sabato 5 febbraio 2011

Berlino e Parigi si incoronano “Guide dell’Ue” e impongono agli altri governi tagli sociali più severi

Ugo Gaudenzi

Mentre il nostro esimio presidente del Consiglio si arrabatta nella ricerca di sponde parlamentari per non far affondare una “riforma” chiamata federalismo (e con essa il governo e il suo personale potere), l’euro, la moneta unica imposta senza tutele ai cittadini di 17 dei 27 attuali membri dell’Unione europea, sta giocando la sua più delicata carta per sopravvivere.
Quale sia il nostro comune sentire al riguardo è noto.
L’euro è stata e resta - con gli istitutivi Trattati di Maastricht che hanno tolto ad ogni Stato nazionale la concreta sovranità economica e monetaria - la più grande truffa del dopoguerra ai danni delle nostre nazioni. Una truffa negoziata con la finanza internazionale e condita dalle “liberalizzazioni” (quelle che vuole di nuovo accelerare il nostro esimio premier, rapina dell’acqua pubblica inclusa), dalle “privatizzazioni” delle più importanti e strategiche industrie europee, tesori pubblici rapinati a tutti noi, e dalla cancellazione di quei patti sociali che avevano assicurato lavoro e benessere diffuso. Oltre a queste spoliazioni della ricchezza europea, il clan dei banchieri al timone dei governicchi coloniali della cosiddetta Ue, hanno anche dovuto imporre ai loro cittadini le terapie d’urto liberiste della competitività, della precarietà, della flessibilità, della disoccupazione, delle lacrime e sangue e della perpetua sudditanza al pagamento di interessi su interessi per i prestiti che gli Stati europei sono stati forzati a contrarre con le maggiori banche d’affari mondiali e con il Fmi per far sopravvivere i bilanci nazionali.
Nel sottolineare questo, sfondiamo porte già spalancate.
Il problema gravissimo è però quello che incombe in vista di ulteriori crack nazionali, dopo quello della Grecia.
I fatti sono conosciuti. La Germania della Merkel e la Francia di Sarkozy, autoelettisi “guida” del “patto per l’euro”, hanno deciso di imporre anche un “patto per la competitività”, con la parola d’ordine: chi ci sta ci sta, chi non ci sta è escluso.
Con tanti saluti all’altro nostro esimio Tremonti che, tra una mala-lettura delle tesi di Larouche e l’inutile varo di una legge a tutela del risparmio e per la riacquisizione della proprietà di Banca d’Italia illecitamente nelle mani di banche ex pubbliche svendute ai privati, cercava di negoziare l’emissione di “obbligazioni europee” per bloccare i crack a catena degli Stati “pigs”, o ritenuti tali.
Non è un caso che, ieri, la vera agenda politica di Bruxelles sia ruotata attorno a questi argomenti (che ai nostri esimii governanti e oppositori non interessano, concentrati come sono su ipotesi federaliste bucate o sui vari “Rubygate”).
E non è un caso che Frau Angela si sia - prima del vertice - incontrata a pranzo con Zapatero, ormai rappresentante di una Spagna in ginocchio di fronte ai diktat liberisti e lacrime e sangue.
Perché la Spagna non è la Grecia e nemmeno l’Irlanda.
Un crack di Madrid sul fronte del debito non conviene né ai Signori del denaro - che strangolano, sì, le economie nazionali, ma fino a quel tanto che permetta comunque loro di pagare gli interessi... - né ai capibastone dell’Unione europea, esattori e gabellieri ufficiali degli istituti d’usura. Quindi la Spagna deve adeguarsi ai diktat liberisti delle lacrime e sangue.
In sintesi. L’autoeletto governo bicipite liberal-liberista Merkel-Sarkozy, vuole introdurre un’Unione europea a “doppia velocità”. Nella cupola di comando, oltre a Parigi e Berlino, soltanto i governi che accetteranno conti pubblici in ordine, debito non superiore al 60 per cento del pil, età pensionabile a 67 anni, abbandono degli aumenti retributivi automatici e così via.
Indovinate adesso chi dovrà stringere - di più - la cinghia.
Già: l’Italietta.
Che dovrà affondare sempre più nel gorgo delle privatizzazioni, nel lavoro umano inteso come merce a basso costo e nelle peggiori ristrettezze economiche per “salvare il suo posto” (sic) nell’area “di comando” (ari-sic) dell’euro.
Basta. Basta. Basta.
Questi Terapeuti di governo che operano per gli interessi specifici della grande finanza internazionale, devono essere spazzati via.
L’Italia faccia come l’Argentina.
Si dichiari “insolvente”. Non paghi più gli interessi usurai alle grandi banche d’affari internazionali. Torni alla lira, ad una moneta nazionale, riprenda il controllo della sua Banca centrale, ora pilotata dal Klan dei Banksters, torni a produrre senza pagare “interessi” agli speculatori, torni a considerare il Lavoro come valore, non come merce.


Rinascita

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