Il Segretario di Stato, John Kerry, abbandona i
suoi alleati. Non ci sarà alcuna consegna di armi decisive ai “ribelli”
in Siria. Assad non sarà rovesciato. Le promesse degli Stati Uniti
impegnano solo quelli che ci hanno creduto.
Di Thierry Meyssan
Lo scorso 13 giugno, il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha annunciato che la linea rossa era stata superata: come dimostravano le prove raccolte dai francesi e dai britannici, la Siria di Bashar al-Assad aveva usato armi chimiche contro il suo popolo: ora ce la vedremo…
Senza attendere, il nuovo comando congiunto delle Forze terrestri della NATO è stato attivato a Izmir (Turchia). La guerra era imminente.
Un mese dopo, la determinazione occidentale è scomparsa. La stampa atlantista scopre con orrore che l’opposizione armata in Siria è composta da fanatici odiati dalla stragrande maggioranza dei siriani, quel che andiamo
dicendo senza sosta da due anni. Nel mentre, sul campo, l’Esercito siriano libero e il Fronte Al-Nosra, invece di combattere contro le truppe di Damasco, si scagliano l’un l’altro in una guerra senza pietà.
Cosa è successo, per poter trasformare la guerra di “liberazione” della Siria in questo vasto disordine? In realtà, nessuna delle poste in gioco è cambiata in un mese: l’Esercito arabo siriano non ha mai usato armi chimiche contro i “ribelli”; e questi non si sono “radicalizzati”. Per contro, il piano USA che ho descritto, per primo, lo scorso novembre, si sta lentamente dispiegando. La tappa di oggi consiste nel mollare l’opposizione armata.
Tutto ciò ci conferma che l’imperialismo anglosassone ha il fiatone. L’applicazione sul campo delle decisioni prese a Washington avviene con estrema lentezza. Questo processo evidenzia la cecità dei media occidentali che ignorano queste decisioni prese fino a quando non si traducano in azioni. Incapaci di analizzare il mondo così com’è, continuano a dare credito alla “comunicazione politica”.
Quindi quel che scrivevo [1], che veniva descritto come “teoria del complotto” da parte della stampa mainstream, le diventa evidente dieci mesi più tardi. Eric Schmitt scrive pudicamente sul New York Times che «i piani dell’amministrazione USA sono molto più limitati di quanto dichiari in pubblico e in privato». [2]. Mentre David Ignatius titola senza mezzi termini sul Washington Post: «I ribelli siriani sono stati “scaricati” da Washington» [3].
Stavano aspettando armi anticarro e hanno ricevuto mortai da 120 millimetri. Gli erano stati promessi aerei, e hanno ricevuto kalashnikov. Le armi arrivano loro in gran numero, ma non per rovesciare Bashar al-Assad, bensì per far sì che si ammazzino tra loro senza che rimanga più nessuno.
E per fugare i dubbi: il direttore della CIA, John Brennan, e il vice presidente, Joe Biden, hanno convinto il Congresso a porte chiuse che non si dovrebbero inviare armi decisive Siria. Contemporaneamente, a Londra, la Camera dei Comuni ha approfittato di questo varco aperto. E a Parigi, Alain Marsaud e Jacques Myard – per altri motivi – tentano di imbarcare l’Assemblea nazionale nello stesso rifiuto occidentale di continuare a sostenere i “ribelli”.
Senza alcuna esitazione, il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che deplorava a dicembre l’iscrizione da parte degli Stati Uniti del Fronte Al-Nosra sulla loro lista internazionale delle organizzazioni terroristiche «perché fanno un buon lavoro sul terreno» (sic), ha chiesto lui stesso all’ONU di metterlo nella lista internazionale delle organizzazioni terroristiche. E Manuel Valls, il ministro degli interni francese, ha dichiarato su France 2 che i francesi che combattono in Siria al fianco dei suoi ex alleati islamisti sarebbero stati arrestati e processati una volta ritornati in Francia.
La Conferenza di Ginevra II, di cui si parla da un anno, si va a delineare. Gli ostacoli principali provenivano dalla Coalizione Nazionale che, sostenuta dal Qatar, esigeva la resa preliminare di Bashar al-Assad, e dai franco-britannici che rifiutavano di vedere l’Arabia Saudita e l’Iran al tavolo dei negoziati.
L’Ayatollah Khamenei ha rimosso dal gioco Ahmadinejad e il suo capo di gabinetto Mashaei, uomini di fede e forsennati anticlericali, per sostituirli con lo sceicco Rouhani, un religioso molto pragmatico. Una volta installatosi come nuovo presidente dell’Iran a fine agosto, dovrebbe accettare di partecipare ai negoziati. Da parte loro, gli anglosassoni hanno rimosso dal gioco il Qatar, il micro-Stato gasiero che hanno usato per coprire l’alleanza tra la NATO e la Fratellanza Musulmana. Hanno affidato la gestione dei “ribelli” in Siria alla sola Arabia Saudita, screditando i “ribelli” internazionali presso la propria stampa. Con o senza re Abdullah, Riyadh dovrebbe ugualmente accettare il negoziato.
Falsa sorpresa: sotto l’impulso del Segretario di Stato John Kerry, l’Autorità palestinese ha accettato di riprendere i negoziati con Israele, anche se quest’ultimo continua la colonizzazione dei territori.
Salvo capovolgimenti inaspettati in Egitto o in Tunisia, non dovrebbe più esserci, da qui a due o tre mesi, grossi ostacoli allo svolgimento di Ginevra II, il “nuovo accordo Sykes-Picot” allargato; dal nome degli accordi segreti attraverso i quali la Francia e il Regno Unito si spartirono il Medio Oriente durante la Prima Guerra Mondiale. Durante questa conferenza, gli Stati Uniti e la Russia si divideranno il Nord Africa e il Levante, a spese della Francia, suddividendo la regione in zone subappaltate ai sauditi (sunniti) o agli iraniani (sciiti ).
Dopo aver costretto l’emiro del Qatar ad abdicare e dopo aver abbandonato i “ribelli” in Siria, Washington sta per ritirare la sua influenza regionale dalle mani del suo fedele alleato, la Francia, che se le è sporcate per due anni per niente. Questa è la legge cinica dell’imperialismo.
[1] “Obama II: la Purga e il Patto“, Rete Voltaire, 27 novembre 2012. “L’ESL continua a brillare come una stella morta“, Rete Voltaire, 26 dicembre 2012. “Obama e Putin si spartiranno il Medio Oriente?“Odnako (Federazione Russa), 26 gennaio 2013.
[2] “No Quick Impact in U.S. Arms Plan for Syria Rebels”, di Mark Mazzetti, Eric Schmitt e Erin Banco, The New York Times, 14 luglio 2013.
[3] “Syrian rebels get ‘the jilt’ from Washington”, di David Ignatius, The Washington Post, 18 luglio 2013.
Fonte
Free your mind
Di Thierry Meyssan
Lo scorso 13 giugno, il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha annunciato che la linea rossa era stata superata: come dimostravano le prove raccolte dai francesi e dai britannici, la Siria di Bashar al-Assad aveva usato armi chimiche contro il suo popolo: ora ce la vedremo…
Senza attendere, il nuovo comando congiunto delle Forze terrestri della NATO è stato attivato a Izmir (Turchia). La guerra era imminente.
Un mese dopo, la determinazione occidentale è scomparsa. La stampa atlantista scopre con orrore che l’opposizione armata in Siria è composta da fanatici odiati dalla stragrande maggioranza dei siriani, quel che andiamo
dicendo senza sosta da due anni. Nel mentre, sul campo, l’Esercito siriano libero e il Fronte Al-Nosra, invece di combattere contro le truppe di Damasco, si scagliano l’un l’altro in una guerra senza pietà.
Cosa è successo, per poter trasformare la guerra di “liberazione” della Siria in questo vasto disordine? In realtà, nessuna delle poste in gioco è cambiata in un mese: l’Esercito arabo siriano non ha mai usato armi chimiche contro i “ribelli”; e questi non si sono “radicalizzati”. Per contro, il piano USA che ho descritto, per primo, lo scorso novembre, si sta lentamente dispiegando. La tappa di oggi consiste nel mollare l’opposizione armata.
Tutto ciò ci conferma che l’imperialismo anglosassone ha il fiatone. L’applicazione sul campo delle decisioni prese a Washington avviene con estrema lentezza. Questo processo evidenzia la cecità dei media occidentali che ignorano queste decisioni prese fino a quando non si traducano in azioni. Incapaci di analizzare il mondo così com’è, continuano a dare credito alla “comunicazione politica”.
Quindi quel che scrivevo [1], che veniva descritto come “teoria del complotto” da parte della stampa mainstream, le diventa evidente dieci mesi più tardi. Eric Schmitt scrive pudicamente sul New York Times che «i piani dell’amministrazione USA sono molto più limitati di quanto dichiari in pubblico e in privato». [2]. Mentre David Ignatius titola senza mezzi termini sul Washington Post: «I ribelli siriani sono stati “scaricati” da Washington» [3].
Stavano aspettando armi anticarro e hanno ricevuto mortai da 120 millimetri. Gli erano stati promessi aerei, e hanno ricevuto kalashnikov. Le armi arrivano loro in gran numero, ma non per rovesciare Bashar al-Assad, bensì per far sì che si ammazzino tra loro senza che rimanga più nessuno.
E per fugare i dubbi: il direttore della CIA, John Brennan, e il vice presidente, Joe Biden, hanno convinto il Congresso a porte chiuse che non si dovrebbero inviare armi decisive Siria. Contemporaneamente, a Londra, la Camera dei Comuni ha approfittato di questo varco aperto. E a Parigi, Alain Marsaud e Jacques Myard – per altri motivi – tentano di imbarcare l’Assemblea nazionale nello stesso rifiuto occidentale di continuare a sostenere i “ribelli”.
Senza alcuna esitazione, il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che deplorava a dicembre l’iscrizione da parte degli Stati Uniti del Fronte Al-Nosra sulla loro lista internazionale delle organizzazioni terroristiche «perché fanno un buon lavoro sul terreno» (sic), ha chiesto lui stesso all’ONU di metterlo nella lista internazionale delle organizzazioni terroristiche. E Manuel Valls, il ministro degli interni francese, ha dichiarato su France 2 che i francesi che combattono in Siria al fianco dei suoi ex alleati islamisti sarebbero stati arrestati e processati una volta ritornati in Francia.
La Conferenza di Ginevra II, di cui si parla da un anno, si va a delineare. Gli ostacoli principali provenivano dalla Coalizione Nazionale che, sostenuta dal Qatar, esigeva la resa preliminare di Bashar al-Assad, e dai franco-britannici che rifiutavano di vedere l’Arabia Saudita e l’Iran al tavolo dei negoziati.
L’Ayatollah Khamenei ha rimosso dal gioco Ahmadinejad e il suo capo di gabinetto Mashaei, uomini di fede e forsennati anticlericali, per sostituirli con lo sceicco Rouhani, un religioso molto pragmatico. Una volta installatosi come nuovo presidente dell’Iran a fine agosto, dovrebbe accettare di partecipare ai negoziati. Da parte loro, gli anglosassoni hanno rimosso dal gioco il Qatar, il micro-Stato gasiero che hanno usato per coprire l’alleanza tra la NATO e la Fratellanza Musulmana. Hanno affidato la gestione dei “ribelli” in Siria alla sola Arabia Saudita, screditando i “ribelli” internazionali presso la propria stampa. Con o senza re Abdullah, Riyadh dovrebbe ugualmente accettare il negoziato.
Falsa sorpresa: sotto l’impulso del Segretario di Stato John Kerry, l’Autorità palestinese ha accettato di riprendere i negoziati con Israele, anche se quest’ultimo continua la colonizzazione dei territori.
Salvo capovolgimenti inaspettati in Egitto o in Tunisia, non dovrebbe più esserci, da qui a due o tre mesi, grossi ostacoli allo svolgimento di Ginevra II, il “nuovo accordo Sykes-Picot” allargato; dal nome degli accordi segreti attraverso i quali la Francia e il Regno Unito si spartirono il Medio Oriente durante la Prima Guerra Mondiale. Durante questa conferenza, gli Stati Uniti e la Russia si divideranno il Nord Africa e il Levante, a spese della Francia, suddividendo la regione in zone subappaltate ai sauditi (sunniti) o agli iraniani (sciiti ).
Dopo aver costretto l’emiro del Qatar ad abdicare e dopo aver abbandonato i “ribelli” in Siria, Washington sta per ritirare la sua influenza regionale dalle mani del suo fedele alleato, la Francia, che se le è sporcate per due anni per niente. Questa è la legge cinica dell’imperialismo.
[1] “Obama II: la Purga e il Patto“, Rete Voltaire, 27 novembre 2012. “L’ESL continua a brillare come una stella morta“, Rete Voltaire, 26 dicembre 2012. “Obama e Putin si spartiranno il Medio Oriente?“Odnako (Federazione Russa), 26 gennaio 2013.
[2] “No Quick Impact in U.S. Arms Plan for Syria Rebels”, di Mark Mazzetti, Eric Schmitt e Erin Banco, The New York Times, 14 luglio 2013.
[3] “Syrian rebels get ‘the jilt’ from Washington”, di David Ignatius, The Washington Post, 18 luglio 2013.
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