In un paese occupato, privato della propria sovranità, accade che si possa assassinare, aggredire, minacciare impunemente e con la totale copertura mediatica cittadini siriani e pure italiani, come ben documentato da Eric Salerno.
Di solito, quando episodi di cronaca nera riportano aggressioni ai danni di cittadini stranieri per giorni i media lasciano in evidenza la notizia rimarcando lo sfondo razzista come movente, spesso per occultare altre ragioni ben più pregnanti. Come riportato nell'articolo sotto e confermatomi per altre vie, cittadini siriani ed italiani sono vittime di aggressioni fisiche e verbali integraliste. L'unica colpa di queste persone è quella di essere lealisti e di diffondere la verità riguardo Siria, quella stessa realtà che i media nostrani si impegnano quotidianamente a censurare. Sono tanto esterefatta quanto disgustata e amareggiata per la violenza inaudita di cui sono vittime queste coraggiose ed encomiabili persone. Se ne ricava
quindi il senso di tolleranza che anima coloro che usano questi mezzi "per sostenere i ribelli". In questi giorni in cui sono esaltate a paladine della libertà le Pussy Riot, considerate "perseguitate" dalla fantomatica repressione di Putin, constato come ancora una volta il paese dei due pesi e delle due misure sia fedele al regime del politically correct commisurato alle intenzioni di Washington e Tel Aviv. D'altronde, si trovano con tale facilità e gratuitamente mercenari del pensiero che non disdegnano di passare ai fatti, quando la fazione pro Nato conta numerosi "adepti" tra le fila dei pacifinti e falsi antirazzisti. Le loro aggressioni sono ben tollerate quando si adeguano allo scopo imperialista, così come avvilisce riscontrare ulteriore conferma dell'impunità e totale accondiscendenza riservate dalle istituzioni nei confronti di chi aggredisce i portatori di opinioni diverse. Eppure la macchina del pensiero politically correct riesce a far saltare carriere, a rovinare pubblicamente persone, a far processare utenti che scrivono commenti liberi sul web,ogni qualvolta si tratti di opinioni in contrasto con le fandonie che vengono dispensate sotto le mentite spoglie di verità. E' quindi più che evidente che si possano minacciare di morte coloro che professano la grave colpa di non sostenere le bugie del pensiero dominante. Già, ma i media ipocritamente fingono d'ignorare quanto accade in Italia e preferiscono scandalizzarsi per la "repressione" di Putin.
Barbara
Facebook strumento omicidiario? Dopo Vittorio Arrigoni i siriani lealisti
[2]Facebook come strumento non solo di socialità ma anche di barbarie?
Facebook come punto di partenza non solo di “character assassinations” ma anche di omicidi veri e propri?
Continua a succedere, a quanto pare, anche adesso, anche in Italia:
a fare da bersaglio, in questo caso, i siriani lealisti “colpevoli” di
testimoniare alla luce del sole la propria fedeltà alla patria assediata
dai terroristi nordatlantici. Al riguardo, mi sembra doveroso
condividere qui quanto letto sulla bacheca del mio amico Facebook Fulvio Grimaldi:
VI SEGNALO QUESTA DENUNCIA DELLA COMUNITA’ SIRIANA NON
CORROTTA E NON VENDUTA. AUTORITA’, MEDIA, ASSOCIAZIONI, DIRITTOUMANISTI,
LAICI, DEMOCRATICI, SINISTRE, PACIFISTI, EMETTERANNO UN BISBIGLIO DI
PROTESTA?
Che in Siria sia in corso una lotta per imporre libertà e democrazia, è finalmente messo in dubbio da molti.
Che in Siria sia in corso una vergognosa battaglia mediatica che
non si ferma davanti allo stravolgimento degli eventi pur di attirare
l’opinione pubblica, non è oramai un mistero.
In Siria, come all’estero, vengono spesso denunciate le presunte
persecuzioni degli oppositori del governo da parte dei servizi segreti
siriani. Amnesty International la scorsa estate aveva rimediato
titoloni su tutti i media internazionali a questo riguardo.
Ma dei perseguitati, in Siria esattamente come all’estero, tra i
filogovernativi non se ne parla mai. Eppure ce ne sono, molti, anche
qui in Italia.
Basta farsi un rapido giro sulle pagine di Facebook per trovare
molte cosiddette “liste della vergogna” con foto, nomi e dati personali
di presunti “shabbiha”, così vengono definiti dagli oppositori coloro
che sostengono apertamente il governo, con inviti anche espliciti ad
attaccarli, colpirli, perseguitarli e, una volta uccisi, viene messo un
timbro sul loro volto.
Nel silenzio e nell’indifferenza generale, con il beneplacito di media, associazioni e istituzioni.
A queste pagine, in Siria, già più volte gli estremisti hanno
attinto le loro vittime designate, è accaduto a Damasco a fine
dicembre, quando sono morti due studenti universitari, e successo
qualche mese fa con un’insegnante di Deir ez-Zor. Apici di una
situazione grave perché largamente diffusa e sottovalutata nella sua
pericolosità.
Anche l’Italia ha la sua “lista della vergogna” e le sue “vittime predestinate”.
Si tratta di siriani – cristiani, sunniti e alauiti – accomunati
dalla volontà di sostenere apertamente il governo siriano e di non aver
timore di dichiararlo in manifestazioni e conferenze.
L’ultimo attacco mirato è avvenuto ieri sera (venerdì 17 agosto),
quando un siriano che si fa chiamare “Ahmed Sara” ha postato sul suo
profilo delle foto di alcuni di questi sostenitori del governo (siriani
e italiani), accompagnate da informazioni infamanti sul loro conto e
dati strettamente personali (appartenenza religiosa, indirizzo di casa,
numero di cellulare, targa e modello dell’auto), ledendo così allo
stesso tempo la loro privacy e la loro moralità.
Non contento, le immagini sono state diffuse sulla pagina “Vogliamo
la Siria libera”, che conta quasi 6.000 sostenitori, e su “Boicottiamo
Informare per Resistere” che ha realizzato un vergognoso album dal
titolo “A.A.A. cercasi shabbiha” [l'album c'è ancora!]e ora stanno circolando impunemente per la rete.
Primo esito di questo abuso della rete sono state le molestie
telefoniche: il telefono di queste vittime è squillato a ogni ora del
giorno e della notte con nuovi insulti, intimidazioni e minacce, sempre
in arabo, da parte di ignoti.
Ma questo è solo l’ultimo, gravissimo, episodio di una lunga serie
di aggressioni iniziate oltre un anno fa contro questi stessi soggetti.
Eccone una sintesi: Il primo esempio risale al 6 luglio 2011
quando un bar di Cologno Monzese è stato semi-distrutto da un gruppo
composto da una ventina di persone guidate da esponenti
dell’opposizione, che già da tempo minacciavano i proprietari colpevoli
di essersi recati, proprio la sera stessa, a una manifestazione a
sostegno del presidente Al-Assad e del suo programma di riforme contro
ogni ingerenza straniera.
I due siriani cristiani, oltre agli ingenti danni morali e
economici, sono stati pesantemente malmenati dal gruppo e uno dei due ha
riportato ben undici punti di sutura alla nuca. Colpito anche un
altro amico siriano alawita che li accompagnava e che ha rimediato
anche l’auto distrutta.
E’ bene ricordare che quel locale, fino a pochi mesi prima (prima
che in Siria scoppiasse quella che molti si ostinano a definire
“primavera”) era un punto di ritrovo per l’intera comunità siriana che
conviveva, in Italia esattamente come in Siria, senza screzi.
Dopo un periodo di calma apparente, durante il quale il gruppo di
oppositori si limitava a frecciatine, più o meno velate minacce durante
le manifestazioni di piazza o sulla rete, la situazione è andata
acuendosi nelle ultime settimane e si è palesata in due nuove
spregevoli aggressioni.
La prima risale alla sera del 25 febbraio quando un gruppo di
cinque persone si è recato sotto casa di un sostenitore del governo
“colpevole”, dal loro punto di vista, di essere sunnita e non
appartenere alle fila degli oppositori e, con un tranello, lo hanno
invitato a scendere e tentato di aggredire armati di manganelli e
coltelli; non riuscendo a colpire la vittima predestinata – che
fortunatamente è riuscita a riparare in casa per tempo – si sono sfogati
sulla sua auto (mezzo che, come gli aggressori ben sapevano, gli è
fondamentale
per poter lavorare) distruggendone i vetri, ammaccando la
carrozzeria e tagliando tutte e quattro le gomme. Non contenti il
giorno seguente lo hanno nuovamente minacciato al telefono, dicendogli
che sarebbero tornati quella sera per finire quanto avevano lasciato in
sospeso.
A un altro ragazzo, sempre in prima fila nelle manifestazioni
pro-governo, è stato riservato un altro trattamento: invece di
prendersela direttamente con lui, cercano di convincere il responsabile
del luogo di lavoro che se non lo licenzia ne subirà le conseguenze.
Il secondo atto, invece, si è consumato nuovamente di fronte al
locale di Cologno Monzese, intorno alla metà di marzo questa volta a
farne le spese è stato un siriano alawita (tengo a precisare ogni volta
l’appartenenza religiosa non perché i siriani ci tengano
particolarmente, ma solo perché da quando è scoppiato questo caos per
una parte dell’opposizione il credo sembra essere diventato
fondamentale), promotore delle manifestazioni nel nord Italia a
sostegno del governo di Assad. Dopo le bestemmie religiose e le pesanti
minacce, un gruppo – che in questo caso si è trasformato in vero e
proprio branco – di centinaia di individui ha cercato di attaccarlo,
provvidenziale è stata la possibilità di rifugiarsi nel bar fino
all’intervento delle forze dell’ordine.
Ne sono seguite ulteriori minacce personali e a tutti i partecipanti –
siriani - delle manifestazioni milanesi contro la rivolta (“Non
organizzate altre manifestazioni a Milano, altrimenti, a chiunque
parteciperà, noi taglieremo le gambe”, è stato dichiarato al telefono).
Aggressioni vili ed agghiaccianti, soprattutto se si pensa che a
perpetrarle sono state le stesse persone che si ergono continuamente a
difesa dei vessilli di libertà e democrazia, ma che poi, nottetempo,
cercano di toglierle a quanti non la pensano come loro vorrebbero.
E, purtroppo, non si tratta di casi isolati: moltissimi, infatti,
sono gli esempi di siriani in Italia che, dopo aver preso parte a
manifestazioni filogovernative ed essersi esposti personalmente senza
paura di esprimere il loro punto di vista, sono poi stati minacciati o
aggrediti telefonicamente o via web da questi “pacifici e democratici”
esponenti della corrente opposta.
Ma questi casi, chissà come mai, non interessano le grandi
associazioni che operano per la difesa dei diritti, le istituzioni e i
media che operano nel nostro territorio. Peccato, perché potrebbero
aiutare ad aprire nuovi spiragli per analizzare in modo più completo e
oggettivo la crisi siriana, o, forse, è proprio questo che si sta
cercando di evitare?
Pierangela Zanzottera
18.08.2012
L’album “A. A. A. Cercasi Shabbiha” c’è ancora sulla pagina del gruppo in questione: https://www.facebook.com/#!/
La polizia postale che fa, dorme?
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