Fa un certo effetto vedere «Italy» in cima alla lista dei paesi oggetto di interesse da parte di chi opera e specula in Credit Default Swaps (Cds), i derivati finanziari che dovrebbero fungere da assicurazione contro i fallimenti.
Erano diventati noti nel mezzo della crisi greca, quando si temeva il default dei debiti sovrani ellenici. Allora, per garantirsi da questo rischio, un contratto quinquennale Cds sui bond di Atene per un valore di 10 milioni di euro costava a giugno 970 punti, cioè 970.000 euro all'anno. A marzo erano 300 punti. Oggi, dopo il salvataggio europeo della Grecia e la creazione di un fondo speciale d'intervento Eu per 750 miliardi di dollari, un simile Cds sui bond greci si paga ancora quasi 850.000 euro. È come un termometro che si può manomettere alterando la temperatura.
L'ultimo rapporto ufficiale della International swaps and derivatives association (ISDA) indica che sull'Italia vi sono Cds per un valore nozionale di 242, 6 miliardi di dollari. E i punti base del costo sono intorno ai 240. Mentre a marzo 2009 erano 158, saliti già a 220 nel turbolento marzo scorso.
Il secondo paese europeo sulla lista, dopo l'Italia, è la Spagna, con Cds per un valore nozionale di 113 miliardi di dollari. Dai bollettini si può notare che i costi per i Cds sono in costante crescita sia per l'Italia che per la media europea. Dai dati risulta anche che i maggiori operatori ribassisti sul debito italiano sono 4 grandi hedge fund americani, tra cui spicca quello di Soros.
Ricordiamo che nel 1992 il finanziere speculatore George Soros, per sua stessa ammissione, scommise enormi somme sul collasso dell'allora sistema monetario europeo e di alcune monete, tra cui la lira, provocando sia la fine dell'accordo monetario che una gigantesca svalutazione della nostra moneta.
Dai resoconti dell'Isda si evince anche che banche e corporation americane e città e stati degli Usa sono menzionati nella lista per valori paragonabili a quelli di grandi paesi. Contro il pericolo di default della JP Morgan Bank, per esempio, ci sono Cds per 84 miliardi di dollari. Vi sono poi decine di miliardi di Cds sul rischio insolvenza dei residential mortgage-backed securities (Mbs), i famigerati titoli tossici legati ai mutui subprime. Si scopre che i costi dei Cds per la California sono superiori a quelli del Portogallo. Per assicurasi contro l'eventuale collasso dello stato dell'Illinois bisogna pagare più che per l'Irlanda. Assicurare il debito di New York costa più che per l'Italia.
Ciò deve indurre a riflessioni più attente. Siamo certamente in una grave crisi globale che attanaglia tutti, Europa compresa. Non possiamo nascondere il grave problema del debito pubblico europeo, ne tanto meno quello dell'Italia che si avvicina al 120% del Pil. Nondimeno, a differenza dal debito americano, quello europeo e italiano è stato fino ad oggi in gran parte coperto dai risparmi dei cittadini, che comprano Bot o Cct. Il crescente debito pubblico e privato americano, invece, dipende da investitori internazionali, come la Cina, oppure dagli acquisti fatti dalle banche americane con i prestiti concessi dalla stessa Federal Reserve a tasso zero.
Infatti, a livello mondiale oltre il 40% di tutti i titoli in scadenza sono americani. Per immaginare le dimensioni globali si consideri che soltanto il sistema bancario europeo, secondo uno studio della Deutsche Bank, ha titoli di debito in circolazione per circa 5.000 miliardi di euro, di cui più di 1.500 miliardi in scadenza entro il 2012. Ecco perché gli hedge fund americani, legati alle grandi banche, hanno buon gioco a speculare contro l'Europa! Di conseguenza, alzare il rischio Europa inevitabilmente comporta lo spostamento degli investitori verso altri lidi. Quando la coperta è corta, bisogna fare attenzione se qualcuno, di nascosto, la tira dalla sua parte.
Occorre inoltre ricordare che, poiché le operazioni in derivati «nudi» e short (al ribasso) sono a tutt'oggi permesse, gli speculatori possono comprare contratti Cds su titoli che non possiedono, scommettendo sul loro deterioramento finanziario. Facendo salire progressivamente i costi dell'assicurazione contro il fallimento, possono lucrare sulla differenza.
Ecco perché i governi, in primis quelli europei, sulla questione dei titoli di debito, dei Cds e degli hedge fund speculativi non possono essere molli, lenti o peggio accondiscendenti. Ne va della sopravivenza degli stessi stati e del benessere della collettività.
Urge l'immediata entrata in funzione delle nuove recenti autorità europee di vigilanza. Così come impellenti sono le regole su derivati Otc, short selling, hedge fund, e altri rilevanti questioni finanziarie su cui la Commissione Ue è chiamata prossimamente a decidere. Auspichiamo che anche il governo italiano sia più deciso in merito. L'Italia ha il dovere di impegnarsi in sede europea con maggiore convinzione. Procrastinare l'intervento per lasciare le cose come stanno, cioè senza regole, sarebbe un segno di debolezza e un invito agli speculatori ad affondare la lama nel cuore dell'Europa.
Mario Lettieri Paolo Raimondi
19.09.2010
Erano diventati noti nel mezzo della crisi greca, quando si temeva il default dei debiti sovrani ellenici. Allora, per garantirsi da questo rischio, un contratto quinquennale Cds sui bond di Atene per un valore di 10 milioni di euro costava a giugno 970 punti, cioè 970.000 euro all'anno. A marzo erano 300 punti. Oggi, dopo il salvataggio europeo della Grecia e la creazione di un fondo speciale d'intervento Eu per 750 miliardi di dollari, un simile Cds sui bond greci si paga ancora quasi 850.000 euro. È come un termometro che si può manomettere alterando la temperatura.
L'ultimo rapporto ufficiale della International swaps and derivatives association (ISDA) indica che sull'Italia vi sono Cds per un valore nozionale di 242, 6 miliardi di dollari. E i punti base del costo sono intorno ai 240. Mentre a marzo 2009 erano 158, saliti già a 220 nel turbolento marzo scorso.
Il secondo paese europeo sulla lista, dopo l'Italia, è la Spagna, con Cds per un valore nozionale di 113 miliardi di dollari. Dai bollettini si può notare che i costi per i Cds sono in costante crescita sia per l'Italia che per la media europea. Dai dati risulta anche che i maggiori operatori ribassisti sul debito italiano sono 4 grandi hedge fund americani, tra cui spicca quello di Soros.
Ricordiamo che nel 1992 il finanziere speculatore George Soros, per sua stessa ammissione, scommise enormi somme sul collasso dell'allora sistema monetario europeo e di alcune monete, tra cui la lira, provocando sia la fine dell'accordo monetario che una gigantesca svalutazione della nostra moneta.
Dai resoconti dell'Isda si evince anche che banche e corporation americane e città e stati degli Usa sono menzionati nella lista per valori paragonabili a quelli di grandi paesi. Contro il pericolo di default della JP Morgan Bank, per esempio, ci sono Cds per 84 miliardi di dollari. Vi sono poi decine di miliardi di Cds sul rischio insolvenza dei residential mortgage-backed securities (Mbs), i famigerati titoli tossici legati ai mutui subprime. Si scopre che i costi dei Cds per la California sono superiori a quelli del Portogallo. Per assicurasi contro l'eventuale collasso dello stato dell'Illinois bisogna pagare più che per l'Irlanda. Assicurare il debito di New York costa più che per l'Italia.
Ciò deve indurre a riflessioni più attente. Siamo certamente in una grave crisi globale che attanaglia tutti, Europa compresa. Non possiamo nascondere il grave problema del debito pubblico europeo, ne tanto meno quello dell'Italia che si avvicina al 120% del Pil. Nondimeno, a differenza dal debito americano, quello europeo e italiano è stato fino ad oggi in gran parte coperto dai risparmi dei cittadini, che comprano Bot o Cct. Il crescente debito pubblico e privato americano, invece, dipende da investitori internazionali, come la Cina, oppure dagli acquisti fatti dalle banche americane con i prestiti concessi dalla stessa Federal Reserve a tasso zero.
Infatti, a livello mondiale oltre il 40% di tutti i titoli in scadenza sono americani. Per immaginare le dimensioni globali si consideri che soltanto il sistema bancario europeo, secondo uno studio della Deutsche Bank, ha titoli di debito in circolazione per circa 5.000 miliardi di euro, di cui più di 1.500 miliardi in scadenza entro il 2012. Ecco perché gli hedge fund americani, legati alle grandi banche, hanno buon gioco a speculare contro l'Europa! Di conseguenza, alzare il rischio Europa inevitabilmente comporta lo spostamento degli investitori verso altri lidi. Quando la coperta è corta, bisogna fare attenzione se qualcuno, di nascosto, la tira dalla sua parte.
Occorre inoltre ricordare che, poiché le operazioni in derivati «nudi» e short (al ribasso) sono a tutt'oggi permesse, gli speculatori possono comprare contratti Cds su titoli che non possiedono, scommettendo sul loro deterioramento finanziario. Facendo salire progressivamente i costi dell'assicurazione contro il fallimento, possono lucrare sulla differenza.
Ecco perché i governi, in primis quelli europei, sulla questione dei titoli di debito, dei Cds e degli hedge fund speculativi non possono essere molli, lenti o peggio accondiscendenti. Ne va della sopravivenza degli stessi stati e del benessere della collettività.
Urge l'immediata entrata in funzione delle nuove recenti autorità europee di vigilanza. Così come impellenti sono le regole su derivati Otc, short selling, hedge fund, e altri rilevanti questioni finanziarie su cui la Commissione Ue è chiamata prossimamente a decidere. Auspichiamo che anche il governo italiano sia più deciso in merito. L'Italia ha il dovere di impegnarsi in sede europea con maggiore convinzione. Procrastinare l'intervento per lasciare le cose come stanno, cioè senza regole, sarebbe un segno di debolezza e un invito agli speculatori ad affondare la lama nel cuore dell'Europa.
Mario Lettieri Paolo Raimondi
19.09.2010
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