domenica 5 settembre 2010



11 agosto 2010 (MoviSol) – Il seguente rapporto è un prezioso distillato dell’esperienza semestrale di un giovane fisico italiano maturata nel sistema scolastico inglese, il famoso e mirabile modello cui l’Europa ha guardato, sia per determinare i metodi di valutazione degli altri sistemi nazionali, sia per ridurli nelle sue esemplari condizioni.
Il rapporto è di grande monito in quanto, anche indipendentemente dagli “illuminati” coordinamenti internazionali, le riforme scolastiche italiane degli ultimi decenni sono state ispirate al modello anglosassone, compromettendo della nostra esperienza nazionale, non perfetta ma ricca di una sana tradizione pedagogica ormai secolare, proprio quelle caratteristiche che alla preparazione dei nostri scienziati, per esempio, conferivano quel quid in più da tutti invidiato.
Parte del titolo scelto dall’autore punta l’indice sul progetto contro-culturale che, dapprima esterno, si è fatto sempre più interno alla scuola e all’università, tanto che gli stessi operatori della cultura faticano a capire, nella misura in cui ne sono responsabili, le ragioni del proprio fallimento educativo. Hey! Teachers! Leave those kids alone! (Ehi! Insegnanti! Lasciate soli quei bambini!) è il verso conclusivo di una strofa molto nota, che un influente gruppo rock mise in circolo – sì, in circolo come una droga – alla fine degli anni Settanta: in essa si propone l’abolizione del principio stesso dell’educazione, dopo averlo arbitrariamente identificato con il più riduttivo “controllo mentale” o “del pensiero”.
Il lettore troverà in questo rapporto molte prove del fatto che l’apparente liberalità cui sono dediti gli insegnanti e avvezzi gli studenti, è di gran lunga più dannosa della “terribile presunzione” di educare e dell’”autoritarismo” che furono combattuti dai paladini, accademici e non, della contro-cultura, portando a compimento una vera e propria “trasformazione dei valori” che equivale alla negazione non formale, ma sostanziale, del principio costituzionale del sostegno dei capaci e meritevoli fino ai più alti gradi degli studi (art. 34). Assistiamo, infatti, all’impiego di enormi risorse nazionali nel mantenimento [1] [1] di sistemi educativi che, stravolti nella loro essenza da questa moderna forma di sofismo, portano agli stessi risultati che si avevano prima che fossero introdotti: l’analfabetismo delle masse e loro conseguente esclusione dai processi politici che le riguardano. La sola differenza è che l’ignoranza è ora accompagnata da diplomi.
Se pubblichiamo questo documento è anche perché la scuola italiana non è molto lontana dai risultati che vi vengono descritti. Come nel caso della crisi delle banche, il caso italiano risulta relativamente più sano soltanto perché nel processo osservato il nostro Paese è rimasto più indietro: ancora, le nostre scuole non hanno una lavagna interattiva in ogni aula, ma le condizioni di lavoro e la bassa considerazione (non sempre ingiustificata) di cui godono gli insegnanti attestano la tendenza. Dopotutto la “libertà dell’insegnamento” interpretata in dissociazione dalla sua conduzione secondo “scienza e coscienza” non può produrre maestri ma soltanto burocrati, chiamati ad esporre lezioni preconfezionate e a valutare gli studenti con questionari preparati da altri.
Hey Teacher, leave those kids alone:
La scuola inglese vista da un insegnante italiano
Look at those big, isolated clumps of buildings [...]”
“The board-schools.”
“Light-houses, my boy! Beacons of the future!
Capsules with hundreds of bright little seeds, in each,
out of which will spring the wiser, better England of the future.”
(Conan Doyle, Memoirs of Sherlock Holmes)
Quelle che seguono sono le vicissitudini di sei mesi di insegnamento nel West Yorkshire da parte di un insegnante italiano, spaziando da esperienze di 2 mesi fino a singole giornate saltuarie in più di 20 scuole secondarie diverse.
La mattina tipica del supplente inglese inizia con una telefonata. Una o più agenzie private chiamano tra le sette e le otto per offrire un incarico, giornaliero o settimanale: quasi sempre giornaliero. Le scuole non sono quasi mai le stesse e in genere ti chiedono di raggiungerle in poco più di mezz’ora. Ricordarsi di portare un documento di identità e un certificato recente che attesti una fedina penale immacolata, da esibire su richiesta. Sarà forse quest’ultimo dettaglio, sarà forse per il reticolato, le mura di cinta e le porte elettroniche o per le guardie nerborute con trasmittente in ogni corridoio, ma non appena entri in una di queste scuole ti si forma subito nella mente l’immagine di una prigione.
La responsabile delle supplenze ti accompagna in classe consegnandoti un opuscolo illustrativo con le regole per reprimere l’eventuale comportamento scorretto. La punizione peggiore è la
“detention” con la quale lo studente è costretto a rimanere insieme ad un insegnante per un’ora dopo l’orario scolastico. Ma ci sono anche le “inclusions” o le “exclusions” dove gli indisciplinati rimangono durante la mattina in consegna in una piccola stanzetta con gabbiotti separati, un insegnante guardiano e una porta con serratura a combinazione.
L’idea platonica di prigione si riaffaccia sempre più prepotentemente.
Ma torniamo alla descrizione della giornata media.
Quando entri in aula devi cercare le istruzioni sul lavoro da far fare in quell’ora.
Quando si tratta di incarichi giornalieri non è richiesto insegnamento attivo, anche perché può riguardare una qualunque materia, da educazione fisica a tedesco, religione o disegno industriale.
Il compito del supplente (in questo caso detto
“cover supervisor”) è solo di vigilare, raccogliere l’eventuale lavoro alla fine (i worksheet) e accertarsi dell’incolumità dei ragazzi.
Essi ti aspettano nelle loro uniformi d’ordinanza: ogni scuola ha i suoi colori.
Vogliono sapere il tuo nome, magari da dove vieni, poi non interessa niente altro.
Nella stragrande maggioranza dei casi, gli alunni usano i
worksheet per fare aereoplanini, ti chiedono carta e penne o altro materiale, che la scuola fornisce in grandi quantità, per poi distruggerle o lanciarsele contro. “Che spreco”, penso io guardando il pavimento, ma d’altronde anche le strade sono piene di spazzatura.
Se ti metti in mezzo al lancio delle matite, oltre a colpirti ti insultano. Sanno benissimo che nessuno controllerà il loro eventuale lavoro e dunque perché farlo?
I più tranquilli scrivono
sms o vanno su facebook.Ora qui conviene aprire una parentesi sul concetto di supplente e sulla sua figura in Italia.
Da che mondo è mondo, anche in Italia, nessuno si fila la supplente, a meno che non sia carina ma anche in questo caso la situazione non cambia di molto.
Esistono però due importanti differenze rispetto all’Inghilterra: i voti e le note.
Ogni supplente italiano può dare voti, interrogare, elargire degli otto o delle insufficienze. Nelle scuole inglesi non ci sono interrogazioni orali, sono previsti pochissimi test in un anno e solo indicativi, non pregiudicanti il passaggio all’anno successivo.
Un supplente italiano può dare note o mandare dal preside.
In linea di principio anche i supplenti inglesi possono scrivere note sul
“planner” o assegnare punizioni. Dopo un certo numero di “detenzioni” lo studente rischia la sospensione o addirittura l’allontanamento.
Il problema è che è tutta e solo teoria. Nella realtà gli studenti possono anche non fermarsi alle
detention, se i genitori non vogliono e poi esistono infiniti cavilli, diversi da scuola a scuola.
Ad esempio, per riprendere qualcuno devi scriverne il nome sulla lavagna: ma attenzione, devi conoscerlo il suo nome e scriverlo correttamente anche quando tu sia in una scuola nuova (e in genere non rivedi mai due volte la stessa classe).
Poi devi scandire bene le parole “
verbal warning numero uno” e così via fino a quattro. Altrimenti non è valido: quasi sicuramente il suddetto non subirà alcune punizione. Se poi riesci a seguire tutta la procedura e alla fine lo inviti ad andare in una altra aula, ma per disgrazia gli tocchi la spalla mentre gli apri la porta, allora ha vinto lui.
Alla tua agenzia verrà chiesto di mandare qualcuno d’altro perché probabilmente non sai che gli studenti possono reclamare se vengono sfiorati e tu magari perdi due giorni di lavoro ben pagati.
Un collega inglese con 20 anni di esperienza mi ha raccontato il seguente episodio illuminante in merito: un ragazzo era molto aggressivo, l’insegnante si avvicina e il ragazzo replica: “toccami, così potrò querelarti e portarti via tutti i soldi che hai guadagnato nella tua vita”.
Durante una mia ora vedo un pallone da rugby volare attraverso la stanza. Due ragazzi se lo passano e quando mi alzo per sequestrarlo uno di loro lo mette nello zaino e dice: “Gli insegnanti non possono aprire le nostre borse.” Poi torno alla cattedra e lui lo ritira fuori.
Una cosa la studiano di sicuro: le righe piccole del regolamento.
Mi è capitato spesso, in scuole in cui non ero mai stato, di essere oggetto di scherno nei corridoi: gli appellativi più comuni erano “Harry Potter” forse per i miei occhiali o capelli e “Borat” per il mio aspetto non britannico ma piuttosto latino. Ricordo poi un caso in cui venni colpito dal lancio di una bottiglia di plastica e un altro in cui diverse piccole, deliziose, pesti presero a calci il paraurti della mia auto con me dentro. Ma si sa che il calcio è molto considerato qui in Britannia. Non conoscendo il loro nome, nessuno di loro è stato rimproverato. Il supplente, insomma, è disarmato o quasi: il branco di ragazzi in uniforme lo sa e cerca di sfogare un po’ di rabbia repressa.
Se esasperato chiedi aiuto a qualche collega questo inviterà qualcuno dei ragazzi ad annodarsi meglio la cravatta. Salviamo l’apparenza, innanzitutto. Io gli dico che nessuno lavora e lo stato del pavimento parla da solo e lui ti risponde: “Certo, certo” e invita uno dei ragazzi a togliersi la felpa in classe, come dice il regolamento.
Quanto alle note sul diario, chi mai le leggerà? I genitori qui sono entità leggendarie, inesistenti, non si vedono fuori da scuola, non vengono ai colloqui, se vengono non sono alleati degli insegnanti. Spesso non ci sono nemmeno poi tanti genitori a casa: questo è il paese dei genitori singoli. In un libro di testo di francese, capitatomi per le mani, c’era scritto: “per i francesi la famiglia è molto importante, tanto è che mangiano spesso insieme. Che cosa ne pensi? piacerebbe anche a te?” Qualcosa vorrà dire.
Le scuole cattoliche in genere sono ben viste perché pare che le famiglie seguano di più i figli.
Riassumendo finora, il lavoro ipotetico durante la supplenza di solito è tempo e materiale sprecato, gli studenti lo sanno e la scuola anche. Questo anche perché i supplenti “giornalieri” non sono tenuti ad essere esperti della materia: ci tornerò su dopo perché c’e’ un motivo economico dietro questo. La disciplina è molto povera rispetto agli standard italiani e a quelli di altri paesi. Il livello deve essersi abbassato anche rispetto al passato a sentire le voci in giro, tanto che uno degli slogan della recente campagna elettorale era “Ripristiniamo la disciplina nelle scuole”. Basti dire che chi l’ha usato ora è al governo.
Sono disponibili diverse statistiche in merito ma preferisco riportare ciò che ho visto e sentito. Il bullismo qui è all’ordine del giorno e molto spesso emerge dalla cronaca locale o nazionale. Pochi giorni prima di scrivere questo articolo un ragazzino è stato ucciso a calci e pugni davanti ad una scuola nel sud di Londra. Un anno prima, nella scuola in cui ho insegnato negli ultimi due mesi, uno studente è stato ferito con un coltello da un altro. Il colpevole era stanco di essere vittima ripetuta di bullismo e gli insegnanti lo sapevano. Si vedono continuamente i ragazzi menarsi nei corridoi ma gli insegnanti non sembrano curarsene, d’altronde non possono toccarli: è compito dei guardiani nerboruti separarli, altrimenti perché sceglierli così grossi?
Spesso qui sento dire che la disciplina in una scuola dipende dal preside.
È difficile per me stabilirlo dato che in un anno di presidi non ne ho conosciuto nemmeno uno.
Questo probabilmente è legato ad un loro concetto di gerarchia che preferirei introdurre parlando delle sale insegnanti.
Le sale professori, come altri luoghi, hanno le loro regole non scritte.
Apparentemente tutte le sedie sono uguali ma non è così.
Gli insegnanti di sostegno siedono tutti in una certa zona, i supplenti in un’altra, gli insegnanti di ruolo in un’altra ancora. Nessuno parla o interagisce al di fuori di tali gruppi. Una volta, in una sala professori, mi è capitato di fare due chiacchiere con una insegnante francese di ruolo. Ad un certo punto si è guardata attorno e mi ha detto: “vieni spostiamoci perché sei seduto al posto di un altro… cioè, non è che il posto sia davvero suo, ma…”. Il messaggio era chiaro. Comunque, per sicurezza fra noi stavamo comunicando in francese.
Spesso capita che i docenti di matematica non parlino con quelli di storia. Il motivo secondo alcuni è che ognuno passa molto tempo in edifici diversi (quello di scienze è separato da quello di lingue e così via) e dunque non ci si conosce molto al di là della propria cerchia.
Sarà anche così.
Tanto quando sei un supplente nessuno ti rivolge la parola e se lo fanno sono molto altezzosi. A meno che non scoprano che sono un docente qualificato come loro e che ho anche un dottorato di ricerca in fisica teorica.
A quel punto mi chiedono persino come mi chiamo.
I supplenti da una giornata, infatti, non sono necessariamente abilitati, né per forza laureati. Anche per questo vengono pagati la metà di un insegnante: £70 invece che £150 al giorno, meno il 20% di tasse e la quota dell’agenzia. Alla fine le due paghe nette sono circa £50 e £90 al giorno.
Questo è un punto importante perché spiega come mai sia stata introdotta recentemente questa figura del “cover supervisor”: per far risparmiare le scuole. Quando un docente si assenta per meno di tre giorni si può ricorrere a tale espediente altrimenti si deve cercare un docente abilitato in quella materia.
Mi è capitato spesso di incontrare classi che cambiavano continuamente insegnante (e in genere erano le peggiori). Prima di trovare un incarico fisso ho quasi sempre fatto il supplente giornaliero. Ho lavorato per mesi e mesi, tutti i giorni, a volte ricevendo più telefonate da agenzie diverse.
Il numero delle assenze non è di sicuro basso, sebbene Leeds non sia certo Londra. E ogni volta, dal registro alla reception e dall’angolo dei supplenti in sala professori notavo un folto numero di supplenti come me. Il numero delle agenzie private che offrono questi servizi si conta in decine. Secondi alcuni colleghi il motivo dietro a tutte queste assenze è legato all’insoddisfazione, allo stress o alla disciplina. Forse anche il rigido clima dello Yorkshire avrà il suo peso, io non saprei. Però potrei raccontare come io abbia avuto il mio incarico per il
summer term. Un insegnante di fisica abbastanza giovane, membro permanente e ben voluto, rimprovera un ragazzo nel corridoio per qualcosa che ha fatto. Quest’ultimo reclama con la scuola dicendo che gli è stato rivolto un insulto a sfondo razziale. Non ci sono testimoni ma viene aperta comunque un’inchiesta sul professore: forse per il suo temperamento irlandese o per motivi pregressi, il docente decide di licenziarsi da sé.
Si vede che aveva visto “In nome del Padre” una volta di troppo.
Questo episodio mi permette di introdurre il tema razziale e sociale.
Gli Inglesi amano molto il calcio e come nel campionato ci sono le scuole di serie A, B, C, D e via con l’alfabeto; e si sa che l’iscrizione alla serie A costa più della B.
Sono stato in una di quelle scuole delle lettere più avanti e il 90% dei ragazzi era di colore e così gli insegnanti e i guardiani nerboruti. Quel che ho trovato? Studenti e colleghi più gentili del solito. Una vecchia pachistana mi ha regalato una copia del corano: mi ricordava un po’ mia nonna. Ci sono scuole di elite e scuole ghetto. Forse non solo le scuole: vivo da un anno in questo paese e non ho mai visto un tassista bianco, un gelataio biondo o un benzinaio non indiano. Non ci sono le caste, almeno non esplicitamente, ma forse ognuno ha il suo posto, come in sala professori.
Sono tutti così attenti al
politically correct da farmi venire qualche sospetto.
Come si spiega l’auto con me dentro, rigata al grido di
“f***ing muslim” da parte di un gruppetto di ragazzini tredicenni in centro città? (e sono un bianco caucasico, ahimè con barba e capelli neri), gli insulti tra compagni di classe “Ebreo”? Tutta colpa del partito neofascista BNP ?
Nel calcio almeno gli stranieri sono apprezzati, a patto di fare goal.
Tornando alle quote di iscrizione, nelle scuole statali non si paga ma per una “scuola decente” si va dalle 4 alle 14mila sterline all’anno. Almeno stando a quanto ti dicono. Li varrà?
Le scuole inglesi rispetto alle italiane sono come l’Enterprise rispetto alla Zattera della Medusa.
In ogni aula ci sono lavagne multimediali con proiettori e connessioni internet, portatili per gli studenti, libri di testo e banchi di laboratorio ben attrezzati. Manca il Signor Spock ma la fantascienza c’è tutta. In Italia, invece, andiamo lentamente alla deriva e finiremo per divorarci tra di noi. Nelle materie scientifiche si fanno moltissime dimostrazioni pratiche. Ogni singolo concetto è ancorato a esempi e applicazioni tecnologiche. Chi ne ha voglia può imparare molte cose.
Il problema è che non ci sono le interrogazioni orali e i test sono solo indicativi. Gli studenti tendono a non studiare: d’altronde i libri di testo sono collettivi e rimangono a scuola, dove studiano? Tutto viene rimandato al momento della
“revision”, un ripasso da fare con l’aiuto di libri appositi, insegnanti privati e soprattutto di programmi online: un po’ come per i quiz della patente, insomma.
Nella scuola dove ho potuto davvero insegnare fisica ho avuto anche delle ottime classi. In particolare gli studenti di
A-Level (16-18 anni): si trasformano, diventano brillanti e interessati come fossero all’università. D’altronde è un po’ come se lo fossero: piccoli gruppetti da 6 o 10 di gente che ha scelto quei corsi. Il primo esame importante, infatti, lo hanno a 16 anni, il GCSE; poi possono fare corsi per andare subito a lavorare oppure scegliere due o tre materie e studiare solo quelle per due anni, l’A-Level, (tipo la maturità italiana o l’Abitur tedesca.)
Questi esami non li fa la scuola ma compagnie private che stampano i libri e sono responsabili dei programmi ufficiali. L’esame consiste in questionari prestampati in cui scrivere le risposte: c’è un lungo elenco di domande già pronte e solo rimescolate di volta in volta, con pochissimo spazio per l’astrazione o l’approfondimento.
A volte ho avuto anche l’impressione che alcune domande volessero come “pilotare” le opinioni degli studenti.
In mezzo a esercizi sulla gravità e il moto dei pianeti ne ricordo una che chiedeva: “Immagina che il governo voglia costruire una base sulla Luna con un telescopio per fare nuove scoperte, ma che la gente protesti perché con tutti quei soldi si potrebbero migliorare le condizioni di vita dei più poveri: scrivi un argomento a favore e uno contro.”
Quello contro era già nel testo, dunque ti bastava imparare quello pro. Forse sono troppo sospettoso, comunque su 14 domande in media da 2 punti questa ne valeva 5.
Con tutti i suoi difetti, il bagaglio culturale della “zattera” italiana mi sembra di maggior spessore. Poi magari si imbarca acqua e si affonda nei test internazionali, dove l’Italia è 37esima e la Gran Bretagna 14esima. Forse anche perché queste prove somigliano più ai quiz con cui si allenano gli studenti britannici, chi lo sa?
L’insegnamento, infatti, mi sembra molto standardizzato: ogni scuola ha un pacco di presentazioni
powerpoint già pronte da proiettare e fogli di lavoro da stampare e distribuire. Le lezioni più che essere preparate possono essere semplicemente “scelte”.
Lo stipendio degli insegnanti è quasi il doppio che in Italia eppure il numero di ore di lavoro è lo stesso e il costo della vita forse anche più basso. Il problema dei precari non esiste: se una scuola ti assume, sei permanente. D’altra parte esiste un controllo qualità: commissioni di ispettori che ogni tot anni vengono per un giorno o una settimana e possono anche farla chiudere se non va bene.
Io non ero un ispettore e dunque osservavo una tranquilla normalità. Si sprecano molte risorse e potenzialità.
A volte ho avuto l’impressione che si cercasse solo di far passare il tempo. Spesso assegnano dei lavori completabili in pochi minuti con un poster o un copia e incolla e per il resto dell’ora li lasciano liberi di giocare al computer o andare su facebook, ascoltare musica o guardare un video su youtube. È una cosa quotidiana, ordinaria.”Perché li lasciate giocare?” ho chiesto una volta, incuriosito, ad un collega. “Aiuta la loro concentrazione” mi ha risposto, probabilmente credendoci. Anche io credo che giocando si impari, ma questa è un’altra cosa. Poi vedendo alcuni ragazzini intenti a uccidere civili da un elicottero, in un simulatore terribilmente realistico, aggiungo: “Ma perché permettete un gioco come questo?” “Ah sì, forse è vietato ai minori, ma tanto i genitori li comprano loro ai figli…”
Non tutti si portano penne o quaderni dietro, ma il telefonino e l’
ipod non mancano mai. La playstation avanza di due caselle e mangia il computer di scuola. Le insegnanti si arroccano temporaneamente nella staff room, temendo lo scacco. I pedoni guardano lo schermo condividendo cuffiette stereo.
Mi avvicino ai ragazzi per scambiare due chiacchiere, mentre mitragliano allegri e concentrati.
Uno di loro mi dice: “Da grande voglio fare il soldato in Iraq”.
Non credo sappia dove sia l’Iraq, ma l’importante è che nessuno educato a Eaton, o altrove, un giorno ce lo mandi.
La partita continua.
Davide Maimonide

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