foto ed articolo di Gianni Lannes
San Nicola di Melfi – Bentornati alla Barilla di San Nicola di Melfi: in loco alberga l’amianto cancerogeno da un quarto di secolo, anche se la pubblicità propina set artificiali, qui è possibile respirare fibre di asbesto a cielo aperto.
L’azienda parmense ha negato l’evidenza per ben due anni: «Tutto in regola, del materiale killer neanche l’ombra». Fino a quando la multinazionale alimentare non è stata smascherata definitivamente da una inchiesta giornalistica. Ora infatti ammette: «Solo 11.000 mq sono in materiale di cemento amianto in accordo con la normativa vigente non costituiscono pericolo per la salute delle persone e dell’ambiente». Tant’è che è in atto la cosiddetta “rimozione”: una manciata di operai senza protezione (tute, guanti, mascherine), vale a dire a mani nude, bonifica la lana delle salamandre.
L’azienda parmense ha negato l’evidenza per ben due anni: «Tutto in regola, del materiale killer neanche l’ombra». Fino a quando la multinazionale alimentare non è stata smascherata definitivamente da una inchiesta giornalistica. Ora infatti ammette: «Solo 11.000 mq sono in materiale di cemento amianto in accordo con la normativa vigente non costituiscono pericolo per la salute delle persone e dell’ambiente». Tant’è che è in atto la cosiddetta “rimozione”: una manciata di operai senza protezione (tute, guanti, mascherine), vale a dire a mani nude, bonifica la lana delle salamandre.
Mangia sano, torna alla natura e vivi meglio. «Dal 1975 Mulino Bianco è sinonimo di bontà e genuinità» recita la Barilla, in gran parte di proprietà (dal 1979) dei soci produttori e trafficanti di armi Anda-Bhurle.
Una panoramica fotografica a più riprese attesta la pericolosa presenza. Tranquilli, c’è chi salva le apparenze: la Giunta regionale, l’Azienda Sanitaria Locale e l’Arpab -enti di nomina partitica preposti sulla carta alla tutela della salute pubblica- certificano ad occhio che “è tutto a posto”. La Barilla prima nega l’evidenza friabile, ma poi autocertifica che “l’amianto è in ottima forma e non fa male”, salvo delegare per il lavoro sporco -contro i giornalisti- a base di censura intimidatoria l’avvocato Mariconda Vincenzo.
Gli ondulati in fibro-cemento, meglio noti come “eternit” – un micidiale impasto chimico di fibre di amianto (crisotilo) e cemento a lenta presa – sonnecchiano nell’impianto del marchio alimentare. Da un quarto di secolo l’asbesto alberga sulla testa di questo gioiello industriale in provincia di Potenza che sforna fette biscottate, biscotti da colazione, pasticceria, snack, pani morbidi, sfoglie, merende. C’è rischio sanitario per la salute dei lavoratori e degli ignari consumatori? Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità «Per l’amianto non esiste un valore soglia al di sotto del quale non vi sia rischio per la salute umana». I danni sono “mesotelioma pleurico e dell’intestino, carcinoma del polmone, della laringe, dello stomaco e del colon, asbestosi, placche pleuriche”,
argomenta Fernando D’Angelo, medico e presidente nazionale di Medicina democratica “La caratteristica filamentosa è anche la causa della sua pericolosità, soprattutto quando si sfilaccia sotto forma di invisibili scaglie che penetrano nei tessuti corporei. L’amianto è un killer che uccide lentamente, anche dopo decenni. Basta un’inalazione per innescare neoplasie”.A qualche centinaio di metri dallo stabilimento Barilla, sorge un mastodontico inceneritore della società nucleare francese Edf (dal 2001). La Fiat, a meno di 3 chilometri dalla città di Lavello -grazie a finanziamenti e agevolazioni statali- ha attivato, dal 1999, un cancrovalorizzatore, contro la volontà della popolazione locale.
L’inceneritore Fenice, brucia a cielo aperto, puntualizzano le cifre ufficiali, «66 mila tonnellate l’anno di scorie» prodotte all’estero. Conseguenze epidemiologiche? Mai valutate dalla Regione. «I residui della combustione ammontano a 27 mila tonnellate annue» dichiara la Fiat. Si tratta di rifiuti letali iniettati nel suolo lucano e nel fiume Ofanto. L’altoforno industriale sputa sulla zona, dove operano aziende alimentari, agricole, zootecniche, turistiche e delle acque minerali, milioni di metri cubi di fumi nocivi. In uno studio di Luigi Notarnicola, docente dell’Università di Bari, emerge che «Le documentazioni tecniche disponibili non consentono di escludere effetti negativi sulla popolazione di Lavello e nell’intero territorio». Scrive il professor Notarnicola: «L’insediamento della Sata (Fiat, ndr) e della piattaforma Fenice porta un’immissione nell’atmosfera di oltre 12 milioni di metri cubi all’ora di fumi. Ai danni per la popolazione di Lavello associati all’inquinamento atmosferico vanno aggiunti quelli derivanti all’agricoltura fiorente in tutta la valle, dagli elevatissimi prelevamenti di acqua potabile». Emissioni oltre i limiti normativi di metalli pesanti, ossidi di azoto e diossine. Il presidente Guido Maria Barilla tace.
Gianni Lannes è un grande. La Barilla e i suoi protettori sono scandalosi!
RispondiEliminae questi vorrebbero "nutrirci"?!?!
RispondiEliminasanto cielo!