lunedì 8 agosto 2011


Questo articolo mi suscita i seguenti interrogativi:

- il mondo fuori non è in grado di assicurare alcun posto di lavoro come mezzo di sostentamento, significa che se si vuole lavorare si deve finire dentro?

-non è concorrenza sleale nei confronti di chi fuori è costretto a pagare spese per un tetto, cibo, sanità e tutto il resto?  Bella ricompensa per essere un bravo cittadino.

- è questa una rieducazione del carcerato? Certo, rieducato per non subire traumi quando uscirà.Forse, se lavorerà, per il tempo che lavorerà, sarà retribuito e tutelato un tantino meglio (magari presso aziende che non possono usare i lavoratori-prigionieri o che non riescono a delocalizzare,  pertanto costrette ad assumere i lavoratori "liberi" se non riesce a delocalizzare) anche se ad oggi mi riesce difficile immaginare quanto possa esere "avanzata" questa tutela, mai stata un gran che negli Usa, in via di smantellamento in Europa.

Anche da noi ci sono tanti progetti (cooperative e finanziamenti) per far lavorare il carcerato, mi auguro che ciò non costituisca un cavallo di troia in futuro per "ampliare la fornitura" di "capitale umano" a basso costo, che fornirebbe utili garantiti ai prenditori e costi per la collettività (il costo di mantenimento ad oggi è a carico dello Stato ovvero della collettività che paga le tasse)in perfetto stile capitalista che vuole gli utili e che socializza le perdite.

Morale della favola:

se fai il bravo cittadino, ti ricompenso con la possibilità di uscire a fare shopping, se riesci a farti avanzare due spicci ovviamente (la libertà costa), se non fai il bravo ti metto a lavorare lo stesso in modo forzato e ti "obbligo" al risparmio. 

Immaginando inoltre quanto siano nobili i propositi della global élite, che intendono razionare il cibo (in realtà lo fanno lo stesso da tempo con le concentrazioni monopolistiche) dopo una "riduzione" della popolazione (intanto ci avvelenano con le scie chimiche per citare solo un "piccolo" esempio), che già dal '98 si esercitano per militarizzare le città (Urban Operations 2020) temo che sarà realtà anche in quest'Europa della finanza che, da tempo, usando la spada di Damocle della delocalizzazione e dell'immigrazione (dumping sociale) rade al suolo il welfare state per la "concorrenza" e "flessibilità".

Barbara

Carceri-fabbriche negli USA


I prigionieri delle carceri federali che guadagnano ventitre centesimi di dollaro l’ora stanno producendo componenti high-tech per missili Patriot a lunga gittata, rampe di lancio per i missili anti-carro TOW (Tube-launched, Optically tracked, Wire-guided) e altri sistemi missilistici. Un articolo, pubblicato lo scorso marzo dal giornalista e ricercatore finanziario Justin Rohrlich di World in Reviews, merita una lettura attenta per capire tutte le implicazioni di questo inquietante sviluppo (minyanville.com)
La diffusione dell’utilizzo di carceri-fabbriche, che pagano salari da schiavi, per incrementare i profitti dei giganti corporativi militari, è un attacco frontale ai diritti di tutti i lavoratori.
Il lavoro carcerario, senza garanzie sindacali, straordinari, vacanze, pensioni, benefit, garanzie sulla salute e sicurezza o la Social Security, fabbrica anche componenti per i caccia bombardieri F-15 della McDonnell Douglas/Boeing, per gli F-16 della General Dynamics/Lockheed Martin e per gli elicotteri Cobra della
Bell/Textron. Il lavoro carcerario produce occhiali per la vista notturna, giubbotti antiproiettile, mimetiche, strumenti radio e di comunicazione, sistemi d’illuminazione, componenti per i cannoni antiaerei da 30 mm a 300 mm insieme a spazza-mine e materiale elettro-ottico per tracciatori laser della BAE Systems Bradley Fighting Vehicle. I prigionieri riciclano il materiale elettronico tossico e revisionano i mezzi militari.
Il lavoro nelle prigioni federali è appaltato alla UNICOR, già conosciuta in precedenza come Federal Prison Industries, una corporazione in parte pubblica e a fine di lucro diretta dal Bureau of Prisons. In quattordici fabbriche carcerarie, più di tremila prigionieri producono materiale elettronico per la comunicazione terrestre, marina e aerea. L’UNICOR ora è il trentanovesimo assegnatario più grande del governo, con 110 fabbriche in 79 istituti penitenziari.
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Le maggiori compagnie che traggono profitto dal lavoro carcerario comprendono Motorola, Compaq, Honeywell, Microsoft, Boeing, Revlon, Chevron, TWA, Victoria’s Secret ed Eddie Bauer.
IBM, Texas Instruments e Dell si fanno costruire i pannelli elettrici dai prigionieri del Texas. I reclusi del Tennessee hanno cucito jeans per Ksmart e JCPenney. Decine di migliaia di giovani che distribuiscono hamburger per un salario minimo da McDonald’s vestono uniformi cucite da lavoratori carcerati, che sono costretti a lavorare per molto meno.
In California, come in molti Stati, i prigionieri che si rifiutano di lavorare vengono spostati negli istituti disciplinari, perdono il diritto alla mensa e i crediti per rientrare nel programma di benefici per buona condotta, il “Good Time”, che allevia le loro sentenze.
Gli abusi sistematici, i pestaggi, l’isolamento prolungato e la deprivazione sensoriale, la mancanza di cure mediche rendono quelle americane tra le peggiori prigioni al mondo. Ironicamente, lavorare a condizioni estenuanti per qualche centesimo l’ora è considerato come una sorta di “premio” per buona condotta.
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Nella spietata ricerca di massimizzare i profitti e di accaparrarsi ogni possibile fonte di guadagno, quasi ogni agenzia pubblica e di servizio sociale è stata esternalizzata a contractors privati in cerca di profitti.
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La creazione di centinaia di carceri a scopo di lucro è tra le più raccapriccianti privatizzazioni.
La popolazione internata in queste prigioni private a scopo di lucro è triplicata nel periodo compreso tra il 1987 e il 2007. Nel 2007 c’erano 264 prigioni di questo tipo che avevano in custodia circa 99.000 prigionieri adulti (house.leg.state.mn.us, 24 febbraio 2009). Tra le aziende che operano in questi luoghi ci sono la Corrections Corporation of America, il GEO Group Inc. e il Community Education Centers.
I titoli obbligazionari delle prigioni garantiscono un profitto per gli investitori capitalisti come Merrill-Lynch, Shearson Lehman, American Express e Allstate. I prigionieri vengono barattati e spostati da uno Stato all’altro a seconda della convenienza degli accordi commerciali.
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Bye bye Uncle Sam

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