giovedì 16 settembre 2010

Quando si leggono statistiche, soprattutto su questioni sensibili come la disoccupazione, tendono a dare un dato nudo e spurio, senza capire un gran che di come arrivano alla percentuale, senza capire niente dell'analisi del campione statistico.
Ecco, questa è un'ottima elaborazione, chissà quando e se mai succederà, di leggerne una ben fatta anche per l'Italia.
Barbara Notav

L'EIR sta conducendo uno studio top-down della vera situazione della forza lavoro americana, dal punto di vista della rilevazione della capacità effettiva di lanciare una ripresa e anche dei fabbisogni urgenti dell'alto numero di disoccupati. I primi rilievi indicano chiaramente che la mancanza di lavoro nell'economia USA è molto peggiore del quadro fornito dalle varie "categorie statistiche di disoccupazione", anche se venissero sommate tra di loro.

Per l'intera popolazione americana, l'accesso all'occupazione – e in modo particolare all'occupazione produttiva e qualificata – è praticamente scomparso sotto i presidenti Bush e Obama. I più colpiti sono gli strati della generazione più giovane, tra 16 e 24 anni d'età. Complessivamente, il tasso di disoccupazione tra l'intera popolazione civile in età lavorativa, tra 16 e 65 anni, è di almeno il 25%, e cioè simile a quello della Grande Depressione che si trovò ad affrontare Franklin Delano Roosevelt alla sua inaugurazione nel 1933.

Nel decennio 2000-2010, il totale della popolazione civile e in buona salute tra i 16 e i 65 anni è aumentato di 24 milioni di persone, raggiungendo la cifra di quasi 228 milioni. Ma il numero totale di non-lavoratori è aumentato di 23 milioni. Inoltre, il numero di persone impiegate in lavori ad orario ridotto – che può significare anche una sola ora di lavoro a settimana con le statistiche ufficiali attuali – è aumentato di 5 milioni. Quindi il numero di persone senza un lavoro a tempo pieno è aumentato di 28 milioni in quel decennio, per arrivare ad un totale di 35 milioni.

Il tasso di occupazione nella popolazione è diminuito dal 64,5% al 58,4%. Il numero di persone escluso dalla forza lavoro è aumentato di 17 milioni, e mentre ci sono sempre milioni di persone che non lavorano per motivi legittimi, la sfida è di capire l'aumento massiccio di quel numero, che equivale a tre quarti dell'intero aumento della popolazione in età lavorativa. E l'altro quarto che rappresenta dei nuovi disoccupati.

Nello stesso decennio, l'uscita dalla produzione ha preso una piega catastrofica: 6,55 milioni di posti di lavoro produttivi sono scomparsi (una perdita del 25%), e 5,45 milioni di posti di lavoro sono stati aggiunti nei servizi.

Nel segmento più giovane della popolazione in età lavorativa, dai 16 ai 24 anni d'età, dal 2000 c'è stato un aumento di 6,6 milioni di individui, mentre il numero di persone escluso dalla forza lavoro è aumentato di 6,5 milioni. Detto semplicemente queste persone non sono mai entrate nella forza lavoro. Questo processo ha visto un'accelerazione dal 2007, che continua tutt'oggi, mentre i lavoratori che hanno più di 50 o 60 anni, e pensavano di andare in pensione, hanno continuato a lavorare causa le condizioni di povertà, e i lavoratori tra i 20-24 anni vengono licenziati.

Tra i teenager di 16-19 anni, l'eliminazione del lavoro è ancora più drammatica. Il tasso di occupazione era di solo il 31,3% a luglio 2010, paragonato al 53,5% nel luglio 1993 e al 54,5% nel luglio 2000. Nell'anno 2000, circa 36% dei teenager erano fuori dalla forza lavoro, una quota salita a circa il 60% nel 2010. In assoluto sono aumentati di 3,5 milioni, e gli occupati sono diminuiti di 1,8 milioni.

Movisol

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