per fare audience.
Si tratta solo di una moda? Che come tutte le mode farà il suo tempo e finirà nel dimenticatoio? O vi è qualcosa che ci sfugge, qualcosa che va oltre la semplice motivazione economica – negli Stati Uniti si addita nella difesa dei diritti degli omosessuali un potente volano dell’economia, essendo questi un gruppo forte e numeroso sotto il profilo produttivo (spiegazione che non tiene, visto che si tratta solo di un’esigua minoranza) —, il calcolo politico – attirare dalla propria parte il maggior numero possibile di elettori — ma quanti, se, come scritto sopra, sono comunque una minoranza gli omosessuali e ancora più in minoranza quelli che ambiscono al matrimonio, ai figli e alla famiglia —, la pura e semplice filantropia — possibile che i più grandi miliardari americani, le più potenti multinazionali che macinano vite ogni giorno schiacciandole nei ritmi di un capitalismo selvaggio siano diventati tutti filantropi e per una questione così marginale?
L’anello che non tiene
È su tutti questi punti smagliati della rete dell’ideologia del gender e delle relative politiche a sua difesa e sostegno che l’indagine di “Unisex” si concentra con particolare attenzione.
L’uomo moderno ha vissuto a partire dall’Illuminismo e vive ancora oggi, in forme spesso estreme come la teoria del gender, una progressiva spogliazione di ogni identità: culturale, psicologica, antropologica, religiosa e ora anche fisica. Questo è l’ultimo paradossale passo di quest’opera di annientamento dell’uomo in quanto uomo, dotato di una natura con sue leggi proprie, inscritte nello spirito ma anche nel corpo. Dopo aver cercato di lavare via con la spugna corrosiva del dubbio e dello scetticismo ogni segno identificativo dal volto umano così come Dio l’ha pensato e creato, ora si cerca di cancellare anche il corpo con la sue leggi indisponibili, la sua identità sessuale: maschio e femmina, maschile e femminile, rischiano di non significare più nulla. Il processo è ancora all’inizio, ma il traguardo è quello: creare un uomo senza più alcuna identità, e come tale debole, fluttuante, incerto, manipolabile come cera.
Questo progetto iniziato due secoli fa ora cerca di valicare anche il confine delle più elementari leggi di natura che la semplice ragione riconosce: la distinzione tra l’uomo e la donna, la coppia originaria legata da una polarità naturale prima che intellettiva, emozionale e psicologica. I due che diventano Uno, e l’Uno che si fa luogo in cui i contrari si incontrano e si conciliano: luce e ombra, sole e luna, cedevolezza e forza, arretramento e avanzamento. Da questo grembo in cui tutti i valori legati al femminile e maschile si incrociano e si armonizzano nasce la vita. E questa vita lungo tutto l’arco del suo svolgersi ha bisogno a sua volta di confrontarsi con essi, continuamente. E lo può fare solo con una madre e un padre, femmina e maschio che, dispensando ciascuno secondo la sua natura i nutrimenti fisici, affettivi, psicologici e spirituali necessari ad un armonico sviluppo della persona, contribuiscano alla buona riuscita della sua vita.
Il volto della madre, femmina, e del padre, maschio, sono e rimangono il primo specchio in cui il bambino si riflette e si guarda. La prima carezza, il primo assaggio di vita.
di Alessandra Scarino - 17/06/2014
Fonte: vanthuanobservatory
Enrica Perucchietti - Gianluca Marletta
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