Il “coordinamento degli investimenti commerciali transatlantici”: la nuova polpetta avvelenata dell’iperliberismo
Roberto Marchesi - Texas
Stanno cominciando proprio in questi giorni gli incontri bilatelari tra i rappresentanti della Comunità Europea e quelli degli Stati Uniti d’America per dar corso al “Transatlantic Trade Investment Partnership” (T.T.I.P.) cioè accordo trans-atlantico per gli investimenti e gli scambi commerciali, con il quale si prefiggono di abbattere tutte le barriere che impediscono il libero scambio commerciale tra Europa e Stati Uniti d’America, che sono rispettivamente al primo e secondo posto a livello globale in termini di produzione e scambi commerciali.
Dicono che ci sono troppi vincoli, lacci e lacciuoli burocratici e legislativi che impediscono al libero scambio commerciale di sviluppare in pieno tutta la sua potenzialità di cui i produttori dei beni possono oggi disporre grazie alla rapidità dei collegamenti, sia reali che virtuali.
Dicono anche che eliminando tutte le barriere che frenano il flusso di merci e servizi che solcano l’Atlantico da una parte all’altra per un valore che lo scorso anno è stato
valutato in circa un trilione di dollari (cioè mille miliardi) si permetterebbe agli operatori di risparmiare circa 11 miliardi di dollari, consentendo persino di sviluppare un ulteriore flusso di merci e servizi pari a circa 280 miliardi di dollari l’anno.
Così i grandi strateghi dell’economia globale hanno deciso che era venuta l’ora di eliminare il maggior numero possibile di tutta quella inutile zavorra, assimilabile per loro al retaggio dei regimi Austro-Ungarico, Borbonico, e liberare finalmente gli scambi commerciali secondo un processo moderno di completo libero scambio.
Formidabile!
A sentir loro par di vedere quei vecchi films western che si concludevano inesorabilmente con le gloriose giacche blu che arrivavano finalmente a liberare i coraggiosi coloni dai crimini orrendi dei cattivi indiani.
Che non sia proprio del tutto semplice lo ammettono anche loro, quando dicono che l’ideale sarebbe concludere questo accordo entro il 2014, ma non sarà una cosa semplice perchè (come nei film degli indiani) ci sono sempre i “cattivi” che si oppongono ai cambiamenti imposti dalla modernità.
L’importante però, dicono, è non fare la fine del Doha Round (dal nome della localita “Doha” in Qatar, e dal vocabolo “Round”, rotondo, cioè globale) che, cominciato nel 2001 dal WTO (World Trade Organization), non si è ancora concluso oggi, più di dieci anni dopo.
Ad evitare che questo accada ci penseranno Michael Froman, “U.S. Deputy National Security Advisor” cioè responsabile governativo Usa per gli scambi commerciali internazionali e Karel de Gucht, Commissario Europeo preposto a sviluppare questo accordo.
Questo accordo commerciale servirà a far risparmiare un sacco di soldi, soprattutto “burocratici”, agli operatori dei due continenti, dando di conseguenza impulso positivo alle economie dei propri paesi, con riflessi positivi anche sul piano occupazionale, ma insieme ai risparmi ci sono anche altri aspetti per niente positivi da considerare.
Vediamo allora qualcuno degli argomenti che potrebbero entrare in discussione nell’accordo.
Prodotti Agricoli: l’Europa limita l’importazione degli alimenti geneticamente modificati e del pollame sciacquato chimicamente, l’America, no. Questi limiti verrebbero rimossi. Anche i limiti sanitari che interessano il commercio delle carni bovine addizionate con “ractopamine”, un elemento che le rende più tenere, dovrebbe essere rimosso. Ma insieme a quello qualcuno vorrebbe maggiore flessibilità anche nelle regole applicate 10 anni fa, quando l’epidemia della “mucca pazza” costrinse ad eliminare migliaia di capi di bestiame.
Tabacco: I colossi americani Philip Morris e Universal Corp. premono affinchè non vengano, per motivi sanitari, elevati gli standard a tutela della salute.
Trasporti: I trasportatori americani vorrebbero abolire le severe norme che regolano l’accesso dei mezzi commerciali all’interno delle aree urbane.
Brevetti: Gli europei vorrebbero estendere la durata del copyright sui medicinali a 12 anni invece degli attuali 8 (qui la “liberalizzazione” funzionerebbe addirittura al contrario).
Automobli: poichè le regole sulla sicurezza sono differenti nei due continenti, ciò crea grossi problemi alle case automobilistiche che vogliono esportare. Le case premono affinchè il trattato includa l’obbligo per il paese importatore di riconoscere gli standard del paese esportatore.
Privacy: l’Europa vorrebbe espandere i diritti alla privacy nel comparto digitale.
Banche: Gli europei vorrebbero inserire le istituzioni finanziarie nell’accordo, gli americani si oppongono.
E molto altro ancora naturalmente.
Tra le “barriere” che dovrebbero essere eliminate naturalmente c’è anche tutto, o quasi, quello che viene visto come “protezionismo”.
Il commentatore Fred Smith, della rivista Forbes, che si autoproclama paladino del liberismo totale, esprime grande apprezzamento per il T.T.I.P. in quanto “... presenta una grande opportunità per sviluppare la crescita economica globale”, ma avverte di fare attenzione ai politici che, in difesa di interessi corporativi potrebbero opporsi a queste liberalizzazioni (non li nomina espressamente ma è chiaro che si riferisce ai politici europei di ispirazione “socialista”).
Poi, con il massimo dell’ipocrisia, accenna a incensare la globalizzazione che “ha tirato fuori dalla fame centinaia di milioni di individui”, come se non sapessimo che il suo compito è tutelare con i suoi scritti i ricchi d’America, non i morti di fame del Biafra o del Bangla Desh.
Evita inotre accuratamente di citare le stragi che, in quegli stessi paesi, succedono a ripetizione per la mancanza di regole (vedasi su Rinascita del 14 giugno scorso “I crimini della globalizzazione selvaggia” http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21524 ).
Infatti dopo aver esaltato lo spirito di questi accordi pro globalizzazione avverte i mediatori di stare attenti a non commettere gli stessi errori fatti nel NAFTA (North American Free Trade Agreement), quando si inserirono nella discussione sindacalisti e ambientalisti, con i loro interessi, finendo con “annacquare” tutto l’accordo.
Secondo lui questi soggetti devono essere rigidamente tenuti fuori dalla discussione perchè l’accordo deve riguardare solo lo scambio delle merci e dei servizi e non le modalità con cui vengono prodotti.
E invece sarebbe proprio ora che questi accordi di globalizzazione includessero sempre anche la difesa dei risparmiatori dalle speculazioni, quella dei consumatori dalle falsificazioni e dalle imitazioni, la tutela dei lavoratori dallo sfruttamento selvaggio.
16 Luglio 2013 Rinascita
io mi chiedo come la gente continui a storcere il naso quando dico loro quello che sta avvenendo...
RispondiEliminal'euro ci ha resi poveri?
salvare l'euro a tutti i costi
la globalizzazione ha esportato povertà anzichè diritti?
più globalizzazione
gli immigrati abbassano salari e aumentano la disoccupazione italiana?
più immigrati
mi domando e dico : " che hanno nel cervello per non comprendere l'enorme presa in giro???
lelamedispadaccinonero.blogspot.it
Da emigrato all'est, posso solo sperare in una presa di coscienza collettiva ,tardiva ma necessaria, senza la quale la colonia italia finira' ridotta in completa schiavitu' di un sistema che ha gia' reso schiavi un terzo del pianeta. Che lor signori usraelitici si ricordino che ce ne sono ancora due terzi, che hanno poco o niente da perdere, e prima o poi, giustizia sara' fatta.
RispondiElimina@myname
RispondiEliminache le tue parole siano oro...
lelamedispadaccinonero.blogspot.it