venerdì 11 aprile 2014

In fondo, il tasso di occupazione è "solo" del 55,2% se ne ricava che il 44,8% non lavora. I media tendono a farci credere che chi non lavora o si trova nelle condizioni di permettersi quel lusso o ha vinto all'enalotto. Per quelli che non ce la fanno a pagare mutuo o affitto e bollette sono invece un branco di choosy. Per cui, tutto sommato, non c'è bisogno di un reddito minimo di cittadinanza.
In piazza non ci è andato mai nessuno per quello. Si, certo, esiste l'Aspic e il sussidio, intanto se ti sei licenziato o sei un ex autonomo non hai accesso a queste tutele, ma anche per accedere al sussidio vigono tanti di quei paletti che mi piacerebbe conoscere qualcuno che lo percepisce o lo abbia percepito in passato. Forse sì, è più facile vincere al totocalcio. Ai disoccupati italiani conviene imbarcarsi da qualche porto italiano e sbarcare a Lampedusa, forse, potrebbe essere l'unico modo per avere vitto e alloggio e magari anche 40 euro al giorno. A patto di spacciarvi per stranieri. Non trovate curioso come la pletora della società civile moralmente superiore si affanni così tanto per accogliere chiunque per strapparlo dalla miseria mentre in casa si affanna a buttare quanti più connazionali possibile in mezzo ad una strada se non consegnarlo al creatore? Come mai questa sorta di solidarietà "selettiva"?
Per molti, il ritorno all'800 è iniziato decenni fa, grazie ai sindacati che mai hanno fatto niente né per difendere né per conquistare nuovi diritti. Ma magari sarà colpa dei tedeschi.
Barbara

Il reddito minimo sparito dall’agenda 
11.04.14 

Chiara Saraceno 
L’introduzione di un reddito minimo per i poveri di tipo non categoriale è stata cancellata dall’agenda politica. Il Governo Renzi si interessa solo di lavoratori con scarso reddito o disoccupati. Dimenticando chi non è mai entrato nel mercato del lavoro. 

SOLO LAVORATORI E DISOCCUPATI 

L’introduzione di un reddito minimo per i poveri di tipo non categoriale sembra di nuovo sparita dall’agenda politica. Rimandata dal Governo Letta a un lontano futuro, a favore della carta acquisti riservata solo, in via sperimentale, a una categoria di poveri così ristretta e cervelloticamente definita che i comuni fanno fatica persino a individuarli, (come hanno ammesso anche Maria Cecilia Guerra e Raffaele Tangorra su questo sitononostante l’evidenza dell’aumento della povertà assoluta, non fa parte delle riforme radicali che questo esecutivo ha in mente. Tra le tante raccomandazioni europee, è quella più ignorata, anche a parole, ancora più delle pur trascuratissime politiche di conciliazione tra responsabilità famigliari e lavorative. 

A onor del vero, un accenno si trova nel disegno di legge delega “Disposizioni in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive”, in cui dovrebbe concretizzarsi il promesso jobs act renziano. 

Ma si tratta dell’ennesima misura categoriale. All’articolo 1, comma 5 (che segue il comma sulla generalizzazione, in prospettiva e in via sperimentale, dell’Aspi), si legge: “eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’Aspi, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti”. Ovvero, solo coloro che hanno perso il diritto all’Aspi e sono poveri potranno forse ottenere un sussidio. Coloro che non sono mai riusciti, per motivi diversi, a trovare un’occupazione che facesse loro maturare il diritto all’Aspi, ne sono esclusi e con loro anche le loro famiglie. Queste non vengono effettivamente “viste”, salvo che come base di calcolo dell’Isee. 

A ben vedere, ciò che si propone qui è ciò che esisteva in Germania prima della riforma Harz del 2000: un sussidio di disoccupazione di secondo livello, destinato appunto ai disoccupati poveri che avevano perso il diritto alla indennità di disoccupazione standard senza aver trovato una nuova occupazione. Ma in Germania esisteva, ed esiste tutt’ora dopo l’eliminazione dell’indennità di secondo livello, una misura di reddito minimo per chi si trova in povertà, distinta dall’indennità di disoccupazione e senza il requisito della perdita del diritto a questa, ma solo sulla base del reddito famigliare. Non si capisce la logica per cui si introdurrebbe il secondo livello, che non esiste ormai da nessuna parte, mentre continua a mancare una misura di sostegno al reddito per tutti coloro che si trovano in povertà, che viceversa esiste nella quasi totalità dei paesi UE ed è specificamente raccomandata dalla UE stessa, a partire dal lontano 1992. 

Mettendo insieme questa norma e quanto annunciato nel Dpef relativamente alla riduzione dell’Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito (individuale? famigliare?), se ne deduce che i poveri “meritevoli” sono solo i lavoratori che guadagnano poco e coloro che hanno perso un lavoro che ha dato loro, per un certo tempo, accesso all’indennità di disoccupazione. Mamme sole costrette a presentarsi sul mercato del lavoro per la fine di un matrimonio, donne e uomini che non sono mai riusciti ad avere una occupazione nel mercato del lavoro formale, e i loro famigliari, continueranno, come già avviene per la social card sperimentale, a essere considerati immeritevoli di sostegno. 

UN RITORNO ALL’OTTOCENTO 

Nella delega, il requisito dello status di disoccupato che ha esaurito il diritto all’Aspi per ottenere sostegno economico sembrerebbe contraddetto dal successivo comma 6, dove si propone “l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale”. 

Dato che non posso pensare che chi ha scritto i commi si sia distratto, temo che si tratti non di un allargamento delle norme di accesso all’assistenza economica, ma di una restrizione, per altro legittima, all’accesso ad altre prestazioni assistenziali: non basterà più essere disoccupati per avere l’abbonamento scontato sui mezzi pubblici o per non pagare i ticket sanitari. Occorreranno anche altri requisiti, in primis di reddito. 

Per avere assistenza economica, tuttavia, non basterà essere poveri ed essere disponibili a mettere in opera tutte le attività necessarie per migliorare le proprie chances occupazionali. Occorrerà, appunto, anche aver perso il lavoro ed esaurito l’Aspi. 

Un’ultima osservazione: mentre si identificano i soli disoccupati come possibili beneficiari si assistenza economica, si dà una interpretazione assistenziale anche della indennità di disoccupazione, o Aspi. Al punto c del comma 6, infatti, si propone di individuare meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo dei soggetti beneficiari sia di Aspi che del sussidio di secondo livello, al fine di favorirne “l’attività a beneficio delle comunità locali”. 

Non solo l’assistenza, anche la previdenza sono così trasformate in beneficenza da contraccambiare con lavoro gratuito, neppure con i discussi e discutibili mini-jobs imposti agli assistiti in Germania. 

Più che #la(s)voltabuona, sembra piuttosto un ritorno all’Ottocento. 

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