lunedì 23 dicembre 2013

Chissà da che parte sta certa gente che esulta per l'ipotetico flop del movimento 9 dicembre in piazza a Roma. Fingono di contestare il potere esercitato dall'1% ma poi l'ira e l'astio si scatenano e si limitano alle diatribe fra destra/sinistra. Beati loro che non sanno cosa vuol dire perdere la casa ed il lavoro, con chi mai potrebbero stare se non "capiscono cosa vogliono i forconi"? Se arrivano perfino a negare l'evidenza della piazza  del movimento 9 dicembre, pur di difendere chi ci ha portato alla miseria, tutti quanti, probabilmente loro esclusi. Naturalmente la sinistra, l'intellighenzia con questo sfacelo che ogni giorno costa suicidi e drammi familiari come gli sfratti, non ha niente a che fare. Come un Cremaschi la cui unica preoccupazione risulta come gestire il disagio, insieme ai sindacati che critica ma nei quali ha fatto carriera. Non è la miseria che dilaga il dramma, ma la tragedia per i lacché del regime è che la gente possa fidarsi di soggetti diversi da quelli che ci hanno condotto fin qui. Queste poche righe ben condensano la situazione in cui tutti i partiti ed i loro cortigiani, soprattutto i cosiddetti moralizzatori del politically correct che urlano vergogna per le docce anti scabbia nel CIE (gestione coop rossa) mentre non ritengono vergognosa la tragica ed infinita lista di chi si toglie la vita perché caduto nell'indigenza. In milioni hanno risposto ai blocchi, persone che sentono vicina l'impossibilità di sopravvivere, ma non conta per i moralizzatori al caviale. Conta sapere se sono di destra o di sinistra, ma soprattutto è importante essere sicuri che non mettano in pericolo I PRIVILEGI che consentono a tutta l'elite di vivere da nababbi proprio a spese dei milioni di cui sopra. A quanto pare, se la rivoluzione non si può fare per presunte infiltrazioni estremiste, secondo teoremi della sinistra, allora si deve presumere che il disagio stia molto bene alla parte moralmente superiore e che la disperazione debba essere per forza di destra?
Barbara

Le catene si stringono. L`Italia nel vortice di un falso ”debito pubblico”
20 dic 2013 - di Fabrizio Fiorini -  L`Italia nel vortice di un falso ”debito pubblico” Come si chiama quel bicchiere che più lo si svuota e più si riempie? Nessuno alza la mano? Bene, ecco la risposta: è il “debito pubblico”. O almeno, così vorrebbero farci credere i governi della fame che si sono susseguiti, nel corso degli ultimi anni, all’amministrazione della colonia italica.

Quel debito pubblico sul cui altare, quotidianamente, sacrifichiamo pezzi di sovranità e in base al quale regoliamo l’agenda politica di una nazione costretta, peraltro,  a dover passare sotto le forche caudine dei meccanismi di controllo (“stabilità”, la chiamano) dell’Ue. Quel debito pubblico che, a detta dei politicanti (e a rigor di logica) dovrebbe ridursi diminuendo la spesa pubblica o aumentando le entrate fiscali. I tagli alla spesa pubblica sono oramai all’ordine del giorno: la sanità pubblica è in ginocchio (è di oggi la notizia del taglio di 1500 posti letto ospedalieri nella sola regione Sicilia), nella scuola pubblica si fa fatica a garantire la mera retribuzione del personale docente e non docente. I consulenti del Fmi, cui il governo Letta ha spalancato le porte, stroncano sul nascere ogni entusiasmo di facciata del Ministero dell’economia: occorre tagliare, flessibilizzare, contenere la spesa. Se sul fronte delle dismissioni dello Stato sociale siamo oramai al bollettino di guerra, sul fronte delle imposizioni fiscali non va così meglio. Nel girone dantesco dell’arzigogolo burocratico e delle mille sigle (Tares, Tasi, Tari, Iuc), non si contano più le attività commerciali e artigianali costrette alla chiusura e i cittadini e le famiglie condannate alla disperazione o al suicidio per insolvenza. Meno spese, più entrate, vincoli di bilancio. E il debito pubblico, invece che diminuire, incrementa. In un solo mese, da settembre a ottobre, secondo i dati statistici comunicati dalla stessa Banca d’Italia, di ben 18 miliardi, toccando la irrazionale cifra di 2085 miliardi di euro. Ci sarà a Roma un maestro di algebra capace di spiegarci il perché. Ci sarà qualcuno che non penserà di risolvere il problema restituendo due milioni di euro di indennità parlamentari (lo 0,001% dell’incremento mensile della nostra situazione debitoria). Ci sarà qualcuno che ricordi che “pagare un debito di moneta con altra moneta emessa a debito è impossibile” .  Occorre, sì, riprenderci il futuro, come in tanti hanno urlato in questi giorni nelle piazze: ma non sarà possibile senza riappropriarci innanzitutto della nostra moneta, spezzando definitivamente i tentacoli alla piovra bancaria. Era scritto su uno striscione oggi in piazza: “il Sole non sorge a Bruxelles”.

Fonte: Rinascita

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